I Disney Italiani

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1. Le origini 1.1. Mickey Mouse arriva in Italia Le pagine pubblicitarie della società Pittaluga, apparse sulle riviste cinematografiche nei primi mesi del 1930, ci permettono di far risalire a quell’anno la proiezione in Italia dei primi film di Mickey Mouse, corti sonori in bianco e nero della durata di otto minuti. Il personaggio di Mickey Mouse è già ribattezzato “Topolino”: la data (1930, appunto) è di circa un anno e mezzo successiva alla storica “prima” di Steamboat Willie al Colony Theater di New York, il 18 novembre del 1928. I cortometraggi animati sono accolti da noi con entusiasmo, come del resto accade in tutto il mondo. L’euforia per Walt Disney permea anzi subito sia tutte le fasce di età del pubblico sia il mondo culturale, compreso quello degli educatori, con effetti che si faranno sentire meno di dieci anni dopo, all’epoca dell’ostracismo del Regime fascista contro la cultura di massa americana. Il 1930 è l’anno della prima trasvolata atlantica di Italo Balbo, con la sua squadriglia di Savoia-Marchetti: un crescendo di imprese “eroiche” che culminerà nel 1933 con la “crociera aerea del Decennale”, in occasione dell’esposizione universale di Chicago, e con il trionfo del gerarca aviatore per la Fifth Avenue di New York. Il Fascismo non ha ancora assunto posizioni critiche nei confronti degli Stati Uniti, anzi dura da un po’ di tempo una specie di “luna di miele” destinata a protrarsi anche

Pubblicità Pittaluga per i cortometraggi di Mickey Mouse (1930). Nella pagina precedente: Copertina dell'«Albo d'Oro» Topolino e Robinson Crusoe (I ep.)

A sinistra: cartolina commemorativa della Crociera Aerea del Decennale (1933).

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«Illustrazione del Popolo» n. 13, 30.3.1930

Topolino disegnato da Guasta su «Il Popolo di Roma» del 16 aprile 1931.

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nei primi anni dell’amministrazione Roosevelt. Disney e il suo Topolino sono gli ambasciatori di un’America mitica, ormai travolta dalla grande crisi, ma ancora viva nell’immaginazione degli europei. Mickey Mouse in qualche modo incarna l’atmosfera folle ed elettrica degli anni Venti, l’Età del Jazz di Francis Scott Fitzgerald, i miti e le illusioni collettive di quel decennio. Ma c’è anche un richiamo, sia pure non consapevole, alle atmosfere delle avanguardie europee: l’essenzialità del segno, lo sfarfallio dei fotogrammi in bianco e nero, il ritmo delle geniali musiche di Carl Stalling e il susseguirsi frenetico delle gag evocano nel pubblico il dinamismo futurista, un po’ fra L’arte dei rumori di Luigi Russolo, il charleston e i quadri di Boccioni. Nel 1930, all’epoca del suo arrivo in Italia, Topolino non è affatto (non lo è ancora) l’eroe positivo, posato, alleato di Franklin Delano Roosevelt nella sua lotta contro la paura negli anni Trenta della Grande Depressione. È invece ancora l’eroe folle e senza freni inibitori nato prima del martedì nero di Wall Street, e degno figlio di un mondo assai diverso, oggi quasi incomprensibile. Quando il Mickey Mouse di Walt Disney e Ub Iwerks arriva in Italia


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ha quindi facilmente una marcia in più, perché da noi è invece un’epoca di sinistri gagliardetti e di avanguardie impolverate, con un’aria incombente di provincialismo da strapaese. Tanto successo, tanta follia collettiva cominciano ben presto a interessare un buon numero di persone, che non sono solo pedagogisti e cinefili. Lorenzo Gigli, direttore del settimanale «L’Illustrazione del Popolo» – supplemento del quotidiano «La Gazzetta del Popolo» – è forse il primo a pensare di sfruttare le crescenti fortune del personaggio. Dal 13 Gennaio del 1930 esiste negli Stati Uniti una versione a fumetti di Topolino. È una serie realizzata in strisce giornaliere, per i quotidiani, dagli stessi Walt Disney e Ub Iwerks, il primo ai testi e il secondo ai disegni. Si tratta di brevissime gag, risolte in quattro vignette, con un esile filo narrativo che le unisce. Lorenzo Gigli – non conosciamo i particolari della vicenda – acquista immediatamente i diritti di riproduzione, e dal marzo di quello stesso 1930 comincia a stampare nel suo settimanale Le audaci imprese di Topolino nell’Isola Misteriosa, prima storia a fumetti di Mickey Mouse. In realtà, quel titolo – accettato come definitivo da tutti gli appassionati Disney d’Italia – viene dato alla storia qualche anno dopo, in occasione di una ristampa. Lorenzo Gigli la chiama invece Topolino emulo di Lindbergh: avventure aviatorie, giocando subito sull’accostamento di Mickey al più popolare eroe del decennio. Ma l’operazione non dà affatto i frutti sperati. Mentre il Topolino degli schermi furoreggia, la versione a fumetti si limita a riscuotere un discreto successo. Così Gigli accantona per il momento le strisce e passa ad altro, riempiendo con le creazioni di Antonio Rubino la pagina Allegretto del settimanale.

Topolino con Mao (Gatto Nip) disegnati da Guasta su «Il Popolo di Roma» del 7 giugno 1931.

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Dobbiamo arrivare all’aprile del 1931 per assistere a un nuovo tentativo di adattare al gusto e ai veicoli editoriali italiani le strisce di Mickey Mouse, a disegnare le quali nel frattempo è subentrato il grandissimo Floyd Gottfredson, in seguito anche soggettista. Guglielmo Guastaveglia, grande cartoonist italiano, collaboratore del «Corriere dei Piccoli», della «Trincea», de «Le Scimmie e lo Specchio», del «Giornalino della Domenica» e di tante altre prestigiose testate, nella primavera del 1931 decide di sfruttare ancora una volta il successo delle proiezioni cinematografiche di Mickey, pubblicando sul quotidiano «Il Popolo di Roma» delle pagine con Topolino come protagonista. In tutto sono pubblicate diciassette tavole, che prendono il posto di una creazione originale di Guasta, ovvero le storielle autoconclusive di “Zizì al zoo”, impostate sullo schema iterativo del «Corriere dei Piccoli». Curiosamente, Guastaveglia produce, con le analoghe tavole del suo Topolino, un ibrido tra le strisce originali di Gottfredson, tutte rigorosamente lucidate, e un primo esperimento di produzione autonoma, forse addirittura autorizzata dalla Casa Madre americana. Le primissime tavole della serie pubblicata su «Il Popolo di Roma», difatti, sono un chiaro tentativo tutto italico di imitare il personaggio originale, ma senza porsi alcuno scrupolo di correttezza che oggi definiremmo “filologica”. Le tavole di Guasta sono quindi alla radice del fenomeno dei Disney Italiani, non solo per diritto di primogenitura, ma perché incarnano anche simbolicamente l’oscillazione a pendolo tra il rigore interpretativo dello spirito Disney e la completa autonomia, che caratterizzerà almeno ottant’anni di produzione successiva. Solo le prime tre tavole di Guasta, e qualcuna delle successive, sono peraltro creazioni del tutto originali. Tutte le altre, come già detto, risultano un adattamento e a volte un ricalco delle strisce di Walt Disney, Ub Iwerks e Win Smith. Pur con altro nome, appare proprio sulle tavole ridisegnate da Guasta Il Gatto Nip (Kat Nipp), protagonista del primissimo, epico scontro tra il Topo e un villain alla sua altezza. Dalla quinta tavola appaiono in calce le indicazioni “Esclusività per l’Italia” e “Riproduzione vietata”, che parrebbero alludere a un accordo con l’agente del King Features Syndicate (che cura la distribuzione dei fumetti Disney), ovvero Guglielmo Emanuel. Questi, com’è chiarito dalle ricerche di Gadducci, Gori e Lama1, e come vedremo meglio in seguito, ha creato un canale privilegiato con la direzione del «Popolo di Roma», benché destinato a estinguersi alla metà del decennio. Dopo il Topolino di Guastaveglia, per un po’ scende il silenzio sui fumetti Disney, sia originali sia “fatti in casa”. Eppure le strisce di Floyd Gottfredson, proprio in quei mesi, migliorano di giorno in giorno e propongono le prime stimolanti avventure, che oggi hanno un particolare profumo di arcaicità: Topolino e il Bel Gagà (1930) e Topolino vince Spaccafuoco (1931). In Italia, editori più o meno improvvisati propongono solo quaderni scolastici, libriccini illustrati e altre piccole cose con straniti topolini, tutti malinconici e poco interessanti, se non dal punto di vista “archeologico”. D’altra parte, non è questa la sede per parlare del merchandising disneyano in Italia. Alle varie iniziative editoriali collaterali al fumetto – i libri illustrati, in particolare – accenneremo in seguito (cfr. § 3.4, Prima parte).

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1.2. Il Topolino di Nerbini La casa editrice Nerbini di Firenze, fondata da Giuseppe, ex-giornalaio al numero 5 della centralissima via Cavour, esordisce negli ultimissimi anni del secolo scorso, con varie collane di saggistica popolare all’insegna dell’impegno sociale. Un successo notevole del 1899, anno di grandi fermenti, è rappresentato dalle Lotte Civili di Edmondo De Amicis, l’autore di Cuore, che si è convertito alla causa degli oppressi. Ma insieme ai testi “seri”, lo scaltro ancorché meritorio Giuseppe Nerbini lancia sul mercato anche riviste e opuscoli di carattere alquanto “allegro”, in cui non manca un pizzico di erotismo nascosto fra mille sottintesi e doppi sensi. Dopo il 1925 e le “leggi speciali” del Regime fascista in materia di stampa, la casa editrice deve giocoforza puntare tutto su questo tipo di produzione. Accanto a pretestuose “divulgazioni storiche” come Pia de’ Tolomei, le edicole sono invase da molti fogli umoristici, del tipo che conoscerà i suoi fasti maggiori negli anni Trenta con «Il Marc’Aurelio» e «Il Bertoldo». Il giornale di Nerbini che ha maggior successo è il satirico «420», foglio interventista che ben presto comincia ad appoggiare indiscriminatamente il Regime. Infatti Giuseppe, ex-socialista tutto d’un pezzo, trova più conveniente invertire il senso delle sue simpatie, mentre il giovane e ancor più scaltro figlio Mario diventa addirittura uno dei fascisti fiorentini di maggior spicco2. Nel corso degli anni Venti, i due Nerbini producono anche diverse testate rivolte al mondo infantile. Si tratta dei tipici “giornalini” di allora, con una struttura grosso modo ricalcata su quella del glorioso «Corriere dei Piccoli», leader indiscusso del settore fin dal 1908 e punto di riferimento imprescindibile per i pochissimi che si interessano in modo critico al mondo del fumetto e per i primi grandi autori. Una testata-tipo del Nerbini di questo periodo – per tutte citiamo «Il Giornale di Fortunello», in edicola negli anni intorno al 1922 – si compone di sei-otto pagine, con una larga prevalenza di testo, e una o due tavole a pseudo-fumetti, umoristiche e autoconclusive. Con un catalogo librario incerto fra lo stuzzicante e l’erotico, e con giornalini che ai buoni padri borghesi devono apparire almeno sospetti, Giuseppe e Mario Nerbini arrivano al traguardo dei primissimi anni Trenta e assistono all’esplosione del “caso” Disney. Anche il pubblico dei cinematografi fiorentini, infatti, si entusiasma per i corti sonori di Mickey Mouse, come quello delle principali città italiane ed europee: tutti ammirano le gesta del topo in calzoncini corti, che agisce in coda ai lungometraggi di turno con un suo eroismo fresco e convincente.

Testata e storiella di Giove Toppi per «Topolino» n. 1 del 31 dicembre 1932.

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Topo Lino di Giove Toppi su «Topolino» n. 3 del 14 gennaio 1933.

A destra: Alessandro Pavolini in visita alla sede della Nerbini (1932).

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Il mondo degli appassionati di fumetti è stato letteralmente frastornato dai racconti, dai pettegolezzi, dalle illazioni fatte intorno alle decisioni prese nella sede della Nerbini di via Faenza negli ultimi mesi del 1932. Purtroppo, non è ancora possibile ricostruire, per la carenza di documentazione relativa a questo periodo nell’archivio Emanuel, la stretta concatenazione degli eventi. Probabilmente, quel che avviene alla fine del 1932 è molto semplice: i Nerbini padre e figlio, senza con questo inventare nulla di nuovo, pensano bene di non arrivare ultimi nello sfruttamento di un già grande successo popolare. Forse non conoscono l’esistenza delle strisce giornaliere di Gottfredson, nelle quali – proprio in quei mesi – Mickey lotta impavido contro i “due ladri” Gambadilegno e Lupo, e con l’aiuto del giovane Gorilla Spettro sgomina una banda di pirati. È anche possibile che i Nerbini non abbiano mai preso in mano nemmeno un numero dell’«Illustrazione del Popolo». È probabilmente il giovane Mario che pensa di dedicare a Topolino una testata di “pseudo-fumetti”, sulla falsariga del «Corriere dei Piccoli» e soprattutto del «Jumbo» di Lotario Vecchi, oggi dimenticato ma all’epoca intraprendente e aggressivo editore, dalla cui covata scaturisce gran parte della prima generazione di fumettari italici, fra tutti Gian Luigi Bonelli e Federico Pedrocchi. «Jumbo», uscito il 17 dicembre 1932, ospita sulle sue otto pagine anche dei fumetti di produzione britannica, fra i quali soprattutto ottiene un grande successo “Lucio l’Avanguardista”, ovvero “Rob The Rover” di Walter Booth, il primo fumetto d’avventura pubblicato in Italia. Per dirigere il settimanale «Topolino», i Nerbini scelgono con cura il direttore responsabile: si rivolgono infatti a Carlo Lorenzini,


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il nipote dell’autore di Pinocchio, che si firma, appunto, “Collodi Nipote”. Lorenzini è un letterato con tutte le carte in regola, che intende usare le “tavole a quadretti” come esca per i giovanissimi lettori, ai quali deve poi essere propinata una salutare “zuppa” fatta di raccontini moraleggianti e di storie esemplari, secondo l’uggiosa concezione para-pedagogica dell’epoca. Tuttavia Mario Nerbini pensa giustamente che il Topo disneyano debba essere trattato comunque con un certo riguardo. Fa quindi disegnare la testata, quella mitica che – molto semplificata – vediamo ancora luccicare sopra il settimanale nelle nostre edicole, a Giove Toppi, un ottimo artista che diventerà poi un cartoonist di vaglia negli anni a venire. La primissima storia di Topolino – in tutto sei vignette! – rigorosamente “muta” e con didascalie in rima, appare sulla prima pagina del n. 1 del giornale omonimo, il 31 dicembre 1932, disegnata – lo sceneggiatore è a tutt’oggi ignoto – dallo stesso Giove Toppi. «Topolino dal rinchiuso / Fatto ardito, anzi gradasso / Al bestione in pieno muso / Scaglia dritto un grosso sasso». Il personaggio, intento a far dispetti a un elefante, è naturalmente molto diverso dal modello originale. Quella dei curatori del giornale è un’operazione del tutto pretestuosa, lontanissima anche dagli arcaici cortometraggi americani che evidentemente si vogliono imitare. Il raccontino buffo senza titolo, dalla morale elementare, potrebbe passare per uno di

Pagina dal Catalogo Nerbini (1937).

Copertina dell’Albo Nerbini Topolino e Orazio nel Castello Incantato, seconda edizione (1935).

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Copertina di Giorgio Scudellari per l’Albo Nerbini Topolino e il Bandito Pipistrello (1935).

quelli che Guasta ha realizzato due anni prima, tutto sommato con risultati migliori. I Nerbini pensano che per mettersi in regola coi diritti basti ottenere il permesso di utilizzare la “maschera” di Topolino, rivolgendosi al consorzio EIA, che distribuisce i film Disney nel nostro Paese. Quel numero 1 di «Topolino» è il capostipite di tutti gli altri usciti quasi ininterrottamente dal 1932 fino a oggi: la testata ha infatti avuto solo due numerazioni, quella del “giornale” – conclusosi con il n. 738 del 1949 – e quella del tascabile, che ha superato quota 2900. Ma da allora, e cioè dai primissimi anni Trenta, i cambiamenti avvenuti nell’epopea editoriale a fumetti più appassionante di tutti i tempi sono stati enormi. Si può dire senza esagerazione che su «Topolino» è stata scritta la storia dell’editoria periodica per ragazzi – e non solo! – dagli ultimi residui dello spirito del XIX secolo all’era dell’iPad e dei periodici digitali. Nei primi tre numeri del settimanale fiorentino, le tavole apocrife non sono molte. Mancano fumetti del calibro di quelli inglesi pubblicati su «Jumbo», che Lotario Vecchi si è assicurato tramite l’agenzia letteraria Helicon di Umberto Mauri, e di quelli statunitensi rappresentati in Italia da Guglielmo Emanuel, agente del King Features Syndicate di William R. Hearst (quello ritratto nel film di Orson Welles Quarto Potere del 1941, tanto per intenderci). L’uso del personaggio nella testata e nei redazionali basta a provocare le ire di Carlo Frassinelli, che ha ottenuto da Disney i diritti per l’edizione italiana di due libri illustrati (senza comics). In un articolo apparso su «La Stampa» di Torino del 14 gennaio del 1934, e citato in Eccetto Topolino3, risulta che il 30 dicembre l’editore Frassinelli di Torino invia a Nerbini una lettera con la quale lo

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si diffida a continuare nella pubblicazione di altri numeri «del giornaletto sotto il titolo e la maschera di Topolino che diceva a lui assicurati per diritti acquistati direttamente dall’autore». Nel gennaio del 1933 la casa Nerbini riceve altre diffide sia da Guglielmo Emanuel, sia dal William Banks Levy di Londra, come rappresentanti per l’Italia e per l’Europa di Walt Disney. L’articolo basta a gettare nuova luce sui fatti del 1932. Fino ad allora esisteva solo una testimonianza diretta di Mario Nerbini, raccolta da Franco De Giacomo nel 1967, che non nomina affatto l’editore torinese Frassinelli4. «Allora», dichiara Nerbini a De Giacomo, «ci arrivò una lettera tragica, che… che ci trattava di pirati, eccetera eccetera, da Emanuel. Che diceva insomma che noi ci si era appropriati di una figura che esisteva e che era… che lui era il rappresentante per l’Italia. Allora io risposi niente di più gradito, alla sua lettera – per quanto ci abbia dato di pirati – di venire a Roma per contrattare, per avere i disegni originali». I Nerbini sono intanto corsi ai ripari e, per placare le ire sia di Frassinelli sia di Emanuel, hanno modificato la testata in «Topo Lino», incaricando Giove Toppi di disegnare delle tavole con un topo di nome “Lino” (sic!), assai meno stilizzato di Mickey Mouse e somigliante a un autentico ratto, benché dotato di una mascherina nera. Lino il Topo è protagonista di tavole autoconclusive, ma si fa ricordare – oltre che per l’oggettiva bizzarria della sua origine – per una certa originalità e freschezza del disegno e per la simpatia del personaggio. Pur non essendo un “apocrifo” in senso stretto, Topo Lino merita comunque un posto a fianco delle creature dei primissimi “Disney Italiani”. Nei primi giorni del 1933, i due Nerbini si mettono in viaggio per Roma. Di fronte alla disponibilità dei due editori, Emanuel attenua la sua diffidenza e mostra loro le strisce di Mickey Mouse, che i due Nerbini, nonostante l’alto prezzo, acquistano subito. Emanuel trova anche il tempo per meravigliarli con altri fumetti avventurosi d’oltreoceano del King Features Syndicate, tra i quali “Cino e Franco” (“Tim Tyler’s Luck”) di Lyman Young. La cosa darà grandi frutti di lì a poco, perché la Nerbini diventerà la fucina italiana del grande fumetto naturalistico, sia con il mitico settimanale «L’Avventuroso», sia con altre testate, destinate a influenzare anche lo stesso «Topolino». Il povero Lorenzini, che non ama i fumetti, in capo a un anno si vedrà riempire il giornale con una quantità sempre crescente di comics, e in ultimo dovrà subire anche i due giovani eroi di

Copertina dell’Albo Nerbini Topolino contro Wolp (1933).

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Lyman Young e Alex Raymond. Deluso e infuriato, nel dicembre del 1933 se ne andrà sbattendo la porta. Per il momento, i Nerbini padre e figlio tornano a Firenze con il contratto firmato. Hanno ottenuto l’esclusiva Disney in Italia: ciò significa che «Topolino» può tranquillamente tornare in edicola con la sua testata originale. Le storie di Gottfredson appaiono sul numero 7 del settimanale, l’11 febbraio 1933. Insieme a quelle americane, sono pubblicate anche nuove tavole apocrife, evidentemente rimaste nel cassetto durante le settimane critiche della vertenza Nerbini-Emanuel. Una didascalia afferma: «La pubblicazione della presente storiella di Topolino, non disegnata da Walt Disney, è stata autorizzata dal “King Features Syndicate” rappresentanza di Roma». I Disney Italiani hanno ricevuto il loro primo riconoscimento ufficiale, che ne sancisce il pieno diritto all’esistenza. Negli anni immediatamente successivi, se si escludono poche tavole pubblicitarie, non viene più prodotta alcuna storia italiana con personaggi disneyani: è tempo di pubblicare le grandissime storie americane, in un tripudio d’avventura che conquista l’Italia. Ma il seme è ormai gettato.

1.3. Inizia l’era Mondadori La vicenda del passaggio dei diritti di Topolino & C. da Nerbini a Mondadori è strettamente intrecciata con quella del passaggio di consegne fra gli agenti Disney, nella prima metà degli anni Trenta.

Walt Disney e Luigi Pirandello in America negli anni Trenta. Dettaglio di foto tratta da «Almanacco Letterario Bompiani 1938», uscito due anni dopo la scomparsa dello scrittore.

A fianco: copertina di Topolino e l’elefante («Nel Regno di Topolino» n. 1 del 25 marzo 1935).

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