I promessi sposi

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I promessi sposi

Testi di Mino Milani

Disegni di Attilio Micheluzzi

Quel ramo del Lago di Como, ancora e sempre

Il romanzo storico più celebre nella letteratura italiana, forse il più letto, di certo il più importante: anche perché adottato da sempre più scuole del Regno d’Italia già a partire da trent’anni dopo la sua versione defnitiva. Sì, perché I promessi sposi è un romanzo “uno e trino”, nato come Fermo e Lucia e poi riscritto per una prima edizione tra il 1825 e il 1827 (perciò detta “ventisettana”), infne rivisto dal suo autore Alessandro Manzoni nel suo «risciacquare i panni in Arno» e ripubblicato tra il 1840 e il 1842 (nella “quarantana”). Difcile dirne qualcosa di nuovo, ma l’importante è non scadere nel banale: è quello che proviamo a fare in queste pagine.

Una storia per un pubblico largo

Ambientato tra il 1628 e il 1630 nella Lombardia della dominazione spagnola, l’opera intreccia mirabilmente episodi reali come le vicende della “Monaca di Monza” (tale Marianna de Leyva y Marino, primogenita di un nobile spagnolo) e la Grande Peste del 1629-1631 a storie di personaggi fttizi seppur largamente realistici. Primo romanzo moderno della nostra tradizione letteraria, ancora in assenza dello sviluppo raggiunto in Inghilterra e in Francia, stabilisce subito un archetipo inarrivabile e un passaggio fondamentale nella lingua italiana. Guidato dal principio difeso nella Lettera sul Romanticismo (1846), per cui i soggetti di cui scrivere devono essere quelli in cui il massimo numero di lettori possa trovar interesse ritrovandosi nel proprio quotidiano, Manzoni sceglie programmaticamente di mettere al centro non ricchi e potenti bensì persone

umili di fronte alle soperchierie dei dominanti: una f losofca rafgurazione dell’imperfezione umana, rischiarata dalla provvidenza divina del cattolicesimo illuministico dell’autore. A questo contenuto di sostanza si unisce la forma, che diventa determinante nella storia culturale italiana per il ruolo svolto, prima e dopo l’unifcazione politica del Paese nel 1861, come strumento di fusione linguistica, sulla base del forentino parlato dalle classi colte della “quarantana”. Non stupisce quindi che la popolarità e l’interesse per I promessi sposi da parte di pubblico e critica abbia portato a numerosissime riletture nelle più disparate forme artistiche (dal teatro alla lirica, dal cinema alla televisione, dai fumetti ad altro ancora), su cui trattiamo più estesamente nella postfazione.

Storia di un’avventura editoriale

L’avvio concreto del romanzo risale al 24 aprile 1821, quando Manzoni inizia quello che chiama Fermo e Lucia, scrivendo in un mese e mezzo i due capitoli iniziali e la prima stesura dell’introduzione. Dopo un’interruzione per dedicarsi all’Adelchi, al progetto poi accantonato della tragedia Spartaco e alla scrittura dell’ode Il cinque maggio per la scomparsa improvvisa di Napoleone, lo riprende con più vigore nell’aprile 1822 per terminarlo il 17 settembre 1823. La scintilla nasce dalla lettura nel soggiorno parigino del 1819-1820 di episodi realmente accaduti, come le minacce a un curato di campagna di non celebrare il matrimonio fra due giovani (circostanza che non si fatica a immaginare verifcatasi chissà quante volte, nella storia del mondo), ma anche l’idea della provvidenza divina e la vanità delle piccolezze umane rispetto alla grandezza di quelle celesti rivestono un ruolo non da poco.

Rimasto per molti anni inedito (e pubblicato soltanto nel 1915 dal critico Giuseppe Lesca, con il titolo Gli sposi promessi), a una lettura attenta Fermo e Lucia risulta meno elaborato rispetto a I promessi sposi ma assai ricco e quasi a sé stante, innervato da scelte stilistiche in cui s’intrecciano e si alternano lingua letteraria, elementi dialettali, latinismi e termini stranieri: «un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall’una o dall’altra di esse», nelle parole dello stesso “don Lisander” (come lo chiamano i milanesi). Soprattutto, nei quattro volumi dell’opera la narrazione è meno scorrevole, con frequenti interventi dell’autore e narrazioni dettagliate delle vicende di alcuni protagonisti.

Tutt’altra forma per struttura narrativa, cornice, presentazione dei personaggi e uso della lingua risulta invece il romanzo una volta stampato con il titolo I promessi sposi, rivisitato intorno al marzo 1824 grazie agli amici studiosi e letterati Ermes Visconti e Claude Fauriel e pubblicato a Milano dal tipografo Vincenzo Ferrario in tre volumi fra il 1825 e il giugno 1827 (anche se la data

impressa indica 1825 nei primi due e 1826 nel terzo) con il sottotitolo Storia milanese del secolo xvii, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni, riscuotendo un notevole successo di pubblico. La struttura più equilibrata (in quattro sezioni pressoché di uguale estensione), la decisa riduzione di quello che appariva un “romanzo nel romanzo” sulla Monaca di Monza, la scelta di evitare il registro del “pittoresco” e le tinte più fosche preferendo una rappresentazione più realistica sono le nuove caratteristiche di quello che, di fatto, risulta un romanzo sensibilmente diverso dall’iniziale Fermo e Lucia

Come s’intuisce già dal titolo, oltre alla struttura linguistica cambiano anche i nomi di alcuni personaggi e in certi casi per fno il loro carattere: Fermo diventa Renzo, il nobile Valeriano cambia in Don Ferrante, il Conte del Sagrato nel ben più evocativo Innominato. In quest’ultimo la modifca è radicale: non è più «un killer d’alto rango, che delinque per lucro» e «ha anche una tinteggiatura politica antispagnola», ma con un’indole ben più rifessiva ed “esistenziale” di ricordare le sue colpe.

Dal punto di vista linguistico, Manzoni abbandona il pastiche iniziale (non privo di fascino ma in fondo fuori luogo, soprattutto contrario alla mission letteraria) per avvicinarsi al più pratico idioma toscano, utilizzato da aristocratici e popolani quindi più efcace per dare un tono più realistico e concreto alle vicende. «Aiutato dai Dizionari (il Cherubini, il Vocabolario della Crusca), badò agli scrittori popolareggianti, realistici, satirici, volgarizzatori, memorialisti, cronisti o addirittura ai poeti berneschi, per gettar le basi di una lingua comune, semplice, quotidiana», ha ben riassunto Giovanni Macchia nel suo Manzoni e la via del romanzo (Adelphi, 1994). In famiglia, “don Lisander” parla francese (fn dall’Illuminismo in uso nelle classi nobili e colte) e il dialetto milanese: non rimanendo soddisfatto per il linguaggio artifcioso dell’opera, ancora troppo debitore delle proprie origini lombarde, tra il 1824 (quindi prima di fnirne la stesura) e il 1827 lo scrittore consulta il Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini e il Grand dictionnaire français-italien di François d’Alberti de Villeneuve. Da lì la decisione — divenuta proverbiale — di trasferirsi a Firenze in quello stesso 1827 a «risciacquare i panni in Arno» e cioè, fuor di metafora, sottoporre il romanzo a un’ulteriore revisione, rendendola più aderente al dialetto forentino ma con un orizzonte nazionale. Una scelta che qualche decennio dopo infuisce più che mai sulla nascita dell’italiano standard del neonato Regno d’Italia, grazie alla relazione che lo stesso Manzoni invia nel 1868 al ministro per l’istruzione Emilio Broglio per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole statali.

L’edizione defnitiva de I promessi sposi, pubblicata a dispense quindicinali da sedici pagine tra il novembre 1840 e il novembre 1842 (ma la data sul frontespizio è sempre 1840), avviene quindi per la volontà dell’autore di rinnovare

stilisticamente la “ventisettana”: ma la spinta dell’appassionata seconda moglie Teresa Borri (vedova Stampa) e dell’amico di lunga data Tommaso Grossi non risultano ininfuenti, per una maggior difusione che porti nuovi introiti. Alla revisione linguistica contribuisce la forentina Emilia Luti, governante dei fgli dello scrittore, con cui Manzoni mantiene un’intensa corrispondenza epistolare anche una volta passata al servizio della famiglia Litta Modignani. Gli studiosi più puntuali notano inoltre lo smussare di alcune espressioni troppo vicine al mondo della lirica nell’autore ormai da anni distaccatosi dall’attività poetica.

Ultimi ritocchi: visto, si stampa!

In un’epoca in cui non esiste ancora il diritto d’autore — per certi versi, nel mercato italiano tuttora una chimera (tanto più con le nuove “intelligenze artifciali” generative…) — il successo dell’opera porta inevitabilmente al proliferare di numerose edizioni abusive. Proprio queste speculazioni spingono Manzoni a una nuova edizione arricchita da caratteristiche non banali, ieri come oggi: illustrazioni di pregio, carta e inchiostro di qualità e in appendice un romanzo del tutto nuovo, Storia della colonna infame (di fatto l’ultimo vero capitolo, tanto che la parola FINE appare, stampata in grande, proprio dopo di questa).

Per le illustrazioni lo scrittore pensa a Francesco Hayez (autore, l’anno dopo, del suo più celebre ritratto, commissionato dalla moglie), che ha già illustrato I Lombardi alla prima crociata di Tommaso Grossi e Ivanhoe di Walter Scott: ma dopo le prime prove questi teme di non godere di piena libertà e si ritira. Manzoni chiede all’amica Bianca Milesi a Parigi, che coinvolge Louis Boulanger: stavolta il tentativo non supera un unico disegno. Quando però il giovane piemontese Francesco Gonin viene ospitato a Milano dal genero Massimo d’Azeglio, il suo lavoro convince pienamente Manzoni in quasi quattrocento immagini dell’«ammirabile traduttore» a corredo del testo, con rarissimi interventi di mani altrui da lui dirette: Paolo Riccardi, Giuseppe Sogni, Luigi Riccardi, Luigi Bisi e Federico Moja.

La realizzazione delle immagini viene afdata a un gruppo di incisori di primo piano, arrivati dall’estero insieme alla strumentazione (compreso il torchio Stanhope in ghisa, con tanto di tecnico esperto per utilizzarlo la prima volta in Italia): i francesi Bernard e Pollet e l’inglese Sheers, a cui si aggiungono i transalpini Victor e Loyseau, tutti sotto la direzione dell’esperto Luigi Sacchi, ingaggiato come “mediatore” tra illustratori e incisori. Non sono pochi i casi in cui deve ritoccare le vignette prima che vengano intagliate, per far fronte alle modifche sul testo che Manzoni introduce di continuo durante la correzione delle bozze… Una circostanza tutt’altro che inusuale, nell’editoria di ogni tempo: l’impaginazione digitale ha soltanto velocizzato i tempi, anche se ci permette di godere al meglio di opere come quella che avete tra le mani. Buona lettura!

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Padre Cristoforo

Pubblicato per la prima volta su «Messaggero dei Ragazzi» nn.2 (gennaio 1981) - 5 (marzo 1981), serie «Classici a fumetti».

Volumi di Attilio Micheluzzi già pubblicati in questa collana:

I grandi generali – isbn: 978-88-36272-65-5

Bab-el-Mandeb – isbn: 978-88-36272-21-1

Mermoz – isbn: 978-88-36271-81-8

L’uomo del Khyber – isbn: 978-88-36271-90-0

Air Mail – isbn: 978-88-36271-00-9

Rosso Stenton – Integrale– isbn: 978-88-94818-59-8

Petra Chérie – isbn: 978-88-36270-88-0

L’uomo del Tanganyka – isbn: 978-88-36270-75-0

Roy Mann – isbn: 978-88-36270-32-3

Afghanistan – isbn: 978-88-94818-46-8

Siberia – isbn: 978-88-94818-45-1

Pizarro in Perù – isbn: 978-88-94818-40-6

Titanic – isbn: 978-88-94818-22-2

Marcel Labrume – isbn: 978-88-94818-21-5

Volumi di Attilio Micheluzzi di prossima pubblicazione in questa collana:

Il

principe e il povero Personaggi famosi e molti altri…

La casa editrice del fumetto d’autore

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