Diabolik - I Numeri 1

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I Misteri del N. 1

Molti sono i misteri che avvolgono il numero uno di «Diabolik». A cominciare dalle origini del nome, che qualcuno ha – erroneamente, a quanto sostenevano le Autrici – collegato a un mai identificato criminale torinese che firmava le su malefatte “diabolic”, con la “C” finale. La “K” pare sia invece stata un’idea di Angela Giussani, anche se il giornalista Pier Carpi – poi smentito pubblicamente da Luciana Giussani – se ne attribuì successivamente il merito. E che dire del disegnatore del primo episodio, un certo Zarcone che pare – ma a oggi nessuna conferma – di nome facesse Angelo. Di lui si persero le tracce già nel 1963 e da allora nessuno, neppure le sorelle Giussani (che secondo una leggenda di redazione assunsero persino l’investigatore Tom Ponzi) è mai riuscito a rintracciarlo. Non è neppur certo che tutte le tavole del primo episodio siano riconducibili a quel fantomatico disegnatore: c’è chi ha riconosciuto in alcune vignette la mano di Brenno Fiumali, che successivamente sarebbe diventato art director della casa editrice Astorina ma già allora aveva firmato la copertina de Il re del terrore. Ma il mistero più grande della nascita di Diabolik sta nelle sue creatrici. Pare incredibile, infatti, che nel 1962 (ricordiamo l’atmosfera di quegli anni!) due donne, scarse conoscitrici del mondo del fumetto, abbiano avuto la capacità – e il coraggio – di creare un personaggio assolutamente inedito, di rottura, addirittura “scandaloso” per i benpensanti. E abbiano poi avuto la forza per sopportare ostracismi e censure e sequestri e denunce, portando avanti quella che chiamavano “un’avventura” sino a creare il successo che, ancora oggi, sostiene la loro creatura. Sì: questo è il vero mistero di Diabolik.



La Storia di una Nazione

Diabolik uscì per le prima volta oltre cinquant’anni fa. Se per un momento smettessimo di pensare ai singoli numeri della testata, potremmo renderci conto che da quella data ad oggi sono successe molte cose che hanno cambiato il volto della Nazione e della Storia: il ’68, gli anni di piombo, il sequestro Moro, la caduta del muro di Berlino, Tangentopoli, il terremoto in Abruzzo, la crisi economica di questi ultimi anni. E come una barca in un mare agitato, guidata da timonieri prudenti e audaci, ingenui ed esperti, la testata milanese ha superato indenne tutto questo ed ha attraversato diverse generazioni influenzandone per sempre l’immaginario. Una storia a fumetti è una capsula del tempo che ci raggiunge da anni passati, e ci dice qualcosa sul mondo in cui è apparsa, ha scritto un autore recentemente, e questo è tanto più vero in un fumetto seriale che – con cadenza periodica – esce da oltre cinquant’anni, sempre uguale, sempre diverso, ricordandomi gli esercizi di stile di un Queneau. Il corpus delle storie di Diabolik mi sembra pertanto un’occasione irripetibile per trovare in ogni numero il segno del tempo, l’influenza di ciò che accadeva in quei giorni e che inevitabilmente influenzava le sue pagine. Dentro Diabolik troveremo pertanto non soltanto la storia dell’inafferrabile criminale, ma anche la storia della nostra Nazione tutta, con i suoi problemi e le sue aspirazioni, come se uno specchio conservato nel salone di una villa antica serbasse la memoria di tutti coloro che vi si sono specchiati nei secoli, di come cambiarono i loro vestiti, il loro modo di parlare, la loro tecnologia, i loro sogni e le loro paure. Questo volume, che ho avuto l’onore di realizzare grazie al permesso del timoniere Mario Gomboli, racchiude così la storia dei numeri uno di «Diabolik», la storia di una casa editrice umile e seria e dell’Italia in cui vivevano i nostri genitori e in cui adesso viviamo noi, come una cornice forse un po’ troppo pomposa potrebbe racchiudere dopo un goffo restauro lo specchio di quella villa antica, e quella villa è casa tua, che hai voluto credere nella Nicola Pesce Editore e hai deciso di acquistarlo. Grazie.


Diabolik - I Numeri 1 Per la versione n.1 (1962) Testi di Angela Giussani – Disegni di Zarcone Per la versione n.2 (1964) Testi di Angela Giussani – Disegni di Luigi Marchesi Per la versione n.3 (2001) Testi di Alfredo Castelli – Disegni di Giuseppe Palumbo Il personaggio di Diabolik è stato creato da Angela e Luciana Giussani © 2015 Astorina © 2015 per questa edizione: NPE - Nicola Pesce Editore © dei redazionali e delle immagini a corredo sono dei rispettivi proprietari Prima edizione: giugno 2015 Collana Nuvole d’Autore, 10 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio stampa: ufficiostampa@edizioninpe.it Grafica: Tespiedit service editoriale, tespiedit@gmail.com Grafica di copertina: Sebastiano Barcaroli Illustrazione in copertina: Sergio Zaniboni Stampato presso Cartografica Toscana S.r.l. – Ponte Buggianese (PT) Nicola Pesce Editore è un marchio in uso di Solone srls via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) Recapito postale: c/o GoldenStore, via de Amicis n. 22/28, 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it https://www.facebook.com/EdizioniNPE https://twitter.com/NicolaPesceEdit


Angela e Luciana Giussani

I Numeri 1



i nt roduz i one

Il senso di Diabolik per il fumetto di Gianni Brunoro

Un gentile lettore che, incuriosito, stesse sfogliando questo volume, potrebbe non essere al corrente di avere in mano l’atto di nascita di una rivoluzione. Perché l’arrivo di «Diabolik» nelle edicole, nel 1962, segnò un giro di boa per il fumetto italiano, anche se lo si è capito integralmente soltanto dopo, in prospettiva “storica”. E quel fumetto “rivoluzionario” era la prima delle versioni comprese in questa antologia, come ampiamente documentato dai vari interventi di appassionati e studiosi presenti in appendice. Una novità abbastanza diversa dalla tradizione, «Diabolik» la costituì già sul piano meramente formale, quello dell’aspetto. Quel formato-volumetto, che oggi tutti conosciamo, era senza dubbio a quel tempo una soluzione diversa, nel campo dei fumetti. Certo, nel piccolo formato esistevano altre pubblicazioni, specie del tipo umoristico per bambini – basti qui citare il «Topolino» – ma erano di dimensioni un po’ superiori; e poi soprattutto molti avevano la confezione “spillata”, come gli albi, ossia erano piegati sul dorso e tenuti insieme da uno o due punti metallici. «Diabolik» no: era quel che si dice in gergo editoriale “a dorso quadro”, ossia rilegato come i veri volumi da biblioteca, benché più minuto. Realizzava integralmente il concetto del “tascabile”, perché effettivamente aveva dimensioni tali da stare esattamente nella tasca di un giubbotto o di una giacca. Non si direbbe, ma a volte il successo di una “invenzione” sta anche in piccoli particolari, e per «Diabolik» – che pure dovette la sua popolarità ad altre ragioni – anche questo particolare contribuì senza dubbio a farlo accogliere con favore. Un altro aspetto formale, insolito nel fumetto realistico, era costituito dal fatto stesso che il formato, in quanto piccolo, poteva ospitare adeguatamente, in genere, soltanto due vignette per pagina. Il che, in fondo, facilitava la velocità di lettura. Era un altro particolare capace di suscitare simpatia, magari anche soltanto inconscia.


Però i motivi fondamentali del successo di «Diabolik» furono ben altri, e di natura non formale ma contenutistica. Nel 1962, quando giunse nelle edicole, i fumetti non erano “rispettati” come nei tempi attuali, nei quali ormai sono considerati finalmente degni di essere candidati a premi letterari. Al tempo, il fumetto era decisamente disprezzato, ritenuto un intrattenimento per persone culturalmente sottosviluppate, e soprattutto era concepito come un prodotto per bambini. Ora, trovare come protagonista di una storia a fumetti, e addirittura di una serie di storie, un vilain, cioè un “cattivo” che viveva di furti, di rapine (e di altre azioni del genere, che la società considera crimini), fu un fatto certamente rivoluzionario, che suscitò parecchio scalpore. Nel giro di pochi mesi dalla sua nascita, si mossero a parlare di «Diabolik» perfino i quotidiani, che fino allora non avevano degnato di uno sguardo il fumetto. E anche questo fatto ha costituito un aspetto della “rivoluzione Diabolik”. Ha ottenuto l’effetto di far focalizzare l’attenzione sui fumetti, benché se ne parlasse – soprattutto! – in occasione di qualche reato. Perché magari si scopriva che un giovane criminale era lettore di «Diabolik», oppure che un malvivente aveva messo in atto un piano particolarmente macchinoso, quale era (ed è rimasta) abitudine di Diabolik. Non valutando, evidentemente, che le trame del fumetto sono un puro esercizio di intelligente fantasia ma in pratica irrealizzabili. Comunque, anche a livello editoriale «Diabolik» apportò una rivoluzione. In effetti, il suo successo esercitò una azione di trascinamento. Sulla sua scia, altri editori stimolarono i loro autori a fare qualcosa di simile, per cui nel giro di pochissimi anni le edicole si riempirono di volumetti analoghi, non di rado proprio col nome caratterizzato dalla fatidica “k”: «Satanik», «Demoniak», «Sadik», oppure «Kriminal», «Killing»... ma con contenuti sempre più plebei o addirittura volgari, e orientati verso il sadismo, la pornografia e altre componenti “spinte”. Tanto da suscitare polemiche sempre più accese e a dare adito a sequestri di pubblicazioni. «Diabolik» divenne così, nonostante la sua relativa “correttezza”, l’involontario simbolo di una marea di pubblicazioni “nere”, le quali meritarono all’editoria fumettistica italiana di quegli anni – anche a livello internazionale – la nomea di “fumetto nero all’italiana”. L’essere involontario della partecipazione del capostipite è evidenziata dal fatto che le pubblicazioni nate in qualche modo sulla sua scia avevano perso assolutamente di vista il comportamento di Diabolik, rimasto integralmente fedele alla sua vocazione, quella di ladro e basta, nella dimensione di ladro “onesto”, capace di or-

Nella pagina successiva: Uno dei rarissimi schizzi preparatori realizzati dal maestro Giuseppe Palumbo per il remake del n.1 di «Diabolik».




ganizzare situazioni bensì macchinose ma intelligenti. E questa si rivelò anche la sua forza. Infatti quelle pubblicazioni, che in un decennio giunsero all’ammontare di una novantina di testate, scomparvero una a una e poi definitivamente tutte, avendo esaurito tutta la loro carica, sicché oggi non ne rimane più che il ricordo. Invece «Diabolik» è sempre sulla cresta dell’onda, anzi sul suo nome e sul suo personaggio sono cresciute e crescono varie altre iniziative: sia editoriali sia su altri media, come videogiochi, trasposizioni radiofoniche, film e una serie tv di prossima uscita. E ancora non finisce qui, l’elenco dei sovvertimenti apportati da «Diabolik» nell’editoria italiana dei fumetti. Esso aveva infatti una caratteristica a monte, del tutto inconsueta. Bisogna ricordare che in questo settore le autrici erano, al tempo, quasi del tutto assenti. Invece Diabolik, inaspettatamente, nasceva dalla fantasia di due donne, le signore Angela e Luciana Giussani. Le quali (come si legge in modo più circostanziato in altri interventi di questo volume) si erano ispirate per la fisionomia del personaggio a un divo cinematografico da loro molto amato, Robert Taylor; e quanto al comportamento, a quello di un personaggio dei feuilleton, celeberrimo (ancora oggi), Fantomas, il ladro gentiluomo. Ora, il fatto assolutamente insolito che un personaggio così chiacchierato per quelle che erano considerate allora delle nefandezze, fosse per di più creatura di una fantasia femminile, fu considerato per alcuni anni un autentico scandalo. Come si vede, a suo tempo Diabolik fu un personaggio e una testata i cui aspetti “rivoluzionari” si sommarono gli uni agli altri. Tanto rivoluzionario che, a furor di popolo (leggi: grande affetto degli appassionati, enormemente aumentati di numero nel corso degli anni e che come i bambini amano sentirsi raccontare ripetutamente la favola) quel primo numero è stato rifatto una prima volta perché non era soddisfacente; e poi ancora rifatto, per allinearlo allo spirito dei tempi. In fondo, anche questo è un aspetto rivoluzionario del personaggio, perché mai, nel fumetto italiano, c’erano stati remake. E il presente volume storicizza queste successive operazioni, la visuale da diversi punti di vista della citata “rivoluzione”. È questo ciò che documenta il consistente tomo che ora avete fra le mani.

Nella pagina precedente: Una delle prove tecniche realizzate dal maestro Giuseppe Palumbo per la copertina del remake del n.1 di «Diabolik».



Versione n.1 - 1962 Testi di Angela Giussani Disegni di Zarcone









Versione n.2 - 1964 Testi di Angela Giussani Disegni di Luigi Marchesi









Versione n.3 - 2001 Testi di Alfredo Castelli Disegni di Giuseppe Palumbo











a ppe ndi ce uno

Dietro le quinte del remake di Diabolik di Alfredo Castelli

Buongiorno a tutti, e fate attenzione: il “Dietro le quinte” che inizia tra qualche riga è uno “spoiler”. Non si tratta dell’alettone che favorisce l’aderenza al suolo delle auto veloci, quanto di un termine – ben noto ai navigatori di internet – con cui si indicano i testi che possono rovinare il gusto (“spoil”) di leggere un libro o di assistere a un film rivelandone certi passaggi essenziali. Se non avete ancora letto il racconto a fumetti e decidete di proseguire ugualmente, lo fate dunque a vostro rischio e pericolo. Si va a cominciare. Ricordo con grande precisione quando e dove comprai il n.1 di «Diabolik»: un pomeriggio verso le cinque di una piovosa giornata del novembre 1962, in un’edicola di via Farini che ora non esiste più. Ero stato attratto dalla locandina, dal suo insolito formato e, probabilmente, anche dall’idea che quell’albo così fuori dai canoni potesse contenere immagini audaci. In quell’epoca eravamo costretti ad accontentarci di poco: le offerte più spinte erano la pubblicità del “Salba Seno” (vi si vedeva la foto di un busto prorompente, opportunamente ritoccato nei punti strategici) e la forchettina nelle confezioni dei datteri (fatta, chissà perché, a forma di donna nuda), e la speranza non ci abbandonava mai. Lessi la storia e, lo confesso, rimasi perplesso: non per l’assoluta mancanza di donnine discinte, che ha sempre caratterizzato e ancora caratterizza la testata, ma perché il racconto, che presentava momenti decisamente “forti” (per esempio la “scena dello spaventapasseri”) e un personaggio del tutto inedito nel panorama fumettistico italiano, pur avendomi emozionato era pieno di “buchi” narrativi che toglievano logica alla trama, come se mancassero alcune pagine essenziali. Da divoratore di gialli, avevo subito notato almeno due punti fondamentali in cui il soggetto “non teneva”. Primo punto: a un certo momento si racconta che Diabolik, dopo essere stato catturato dall’Ispettore Ginko, era fuggito da un carcere chiamato Asen



(già: non ho mai saputo da dove derivi questo nome: credo che – come quella dei personaggi principali del racconto – anche questa denominazione abbia una “storia segreta” che, purtroppo, non sapremo mai). Dicevo: se Diabolik era stato catturato e imprigionato, come mai se ne andava in giro tranquillamente a volto scoperto, senza temere di essere riconosciuto? Del secondo punto vi parlerò più avanti, per non creare addirittura uno spoiler dello spoiler. Tra gli altri passaggi che non mi avevano convinto, c’erano i non chiari legami tra Diabolik e la famiglia Garian, che sembrava essere stata presa di mira in blocco e colpita sadicamente senza una logica precisa. Perché Diabolik, dopo aver ucciso Stefano in India, ha aspettato mesi prima di venire a Clerville? Perché ha ucciso la marchesa De Semily? Perché ha fatto impazzire Clelia Garian dopo che era guarita? Se temeva che rivelasse qualcosa, perché non l’ha uccisa? Così non acquistai gli albi immediatamente successivi, ma, qualche tempo dopo, mi capitò di leggere il numero 11, e rimasi stupito dal cambiamento: testi e disegni erano migliorati, e tutto filava con grande logica. Mi procurai gli arretrati, compreso il numero 1 che avevo perso o regalato (per la cronaca, ho avuto tra le mani non meno di cinque copie del primo numero “originale”; se non le avessi gettate via, visto il loro costo al mercato collezionistico, ora potrei ricavarne una piccola fortuna), e continuai la collezione. Meno di un anno e mezzo dopo mi presentai alle ideatrici del personaggio, le sorelle Giussani, e cominciò un’amicizia durata fino alla loro scomparsa, e una collaborazione che, pur saltuariamente, prosegue a tutt’oggi. Ma questa è un’altra storia. Una caratteristica professionale delle Giussani che notai immediatamente fu la loro incredibile pignoleria nello stendere i soggetti o nel valutare quelli che venivano loro proposti: un’attenzione addirittura maniacale che le spingeva, a volte, a bocciare un intero racconto per un solo errore facilmente rimediabile. In una storia, per esempio, Eva compiva un colpo durante una sontuosa festa da ballo e poi fuggiva lungo un cornicione. Il soggetto fu scartato a causa di quell’unica scena: allora, infatti, andavano di moda gli abiti da sera aderenti, e con addosso una gonna di quel tipo, Eva non avrebbe potuto scavalcare il davanzale della finestra. Certo, poi è bastato specificare che Eva indossasse un vestito che si apriva con un’abbottonatura nascosta, e tutto è andato a posto, ma risalire la china dopo che un soggetto era stato bollato dal primo impatto negativo era sempre un’impresa lunga e faticosa. Io e gli altri collaboratori fummo costretti a imparare (e fu, professionalmente, un’ottima lezione) a ragionare a lungo sui meccanismi delle storie prima di sottoporle alla lettura delle Giussani. Nella pagina precedente: La tavola finale originaria che apparve sul volume Diabolik Il re del terrore: il Remake, in occasione del quarantennale di Diabolik, finito di stampare nel mese di ottobre 2001.


Ho raccontato questo aneddoto per fare rilevare l’incredibile differenza tra l’approccio narrativo super pignolo del «Diabolik» dal tardo 1963 in poi, e quello “impressionistico” del numero 1, uscito solo pochissimo tempo prima. Non so neppure io quante volte abbia chiesto ad Angela e Luciana di scrivere o lasciarmi provare a scrivere una storia che risolvesse gli enigmi che mi tormentavano fin dalla prima lettura di quell’albo, ma entrambe non ci sentivano da quell’orecchio: in realtà credo che considerassero il numero 1 come un’opera realizzata con il cuore ma non con la ragione, una sorta di peccato di gioventù su cui era meglio non ritornare, se non, al massimo, ristampandolo così com’era in edizioni “per collezionisti”. La faccenda, ribattezzata in codice “del penitenziario di Asen”, era divenuta una sorta di tormentone: ogni volta che mi presentavo alle Giussani con un’idea, mi domandavano subito – scherzando, ma anche con una certa preoccupazione – se per caso riguardava la famosa fuga dal carcere. Come l’intrepido Ispettore Ginko, anch’io non mi sono arreso neppure di fronte a un’avvilente serie di sconfitte. Forte del principio che la goccia scava la pietra, mi sono preso la briga di preparare un soggetto tanto non richiesto quanto dettagliato (il più dettagliato della mia carriera, posso assicurarlo: una trentina di cartelle) di un possibile remake del famoso albo in cui tutti i punti oscuri venivano accuratamente spiegati. Non so se Luciana sia stata presa per fame o per esasperazione; se le sia mancato l’appoggio di Angela – scomparsa nel 1987, o si sia lasciata convincere dall’entusiasmo di Mario Gomboli, direttore editoriale della casa editrice; fatto sta che ha accettato la proposta. Mi spiace perché, purtroppo, non potè vedere il lavoro finito, in quanto ci ha lasciati nel marzo del 2001, poco prima che Diabolik, la sua creatura, compisse quarant’anni. Ho parlato di remake; il termine – letteralmente “rifacimento” – è corretto, anche se al giorno d’oggi, viene solitamente utilizzato per designare rifacimenti cinematografici che, della trama originale, mantengono (vagamente) soltanto l’idea di base. Non è questo il caso: come avrete notato ho cercato di alterare il meno possibile quella prima, memorabile storia. E, ci tengo a sottolinearlo, l’ho riscritta (e Giuseppe Palumbo l’ha disegnata, e Mario Gomboli ha supervisionato tutta la produzione) non nell’intento di migliorare qualcosa che, come il tempo ha dimostrato, ha funzionato benissimo così com’era, ma come un atto di affetto verso le sorelle Giussani e il loro personaggio. Mi piace pensare che, grazie a questo remake, anche i tantissimi lettori “comuni” di «Diabolik» (e non solo i collezionisti e gli appassionati di fumetti, pronti ad accettare un prodotto nato quarant’anni fa, e, quindi, necessariamente datato) potranno apprezzare la prima storia esattamente come apprezzano gli altri albi della serie. Ho scelto di agire come se, nel lontano 1962, il testo del numero 1 fosse stato steso in una versione molto più lunga, in cui ogni passaggio veniva spiegato con cura. Ma (continuo con la mia finzione) una buona parte delle pagine di sceneggiatura era


In alto: Una bozza della copertina del n.1 di «Diabolik» (1962). Il disegno in copertina fu realizzato da Brenno Fiumali. A sinistra: Una bozza del logo e della testata. Il logo di Diabolik, straordinariamente incisivo, fu realizzato dall’architetto Remo Berselli. A sinistra in basso: Una bozza del logo, che poi fu bocciata in favore di quello che tutti conosciamo. La trama dell’albo – uscito nel novembre 1962 – si ispira a quella del primo romanzo di FantÔmas; nel giro di pochi numeri, tuttavia, Diabolik si affrancò dal progenitore francese e cominciò ad agire in racconti originali. Il testo del n.1 è della sola Angela Giussani: Luciana ha sempre tenuto a precisare che il suo intervento nella serie è iniziato solo qualche mese dopo, e non ha mai voluto attribuirsi il merito della creazione del personaggio. Le tavole sono di Zarcone, un autore di cui si è persa ogni traccia; pur se decisamente naif, trasmettono ugualmente una forte carica emotiva.



andata smarrita, sicché il disegnatore aveva illustrato soltanto le tavole che si erano salvate, e queste erano state collegate alla bell’e meglio con qualche didascalia. Avrei cercato di ricostruire le pagine “perdute”, senza modificare quelle già scritte: in tal modo non ci sarebbero stati tradimenti, ma solo qualche spiegazione in più. Poste queste premesse, ho iniziato il lavoro passando al setaccio il racconto originale alla ricerca dei passaggi che, trenta e passa anni prima, non ero riuscito a comprendere o che avevo ritenuto contraddittori, tra cui i due punti a cui ho accennato poco fa. Per primo, per diritto di anzianità, ho affrontato l’enigma “del penitenziario di Asen”. Il fatto che Diabolik fosse stato catturato e che tuttavia si muovesse liberamente a volto scoperto poteva significare solo una cosa: quando era stato arrestato indossava una maschera, e nessuno se n’era accorto in quanto neppure Ginko sospettava l’esistenza di truccature di nuova concezione e assolutamente perfette. Non so se per caso o per scelta deliberata, ma sta di fatto che nel racconto originale nessun personaggio cita l’esistenza delle maschere di Diabolik; l’unico accenno all’argomento lo fa Gustavo all’inizio dell’albo (“Conosce un’arte segreta per trasformarsi”) ma, in questi termini vaghi, la battuta può benissimo far parte delle molte dicerie sul fantomatico criminale. Se solo Gustavo si fosse spinto un po’ più in là, sarebbe stato impossibile utilizzare la spiegazione a cui ho accennato. Nel progetto iniziale i dettagli della cattura e dell’evasione da Asen avrebbero dovuto far parte del remake, tuttavia Mario Gomboli ebbe l’idea di raccontarli in un prequel, cioè un racconto preparatorio. Così, nell’estate 2000, uscì Diabolik e Ginko: tempesta di ricordi, quarto numero dello speciale estivo «Il grande Diabolik». Un lungo flashback tratto dal mio soggetto e sceneggiato da Patricia Martinelli espone gli avvenimenti che precedono quelli del n.1, ponendo alcune premesse destinate a essere riprese nel remake. In quell’epoca la polizia considerava Diabolik un parto della fantasia popolare, una figura inesistente a cui venivano attribuiti i crimini rimasti irrisolti; solo l’Ispettore Ginko – il quale, tuttavia, non conosceva il segreto delle sue maschere – era convinto che si trattasse di un uomo in carne e ossa. Diabolik agiva principalmente in Oriente, e là aveva messo l’occhio su una collezione di pugnali di un potente boss. Dopo aver faticosamente violato il loro impenetrabile nascondiglio, aveva scoperto che erano stati ceduti a un antiquario di nome Stefano Garian; l’aveva ucciso e si era sostituito a lui per prenderli dalla sua cassetta di sicurezza, e là aveva scoperto che i preziosi oggetti erano appena stati trasferiti in Europa per una mostra al Palazzo dei Marmi di Clerville. L’Ispettore Ginko aveva intercettato Diabolik mentre tentava il colpo al Palazzo; l’aveva catturato e fatto rinchiudere nel penitenziario di Asen, da cui era evaso (e qui semplifico molto i fatti) togliendosi la maschera e andandosene con il suo volto. A quel punto, rubare i pugnali che per ben tre volte gli erano sfuggiti per un soffio era divenuto per Diabolik un punto d’onore, il che giustifica la messa in scena incredibilmente elaborata descritta nel numero 1.


Giuseppe Palumbo – il disegnatore del bellissimo remake de Il re del terrore – è autore di molte serie di successo tra cui Ramarro e Tosca la Mosca. La scelta di un disegnatore al di fuori di quelli “classici” di Diabolik è dovuta alla volontà di “staccare” questo racconto dalla serie regolare, così come – in un certo senso – era “staccato” quello della prima versione del numero 1. «Ho studiato a lungo l’originale, e ho cercato di ricatturarne l’atmosfera,» dice Palumbo. «Per quanto riguarda l’ambientazione, ho raccolto il maggior numero possibile di immagini che mi permettessero di suggerire al lettore l’impressione di trovarsi in quella pseudo Costa Azzurra Provenza anni ’60 che costituisce lo scenario della storia. Fondamentale è stata la scoperta su una bancarella di alcuni numeri di quell’epoca della rivista Plaisirs de France, che si è rivelata utilissima soprattutto per le architetture, ma anche per auto, vestiti, mobili del periodo. Ho alternato tavole con sole vignette verticali ed altre disegnate con taglio decisamente orizzontale, quasi in cinemascope. Le prime le ho utilizzate nelle sequenze di dialogo serrato, le seconde per le scene di azione, nell’intento di suggerire la vastità del grande schermo. Ho cercato, per quanto possibile, di aderire allo spirito dell’opera del mio predecessore; in particolare ho citato esplicitamente una delle sue vignette più suggestive, quella con lo spaventapasseri sanguinante [alla tavola 105 della versione uno, alla tavola 104 della versione due ed alla tavola 133 (ossia la quartultima) della versione tre, N.d.R], forse l’immagine più memorabile dell’intera storia».

Qui accanto sono raffrontate le vignette in cui il Re del Terrore si manifesta a Ginko nel n.1, in quello che poi si scoprì non essere il loro primissimo incontro. In alto la versione di Zarcone, al centro quella di Marchesi, in basso quella di Palumbo.


Il secondo punto che non mi tornava riguarda la meccanica del colpo. Nel racconto originale Diabolik, travestito da Stefano Garian, organizza le cose in modo che il “figlio” Gustavo sia sospettato dell’omicidio della cugina, e, subito dopo, fa sì che tutti credano che il giovane sia morto suicida, affinché la polizia smetta di interessarsi del caso. Trascorre con “il figlio” qualche tempo, e, alla fine, si fa firmare alcuni documenti con cui Gustavo gli trasferisce i beni di sua proprietà. Ed eccoci al dunque. Partendo dal presupposto che Diabolik non commette errori e non corre rischi inutili, se bastava semplicemente che Gustavo firmasse dei documenti, Diabolik poteva falsificare la sua firma oppure costringere Gustavo a firmarli, subito e senza altre complicazioni. Siccome non l’ha fatto, significa che un documento con una firma non era sufficiente, ma occorreva la presenza fisica del “figlio”, magari per sottoscrivere un atto legale davanti a un notaio. Anche in questo caso Diabolik avrebbe potuto travestirsi da Gustavo e firmare al suo posto; anche in questo caso, visto che non l’ha fatto, doveva esserci una ragione precisa, così come doveva esserci una ragione per cui Diabolik, invece di agire immediatamente, aveva trascorso alcuni giorni con il “figlio”, dando modo a Ginko di metterglisi alle costole. Nel remake questi comportamenti vengono giustificati; resta, tuttavia, una grave contraddizione: se per tutti Gustavo era morto, il giovane non poteva compiere alcuna azione – soprattutto firmare documenti ufficiali – che imponesse la sua presenza. Su questo dilemma la povera Luciana, Mario e io abbiamo discusso fino allo sfinimento, senza cavare un ragno da un buco. Le uniche soluzioni logiche che siamo riusciti a mettere insieme erano così arzigogolate (c’entravano impronte digitali, conti cifrati e via dicendo) da imporre pagine e pagine di spiegazioni, le quali avrebbero distolto dalla storia rendendo il rimedio peggiore del male. Così, come avrete già scoperto, abbiamo deciso di deviare dal racconto originale. È l’unico vero tradimento del remake; anche se parecchi dialoghi sono stati modificati per ragioni di ritmo narrativo e qualche “licenza poetica” è stata disseminata qua e là, si tratta di peccati veniali che non alterano la sostanza della storia. Vi faccio qualche esempio a caso: nell’originale Ginko fa seguire Diabolik da un ragazzino, il quale – oltre a correre a causa dell’Ispettore un rischio davvero mortale – riesce a tener dietro al Genio del Male fino alla soglia di casa. Nel remake il ragazzino svolge la stessa funzione ma in modo meno rischioso e più logico. Nel remake l’obiettivo di Diabolik sono i pugnali; nel racconto originale è invece un capitale di “trecento milioni” (ma nessuno vi impedisce di credere che i pugnali valessero trecento milioni di allora). Nel numero 1 si citano inoltre l’India e Marsiglia, unici toponimi reali mai utilizzati nella serie. Nel remake “l’India” è divenuto “l’Oriente”; quanto a Marsiglia, con diabolika abilità, sono riuscito a non nominarla mai.



a ppe ndi ce due

Precedenti letterari: da Balzac a Diabolik di Ronin

Chi opera nel campo della narrativa “popolare” dovrebbe festeggiare la data del 23 ottobre come si fa con la ricorrenza di un santo patrono. In quel giorno del 1836, sul “fogliettone” (la parte bassa della prima pagina) del quotidiano «La Presse» di Emile De Girardin, uscì infatti la prima puntata de La Vieille Fille di Honoré De Balzac. La letteratura – fino ad allora riservata soltanto a chi poteva permettersi il lusso di acquistare un libro – poteva finalmente entrare in tutte le case al modesto costo di un quotidiano; l’enorme allargamento del pubblico dei lettori (“del target”, diremmo oggi) è all’origine della nascita della moderna narrativa “di genere”, non solo letteraria, ma anche fumettistica, cinematografica, televisiva. Il roman feuilleton – come era stato battezzato – trovò la sua formula ideale in Les Mystères de Paris di Eugène Sue, pubblicato dal 19 giugno 1842 al 15 ottobre 1843 da «Le Journal des Débats». La maggior parte dei feuilletons precedenti si era occupata di amori e passioni più o meno contrastate; Sue, invece, aveva puntato il dito sulle piaghe sociali e sulle contraddizioni di una realtà in cui convivevano ricchi e miserabili, galantuomini e “tipi schifosi, spaventevoli, che brulicano in tristi cloache come i rettili nei pantani”. Sulla scia de I Misteri di Parigi uscirono numerose imitazioni che ne riecheggiavano impostazione e titolo; una di esse era Les drames de Paris (1857) del visconte Pierre Alexis Ponson Du Terrail, pubblicato a puntate dal quotidiano «La Patrie». E qui facciamo una digressione: può sembrare sorprendente, ma i cosiddetti “protagonisti seriali” – quelli che, come Diabolik, ritornano con cadenze regolari in racconti sempre nuovi – a quell’epoca non esistevano; al massimo qualche personaggio – come, per esempio, I Tre Moschettieri – riappariva eccezionalmente in un nuovo romanzo. Spesso i “seguiti” non erano autorizzati (la legislazione sulla proprietà letteraria esisteva, ma ben pochi se ne curavano): se una storia otteneva un grande successo – come nel caso de Il Conte di Montecristo – qualche editore, al-


dovuto occuparsi; durante la seconda e la terza settimana dettavano i capitoli alle rispettive segretarie; nella quarta settimana l’opera veniva assemblata con opportuni raccordi. Continuarono così per ben trentadue mesi e altrettanti volumi, usciti tra il 1911 e il 1913. Nel 1926 Marcel Allain iniziò da solo una seconda serie (Souvestre era morto di spagnola nel 1914), che continuò per 34 dispense settimanali della «Societé Parisienne d’Édition»; le avventure di Fantômas continuarono su varie pubblicazioni fino al 1963, quando uscì l’ultimo romanzo, Fantômas mene le bal. Allain, nato nel 1887, morì nel 1970; nel corso degli anni il suo eroe era cambiato profondamente, aveva perso mordente e crudeltà, e si era imborghesito fino a giungere al punto di intrattenersi amichevolmente con il vecchio nemico Juve. Ma, in questo modo, il “cattivo” Fantômas almeno una buona azione l’aveva compiuta. Senza curarsi della sua immagine pubblica, era riuscito a tener compagnia per tutta la vita al suo creatore: un’amicizia tanto lunga e tanto disinteressata non può che far parte del mondo degli eroi di fantasia. Si dice che Walt Disney abbia creato Topolino su di un treno, nel 1927. E su un treno, nel 1962, Angela Giussani, insegnante milanese, già collaboratrice del marito Gino Sansoni in iniziative editoriali, trovò una ristampa di Fantômas abbandonata da un viaggiatore. Era una grande lettrice di gialli (le piaceva in particolare Agatha Christie), ma non le era mai passato per la testa di realizzare una versione a fumetti di un epigono di Poirot o Miss Marple. Ma quell’eroe così trasgressivo, così slegato da ogni schema, così anarchico, toccò corde più profonde. Nel novembre 1962 uscì il primo numero dell’ideale pronipote de La vieille fille e del naturale erede di Fantômas: Diabolik – Il re del terrore.


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Breve riassunto dei tre numeri uno di Nicola Pesce

A questo punto del volume, dopo che penne ben più esperte e preparate di me hanno analizzato i precedenti letterari ed altri aspetti del fenomeno Diabolik, si rende necessario un veloce volo pindarico che chiarisca al lettore meno esperto cosa si intenda quando si parla delle tre versioni del numero uno. Oggi il numero 1 originale di «Diabolik», del 1962, è quasi introvabile e vale dai tremila agli ottomila euro, a seconda delle sue condizioni di conservazione. Quello che non tutti sanno è che la prima volta che uscì «Diabolik» in edicola era disegnato in modo che con gentilezza definiamo “ingenuo” o “naif ” e tuttora non si sa chi ne sia stato il disegnatore (il misterioso “Zarcone”). Questa è la versione numero uno. Visto il grande successo che ebbe presto la testata delle sorelle Giussani, si resero necessarie ristampe su ristampe con cui invadere le edicole. Allora si decise di far ridisegnare il numero uno in modo migliore ed è questa la versione che andò in edicola e si diffuse maggiormente: è la versione numero due. Poi con il passare dei decenni i gusti del pubblico sono cambiati e Diabolik ha praticamente attraversato un’era facendo da ponte a più generazioni. Così la casa editrice Astorina – dietro la stoica insistenza di Alfredo Castelli, che ne firma i testi – decise di fare un remake con un disegnatore, il grande Giuseppe Palumbo, che rispondesse di più ai gusti del pubblico di oggi. Questa è la versione numero tre. La versione numero uno uscì nelle edicole italiane nel novembre del 1962. Il volumetto è di dimensioni inferiori rispetto al formato che avrà la collana a partire dal numero 2. La seconda e la terza di copertina sono bianche. Da allora tale versione fu ristampata una quantità di volte innumerevole, tra edizioni autorizzate (di cui ricordiamo anche una in miniatura!) ed edizioni pirata.


In alto a sinistra: La copertina definitiva del n.1 di «Diabolik», uscito nelle edicole italiane nel novembre 1962, disegnata da Brenno Fiumali. Il disegnatore della storia fu invece il misterioso Zarcone, un illustratore di cui non si conosce neppure il nome proprio. Dopo aver consegnato le tavole se ne andò, infatti, senza lasciare recapiti. Le sorelle Giussani tentarono invano di rintracciarlo, ma al suo vecchio indirizzo non risultava alcun inquilino con quel cognome. Di lui resta solo un vago ricordo: sui trent’anni, biondo e di carnagione chiara, tanto che era stato soprannominato “il tedesco”. Ebbene, per una coincidenza davvero curiosa, qualcosa di analogo era avvenuto anche per il primo romanzo di FantÔmas: per anni l’editore Fayard cercò di mettersi in contatto con l’anonimo autore della copertina, ma questi non si fece vivo neppure dopo che il suo disegno era divenuto popolarissimo. In alto a destra: Nel 1964 il primo numero di «Diabolik» venne infatti completamente ridisegnato da Luigi Marchesi, mantenendo gli stessi testi dell’originale e una copertina praticamente identica, con piccole modifiche di carattere grafico (il prezzo in un rettangolo anziché in un tondo, il fondo giallo anziché bianco). A sinistra: La copertina della “seconda ristampa” del n.1 di «Diabolik» nella sua seconda versione, che uscì nelle edicole italiane nel 1973. Gli occhi di Diabolik sono del tutto ridisegnati da Zaniboni e il fondo diviene completamente nero.


ristampa venne infatti data in omaggio agli invitati alla celebrazione dei trent’anni del personaggio. Una ristampa si dice “anastatica” quando è una riproduzione di un libro raro non a partire dai files o dalle pellicole originali, ma a partire da una copia del libro stesso, utilizzato in luogo degli originali perché non più disponibili né reperibili. In questo caso il volume prodotto è identico per contenuto a quello originale: possono cambiare il formato e il tipo di carta impiegata per la stampa, ma le indicazioni tipografiche (luogo di stampa ecc.) sono quelle del volume che si riproduce, mentre le note editoriali relative al nuovo editore, sono poste a parte. La fortuna di Diabolik non conosce soste e così la Astorina fa partire la collana di ristampe «Swiisss», il cui numero 1 esce in allegato al «Diabolik» inedito nell’aprile 1994. Successivamente, nell’aprile 1999, la Max Bunker Press dà il via alla collana «Spin Off», dedicata ai primi numeri dei fumetti degli anni ’60. E il primo è inevitabilmente il nostro criminale, nella sua versione originale, in un formato di dimensioni leggermente maggiori. In occasione dei quarant’anni del personaggio viene realizzato e dato alle stampe il remake disegnato da Giuseppe Palumbo e fortemente voluto da Alfredo Castelli, che ne firma i testi, su cui egli stesso ha già ampiamente dissertato nella sua interessantissima appendice. Nel 2008, la Panini realizza una edizione speciale di alcuni numeri di «Diabolik» per «La Gazzetta dello Sport». Il primo numero si intitola Diabolik Le origini del mito e contiene i primi due numeri di «Diabolik» (Il re del terrore e L’inafferrabile criminale). La copertina originale presenta una fusione tra le copertine del primo e del secondo numero di «Diabolik» in cui il Diabolik rappresentato col coltello nella mano destra del secondo numero “spaventa” la signorina in camicetta rossa della copertina del primo numero. Arriviamo infine a questa edizione npe, un volumone corposo che raccoglie per la prima volta tutte le tre versioni de Il re del terrore e che è stato prodotto in una edizione deluxe di soltanto 1750 copie, finite di stampare nel giugno 2015. Di queste, 62 sono in edizione limitata (perché Il re del terrore uscì nel 1962), numerate da 1 a 62, con una sovraccoperta rossa e nera e una stampa della tavola di Giuseppe Palumbo con lo spaventapasseri, numerata e firmata dallo stesso. Altre 30 sono in una edizione limitata identica alla precedente ma non acquistabili, per i miei amici e colleghi, numerate con i numeri romani che vanno da I a XXX.



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La vera tiratura del numero uno di Andrea Agati

Del primo numero di «Diabolik» è stato detto tutto. Libri, fanzine, guide specializzate e gruppi internet hanno analizzato, in questi anni, ogni aspetto e sfaccettatura di quello che può essere considerato l’albo più famoso (e prezioso) della serie. Fino a pochi anni fa si conoscevano poche cose, poi, grazie anche allo studio fatto da esperti e appassionati, si sono scoperte tante notizie interessanti. Si è appreso per esempio che l’autore dei disegni è un certo Zarcone detto “il tedesco” la cui identità però, rimane ancora un mistero. Il numero uno uscì nelle edicole nel 1962, e da quella data questa avventura è stata ristampata tantissime volte, in edizioni simili ma non identiche alla prima, come è stato spiegato su diversi saggi dedicati al personaggio. Di un aspetto, però, si è detto molto poco, e quel poco in maniera molte volte incompleta se non addirittura errata. Con questo articolo vorrei sopperire a questa lacuna e rispondere, se possibile, alla domanda che tante volte mi sono sentito porre. La stessa domanda che io ho posto un po’ a tutti (autori, disegnatori e dipendenti della casa editrice), ma alla quale nessuno ha saputo rispondere con sufficiente chiarezza: quale fu la tiratura esatta, o almeno, la più probabile, della prima versione del numero uno? Un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi è la distribuzione che il primo numero ebbe nelle edicole italiane. Penso che anche dopo che avrete letto questo articolo rimarranno, ahimé, dei dubbi, così come rimarrà un piccolo mistero quello del numero di copie attualmente esistenti. Partiamo col dire che negli ultimi venti anni si è sempre affermato che la tiratura iniziale fosse stata di circa 8.000 copie. Una quantità relativamente bassa, anche considerando il fatto che il primo numero sia stato realizzato come prova. L’idea



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Il misterioso Zarcone di Gianni Bono

Per lungo tempo non mi sono mai posto il problema di chi fosse il primo disegnatore di Diabolik. All’epoca – parliamo di metà anni Sessanta – vivevo a Genova e scoprii il Re del Terrore solo dal terzo numero, disegnato da Gino Marchesi, in un’edicola di via Giovanni Torti, di fronte al cinema Eden (oggi c’è un supermercato, sob!). I precedenti due albi nella loro versione originale li vidi solo svariati mesi dopo. Anche perché le Giussani, non contente del risultato grafico di quei due numeri, all’atto della ristampa dei primi diciassette, li avevano fatti ridisegnare da Marchesi, il primo, da Aulo Brazzoduro il secondo. Quindi per me, come per molti altri, Marchesi e il bravissimo Enzo Facciolo erano i soli disegnatori di Diabolik. Dovete sapere che di fronte a casa mia c’erano gli uffici editoriali di Giovanni De Leo e che suo figlio maggiore faceva il tragitto con me in autobus di ritorno da scuola. Il padre, venuto a conoscenza della mia passione per i fumetti, mi prese in simpatia e iniziò a raccontarmi, giorno dopo giorno, la romanzata storia della sua vita e delle persone con cui aveva lavorato: Gian Luigi Bonelli, Rino Albertarelli, Antonio Canale, Angelo Saccarello, Renzo Barbieri, Gallieno Ferri, Pierre Mouchott… Un sabato mattina, vedendomi uscire di casa, mi chiamò e mi disse: «Ho comprato le rese di una nuova pubblicazione che ha venduto poco e niente. Sono su quel camion. Prendi quelle che vuoi». Dentro c’erano diecimila copie del primo numero di «Diabolik». Per educazione, purtroppo, ne presi solo una. Anzi, arrivato a casa, mi ricordo che l’aprii e subito la richiusi. I disegni erano orrendi (agli occhi di un ragazzo di 13 anni affascinato da Raymond e Foster… Si pensi che anche a 17 ho detto a Pratt che le sue tavole della Ballata non mi piacevano… Orrore!). Volevo



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