JACOVITTI - GIONNI PEPPE E GIONNI LUPARA

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Jacovitti - Gionni Peppe e Gionni Lupara di Benito Jacovitti © 2013 Silvia Jacovitti Per questa edizione © 2013 Nicola Pesce Editore Tutti i diritti riservati. Prima edizione: aprile 2013 Collana Nuvole d’Autore, 6 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio stampa per il volume: Valentino Sergi, ufficiostampa@edizioninpe.it Realizzato dal service editoriale Tespiedit, tespiedit@gmail.com Grafica della copertina: Sebastiano Barcaroli per NPE Stampato presso Arti Grafiche La Moderna (Roma) nel mese di aprile 2013 Nicola Pesce Editore (Edizioni NPE) è un marchio in uso di Tespi srl Via Appia Nuova, 666 - 00179 Roma www.edizioninpe.it Si ringraziano: Silvia Jacovitti, Fiorenzo Grasso, Stefano Romanini, Luca Boschi, Andrea Sani. Altri libri di Jacovitti sono ordinabili presso il sito www.edizioninpe.it Informazioni, immagini ed approfondimenti sull’autore sono disponibili sul sito www.jacovitti.it


Una lisca di pesce tra le noccioline di Luca Boschi

mo tempo tutte le attenzioni si appuntano sull’innovativo (e non ancora troppo onirico) Guido Crepax. Altri importanti colleghi come Dino Battaglia e Sergio Toppi giungeranno molto più tardi, e persino Hugo Pratt dovrà attendere dei meritati riconoscimenti in terra di Francia, prima di essere (ri)scoperto da editori e fan italiani. Da questo raffinato consesso di fumettisti e personaggi, Jacovitti e il suo nutrito pantheon di star, però, sono assenti. Forse sia lui che il suo mondo sono oltremodo popolari altrove per meritare la considerazione di «Linus», elitaria più per vocazione che per ponderata scelta di campo. Forse l’humour di Jac è, in questa fase, vissuto come troppo facile e superficiale, più mirato a suscitare risate istintive da barzelletta che riflessioni sociofilosofiche alla Schulz. Per i redattori e i lettori di sinistra del mensile, sulla reputazione del grande “visionario dei salami” grava anche il giudizio sulle sue posizioni antistaliniste e anti-PCI abbracciate nell’immediato dopoguerra. Non giova, inoltre, nemmeno l’automatico abbinamento di Jac alla detestata Democrazia Cristiana: fallace etichetta assegnatagli in seguito a una lunga militanza sulle pagine del settimanale cattolico «Il Vittorioso». Infine, le preferenze di una certa intellighenzia del Fumetto vanno in direzione di una grafica minimalista ed essenziale, quella di Charlie Brown e di Snoopy; dell’impiegato Bristol di Frank Dickens; dei cavernicoli di B.C., di Johnny Hart; della Miss Peach di Mell Lazarus; delle donne sedute di Copi. Non è un caso che proprio in questo ventisettesimo numero di «Linus» dove a Jac si dà spazio per la prima volta, nel 1967, siano riservati a Copi gli onori della copertina e dell’articolo di approfondimento che Oreste Del Buono gli destina in apertura. Quello su Jacovitti compare solo a pagina 63. Non è forse nemmeno un caso che la lunga ed esaustiva conversazione con Jac sia priva di illustrazioni significative, che sarebbero state utili a puntualizzare alcuni riferimenti fatti dal grande fumettista, a chiarire alcuni punti oscuri per i lettori di «Linus» svezzati con la rivista e ignoranti sul Fumetto ita-

Jacovitti e «Linus»: gioie, dolori e colpi di biacca «Quanti personaggi ha inventato Franco Benito Jacovitti detto “Lisca di pesce”?», si domandano e gli domandano gli intervistatori Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco, quando lo incontrano in occasione di un servizio per la leggendaria rivista «Linus», fondata da Giovanni Gandini, che per oltre un anno e mezzo lo ha ignorato. È il giugno 1967, quando l’articolo esce, con un titolo in inglese che allude anche alle “interviste candide” di «Playboy»: The Stupid New Orleans Jac Band – A Candid Conversation with a Famous Cartoonist. «Linus» è in edicola dall’aprile 1965, approdatavi quasi alla chetichella nonostante la benedizione illustre di Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono, impegnati a dare una nuova dignità e un senso al Fumetto. Questo medium, bistrattato sin dal suo nascere, anche e soprattutto in Italia, ha raggiunto da poco, agli sgoccioli del Boom economico, la stima degli intellettuali, dei sociologi e degli studiosi di estetica e narrativa, soprattutto grazie ai comics della grande tradizione americana che ne sono il cavallo di battaglia. Fanno la parte del leone sulla rivista le strisce e le tavole di Charles M. Schulz, che qualcuno, nel syndicate che le distribuisce, ha voluto battezzare Peanuts (“Noccioline”), rivelando una superficialità di approccio invisa al papà di Charlie Brown e compagnia. La presenza di questi ragazzini dalla testa grossa è indispensabile alla rivista per attrarre i lettori che li avevano già conosciuti in volumi singoli editi dalla stessa Milano Libri. Ma nel sommario di «Linus» spiccano anche Pogo di Walt Kelly, Li’l Abner di Al Capp, Krazy Kat di George Herriman e qualche altra serie made in USA, prevalentemente di taglio umoristico; da sole (o quasi) sorreggono la reputazione che il Fumetto nella sua complessità può vantare con orgoglio, in Italia, alle porte del Maggio Francese e dell’era della contestazione globale. Fra gli autori italiani accolti da «Linus», in un pri-

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liano più in generale. Interrompono le colonne di “piombo” del servizio su “Lisca di Pesce” solo alcune piccole illustrazioni che l’artista ha realizzato come guida per i cortometraggi pubblicitari di Cocco Bill animati dallo Studio Pagot: bozzetti veloci destinati ai Caroselli del gelato con biscotto Camillino, prodotto dalla Eldorado. E dunque, quali sono i personaggi principali che Jacovitti passa in rassegna, per presentarsi al pubblico di «Linus»? «Ne ho fatti tanti e tanti», ricorda, «e qualcuno me l’hanno anche copiato. Ma i personaggi che mi sono piaciuti di più sono il Cocco Bill e la Signora Carlomagno, quella vecchietta fortissima… Ma poi ne ho fatti tanti… si può dire che in ogni epoca e località ho fatto un personaggio caratteristico… Fra quelli che sono stati protagonisti?... vediamo… oltre i 3P, per il “Vittorioso” Chicchirichì, un giornalista. Per “Il Giorno” un altro giornalista, Tom Ficcanaso. Poi c’è stato Giacinto il corsaro dipinto, Alonzo Alonzo detto Alonzo, che era uno spadaccino del Seicento… Poi Johnny Galassia, poi i tre vagabondi Tizio, Caio e Sempronio. Un altro personaggio che era più una scusa per saltare da un’epoca all’altra era Sempronio, per “Il Travaso”: ne ho fatte più di cinquanta tavole, più di un anno. Questo tipo saltava da un’epoca all’altra appena se ne stufava di una, ma senza un ordigno. Poi ho fatto molti personaggi di ambiente gangster, così Baby Tarallo, Jak Mandolino, senza contare Zagar e Cip l’arcipoliziotto, che sono una presa in giro del giallo di una volta come Arsenio Lupin, Fantomas eccetera.» Mentre concede questa intervista a «Linus», Jacovitti è a una svolta nella sua carriera. Infatti, con l’episodio di Cocco Bill Il Cocco bello, il

brutto e il cattivo, realizzato appunto in quei mesi, si conclude la proficua collaborazione del Maestro della comicità con il settimanale «Il Giorno dei Ragazzi». Si tratta di cause di forza maggiore, in quanto la gloriosa testata, inserita ogni giovedì dentro il quotidiano milanese «Il Giorno», cessa le pubblicazioni. Lo fa dopo aver inspiegabilmente cambiato formato nel tentativo di risparmiare sul suo allestimento, e buttando alle ortiche con questo passo falso una decina di anni di successi. Adesso per Jacovitti si spalancano le porte del giornale concorrente «Corriere della Sera», che all’epoca (e più volte anche in precedenza e in seguito) è il più importante quotidiano della penisola. La nuova collaborazione col giornale di Via Solferino si dimostrerà assai articolata e complessa, in quanto Jacovitti non si limiterà a partecipare in modo massiccio alla rivista per ragazzi che il quotidiano pubblica, vale a dire «Il Corriere dei Piccoli», accompagnato anche da Jac nella sua metamorfosi in «Corriere dei Ragazzi». Fra le proposte di collaborazione entra anche la «Domenica del Corriere», longevo e popolarissimo settimanale di informazione e cultura per la famiglia. Più tardi, Jacovitti si ritroverà di nuovo nella medesima squadra proprio partecipando allo stesso «Linus», che il gruppo Rizzoli acquisterà, come vedremo, dalla Milano Libri, mantenendo il marchio di entrambi gli editori sulle pubblicazioni, secondo necessità. Andiamo per gradi. E lasciamo scorrere il tempo. Be ito Ja ovii in un suo fotomontaggio del 1958 dove colloquia mimicamente con i “3P”: gli a i i Pippo, Pe i a e Palla.

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Da «Eureka« al «Mago» «Linus» compie il suo nono anno, quando Jacovitti vi approda, debuttando proprio sul centesimo numero della rivista. Per il Fumetto italiano, sono in generale momenti abbastanza frenetici, in particolare nel settore delle riviste. Trascurando alcuni tentativi di scarso successo, con testate di livello scarso come «Humour» o «Scarpantibus», o poco fortunate come «Sorry», «Horror» e «Psycho», il mercato sembra essersi assestato intorno alle tre riviste premiate dai lettori. Si tratta appunto dell’apripista «Linus», dell’agguerrita concorrente «Eureka», pubblicata dall’Editoriale Corno a partire dal novembre 1967, e dell’ultima nata: «Il Mago», uscita non da una piccola etichetta, ma per i tipi di Arnoldo Mondadori. Non c’è da stupirsene: la storica casa editrice di «Topolino» ha cominciato alla fine del decennio Sessanta a guardarsi intorno per allargare nelle direzioni possibili il suo parco testate di fumetti, con aperture ai comics americani e ai personaggi franco-belgi, a cominciare dalla superstar Asterix. Ma il grande interesse della Mondadori, in questa congiuntura, è rivolto proprio alla prestigiosa «Linus», che nonostante il grosso gradimento e il prestigio conquistato sulla scena culturale europea è in costante affanno per far quadrare i suoi conti. Dopo aver impostato le trattative per l’acquisto del mensile con Giovanni Gandini e la Milano Libri, la Mondadori si fa da parte, ritenendo troppo alta la cifra richiesta per rilevare la rivista dei Peanuts. Alla fine, nel 1971, si aggiudica la partita la Rizzoli, mentre un impeto d’orgoglio spinge la Mondadori a confezionarsi un’alternativa in proprio e a lanciarsi in uno scontro frontale con «Linus». Senza scendere troppo nei dettagli dell’operazione, basta ricordare che il colosso di Segrate può contare sui diritti della striscia contemporanea ritenuta più esilarante: «The Wizard of Id», di Brant Parker e Johnny Hart, nota in Italia anche come «Il Mago Wiz». L’avevano introdotta a suo tempo gli scrittori Carlo Fruttero e Franco Lucentini (il cui romanzo più celebre, La donna della domenica, debutta in contemporanea con «Il Mago») traducendone personalmente le strisce sulle pagine della fantascientifica «Urania». È in questo clima che nasce l’insolito titolo «Il Mago», scelto anche per indispettire quelli di «Linus» che ancora possiedono i diritti per le tavole domenicali di «The Wizard of Id» (“Il Mago di ID”) e che non sono riusciti, a causa di vincoli contrattuali preesistenti, ad accaparrarsi anche le strisce quotidiane della serie. Il primo numero del «Mago» raggiunge le edicole nell’aprile del 1972, sfoggiando un formato insolitamente grande (23,6 x 34 cm) che non lo fa certo passare inosservato. Nel sommario, tra gli altri, sono presenti Arcibaldo e Petronilla (Bringing Up Father) di Geo McManus, Momma di Mel Lazarus, Sappo di

Sete a i p i a dell’us ita elle sale di Mary Poppins, Ja ovii si fa se vi e da e e da u pi gui o a e ie e.

Elzie Crisler Segar, Mio Mao (Felix the Cat) firmato Pat Sullivan ma in realtà completamente realizzato da Otto Messmer, e così via. Ma la cosa che in questa sede ci interessa è registrare sulla neorivista mondadoriana la presenza a sorpresa, addirittura suo malgrado, di Jacovitti. Mentre «Eureka» ripropone da tempo alcuni episodi del grande fumettista ricavati dal «Giorno dei Ragazzi» e persino «Sorry» ha fatto in precedenza qualcosa di simile, adesso «Il Mago» rincara la dose delle ristampe riprendendo personaggi classici come i co-

Ahi lit! − Già el , ua do è ifugiato a Fi e ze − p i a della i e del o lito elli o − Ja ovii aigu a fas isi i fez e a i ia e a e o u isi i o teo pe l’episodio Pippo e il ditato e, he sa à pu li ato sul gio ale «I te vallo».

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La a pag a eleto ale del Dopogue a diso ie ta Baista, ell’episodio Baista l’i ge uo fas ista.

siddetti “3P” (dalle iniziali di Pippo, Pertica e Palla), Cip l’arcipoliziotto, l’onorevole Tarzàn, Mandrago, Giacinto il corsaro dipinto e così via. La ragione di questa inclusione in sommario di Lisca di pesce, che sul primo numero si estrinseca nell’episodio antinazista del 1945 Pippo e il dittatore, qui ribattezzato Ahi Flitt!, è conseguente all’acquisto compiuto dalla Mondadori dell’intera produzione di “cineromanzi” del Maestro pubblicata dalla AVE (Anonima Veritas Editrice). Ne fa parte anche il capolavoro Pinocchio, leggendaria riduzione a fumetti (ma con didascalie in luogo di balloons) del romanzo collodiano. Resta fuori dall’accordo un certo numero di vignette e illustrazioni che invece entra in un “pacchetto” di materiali ceduti alla tipografia e casa editrice romana Fratelli Spada, che pubblicherà questo “Jacovitti non sequenziale” in modo abbastanza disordinato sui giornalini con Mandrake, l’Uomo Mascherato (The Phantom) e altri eroi classici di importazione americana. Invece, tutto ciò che, acquisito da Mondadori, non entrerà nel «Mago», sarà impaginato in alcuni tascabili della collana «Gli Oscar», pubblicati in cofanetti di tre volumi ciascuno. Va ricordato che, per adattare le tavole originali al formato pocket de «Gli Oscar», qualche sconsiderato redattore della casa editrice le ritaglierà impietosamente, devastando senza ritegno un patrimonio enorme dal punto di vista economico oltre che artistico. Così facendo, sia sulla rivista, sia nei tascabili, gli incaricati della Mondadori incollano le vignette tratte dalle tavole “massacrate” dentro i menabò delle nuove pubblicazioni pocket, ottenendo dei puzzles francamente discutibili.

L’Al Capp italiano Dopo «Eureka» (e i suoi supplementi) e dopo «Il Mago» con i suoi «Oscar», tocca finalmente a «Linus» offrire ospitalità a Jacovitti. Ma la differenza qualitativa o, se vogliamo, di classe, fra quest’ultima operazione e le precedenti è vistosissima. Ne parla direttamente Oreste Del Buono, direttore della testata dei Peanuts, nel suo editoriale del luglio 1973. Non perde nemmeno l’opportunità di sfogarsi su questo tema, nella sua consueta colonna di presentazione dei contenuti, posizionata nelle pagine della posta dei lettori, condotta con piglio a un tempo sobrio e pungente. Senza mai citarla, Odibì (così si firma il direttore) se la prende apertamente con «Eureka» e Luciano Secchi, ai quali imputa un peccato di presunzione. Ecco cosa osserva Odibì: Carissimi lettori, vi confessiamo che avevamo pensato di celebrare in modo sfarzoso questo numero di LINUS. Contando dal numero 1 del 1965 sarebbe, infatti, il numero 100. Ma, ahimè, siamo stati preceduti da un’altra rivista di fumetti che, sebbene uscita dopo di noi, alternando uscite quindicinali a uscite mensili ha raggiunto prima di noi il numero 100, si è generosamente autodefinita “la migliore rivista di fumetto italiano” e ha dato impetuosamente inizio a una massiccia serie di festeggiamenti. Ci siamo scoraggiati, anche perché, da quella rivista che ormai ha superato il numero 100, abbiamo imparato che piace ai suoi lettori per le seguenti ragioni: “Non si affanna a vantare encomiabili benemerenze antinixoniane, non tedia con voli pindarici partitici, rispetta le idee altrui senza tentare di imporre alcunché, non prende posizioni intellettualoidi, ma, pur impegnata, parla un linguaggio chiaro…”. Tutte cose che ci sono state evidentemente negate dalla natura maligna. Oppressi dalle nostre colpe e inferiorità, abbiamo così deciso di non festeggiare la ricorrenza, ma di meditare, al contrario, sulle prime migliaia di rispo-

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anno più tardi, quando la rivista sarà ridimensionata diventando un pocket, date la “micragna” generale sopravvenuta e l’austerity. Per «Linus», a partire dal settimo numero del 1973, Jacovitti comincia a snocciolare le avventure di Gionni Peppe, un gangster squinternato nella tradizione di Baby Tarallo e Jak (sic) Mandolino, personaggi creati nei decenni precedenti rispettivamente per «Il Vittorioso» e per «Il Giorno del Lunedì», edizione del quotidiano dedicata soprattutto al pubblico adulto maschile, con i suoi contenuti di argomento in buona parte sportivo. Le avventure di Gionni Peppe, tuttavia, mostrano alcuni punti di contatto anche con i gialli più metropolitani di Tom Ficcanaso, almeno dal punto di vista dell’ambientazione; una caratteristica, questa, che intensificherà ancora di più i suoi accenti con il secondo episodio del breve ciclo linusiano: Gionni Lupara. Per Jacovitti, quella offertagli dalla rivista fondata da Gandini è un’occasione davvero unica. Dopo anni di limitazioni dovute al target infantile al quale erano rivolte le sue storie, finalmente il fumettista del «Vittorioso» può misurarsi con un pubblico maturo. Il lettore medio di «Linus», infatti, è particolarmente colto e disinibito, e in buona parte è anche un raffinato conoscitore di comics internazionali, avvezzo ad accettare stili grafici e narrativi assai diversi tra loro. La rivista, così, consente a Jac di accostarsi al fumetto “per adulti”, e di introdurre nelle sue storie

ste al nostro referendum, in modo che il gap con “la migliore rivista a fumetti italiana” non aumenti. Almeno le distanze ci terremmo a mantenerle.

Del Buono passa poi a snocciolare le novità del sommario, ed ecco che il discorso cade sul papà di Gionni Peppe. Benito Jacovitti può essere considerato una novità? È vero, appare con cose vecchie, viste e riviste, non solo su “la migliore rivista a fumetti italiana”, ma anche su altre riviste a fumetti italiane meno presuntuose. Su LINUS però l’Al Capp italiano non era mai apparso sino a ora. Ora ha disegnato una storia apposta per noi, ed è una storia di gaglioffate sensazionali recentissime, non ancora finita di disegnare, addirittura.

Per il suo coetaneo Del Buono, che ha seguito Jacovitti sin dall’inizio della sua carriera apprezzandone sempre la comicità e la grafica, averlo conquistato per «Linus» è un ottimo traguardo. Con il decano dei fumetti comico-satirici italiani nella propria squadra, la rivista completa il bouquet dei principali nuovi “satiri” italiani, che per la quasi totalità ha addirittura tenuto a battesimo: da Alfredo Chiappori a Renato Calligaro, da Enzo Lunari alla coppia Tullio Pericoli - Emanuele Pirella. Francesco Tullio Altan e il suo Cipputi sono ancora dietro l’angolo, mentre Sergio Staino e Bobo giungeranno qualche

Già ell’i

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ediato Dopogue a, Ja ovii si auto aigu a i veste di eazio a io, o u fez de o ato o u a lis a di pes e i luogo del fas io lito io.


certe situazioni un po’ outrées, come la comparsa delle prostitute, o le martellate negli “zebedei”, improponibili in settimanali come il «Vitt» o il «Corriere dei Piccoli». Il sentiero entro il quale l’incontenibile Jac doveva muoversi era piuttosto strettino. Pur essendo passati circa cinque lustri, al debutto di Gionni Peppe è ancora fresco il ricordo dell’immediato dopoguerra, quando Jacovitti aveva dovuto cambiare vistosamente stile per pubblicare di nascosto delle vignette satiriche sul foglio «Il Travaso delle idee». Non dovevano saperlo quelli dell’Azione Cattolica, che consideravano licenzioso quel glorioso foglio diretto da Guglielmo Guastaveglia, dove non si lesinavano le donnine discinte e le battute spregiudicate. All’inizio degli anni Sessanta, come se non bastasse, Lisca di Pesce aveva subito le “purghe” relative ad alcune tavole consegnate al «Giorno». Censure determinate sia da ragioni di “decenza” che di opportunità politica, quando ironizzava sul simbolo della Supercortemaggiore, compagnia comproprietaria, di fatto, del quotidiano. Nel 1962 la storia Elviro il vampiro era stata stroncata sul nascere, nel «Giorno del Lunedì», appena dopo la sua seconda puntata. Cagione del fumetticidio era stata l’introduzione nelle vignette della figura di una passeggiatrice notturna, apostrofata esplicitamente come “battona”. Questo termine birichino (benché non volgare) non era di fatto mai stato scritto in un fumetto italiano. Almeno sino ad allora: epoca di comitati moralizzatori attraverso i quali sacerdoti, genitori, giornalisti e insegnanti scagliavano i loro anatemi in via pregiudiziale contro la diseducativa letteratura con le nuvolette. Osservando con cura il lettering dei balloons jacovitteschi di questo periodo, non è difficile individuare numerose correzioni e riscritture di testi ad opera di una misteriosa mano redazionale poco versata in calligrafia. Queste censure causano un immancabile impoverimento della qualità sostanziale dei dialoghi fra i personaggi. Facendo ancora attenzione al contenuto di alcune nuvolette, scopriamo che per la prima volta, nel corso della sua collaborazione, Jacovitti scrive da solo il lettering delle sue storie. Dopo Elviro il vampiro continuerà a farlo con Baby Megaton e con Baby Rocket, mentre nel caso dei coevi Cocco Bill e Tom Ficcanaso resta invariata la mano del letterista che solitamente lo coadiuva, caratterizzata da una scrittura molto più fitta e convenzionale, ma allo stesso tempo chiarissima, perfetta per farsi leggere senza stancare. Il nome di questo consumato calligrafo è Alfonso Castellari, che con il fratello Lorenzo coadiuva Jacovitti sin dal decennio precedente, aiutandolo a smaltire la gran mole di tavole commissionategli.

Jacovitti si scatena Undici anni dopo il “fattaccio”, probabilmente Jacovitti ritiene che «Linus» costituisca l’occasione perfetta per emanciparsi anche dal suo passato un po’ ingombrante di “autore cattolico”; per togliersi quella patina di presunto bigottismo che è del tutto fuori posto per il Maestro di Termoli, la cui visione del mondo è stata svincolata sin dall’inizio da pastoie moralistiche o confessionali. Non a caso, su «Linus», Jac sferra un po’ di martellate non già sulle gengive del malcapitato di turno, dove tradizionalmente il fumettista le ha dirette nei suoi fumetti più “purgati”, bensì sugli “zebedei” di un prete! E costui, dolorante, cercando di contenere le spontanee contumelie, si limita ad imprecare: «Porcoqui! Porcolà! Porcosuporcogiù!». La necessità di liberarsi da costrizioni che ormai gli vanno strette spinge Jacovitti in quello stesso periodo ad accettare anche la proposta di realizzare una specie di manuale comico delle posizioni sessuali: un progetto rivolto per la sua stessa natura a un pubblico esplicitamente adulto. Su testi dell’umorista, attore, autore cinematografico e televisivo Marcello Marchesi, l’opera prenderà forma nel 1977 col titolo di Kamas Ultra (o Kamasultra), che così si autopromuove: «Kamasultra (il codice dell’ultramore) è un capolavoro folk-erotico-nazionale, ritrovato miracolosamente dal Prof. Jacovitti, che ha curato il recupero e il restauro delle preziose illustrazioni originali, mentre il Marchesi ha tradotto e adattato alle moderne esigenze culturali e informative i difficilissimi testi che risalgono al “Non si sa quando a.C.”». Tornando a Gionni Peppe, anche il linguaggio usato nelle avventure del gangsterino da due soldi, vagamente ispirato al film Il Padrino (The Godfather, 1972) di Francis Ford Coppola, non deve sopportaSoto e pag. su essi a: Nel , ella ua ta di ope i a del p i o u e o de «Il Mago» to eggia il ditato e Flit all’epo a il o e di u popola e i sei ida , le ui i p ese so o ip ese all’i te o del fas i olo.

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re le limitazioni che a volte i direttori dei giornali hanno imposto a Jacovitti, contestandogli i giochi linguistici troppo arzigogolati, giudicati incomprensibili per i più giovani. Così, a questo punto l’autore di Gionni Peppe si scatena, introducendo un gergo della mala molto strutturato e criptico al quale «Linus» non è estraneo, se si considera quello inventato da Guido Crepax per gli abitanti dei sotterranei nel ciclo di Neutron, il lombardo inventato degli abitanti di Dogpatch di Al Capp o i dialoghi toscaneggianti dei Moomin. Per i suoi scopi, adesso Jac adotta vari dialetti (napoletano, romanesco, e siculo, soprattutto nel secondo episodio: Gionni Lupara) senza preoccuparsi di apporre alle vignette una sorta di “traduzione simultanea”. Si cimenta anche con espressioni abbastanza esplicite e per lui inedite, come «minchia!» e «figghiu de bottàna!». Quasi da subito, Jacovitti indugia nei riferimenti ai cosiddetti “opposti estremismi”: gli extraparlamentari di destra e di sinistra così definiti secondo una rappresentazione cara ai centristi, che negli anni di piombo cercano di isolare i consensi nei confronti dei neofascisti e dei gruppi della cosiddetta “extrasinistra”, ancor prima della nascita delle Brigate Rosse. Così, nel suo exploit linusiano, il Maestro di Termoli raffigura non soltanto salami, vermi, pettini sdentati e dadi volanti, o piedi e matite che spuntano dal terreno, come nelle avventure di Cocco Bill o Zorry Kid. Adesso, a fare da intrusi nelle vignette troviamo fra gli altri anche dei nostalgici in camicia nera con fasci littori ricamati sui fez, cominciando con quello che, nella nona pagina della seconda puntata di Gionni Peppe, ostenta un cartello con la scritta «W Mao!». Nel contempo, una coppia di passanti replica, esplicativamente, le critiche ricorrenti fra i lettori di sinistra: «…Non ti meravigliare… Jacovitti in politica non sa che pesci pigliare!».

Il raglio della «Giovane Itaglia» I cartelli occupano nelle tavole di «Linus» uno spazio significativo, scritti con lettering analogo a quello dei balloons, il che provoca un complessivo aumento dello spazio riservato al testo in queste nuove storie, dove conseguentemente i panorami scarseggiano e i dettagli delle ambientazioni si riducono quasi allo zero. Infatti, benché le tavole originali di Gionni Peppe e Gionni Lupara sulle quali Jacovitti disegna siano molto grandi, a causa del suo naturale deterioramento della vista dovuto all’età, l’autore tende a occupare tutte le vignette con testi e immagini. Per risparmiare spazio, nei personaggi che sono più alti di statura, l’ovale della testa arriva a coprire l’ombelico, mentre i loro corpi, quasi sempre arrotondati e gommosi, faticano a resistere dentro le inquadrature. Appaiono compressi. In questo rigoglio di forme che occupa le vignette, fra i cartelli raffigurati spiccano quelli col tormentone «Raglia, raglia giovane Itaglia», ricorrente nelle pagine di Gionni Peppe, alludendo all’associazione studentesca di destra denominata Giovane Italia. A quanto pare la sua filosofia, basata sulla «Carta della Gioventù», elaborata dallo spiritualista Julius Evola, viene considerata da Jacovitti al pari del verso di un somaro. In Gionni Lupara, il tormentone «Raglia, raglia giovane Itaglia» viene sostituito da un altro più articolato: la ricorrente giustificazione, invocata all’inizio degli anni Settanta da una pilatesca sinistra per scaricare le responsabilità individuali sul consesso civile, prodigo di influssi negativi. Più di un personaggio, in Gionni Lupara, intona questo consunto ritornello, con effetti a volte molto divertenti e surreali. Per esempio, nella seconda pagina della storia, una mucca che nonsensicamente compare in un sobborgo americano non ben identificato, porta scritto su un lato del corpo «Sono una mucca per colpa della società!». È seguita a ruota da una sorta di quaglia che replica con «Io volo per colpa della società!», mentre nell’ultima vignetta della pagina un signore confessa «Io bacio appassionatamente i lampioni per colpa della società!», intanto che indirizza le sue ef-

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fusioni verso lo stelo di metallo di un lampione. Nel marasma di oggetti, persone e cose ritratti da Jacovitti non manca nemmeno un bambino che, seduto sul vasetto da notte, afferma: «Io faccio la pupù per colpa della società!», mentre nella pagina successiva gli fa eco un verme con la trombetta, declinando la variante: «Io faccio pepè per colpa della societé!». Jacovitti va a ruota libera anche perché, si suppone, scrive di getto il lettering delle tavole in modo abbastanza spontaneo, senza ripensamenti o filtri. È quasi una novità, perché per questa produzione non si è affidato al suo calligrafo di fiducia Alfonso Castellari, il sodalizio col quale era stato stretto nella redazione romana del «Vittorioso».

Sop a: U a delle sva iate illust azio i di Co o Bill pu li ate el su «Li us» a o edo dell’a i olo The Stupid Ne O lea s Ja Ba d – A Ca did Co e saio ith a Fa ous Ca too ist. I alto ella pagi a su essi a: Nella versione di Gionni Peppe pu li ata da «Cha lie», el , lo sloga «Raglia, aglia giova e Itaglia» divie e «La F a he au f a hais». I asso ella pagi a su essi a: Nel o so della pu li azio e di Gio i Lupa a, «Li us» pu li izza delle vet ofa ie ealizzate da Ja ovii, pu li a do uesta foto dell’auto e.

I colori di Gionni Peppe Per il settimanale cattolico collabora anche il fratello di Alfonso Castellari, Lorenzo, alternando questa sua partecipazione all’insegnamento di Educazione artistica e ai fumetti per l’editore Gabriele Gioggi sino all’inizio degli anni Sessanta. In seguito, ma sempre in questo decennio e nel successivo, lavorerà anche per conto di Mario Faustinelli e per lo studio di Dino Leonetti a tascabili sexy per adulti. La collaborazione di Lorenzo Castellari con Jacovitti, e a ruota quella con il fratello Alfonso Castellari è collegabile alla consapevolezza nutrita dal Maestro di Termoli circa la sua calligrafia; non la ritiene affatto eccezionale, e scrivere i testi nei balloons gli costa fatica e tempo. Può impiegare meglio sia la prima che il secondo espandendo la propria inventiva e disegnando. Quindi, delega colorazione e calligrafia ai due fratelli. Per decenni consegna loro stock di tavole già eseguite per tempo, a volte fra un viaggio e l’altro, prima dei lunghi soggiorni vacanzieri della famiglia Jacovitti in Versilia, senza telefono, in isolamento dal mondo. Le ritira mesi dopo con lettering fatto e i colori pronti per la consegna agli editori di turno. In questi casi, la calligrafia è eseguita da Alfonso in modo minuzioso sulla base di appunti manoscritti, allegati da Jacovitti su fogli di carta abbinati alle singole tavole. La colorazione è realizzata seguendo precise indicazioni cromatiche, fornite ai Castellari dallo stesso Jacovitti numerando le campiture dei disegni: rosa per la pelle, vermiglio per la lingua e così via. Questi numeri corrispondono ad altrettante boccette di Ecoline, sorta di acquerelli liquidi prodotti dalla Talens, anch’esse numerate. Questa funzione sarà portata avanti da Alfonso da solo, dopo la scomparsa di Lorenzo, avvenuta nel 1978. A colorazione avvenuta, i numeri segnati a lapis sulle campiture sono cancellati dai fogli da disegno. In un primo tempo, seguendo la routine impostata da Jacovitti nel primo dopoguerra, la colorazione avviene nelle vignette stesse, sul davanti di ciascun foglio. Ma quasi sempre, a partire dalle ultime storie realizzate per «Il Giorno dei Ragazzi», si preferisce invece eseguirla sul retro dei fogli, appoggiandoli a rovescio sopra il tavolo luminoso per meglio individuare le zone da riempire con l’Ecoline. In tal modo si mantiene la possibilità di ristampare in bianco e nero, con tratti puliti, le storie colorate sul retro, semplicemente fotografando i fogli sul davanti. Anche per Gionni Peppe, forse in seguito a un malinteso con la redazione di «Linus», o in previsione di una ristampa futura altrove, Jacovitti fa eseguire la colorazione sul retro, benché il mensile non disponga storicamente di quadricromia. È un dettaglio non secondario e apparentemente inspiegabile nella produzione di questo episodio e del successivo, che «Linus» pubblicherà a distanza di un anno, per un totale di cento tavole. Castellari, che viene remunerato diretta-

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Gionni d’Oltralpe

mente da Jacovitti per i suoi servigi, incide con i costi del suo lavoro sui ricavi complessivi che il papà di Cocco Bill ottiene dalla Rizzoli. La casa editrice, però, non sfrutta, né adesso né in seguito, l’opportunità di pubblicare a colori queste avventure adulte a loro modo irripetibili. In realtà non le ristampa affatto in alcuna forma, mentre nel 1975, a collaborazione per il momento conclusa, Jacovitti disegnerà per Rizzoli la copertina per un volume dedicato a Cocco Bill nella collana «I nostri immortali» e tre nuove copertine per altrettanti volumi, della collana «I Giganti del Fumetto» (con etichetta BUR), dove si ristampa la saga di Zorry Kid pubblicata per il «Corriere dei Piccoli». Forse il Gionni Peppe a colori non si fa a causa della temporanea recisione di rapporti, avvenuta in modo piuttosto frustrante per Jacovitti, con la redazione di «Linus», come vedremo più avanti? Non sappiamo quali siano stati gli accordi iniziali. Siamo nel territorio delle pure ipotesi. Certamente, non aiuta l’atteggiamento di Fulvia Serra e della redazione, tutta al femminile, che viene chiamata confidenzialmente da Oreste Del Buono «la Banda Aerea», citando un classico episodio dell’Uomo Mascherato. Jacovitti è avvertito dalle operatrici di «Linus» come un corpo estraneo rispetto alle altre componenti della rivista, e anche nei volumi delle varie collane di Rizzoli si privilegiano altri autori più in sintonia con il “sentire” della redazione e del grosso dei lettori: da Hugo Pratt a Guido Crepax, da Attilio Micheluzzi a Sydney Jordan.

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Qualcosa di ancora più singolare dal punto di vista cromatico avviene in seguito, dopo che la produzione jacovittesca di Gionni Peppe avrà valicato le Alpi. Nel giro di pochi mesi, eccola sulla rivista che si può considerare la copia carbone francofona di «Linus». È «Charlie», mensile pubblicato dalle Éditions du Square, che hanno all’attivo anche le riviste satiriche, feroci e folli «Hara-Kiri» e «Charlie Hebdo» e diretto dall’editorialista grafico Georges Wolinski. Anarcocomunista (benché qualsiasi definizione “rigida” sia per lui fuori luogo), Wolinski si dimostra di una pasta ben diversa da quella dei lettori di «Linus», vicini alla sinistra extraparlamentare, scioccamente sospettosi verso il “democristiano” Jacovitti. Wolinski, ammiratore dell’opera del Maestro come fanno anche altri spregiudicati fumettisti Jean Giraud (Moebius) o Nikita Mandryka, saluta con grande entusiasmo le nuove storie immerse nell’attualità sociopolitica italiana e, alla fine del 1973, le traduce personalmente per i lettori francofoni. Nel corso di questa difficoltosa operazione, Wolinski compie anche qualche piroetta pericolosa nel tentativo di ricreare gli intraducibili giochi di parole di Jac, legati a situazioni e personaggi ignoti in Francia. Il famoso tormentone «Raglia, raglia giovane Itaglia» diviene quindi «La Franche aux franchais»: la storpiatura di un motto antisemita coniato oltralpe alla fine dell’Ottocento. Diversamente dagli italiani, i lettori francesi apprezzano la nuova vena adulta di Jacovitti, al punto che Wolinski, dopo Gionni Peppe, pubblica anche Gionni Lupara, in puntate di dieci pagine ciascuna. Questo secondo episodio, nato in bianco e nero, compare stranamente nell’inserto a colori di «Charlie», e il colorista di turno si diverte a dipingere, in modo del tutto surreale e decisamente poco pertinente, i personaggi di Gionni Lupara con la pelle blu, rossa, celestina o verde pisello. A quanto pare, la Rizzoli ha spedito a Wolinski gli impianti del nero per la stampa e in Francia nessuno si è accorto che anche per queste tavole, come per quelle di Gionni Peppe, esistevano dei colori “ufficiali”, già pronti, sul retro dei fogli. Ma è persino più probabile che Wolinski sia andato ancor più per le spicce e, invece di attendere gli impianti dall’Italia, si sia arrangiato fotocopiando le tavole di «Linus». Applicherà il nuovo testo in francese direttamente sulle xerox dopo averlo scritto su pezzettini di carta da incollare all’interno dei balloons: una pratica abbastanza comune all’epoca, benché faticosa. Lasciano presupporre questo processo di riproduzione fotografando direttamente «Linus» sia la qualità scarsa della riproduzione del tratteggio nelle tavole di «Charlie», sia qualche strana traccia dentro le nuvolette, interpretabile come ombra dei pezzetti di carta incollati sulle fotocopie.


Gionni Peppe e le censure Tirando le somme, l’esperienza vissuta con «Linus» nei primi anni Settanta non si chiude per Jac con un bilancio positivo. Infatti, il “disseminatore di salami” deve affrontare anche su questa rivista l’ennesima contestazione, paragonabile a quella subita nell’immediato dopoguerra su «Intervallo», dove usciva a puntate l’episodio Battista l’ingenuo fascista. L’attacco viene dai contestatori del Movimento, lontanissimi dall’ottica moderata e distaccatamente critica di fatti e ideologie posseduta da Jacovitti. A questo proposito, è curioso osservare che già in Cocco Bill sulle rotaie, apparso sul «Corriere dei Piccoli» nel 1969, Cocco Bill ha affrontato i primi contestatori, che presi a sculacciate dal Nostro, gli hanno indirizzato una profetica minaccia: «Okay! Ma ha da venì Marcuse!» («Corriere dei Piccoli», n. 8, anno LXI, pag. 6). Non c’è da stupirsi che tali tematiche, in questo periodo, siano bersaglio degli umoristi italiani, che condividono lo scetticismo di Jacovitti e valutano la contestazione degli “operai e studenti uniti nella lotta” come un transitorio fenomeno folk. Sono gli anni in cui, su testi di Dino Verde, l’attore Elio Pandolfi, in compagnia della fedele Antonella Steni, è protagonista dello show radiofonico Il Conte Stone, a sottolineare la “nobiltà” e il distacco dalla vita della gente comune da certi eccentrici protestatari. Gli anni in cui Renato Rascel, a Gran Varietà, interpreta “l’alfiere di Marcuse” Renatino, recitando su copioni di Antonio Amurri e Maurizio Jurgens. Nello stesso show radiofonico, con assoluto tempismo, già dall’autunno 1968 anche l’attore cinematografico Nino Manfredi aveva incarnato il ruolo di contestatore globale, mentre bisognerà attendere sino al 1970 per trovare nell’ambito del fumetto comico per ragazzi un personaggio di questo tipo. Lo crea Franco Aloisi per il quindicinale delle Edizioni Alpe «Tiramolla», battezzandolo “Camillo Lippi”, uno scriteriato dalle idee distruttive che pur non rinnegando il nome anagrafico preferisce storpiarlo, senza alterarne la pronuncia, in “Camillo l’hippy”. Riguardo a «Linus», sul tema della presa in giro dei contestatori, è proprio Jac a scatenare il vespaio, quando decide di stuzzicare i lettori, il direttore e la redazione sul versante del conformismo che rileva nella rivista: un certo snobismo che determina le scelte dei fumetti italiani in sommario legandoli alle strisce d’importazione. Già a pag. 100 del n. 7 di «Linus» del 1973, nella prima puntata di Gionni Peppe, Jacovitti comincia a lanciare delle frecciatine a Del Buono, che nel contempo dirige anche il mensile per soli uomini (così si diceva) «Playboy». Infatti, nella seconda vignetta in alto a sinistra, Lisca di pesce disegna un libro appoggiato a una poltrona, dove chiaramente si legge: “O. del Bono: sesso e fagioli”. Col procedere degli episodi, Jac alzerà il tiro, fino a proporre il disegno di un “Playboia”, con una donna

I alto: Illust azio e del dal Ka asut a, sul te a del sado aso his o. Sopra: U a ipi a vig eta se dello Ja ovii t asg essivo a i Seta ta.

nuda impiccata in copertina (su «Linus» n. 9 del settembre 1974, pag. 91); ma poi sarà costretto a modificare forzatamente il titolo nel più banale (e poco significativo) “Porco boia!”, anche per non irritare troppo la casa editrice Rizzoli, allora titolare sia di «Linus» che della versione italiana della rivista sexy fondata da Hugh Hefner. I guai di Jacovitti si concretizzano, però, quando il Nostro scende in modo diretto sul terreno della politica. Nel n. 10 del mensile (ottobre 1973), il grande fumettista raffigura una scatola con le tessere dei “partiti democratici”: naturalmente sono tutte del PCI, come a dire che la patente di “democratico”, secondo gli ottusi comunisti italiani, spetta soltanto a loro. A pagina 115 della stessa puntata di Gionni Peppe troviamo raffigurato un nuovo libro, questa volta scritto da Fortebraccio, pseudonimo di Mario Melloni, l’opinionista satirico de «L’Unità». Il titolo è La satira in URSS, e dal volume esce una catena con una palla di ferro inequivocabilmente simile a quelle applicate alle caviglie dei carcerati; vi si legge la truce scritta “Manicomio o Siberia”. Può darsi che qualche lettore fra i colpiti dalle frecciate di Jac si inalberi, ma per il momento tutto viene accettato

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dalla redazione e pubblicato così com’è. In Gionni Lupara le cose si complicano; le vignette pullulano di battute ancor più mirate a stuzzicare lo zoccolo duro dei lettori del mensile, una platea che non dimostrerà troppa autoironia, confermando in tal modo la tesi di Jacovitti sulla loro ottusità. Sin dalla prima tavola sono raffigurati, piccoli come insetti, dei “gruppuscoli” rivoluzionari estremisti, muniti dei loro bravi cartelli secondo uno stereotipo molto diffuso nelle barzellette e negli sketch comici, ma che in effetti ha ben poco riscontro nella realtà, dove si privilegiano, semmai, gli striscioni. L’irritazione dei lettori extraparlamentari, che in quegli stessi anni cominciano ad apprezzare le vignette e le storielle satiriche sul quotidiano «Lotta Continua», sulle riviste «Re Nudo» e «Il pane e le rose», o nei libri di Stampa Alternativa, non risiede tanto nella loro raffigurazione, quanto nella superficialità che Jacovitti esplicita nei confronti di movimenti che,all’epoca si prendono molto sul serio. Chiusi nel loro ideologico rigore, mirano addirittura ad ambiziosi obiettivi di

Sopra: La vig eta pu li ata i ia o e e o su «Li us» a confronto con quella originaria priva di censura, osì o ’è appa sa su «Pa o a a».

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mutamento sociale che si auspica possano sfociare in una rivoluzione. Quando Jacovitti li ritrae con generici cartelli dalla “w” dritta o rovesciata mentre asseriscono convinti «Anduma a fa’ la rivolusiùn!», i lettori extraparlamentari deducono che i contenuti delle loro lotte sono ignorati e disprezzati a priori; percepiscono la critica del fumettista al pari dei giudizi sbrigativamente dileggiatori della borghesia più conservatrice: esattamente la stessa alla quale vogliono opporre la propria azione di rinnovamento. La redazione passa quindi al contrattacco in più di un’occasione, ostacola la pubblicazione di alcune parti di Gionni Lupara. Per prima cosa, comincia a eliminare i motti giocosi che Jacovitti appone esternamente alla gabbia delle vignette, come aveva fatto in passato, per esempio, in varie storielle del «Corriere dei Ragazzi». Solo in occasione della realizzazione di questo libro, lavorando direttamente sulle tavole originali, scopriamo l’esistenza di queste scritte, rimaste inedite per quasi quarant’anni. Poi, si passa a censurare le vignette ritenute più hard dal punto di vista della critica politica. Nel n. 9 di «Linus», del settembre 1974, ne troviamo una famosa, citata più volte in scritti analitici di questa produzione jacovittesca. Vi è raffigurato Gionni Peppe mentre legge una copia del mensile a fumetti rizzoliano che ne pubblica le gesta. Sulla copertina di quel «Linus» il titolare della testata è raffigurato col pollice destro in bocca, mentre stringe con la mano sinistra la sua ben nota coperta protettiva. Fino qui quasi niente da eccepire: a parte una scaletta a pioli ritratta inspiegabilmente a lato del personaggio, la cover citata in Gionni Lupara assomiglia moltissimo a quella del primo numero del mensile, uscito nell’aprile 1965. Ma in seguito, sul n. 440 del ’74 del settimanale di attualità e cultura «Panorama», sarà riprodotta la versione originale della vignetta come l’aveva pensata Jacovitti. Al posto della rassicurante coperta, il ragazzino creato da Schulz vi abbraccia in realtà la bandiera del PCI, con tanto di falce e martello stampigliati sopra. Con la mera funzione di riempire lo spazio occupato in precedenza dalla stoffa rossa, Lisca di Pesce aveva inserito la scaletta, riciclando per la bisogna anche l’asta di legno che nella prima versione della vignetta era il bastone della bandiera. Osservando le tavole a colori riportate in questo volume, sorge però un interrogativo, forse destinato a restare senza una sicura risposta. Perché mai la versione a colori della storia è quella con l’avvenuta censura? La scelta di colorare le tavole sul retro è stata fatta in un tempo successivo? In previsione di qualche ristampa?


Un risotto vi seppellirà! Queste censure, che oggi forse non sarebbero mai apparse giustificabili, sono motivate dal clima “rivoluzionario” e movimentista degli anni Settanta, immediatamente prima della nascita degli “indiani metropolitani” e delle radio libere, alcune delle quali, a partire dalla bolognese Radio Alice, svolgeranno un compito di divulgazione e informazione senza precedenti in Italia. Uno dei lati distintivi del loro rinnovamento nella comunicazione sarà proprio l’impiego a tappeto dell’ironia, con l’invenzione di slogan pieni di rime e di giochi di parole degni del più spregiudicato nonsense jacovittesco. «Una risata vi seppellirà», si amava dire nella seconda metà degli anni Settanta; o anche, ironizzando persino su questo, «Un risotto vi seppellirà». Ma nella prima metà del decennio, quando Gionni Peppe esce su «Linus», vige ancora quella seriosa rigidità che stupidamente bolla come reazionaria anche la più innocente trasgressione. Alcune note redazionali tratte dallo stesso «Linus» aiutano a comprendere l’aria che tira. Secondo il sondaggio indetto dalla rivista nel 1973, i suoi lettori sono per la maggioranza di idee marxiste, o comunque di sinistra. Lo testimonia in un articolo il redattore “storico” del mensile Ranieri Carano («Linus» n. 7 del luglio 1973, pag. 21): «I fascisti, tra i fedeli di “Linus” non sono mai stati legioni, ora pare che non siano più neppure pattuglia. Sono scomparsi, volatilizzati, saltati in aria con le loro bombe (…)». Pullulano, invece, «miriadi di ES (Extra-Sinistra), di S (comunisti ortodossi o quasi, socialisti e simili), di CS (tra cui primeggiano i virgulti lamalfiani). Apparentemente, neppure un DC ufficiale. Ma chi conosce un vero DC? Questa è una specie si direbbe in via d’estinzione, da salvare in appositi parchi nazionali, non fosse per le costanti smentite elettorali (…). In sostanza il popolo del pianeta “Linus” sembrerebbe pronto per un plebiscitario Fronte Popolare da far vibrare nella tomba anche un Léon Blum. All’interno di questo schieramento di progressismo travolgente le varietà sono infinite. A parte gli ufficiali, od ortodossi, ci gli AO – Avanguardia Operaia –, i MS (capannoni), qualche LC e Marxleninista (in ribasso tuttavia) e tutta una gamma di libertari e manifestanti. Tutta gente d’onore, s’intende, e con le carte più che in regola, con mille e una ragione per essere scontente dei partiti ufficiali e le loro burocrazie, ma… Ma fa anche piacere sapere che molti di più sono quelli che, malgrado lo scontento serpeggiante, non intendono disperdersi in mille rigagnoli e si dichiarano disposti a impegnarsi all’interno. Di questo e di quel partito, è chiaro». Lo “schieramento di progressismo travolgente”, che spende le sue brave 600 lire per la rivista, non reputa un buon investimento la presenza di Jaco-

vitti per ben dieci pagine al mese e ne chiede la rimozione. Gli argomenti usati da Jac per sfottere le sinistre sono ritenuti qualunquisti («Anche in Russia c’è la libertà! Infatti anche là si può parlar male di Fanfani!», «Tribunale Russell: quando un processo alle dittature comuniste?») e presentati di solito dai conservatori di centro-destra. Jac, comunque, per dimostrarsi super partes, tira un colpo al cerchio e uno alla botte, beffandosi anche dei fascisti in camicia nera e dei loro slogan con il suo classico «Eja eja baccalà!» Benché questa sua equidistanza, agli occhi dei lettori di «Linus», appaia una difesa della reietta teoria degli “opposti estremismi”, Jacovitti, che non è certo fascista, trova il modo di prendere in giro anche se stesso ponendosi nell’ottica dei suoi stessi detrattori. Così, disegna due vermi col fez che commentano: «Ho la vaga impressione che Jacovitti sia dei nostri!». In un secondo tempo lo stesso Jac dichiarerà a «Panorama»: «Possibile che in Italia bisogna per forza essere con qualcuno o contro qualcuno? Io sono libero sopra le parti. Quando nel 1962 Arturo Michelini, segretario dell’MSI, mi chiese di disegnargli per le elezioni amministrative un pupazzetto che ramazzava via tutte le sozzerie, lo feci perché mi era simpatico; come uomo. Ma non ho voluto una lira. E alle elezioni ho votato socialdemocratico» («Panorama», cit. p. 88). Sentendosi in qualche modo in dovere di puntualizzare le scelte della casa editrice, anche Ranieri Carano, nell’introduzione al volume Zorry Kid (Rizzoli, 1975, pag. 7) deve riconoscere che Jacovitti «del fascista leader non ha in fondo la tracotanza, e del fascista seguace non ha di certo l’acquiescenza», cosicché bisogna finirla di chiamarlo in questo modo. Ma soprattutto, nella sua concezione individualista e molto italianamente anarcoide, Jacovitti ha sempre odiato l’autoritarismo, giacché in tutte le sue storie i personaggi di potere vengono puntualmente ridicolizzati senza pietà. «Odio tutte le dittature, di qualsiasi colore» dichiarerà nel 1992 a Simone Stenti. «Pensi che, quando posso, leggo “Anarchia”, che si trova solo nei centri sociali» (S. Stenti, È vero, sono un estremista di centro, cit., p. 9). Sulle sue idee politiche, Marco Giovannini scrive, sempre su «Panorama»: «Dal ’50 al ’60 ha votato democristiano, dal ’60 al ’70 socialdemocratico. Ora (1974) è il suo decennio liberale. Solo su una cosa non ha mai avuto dubbi o deviazioni: l’anticomunismo feroce» («Panorama», cit., pag. 88). Ed è proprio questa sua ostilità per il comunismo a suscitare le ire dei lettori di «Linus», che si sostituirebbero volentieri a Billy Mandracchio, per prendere a pugni Gionni Peppe e dire, come lui: «Gionni Peppe nun me piace!». Infatti, Jac viene bollato nella rubrica di «Linus» di dialoghi con i lettori La posta di Lucy e Sally, di “cripto fascismo”

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(«Linus» n. 11, novembre 1974, pag. 20) e accusato di disegnare dei fumetti «brutti, sciatti e ripetitivi fino alla nausea». Le lettrici e i lettori chiedono di “ripulire lo jacovittume”, e che le tavole di Jacovitti si concludano “col terminare del suo contratto, magari anche prima” («Linus» n. 11, novembre 1974, pag 5), non potendone tollerare la vista sul giornale che ospita dei servizi su Feltrinelli e su Fidel Castro (cfr., «Linus» n. 8, agosto 1974, pp. 63-67). Solo un illuminato lettore di Milano dissente dal generale conformismo, nel n. 12 del dicembre 1974: «Non condivido, certo, le idee di Jacovitti – ammette nella sua lettera – ma non le temo, anzi (esclusi alcuni eccessi di qualunquismo) ritengo indispensabile un confronto critico con esse; quanto al disegno, considero Jacovitti uno dei migliori “fumettari” europei (se non mondiali, il tempo farà giustizia). Spero quindi che la pubblicazione del “Solzenicyn fumettistico linusiano” continui ancora».

A a to: U a delle ta te as ote diseg ate da Ja ovii el 1983 per la rivista «Il Co ote della Se a».

Il congedo di Oreste Del Buono In sostanza, Jacovitti può concludere come da accordi il secondo episodio di Gionni Peppe, ma le sue vignette vengono “purgate” di alcune intemperanze. Come attesta l’articolo di «Panorama» già citato, è l’autore stesso a operare certi “tagli” e ad apporre qualche “pecetta” su invito di Oreste Del Buono. Fortunatamente, Jacovitti non compie le modifiche sulle tavole originali, ma su stamponi in bianco e nero delle stesse, lasciandole intonse (e quindi ristampabili integralmente oggi). Al direttore di «Linus» va riconosciuto, tuttavia, il merito di aver difeso Jac di fronte alla redazione (solidale con i lettori), come lui stesso conferma nel n. 12 del dicembre 1974 (pag. 4): Con questo numero termina l’episodio di Benito Jacovitti. Era già stabilito all’inizio che terminasse. Benito se ne va, e saluta con un’ulteriore e divertente sfottitura –un omino con un cartello con su scritto “Salutammo!” – A me i suoi fumetti continuano a piacere. Forse l’inesorabile redazione ha ragione quando mi rimprovera il mio cattivo gusto. Ma, insomma, Benito e io, dopo tutto, siamo nati lo stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno. Magari l’errore è stato quello di pensare di poter lavorare insieme anche negli stessi giorni degli stessi mesi di questo anno. O no…?

Nel numero precedente, Del Buono ha spiegato meglio le ragioni del contendere: «Sinché Jacovitti se la prendeva con il direttore, non era un gran male. Il direttore deve essere responsabile di qualcosa, no? Sinché se la prendeva con “Linus”, pazienza» e qui ci si riferisce anche a una vignetta del n. 8 (agosto 1974, pag. 103), dove Jacovitti mostra un gabinetto pubblico, con «Linus» al posto della carta igienica. Prosegue Del Buono: «“Linus” è più forte di Jacovitti, no? Ma poi Jacovitti se l’è presa con Chiappori e Pericoli – due autori satirici di sinistra che pubblicano su “Linus”, rispettivamente, Up il sovversivo e Il dottor Rigolo – i quali avrebbero avuto tutto il diritto di replicare sullo stesso “Linus”, così il nostro giornalino si sarebbe trasformato in palestra» («Linus» n. 11, novembre 1974, pag. 5). Di qui le “autocensure” imposte da Del Buono a Jacovitti, in conseguenza delle quali i riferimenti ad altri fumettisti presenti su «Linus» sopravvivono soltanto, appena accennati, nell’ultima pagina di Gionni Lupara. Dopodiché, Gionni Peppe e i suoi variopinti comprimari scompaiono dalle pagine della rivista, mentre Jacovitti vi ritornerà ancora una volta, dopo passata la bufera. Infatti, a cavallo degli anni 198182, il mensile della Milano Libri ospita una nuova storia di Lisca di Pesce, intitolata Joe Balordo («Linus» nn. 199-201). È un thriller parapsicologico che sembra quasi anticipare in chiave parodica il film Angel Heart - Ascensore per l’Inferno (1987) di Alan

Soto: Ja ovii fa dei sala i ife i e i a pe so aggi di olleghi p ese i su «Li us». Qui si allude alla serie di Alfredo Chiappo i Up il so e si o, il cui protagonista stava a testa i giù.

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Parker, con Mickey Rourke e Robert de Niro. Mentre Joe Balordo sarà leggibile nella sua integralità in un libro pubblicato da Franco Cosimo Panini, gli episodi di Gionni Peppe e Gionni Lupara non godranno mai più di una ristampa sino ad oggi, nell’inspiegabile disinteresse di editori anche diversi dalla Rizzoli. Con una sola eccezione, nella quale lo scrivente è coinvolto di persona. Lo scenario è quello della prosperosa fucina romana delle Edizioni Nuova Frontiera, che produce periodici e albi prevalentemente tradotti dal francese, anche in concorrenza diretta con Rizzoli-Milano Libri. Insieme all’editore ispano-argentino-livornese Roberto Rocca, con uno sparuto gruppo di colleghi, per circa tre lustri collaboriamo alle riviste dell’etichetta Edizioni Nuova Frontiera, dalla versione italiana di «Métal Hurlant» a «Totem», che nelle sue multiformi trasformazioni diviene una testata esclusivamente umoristica alla fine degli anni Ottanta, adottando il nuovo titolo «Totem Comic». In due occasioni Roberto Rocca incontra Benito Jacovitti insieme a noi per organizzare qualche lavoro comune. Una prima volta nel 1983, per progettare la sfortunata rivista «Il Coyote della Sera», che non ululerà mai, ma della quale Jacovitti declina la mascotte in molte versioni differenti e disegna il logo. Una seconda è nel 1991, quando suggerisco a Rocca di riprendere su «Totem Comic» la saga di Gionni Peppe, all’indomani del successo cinematografico di Roberto Benigni Johnny Stecchino. La comicità della pellicola, ambientata nell’ambito del tessuto mafioso siculo, avrebbe potuto rivelare un’ottima sintonia soprattutto con Gionni Lupara, favorendo una riscoperta presso un pubblico di più ampie vedute, rispetto al 1974, dell’opera un po’ negletta di Jacovitti. Nemmeno in questo caso, tuttavia, alcun accordo viene raggiunto, né ciò avverrà per il giornale umoristico «Comix», che esce quasi nello stesso periodo; ciò a causa della lunghezza delle peripezie di Gionni Peppe, eccessiva per essere degnamente gestita da queste riviste e anche a causa dei riferimenti alla società degli anni Settanta, che risultano ignoti ai frequentatori delle edicole di due decenni dopo. Precluse anche a quelle di un altro decennio, le due storie possono essere profittevolmente riscoperte adesso, benché la memoria di molti fatti e personaggi degli “anni di piombo” si sia ineluttabilmente sbiadita. Per rinfrescarla, sarà utile la breve appendice con puntuali note posta in chiusura di questo volume. A prescindere dalle situazioni esilaranti descritte in queste cento, laboriose pagine, sul piano del disegno il ciclo di Gionni Peppe rappresenta forse il vertice artistico della maturità di Jacovitti, sia per la finezza del tratteggio, sia per la plasticità delle figure.

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