Fumetti e potere

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TRI S E V L I S NDREA

A

i t t e m u f e r e t e po I

O R E R E P U EROI E S UMENTO R T S E M O C ICO T I L O P O E G


fumetti e potere Eroi e supereroi come strumento geopolitico di Andrea Silvestri © dell'Autore dei testi © Edizioni NPE per questa edizione © degli aventi diritto per le immagini utilizzate

Collana: L'Arte delle Nuvole, 33 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore e Ufficio Stampa: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it Coordinamento Editoriale: Valeria Morelli Progettazione grafica e Illustrazione di copertina: Nino Cammarata Stampato presso Rotomail Italia S.p.A. – Vignate (MI) nel mese di aprile 2020 Edizioni NPE – Nicola Pesce Editore è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA)

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Andrea Silvestri

Fumetti e potere Eroi e supereroi come strumento geopolitico


Indice

Capitolo Primo Capitolo Secondo

Introduzione

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Dietro i fumetti qualcosa di più

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I supereroi a stelle e strisce, tra società e politica

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1. I comics specchio della società americana 21 2. I supereroi positivi del new deal 22 3. Dall’isolazionismo di Superman all’interventismo di Capitan America: l’impiego dei supereroi durante la seconda guerra mondiale 23 4. La presentazione del nemico nei comics di guerra americani 38 5. I supereroi della Guerra Fredda: Capitan America e Fighting American contro il nemico rosso 39 6. L’anticomunismo dei supereroi con super-problemi 45 7. Dalla Guerra fredda alla distensione a fumetti 59 8. L’anticomunismo attenuato della prima edizione italiana 62 9. Dall’anticomunismo all’apertura verso i temi liberal: Capitan America eroe bipolare? 63 10. La messa in discussione del modello classico: da patrioti a giustizieri 69 11. L’impatto dell’undici settembre: gli eroi in calzamaglia tra allineamento e lotta al terrorismo 73 12. Gli Ultimates, supereroi neocon? 75 13. Nick Fury e la “guerra segreta” 80 14. La comprensione del “nemico” e l’esercizio della coscienza critica in Enemy 80 15. I dubbi di «Civil War» e «Ultimates 2» 83 16. Quali supervillains per una guerra asimmetrica? 86 17. L’altra America - L’integrazione delle minoranze e i supereroi etnici 88 18. I supereroi (e i supercattivi) stranieri 95 19. Le squadre multinazionali di casa Marvel e DC. I canadesi Alpha Flight, tra prossimità e stereotipi 98 20. E se Superman fosse stato sovietico? 100


Capitolo Terzo

Grandeur e riflessione sociale nella nona arte francese 107

Capitolo Quarto

Manga e dintorni: il fumetto giapponese alla conquista del mondo 149

1. Arte e industria d’oltralpe 107 2. Il gollismo a fumetti: Asterix 109 3. Romani & co.: la geopolitica neo-gallica 111 4. Alieni o alleati? 113 5. Le nuove avventure di Asterix: l’esplorazione continua 115 6. L’anti-Asterix: Alix il gallo-romano 117 7. La visione del mondo in «Tintin» 120 8. Tintin, da eroe belga a europeo post-moderno 128 9. Spirou e la rivisitazione di alcune pagine dolorose della storia nazionale 130 10. «Blake e Mortimer» e gli altri 136 11. Lo sguardo sulla realtà contemporanea di Jean Van Hamme e il caso di Empire usa 139 12. Il fumetto storico e quello d’autore 142 13. Il velo a fumetti 146

1. Manga e anime, tra arte e industria 2. Un’arte profondamente giapponese 3. L’ombra della bomba in «Godzilla» e «Akira» 4. I manga e la storia: la fase pacifista 5. L’impatto del revisionismo storico 6. Un soft power inconsapevole? 7. La giapponesizzazione dei personaggi occidentali

Capitolo Quinto

Eroi e Supereroi all’italiana: dagli eroi stranieri del dopoguerra agli antieroi italiani dei giorni nostri 1. Grandi maestri, piccoli eroi 2. In principio era la rima 3. Il fumetto fascista e l’educazione dei giovani 4. I fumetti esterofili del secondo dopoguerra 5. Fumetti neri e fumetti d’autore 6. Disney all’italiana e altre parodie: un nicodemismo a fumetti? 7. Le riviste d’autore 8. Il consolidamento del canone bonelliano e le prime trasgressioni dei “bonellidi”

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9. Nemo supereroe in patria. Natura e limiti dei Supereroi all’italiana 204 10. Dal fumetto d’autore al tentativo di rilancio del nero 210 11. La via italiana al graphic journalism e ai graphic novel 211 12. Eroi e supereroi della carta stampata e del piccolo e grande schermo 214 13. La svolta: gli anti-eroi italiani di Manfredi, Bilotta e Recchioni 216 14. La cronica assenza di eroi italiani come specchio dei limiti dell’identità nazionale? 224 15. Uno sguardo sull’industria del fumetto tricolore 226 16. Come ci vedono gli altri: l’immagine dell’Italia (e degli italiani) sui fumetti esteri 230

Capitolo Sesto

Uno sguardo sul resto del mondo attraverso i graphic novel e gli “altri supereroi”

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1. A volo d’uccello sul resto del mondo 237 2. Un modello trasversale: i graphic novel 238 3. Le esperienze paradigmatiche di Sacco, Delisle e Spiegelman 239 4. L’Iran e il mondo arabo-musulmano dal di dentro: Persepolis e gli altri 242 5. Segni di rinnovamento nel fumetto arabo 244 6. L’Israele contemporanea tra aliyah e conflitto arabo-israeliano 252 7. Sguardi sull’Asia centrale 255 8. Una (finta) vita a Singapore: L’arte di Charlie Chan Hock Chye 256 9. Una (vera) vita a Taiwan 258 10. Una vita (come tante?) nella Repubblica Popolare Cinese 259 11. Boat people e altre storie asiatiche 264 12. Dall’iconografia hindū alla complessità culturale e politica dell’India di oggi 266 13. I fumetti di oltre cortina – Il dramma jugoslavo 269 14. Ritratti a fumetti dell’ex blocco dell’est 272 15. Uno sguardo sull’Africa subsahariana 274 16. America latina: la scuola argentina tra innesti italiani e fantascienza politica 277 17. Gli “altri supereroi”: dalle produzioni delocalizzate ai campioni nazionali 280 17.1. I casi dell’Asia 282 17.2. Il Medio Oriente 286 17.3. L’America Latina 293 17.4. La Russia 295


Conclusioni

297

Una lettura geopolitica dei fumetti

297

Note

305

Bibliografia

359

Sitografia

367

1. Una riflessione sugli eroi 297 2. Il radicamento nazionale dei fumetti 300 3. Il rapporto con la Storia 301 4. Quale mercato per il medium fumetto, tra mitopoiesi e rappresentazione della realtĂ 303



capitolo 1

Dietro i fumetti qualcosa di piÚ Oggetto di quest’indagine sono i fumetti (comics, manga, bande dessinÊe che dir si voglia) intesi in senso moderno come racconti illustrati costituiti da una sequenza di immagini, secondo la definizione ormai canonica coniata da Will Eisner e precisata in seguito da 1 Scott McCloud . Senza risalire agli affreschi di San Clemente a Roma (che testimoniano uno dei primi utilizzi del volgare italiano attraverso frasi che escono dalla bozza dei contadini, anticipando di fatto l’uso dei balloon) o precedenti ancora ulteriori, ci concentreremo sulla forma moderna di questo medium, consolidatasi verso fino Ottocento su alcuni quotidiani americani. La combinazione tra immagini e testo, lungo una sequenza, ha da sempre dimostrato una forte efficacia nei confronti del lettore non solo a fini di intrattenimento. The Yellow Kid di Richard Felton Outcault, protagonista della striscia a fumetti Hogan's Alley (pubblicata per la prima volta nel giugno del 1894 sulla rivista Truth e a partire dal maggio 1896 sul supplemento domenicale a colori del New York World), convenzionalmente considerato come il primo esempio di fumetto moderno (dal sito comicvine.com).

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fumetti e potere

Un’applicazione molto conosciuta – con finalità pedagogiche – ha riguardato, ad esempio, l’insegnamento della Storia (si pensi alla monumentale Histoire de France en bandes dessinées, edita da Larousse a partire dal 2 1976 , o alla fortunata Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi pubblicata da Mondadori nel 1978 e oggetto di numerose ristampe e accrescimenti). Come dimostrazione estrema della potenza “didattica” del fumetto, si possono poi ricordare i fumetti realizzati da Will Eisner per illustrare la manutenzione 3 dei veicoli militari . Consapevoli dell’immediatezza e dell’efficacia dei fumetti Un classico esempio di uso didattico dei fumetti come veicolatori di valori, speper insegnare la storia: La Storia d’Italia a fumetti cie nei confronti dei lettori più di Enzo Biagi (1978, Enzo Biagi e disegnatori vari, da laterapiadeilibri.blogspot.com). giovani, non sorprende quindi che i Governi abbiano dedicato grande attenzione a questo settore, sia con finalità “difensive” (evitare l’introduzione di modelli e temi “esterni” potenzialmente pericolosi) che con obiettivi “offensivi” (diffondere messaggi in linea con la propaganda ufficiale, ad esempio attraverso eroi autenticamente nazionali, cui la gioventù si potesse ispirare), come farà ad esempio da noi il Fascismo a partire dal 1938, attraverso direttive del Minculpop che perseguiranno entrambi gli obiettivi. Un approccio tipico dei regimi dittatoriali, ma non solo: si pensi al Capitan America creato a fine 1941 nei democratici Stati Uniti quale eroe nazionalista per eccellenza. I regimi democratici non saranno a loro volta immuni dalla tentazione di sviluppare tentativi più o meno penetranti di controllo. L’esempio più famoso in tal senso è il Comics Code Authority (CCA), in realtà uno strumento di autocontrollo adottato dagli editori americani nel 1954 a seguito delle polemiche suscitate dal libro Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham 14


dietro i fumetti qualcosa di più

(culminate nella costituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta), ma non va dimenticato il tentativo (infine abortito) fatto tre anni prima dal Parlamento italiano al fine di introdurre forme di censura sui fumetti, ritenuti pericolosi per la formazione dei più giovani. Per altro verso, i Governi democratici hanno fatto ricorso a tale medium – attesa la sua indubbia efficacia – anche per la realizzazione di specifiche campagne. Restando in ambito di relazioni internazionali, un caso di scuola è quello dell’albo realizzato per conto del Governo sud-coreano sull’affondamento della Cheonan. Il locale Ministero della Difesa ha infatti ricorso ai manhwa (fumetti ispirati per molti versi al Un estratto nel volumetto commissionato dal modello giapponese, che godono di Ministero della Difesa della Corea del Sud in cui si grande popolarità all’interno del Pacontestualizzano le fotografie presentate al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in ese ma anche all’esterno, tanto che relazione all’affondamento della corvetta Cheonan Seoul si è imposta come potenza funel 2010 (dal sito The Marxist-Leninist Daily). mettistica emergente a livello mondiale) per raccontare l’affondamento della propria corvetta Cheonan il 26 marzo 2010 in un’area contesa del Mar Giallo, asseritamente a causa di un 4 siluro nord-coreano . Come ulteriori esempi, possono essere ricordati la bande dessinée realizzata per il Ministero della Difesa francese da Glénat nel 2005 per presentare – rendendolo più attraente – il Servizio nazionale, che aveva sostituito il servizio 5 militare obbligatorio , nonché l’adattamento a fumetti del rapporto della Commissione parlamentare statunitense sull’11 settembre 2001, che ha confermato la possibilità di applicare tale strumento ad un drammatico tema di attualità, rendendo più facilmente comprensibile un documento complesso come il rapporto in questione. Senza dimenticare che, viceversa, per la sua immediatezza e i suoi bassi costi di produzione, il fumetto si presta anche ad essere un eccellente strumento di 15


fumetti e potere

comunicazione (e contro-propaganda) da parte dei movimenti di contestazione e di opposizione in genere (si pensi alle esperienze di fumetto underground di Robert Crumb e Alison Bechdel o alla diffusione della satira politica a fumetti, come le strisce Doonesbury e The Boondocks o le vignette di Chappatte). Ma al di là dei casi di committenza o eterodirezione governativi (fenomeni abbastanza residuali, salvo che nelle dittature), va evidenziato che i fumetti – come ogni tipica manifestazione di Pop art – sono anzitutto lo specchio delle società in cui vengono concepiti, di come esse si percepiscono e di quali valori propugnano. Secondo diversi studiosi, nei media della cultura popolare si può infatti rinvenire l’espressione ideologica profonda di un Paese, in termini di sostrato valoriale prevalente, come pure delle contraddizioni e delle tensioni 6 profonde che lo pervadono . Anche i comics potrebbero, così, essere considerati espressione dell’ideologia dominante (concetto che rimanda a quello dell’egemonia gramsciana). Un’appartenenza che, come vedremo, non è tuttavia scontata né univoca, come dimostra l’accoglienza riservata al primo numero di «Capitan America», il cui protagonista si mostra favorevole all’intervento usa nel secondo conflitto mondiale, in un Paese che era ancora largamente isolazionista (l’albo vendette moltissimo, ma vi furono anche proteste, culminate in minacce di morte agli autori). A contrario, si può anche osservare come le divisioni esistenti all’interno del Paese rispetto al posizionamento degli Stati Uniti in politica estera abbiano comportato la riluttanza degli editori a dedicare spazio ai temi in questione, come dimostra la scarsità di riferimenti alla guerra di Corea o ancora più a quella in Vietnam nei fumetti supereroistici. Abbiamo già detto di come i fumetti siano un eccellente rivelatore dell’identità nazionale. In questo contesto è pure interessante verificare la raffigurazione che in essi viene fatta della (o delle) minoranza interna, sia in chiave di mera fotografia della discriminazione di fatto esistente nei suoi confronti (si pensi alla raffigurazione stereotipata di Lothar, aiutante nero di Mandrake) che in un’ottica di sua “integrazione” (Falcon e Luke Cage della Marvel). Dai fumetti si può, inoltre, ricavare l’immagine di Paesi stranieri e di come gli autori li interpretano per il proprio pubblico nazionale. Significativi sono, in tal senso, i fumetti di propaganda pubblicati alla vigilia e durante la seconda guerra mondiale, ma anche i supereroi Marvel dei primi anni Sessanta, tutti compattamente anticomunisti e antisovietici (la Guerra Fredda volgeva allora al suo apice), o ancora gli Ultimates di Mark Millar, supereroi americani dell’epoca di Bush Jr, che presentano supervillain apparentemente letti con la lente dell’ideologia neocon. 16


dietro i fumetti qualcosa di più

Ma, al di là di questi esempi, non va dimenticato che anche fumetti dagli intenti non necessariamente politici possono essere inseriti in ambientazioni che nascondono una valutazione di altri soggetti internazionali. Vi sono poi opere che hanno l’esplicita finalità di presentare un determinato Paese o un periodo storico, eventualmente attraverso una lente autobiografica o giornalistica. Casi emblematici in tal senso sono l’autobiografico Persepolis di Marjane Satrapi (sugli anni pre e post-rivoluzione iraniana del 1979), o L’arte di Charlie Chan Hock Chye di Sonny Liew (che, attraverso un io narrante d’invenzione, consente un viaggio intimo sulla storia di Singapore dal 1954 al 2015), o ancora i crudi reportage di Joe Sacco in Palestina e Bosnia, e quelli semiseri realizzati da Guy Delisle in Cina, Myanmar, Corea del Nord e Israele. Il fumetto, oltre che prodotto commerciale, può poi costituire anche uno strumento di penetrazione culturale (e quindi anche politica, secondo la lezione di Gramsci) al di fuori dei confini nazionali. In tal senso, l’enorme diffusione dei manga e degli anime giapponesi può essere considerato un esempio di soft power nipponico, anche inconsapevole, al pari di quello giocato dai film hollywoodiani. La lezione degli ultimi anni è che, insomma, i fumetti possono esplorare il mondo e confrontarsi adeguatamente con la realtà contemporanea, confutando il luogo comune che li voleva abbinati a toni “leggeri” e di “evasione”. Se vogliamo, l’attuale tendenza a confrontarsi con l’attualità internazionale e la Storia si può anzi considerare una sorta di ritorno alle origini, poiché storicamente la prima funzione dei racconti per immagini non fu di entertainment, ma era finalizzata all’esigenza di raccontare in maniera più efficace e diretta fatti e storie reali (si pensi alle illustrazioni di Achille Beltrame per la «Domenica del Corriere»). Per tutti questi motivi, riteniamo possibile tentare un’analisi dei fumetti in chiave geopolitica. Per farlo, dovremo però operare una restrizione a priori del campo di valutazione. La produzione fumettistica nel mondo è infatti sterminata (case editrici come l’americana Marvel o l’italiana Bonelli producono da sole oltre ventimila nuove tavole a fumetti ogni anno). Parlare genericamente di fumetti sarebbe, perciò, come parlare di “letteratura” in senso ampio e non sarebbe funzionale al nostro intento. In quest’esercizio scegliamo quindi di focalizzare la nostra attenzione soprattutto su alcuni personaggi seriali del fumetto mainstream delle principali industrie nazionali, nonché su alcuni graphic novel (genere globalizzato per eccellenza) che riteniamo indicativi per il loro portato geopolitico. Per “fumetto seriale” intendiamo quei prodotti commercializzati in numeri periodici, solitamente nelle edicole e nei negozi affini, che si contraddistinguono per un formato standard e una struttura ricorrente sul piano dei contenuti, 17


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presentando sempre lo stesso protagonista (o più di uno) rappresentando un po’ l’erede moderno dei feuilleton ottocenteschi. Vi sono poi i modelli in cui ogni singola storia è comunque autoconclusiva (alla «Dylan Dog», per intenderci) e quelli in cui invece ogni storia si inserisce in una continuity narrativa più ampia di cui essa rappresenta solo un segmento, seppure autonomo (i comic book della Marvel, ad esempio). La tradizione francese (e per certi versi anche giapponese) vuole invece che le singole storie siano pubblicate per estratti in riviste o quotidiani, prima di essere ricomposte in album autoconclusivi. Escluderemo quindi dalla nostra ricognizione le vignette e il political cartoon (declinato variamente come fumetto watchdog e pundit, reportage o 7 commento/denuncia) , come pure il fumetto underground. In questa rapida rassegna ci concentreremo così sulle principali scuole/industrie fumettistiche e sui personaggi e i formati mainstream che esse hanno espresso. Partiremo dai comic book americani (soprattutto quelli delle major principali, DC Comics e Marvel Comics), con i loro supereroi (tipologia che, come vedremo, si è poi estesa anche al resto del mondo), portando particolare attenzione alla loro versione nazionalista e di converso ai supervillain stranieri, incarnazioni di Paesi percepiti come nemici, reali o potenziali. Passeremo poi ai personaggi popolari della bande dessinée franco-belga, come Asterix e Tintin, solitamente pubblicati su grandi album cartonati, soffermandoci sui loro tratti nazionali più o meno sfumati e cercando di evidenziare il loro modo di rapportarsi con i loro avversari, specchio o metafora di pericoli realmente esistiti o percepiti. Volgeremo quindi lo sguardo su manga e anime, puri prodotti giapponesi, popolati da personaggi essenzialmente locali, come locali sono lo sguardo che li caratterizza e la realtà in cui sono immersi. Ampio spazio daremo poi ai fumetti di casa nostra. Un mercato importante, tradizionalmente considerato il quarto nel mondo per quantità (e qualità) produttiva, che poggia su una tradizione figurativa senza eguali nel mondo, scrittori creativi e fantasiosi, ottime scuole di formazione e, last but not least, una miriade di piccole e medie case editrici (che, con alcune eccezioni, non sono però riuscite a imporsi stabilmente all’estero). Un fumetto, quello nostrano, che a lungo – dal secondo dopoguerra grosso modo fino a tutti gli anni Novanta – è rimasto legato ad una tradizione esterofila che prediligeva per l’appunto protagonisti in gran parte stranieri che operassero per lo più in terre lontane, quasi sempre americane. Una scuola che si è caratterizzata – e per molti aspetti continua a esserlo – per personaggi essenzialmente antieroici (o a-eroici) comunque dotati di una loro originalità, pubblicati negli anni in formato tascabile o bonelliano. 18


dietro i fumetti qualcosa di più

Giunti a questo punto, daremo poi spazio ad alcuni graphic novel – opere singole destinate in via di principio ad un pubblico più adulto e più tipiche del circuito fumettistico specializzato e di quello librario – in quanto tale strumento ci consentirà di dare un rapido sguardo anche al resto del mondo. Con tale modalità espressiva sono state infatti tentate esplorazioni di altri Paesi – spesso declinate attraverso la lente biografica o autobiografica – che sono risultate anche molto convincenti. Pure in questo caso si tratterà di una selezione ovviamente parziale, che servirà comunque a testare in casi concreti la possibilità di una lettura dei fumetti che ne evidenzi i riflessi in termini di relazioni internazionali. Sulla scorta di studi più ampi è infatti possibile applicare anche ai fumetti le categorie della geopolitica popolare, intesa come branca della geopolitica critica che si concentra sul modo in cui le convinzioni di questo tipo sono 8 elaborate e diffuse, tramite la cultura popolare e le pratiche quotidiane . Pratiche che a volte sfuggono all’emprise dei Governi ma che pure hanno il loro rilievo nello scenario internazionale contemporaneo. Secondo la metafora di J. S. Nye, ai giorni nostri il potere si caratterizza infatti sempre più come un gioco di scacchi tridimensionale: in cima il potere militare (degli Stati), subito sotto quello economico (gravitante – in misura maggiore o minore – sempre 9 sugli Stati) e in fondo “ciò che sfugge al controllo dei Governi” . Nye inoltre evidenzia il concetto di diffusione del potere, cioè il modo in cui negli ultimi anni il potere si trasferisce sempre con maggiore facilità dagli Stati agli attori non statuali. 10 In quest’ottica, un campo già molto esplorato è quello relativo ai film , ma non mancano anche studi riguardanti libri, riviste ecc. e – soprattutto in ambito anglosassone – tentativi di applicazione di quest’approccio anche ai fumetti, come quello che ci accingiamo a tentare in questa sede, dei cui esiti daremo conto nelle conclusioni.

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capitolo 2

I supereroi a stelle e strisce, tra società e politica 1. I comics specchio della società americana Se l’abbinamento tra immagini e parole è un espediente narrativo molto antico, non vi è dubbio che il fumetto in senso moderno (e la sua industria) siano tipiche creazioni americane. Nell’ambito della vastissima produzione americana da fine Ottocento ai giorni nostri i supereroi pubblicati sul comic book ne rappresentano poi l’incarnazione per eccellenza, essendo divenuti un genere così rappresentativo dei valori statunitensi da essere considerato il corrispettivo di ciò che è stato il western per il cinema. Ma in quanto prodotto pop estremamente legato alle sollecitazioni contemporanee e alla cronaca, insomma allo zeitgeist americano, i fumetti supereroistici sono stati specchio nel corso degli anni sia degli slanci che delle paure – interne ed esterne – del cittadino comune statunitense (soprattutto di quello metropolitano). Proviamo perciò a ripercorrere la proiezione geopolitica che, soprattutto nei periodi di maggiore crisi internazionale, ha caratterizzato alcuni tra i principali protagonisti del genere supereroistico statunitense.

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2. I supereroi positivi del new deal 1

Dopo alcuni antesignani (eroi “comuni” senza poteri ultra-umani) , nel giugno 1938 appare Superman, creato da Jerry Siegel e Joe Shuster. Di origine extraterrestre, dispone di poteri illimitati che ne fanno quindi un 2 autentico “supereroe” . Superman però si nasconde nei panni del “normale” giornalista Clark Kent, favorendo con ciò l’empatia dei lettori che possono identificarsi con quest’ultimo. L’Uomo d’acciaio incarna insomma le nevrosi del cittadino urbano medio, condannato a vivere in megalopoli astoriche, gigantesche e disumanizzate, che inconsciamente desidera un alter ego adeguato a tali 3 “sovrumane” dimensioni . Il meccanismo che favorisce perciò nel lettore un processo di identificazione nell’eroe viene seguito nel maggio 1939 da Batman, creato da Bob Kane e Bill Finger per i tipi della DC Comics (che aveva edito anche «Superman»). Anche questa volta la maschera nasconde un “umano”, il miliardario Bruce Wayne, sprovvisto di super-poteri ma dotato di un arsenale di prodotti ad alta tecnologia e soprattutto di grandi capacità di districarsi di fronte alle minacce. A questi due prototipi – uno con effettivi superpoteri (a ben vedere neanche umano), l’altro che può far conto solo sulle proprie abilità e su una serie di gadget tecnologici (risultando una versione estremizzata dell’Uomo Mascherato creato nel 1936 da Lee Falk e Ray Moore) – si ispireranno tutti i supereroi successivi. Modelli che – al di là delle differenze – condividono molte caratteristiche comuni, a partire dall’identità segreta che favorisce l’identificazione da parte dei lettori. Belli (anche quando sono vestiti di nero come Batman), positivi, portatori di ideali puri, fanno sempre trionfare il Bene non solo per i loro superpoteri – che nascondono spesso anche delle debolezze, come la caviglia del pelide Achille – ma soprattutto per la loro forza morale e la scarsa inclinazione ai compromessi, un po’ come i primi western. Lontani anni luce dall’übermensch nietzschiano (Goebbels non a caso considerava Superman un personaggio “ebreo”), gli eroi in calzamaglia e mantello della “Golden Age” sono pubblicati su strisce di quotidiani ma soprattutto popolari albi a fumetti, i comic book. Essi si affermano negli anni alla fine del new deal come attualizzazione degli eroi del feuilletton, ma anche come purissima espressione del cosiddetto “American dream”. Inizialmente i Supereroi non combattono contro minacce extraterrestri o scienziati pazzi, ma danno soprattutto risposte a quelli che sono i timori diffusi nella società americana dell’epoca: nelle sue primissime avventure, Superman riesce così a scagionare una donna da false accuse che l’avrebbero portata sulla sedia elettrica, poi ne difende un’altra da un marito violento, quindi 22


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salva Lois Lane (che diverrà poi la sua fidanzata) da dei rapitori e infine rovina i piani di un lobbista corrotto. Narrativamente il supereroe si pone insomma come figura che ritorna alla 4 propria comunità di riferimento per salvarla , di fatto proteggendola dal fallimento/insufficienza dello Stato, assolvendo ad una specie di funzione di sussidiarietà, più facilmente comprensibile nel contesto dell’ideologia americana, che prevede un ruolo minore per lo Stato e ampi spazi di autogoverno per la società civile e per l’individuo. Il supereroe, del resto, appare come una figura essenzialmente solitaria e comunque distaccata dalla società (persino quando agisce in gruppo), senza mai rappresentare un vero e proprio corpo intermedio, secondo lo schema di Tocqueville. Infine, al supereroe si contrappone quasi sempre un “supernemico” (supervillain), che è viceversa una purissima 5 incarnazione del Male . Riprendendo la classica analisi di Umberto Eco su James 6 Bond , i cattivi dei fumetti si trovano così a incarnare qualità non volute o ritenute comunque estranee al corpus valoriale della società di riferimento, mentre il supereroe riflette valori e virtù dell’ideologia dominante. Nel corso di questi primi anni (che saranno in seguito definiti la “Golden Age” del fumetto supereroistico americano) si consolida così un modello destinato a grande successo, non solo negli Stati Uniti. Riprendendo la classica definizione di Campbell – secondo cui tutte le avventure eroiche si ispirerebbero a un unico 7 schema narrativo, il c.d. “monomito” – Robert Jewet e John Shelton Lawrence hanno coniato per questo genere narrativo la categoria del “monomito del Su8 pereroe americano” , che si incarnerebbe in personaggi tendenzialmente bian9 10 chi, maschi ed eterosessuali .

3. Dall’isolazionismo di Superman all’interventismo di Capitan America: l’impiego dei supereroi durante la seconda guerra mondiale

Nei primi anni anche il “cattivo”, con cui combatte l’eroe di turno, resta interno al campo americano o al massimo proviene da astratti mondi extraterrestri. Ma nel 1939 inizia il secondo conflitto mondiale e si pone il tema del posizionamento degli Stati Uniti, e del loro possibile intervento, indiretto o diretto, a sostegno degli alleati europei. Un’ipotesi, quest’ultima, che incontra resistenza nel pubblico, dov’è assai diffuso un orientamento isolazionista e la politica di potenza tedesca non è ancora percepita in tutta la sua pericolosità (a favore di Berlino giocava anche la presenza di una folta comunità di origine germanica). 23


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Un approccio, questo, inizialmente condiviso anche dallo stesso Superman, in linea con quello che è l’orientamento dei suoi autori e dell’editore. Già nel primo nel primo e nel secondo numero di «Action Comics» – siamo nel 1938 – Superman se la prende infatti con un senatore che tenta di coinvolgere gli Stati Uniti nella guerra e che viene presentato come un mero lobbista dei venditori di armi, ignaro delle conseguenze che una partecipazione alla guerra comporterebbe. Trasportato al fronte e confrontato con gli orrori della guerra, lo stesso senatore diventerà un neutralista. In una breve storia “fuori serie” pubblicata il 27 febbraio 1940 sulla rivista patinata «Look», e significativamente intitolata How Superman would end the war, dopo aver bloccato i militari tedeschi sul confine francese, vedremo l’Uomo d’acciaio catturare sia Hitler che Stalin (allora alleati) e portarli al palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra in quanto responsabili delle sofferenze europee 11 dell’epoca, dove un giudice li condannerà per aver aggredito dei Paesi indifesi . La storia viene criticata veementemente dal settimanale delle SS «Das Schwarze Korps» anche se, a ben vedere, Superman si era limitato ad acciuffare i due leader provando a risolvere il loro “contenzioso” all’interno della Società delle Nazioni, senza intervenire direttamente contro le forze armate dei due Paesi. Una volta entrati in guerra gli Stati Uniti nel dicembre 1941, il problema del ruolo che dovrebbe assumere il supereroe per eccellenza si pone con maggiore forza. La soluzione iniziale per le strisce pubblicate nei quotidiani è quella paradossale di “inabilitarlo” alla visita medica per l’arruolamento, grazie ad un equivoco (Clark Kent non supera la visita oculistica avendo letto – con la sua vista a raggi X – la tabella della stanza accanto, anziché quella che gli viene sottoposta). Ciò non spiega tuttavia perché l’Uomo d’acciaio non si rechi direttamente sul fronte, lasciando da parte l’arruolamento del suo corrispettivo umano. Si rende quindi necessaria un’altra giustificazione, di carattere più “pubblico”. Nella striscia del 10 marzo 1942 il nostro eroe interviene così personalmente ad una seduta congiunta del Congresso, spiegando che: «Le forze armate americane sono abbastanza potenti da schiacciare i loro pericolosi nemici senza l’aiuto di Superman». Per tale motivo lui si sarebbe invece dedicato al fronte interno, contrastando traditori e sabotatori dello sforzo bellico. Le strisce continuano pertanto a raccontare storie limitate all’ambito nazionale, con l’eccezione di una missione in Germania nel dicembre 1942, per salvare “Babbo Natale” (sic!). Nella pagina successiva: L’esordio di Superman in Action Comics n. 1 del giugno 1938 (copertina di Joe Schuster, dal sito dc.fandom.com/wiki).

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Parte finale della breve storia di Joe Shuster e Jerry Siegel su come Superman avrebbe concluso la guerra, pubblicata sulla rivista «Look» del 27 febbraio 1940 (dal sito sequart.org/).

I riferimenti alla guerra restano marginali anche negli albi regolari, che pure sono introdotti da numerose copertine “patriottiche” che vedono l’Uomo d’acciaio esporsi a sostegno dello sforzo militare nazionale, a partire dalla copertina di World’s Finest Comics n. 5 della primavera 1942 che lo ritrae assieme a Batman e Robin nell’atto di salutare militarmente i caccia americani che volano sopra di loro. Nei mesi successivi vediamo così Superman (come pure l’Uomo pipistrello) invitare a comprare i “war bonds and stamps” (titoli e francobolli emessi per sostenere l’impegno bellico), mandare il messaggio che i “veri” supereroi sono 12 i ragazzi al fronte , ovvero irridere i leader dell’Asse o ancora lottare personalmente contro soldati nemici (ma solo sulle copertine, mentre nelle storie all’interno dell’albo non vi è alcuna traccia di tali azioni). Nel marzo 1945 (siamo ormai prossimi alla fine della guerra in Europa) compare poi una tavola domenicale in cui Superman viene convocato dallo stesso dittatore tedesco che – assieme ai più stretti collaboratori – prova a vestirsi a sua volta da “Superman ariano”, con esiti sgraziati e grotteschi che volgono in ludibrio il tentativo nazista di appropriarsi del modello di 13 Übermensch inventato da Siegel e Shuster. . 26


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Tornando alle copertine patriottiche, quello applicato al caso di Superman è un approccio che rispecchia una tendenza generale e che sarà applicato anche per altri personaggi della DC e di altre case editrici, compresi quelli di stampo non supereroistico, per un totale stimato tra le millecinquecento e le duemila copertine di questo tipo 14 nei fumetti americani dell’epoca . Un percorso tutto sommato analogo a quello di Superman viene seguito anche da Batman che, nel giro di alcuni mesi, passa dal confronto con alcuni dittatori “generici”, come quello apparso in «Detective Comics» n. 33 del novembre 1939, alla lotta contro agenti “stranieri” ancora non specifiAnche Batman e gli altri eroi DC verranno cati ma chiaramente identificabili in impiegati in copertine belliche (a esempio la «Detective Comics» n. 39 del marzo copertina realizzata da Jack Burnleyil per il n. 9 di marzo 1943 di World's Finest 1940 (prodotto in coincidenza con in cui sia lui che Batman e Robin si divertiranno l’invasione della Polonia) e contro alal tiro al bersaglio con i leaders dell’asse tri nemici interni. invitando a comprare i War Bonds). Solo dopo l’attacco a Pearl Harbour del dicembre 1941 vediamo l’Uomo pipistrello battersi direttamente contro 15 nazisti infiltrati, come nella storia Una svastica sopra la Casa Bianca . Nella storia Due futuri (realizzata da Bill Finger e Jack Burnley in «Batman» n. 15 del febbraio-marzo 1942) vengono prospettati due futuri alternativi: uno in cui vincono le potenze dell’Asse instaurando una dittatura anche sul suolo usa, e l’altro in cui invece lo sforzo collettivo della nazione americana riesce ad imporsi preservando i valori della democrazia. In parallelo con le vittorie alleate e l’evoluzione della guerra cambia anche l’umore delle copertine: sul «Batman» n. 18 dell’agosto-settembre 1943 sono rappresentati Hitler, Mussolini e il Generale Tōjō mentre saltano in aria per un gigantesco petardo, e il «World’s Finest Comics» n. 9 della primavera del 1943, presenta lo stesso terzetto come bersaglio di palle da baseball lanciate da Superman e Batman, mentre il n. 13 della primavera del 1944 sbeffeggia il “tappezziere di Berlino” alludendo agli iniziali trascorsi professionali del Führer. 27


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fumetti e potere Insomma, quello della DC è un percorso nel complesso prudente e “a rimorchio” degli eventi, con i due personaggi di punta che fino alla fine del conflitto resteranno essenzialmente impegnati a presidio del fronte interno. Più audace è invece l’approccio della casa editrice Timely che, dopo essersi trasformata in Atlas, diventerà vent’anni dopo la Marvel Comics. L’editore newyorchese sceglie infatti di anticipare l’impegno diretto americano, in linea con la linea seguita dal Roosevelt che con i suoi discorsi dal caminetto prepara il popolo americano all’intervento in Europa. Per rafforzare i sentimenti interventisti degli statunitensi viene così coniato Capitan America, Una copertina che mostra Superman in lotta eroe patriota al 100%, che della bandiecontro i giapponesi: copertina di «Action 16 Comics» n. 63, dell’agosto 1943, di Jack Schiff e ra stars & stripes è addirittura rivestito . Jack Burnley (dal sito dc.fandom.com/wiki/). La prima avventura dell’eroe, scritta Come in molti alti casi la copertina non da Joe Simon e disegnata da Jacob ha alcun riferimento alla storia contenuta nell’albo. Kurtzberg (in arte Jack Kirby), è datata 1 marzo 1941 ma in realtà è stata 17 pubblicata sin dal 20 dicembre 1940 . Insomma, di fatto ha anticipato di qualche mese il Lend-Lease Act (che consentì agli Stati Uniti di fornire aiuti militari ai Paesi stranieri, in particolare Regno Unito, Cina e Unione Sovietica) e preceduto di quasi un anno l’attacco a Pearl Harbour e la dichiarazione di 18 guerra agli usa da parte di Hitler . Per chiarire da subito il posizionamento internazionale della serie, nella copertina del primo numero vediamo l’atletico eroe rosso bianco e blu 19 assestare un sonoro sganassone al Führer . Nonostante le altissime tirature (il numero in questione raggiunge addirittura un milione di copie), il nuovo fumetto non è tuttavia oggetto di un consenso univoco. Nella società americana restano infatti molto forti le citate 20 tendenze isolazioniste . Nella pagina successiva: Copertina di Captain America n. 1 (1mo marzo 1941) di Joe Simon e Jack Kirby (dal sito marvel.fandom.com/wiki).

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Accade così che i due autori ricevono persino minacce di morte, a seguito delle quali vengono contattati dal sindaco La Guardia e la polizia è costretta ad assegnare loro una 21 protezione . Nei primi numeri, in ogni caso, essendo l’America ancora formalmente neutrale, Capitan America combatte non al fronte ma essenzialmente contro nemici interni, al massimo spie infiltrate dalle potenze dell’Asse. Si tratta soprattutto di nazisti, come la sua nemesi per eccellenza il Teschio Rosso (co-protagonista di numerose storie sin dal primo nu22 mero ) la spia W. von Krantz (alias 23 24 “Sando”) , la contessa Mara , o ancora la quinta colonna che uccide alcuni senatori sostenitori degli aiuti La copertina del numero 1 del primo supereroe 25 con la bandiera americana nel costume: alla Gran Bretagna . Non manca poi The Shield di Irving Novick (gennaio 1940, un Barone Nushima, agente di una dal sito undercoverarchie.blogspot.com). “nazione imperialista asiatica” e so26 dale del capo della mafia cinese di San Francisco , e un francese di Vichy camuf27 fato da rappresentante dell’esercito della Francia Libera . Sin dall’inizio, in ogni caso, Capitan America si presenta come un puro 28 “eroe nazionalista”, secondo la definizione di Dittmer , ovvero un eroe che si identifica esplicitamente come rappresentante e difensore di uno specifico stato-nazione (anche attraverso il suo nome, l’uniforme che indossa e la sua mission). Definizione in cui non rientra invece Superman, in quanto egli combatte tendenzialmente per la giustizia, pur allineandosi di frequente con le posizioni del governo americano (è del resto cresciuto in Kansas e vive in una inesistente città americana, Metropolis), a cui non è tuttavia mai “organico”. Quanto alla semidivina Wonder Woman, creata dallo psicologo femminista William Moulton Marston e dal disegnatore Harry George Peter nel 1941, pur essendo regina delle amazzoni della tendenzialmente neutrale Isola del 30


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Tavola domenicale n. 281 realizzata da Jerry Siegel e Joe Schuster, il 18 marzo 1945, in cui Superman incontra Hitler e i suoi collaboratori (dal sito tcj.com).

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Paradiso, anch’essa verrà mandata a combattere per l’America in quanto “ultima cittadella della democrazia”. I colori del suo – per l’epoca succinto – costume assomigliano molto, in ogni caso, a quelli della bandiera statunitense. Come vedremo, Capitan America (detto anche “Cap”) non sarà l’unico eroe nazionalista, ma nel corso degli anni avrà numerosi epigoni. A parte altri characters della Marvel come Capitan Bretagna e Capitan Italia, o il britannico Jack Staff della Image, personaggi di questo tipo troveranno inoltre spazio anche nelle produzioni nazionali di altri Paesi, come il canadese Captain Canuck o gli israeliani Sabraman e Shaloman (vedi infra). Una copertina che mostra Superman Di fatto, tuttavia, Cap resterà l’esempio in lotta contro i nazisti: Superman I serie n. 23 del luglio 1943, di Whitney Ellsworth più emblematico di questa tendenza e la e Jack Burnley (dal sito dc.fandom.com/wiki/). sua durata nel tempo favorirà una riflessione anche critica sul nazionalismo americano, che lo porterà a non essere sempre allineato al Governo pro tempore. Durante la Golden Age e anche la successiva Silver Age vi saranno poi altri supereroi che, pur senza essere inquadrabili nella fattispecie dell'“eroe nazionalista”, resteranno comunque vicini all’establishment americano (Iron Man su tutti, sotto la cui armatura si cela Tony Stark, grande imprenditore produttore di armi, pienamente organico al c.d. sistema politico-militare). Anche i super-gruppi (Fantastici Quattro prima e Vendicatori poi) beneficeranno di rapporti semi-istituzionali con Washington (a titolo di esempio si possono ricordare le interlocuzioni tra il presidente Nixon e i Fantastici Quattro in occasione dell’attacco delle truppe di Atlantide guidate dal Sub-Mariner a 29 New York nel 1970). Anzi in alcuni casi la natura “autonoma” dei supergruppi consentirà a questi ultimi di arrivare dove l’Amministrazione ufficialmente non può, pur agendo in linea con gli interessi americani (e dell’umanità intera, ovviamente). Così, di fronte ad un complotto globale ordito dal Mandarino, nel 1967 Nick Fury spiegherà ai Vendicatori che lo Shield (supertecnologica agenzia dei 30 servizi segreti da lui diretta ) non può intervenire perché in fondo resta 32


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Wonder Woman, personaggio creato da William Moulton Marston e Harry George Peter nel 1941, con il suo caratteristico costume, nella copertina di Sensation Comics n. 1 del gennaio 1942 (dal sito dc.fandom.com/wiki).

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un’agenzia americana, non un corpo di pace internazionale, aggiungendo che «in caso di una super-minaccia, devono essere i supe31 reroi a entrare in azione!» . Diversa la posizione degli X-Men, che operano quanto più possibile in incognito, vista la discriminazione di cui sono vittime in quanto mutanti, mentre il raggio d’azione eminentemente locale di Devil e Uomo Ragno li porterà a collaborare di frequente con la polizia, anche se su basi informali (ciò che non impedirà qualche equivoco, soprattutto nel caso del secondo). Tornando al Capitan America di quegli anni – che è tra l’altro, con Namor, il primo personaggio della Timely/Marvel ad appari32 Copertina di Superman I serie n. 29 del re in Italia nel primissimo dopoguerra – si luglio 1944 realizzata da Wayne Boring e George Roussos, che evidenzia come i tratta in ogni caso di un fumetto di propaveri supereroi siano i ragazzi che ganda a tutti gli effetti, a cui farà seguito una combattevano al fronte (dal sito ridda di epigoni. Si impegneranno, inoltre, upermanhomepage.com). nella guerra anche gli altri eroi principali della Timely (in maniera più o meno diretta a seconda dalla fase storica e del corrispondente quadro bellico) a partire dalla Torcia Umana, che – assieme al suo junior partner Toro e al principe atlantideo Namor (il Sub-Mariner), sven33 terà un tentativo nazista di invadere il Regno Unito già nell’estate del 1941 . All’impegno bellico non rimarranno estranei anche altri eroi dei comics, fino a personaggi per l’infanzia come Little Orphan Annie e Andy Panda e ai popolari animaletti antropomorfi di casa Disney, chiamati anch’essi a scuotere la popolazione e combattere i nazisti. Nel 1943 il 90% del lavoro degli studios Disney sarà 34 per conto di agenzie governative : non solo fumetti, ma anche film brevi, loghi, insegne, medaglie e poster, finanche decorazioni per maschere a gas, tutto con35 correrà a sostenere lo sforzo di mobilitazione bellica . Così le strisce di Mickey Mouse pubblicate sui quotidiani vedranno Topolino – che pure nel 1935 era stato definito dalla Società delle Nazioni “simbolo internazionale di buona volontà” – diventare protagonista di numerose storie a carattere bellico: in The nazi submarine del 1943 sventerà un tentativo di 36 infiltrazione tedesco negli States , mentre in Mickey Mouse on a secret mission 37 (dello stesso anno) lo vedremo addirittura impegnato sul fronte europeo . 34


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In questa lunga storia, Mickey viene preliminarmente sottoposto dall’esercito usa a vari test psico-fisici che comprenderanno anche una valutazione della sua antipatia per Hitler, da cui risulterà che prova avversione, ma non odio, per il dittatore tedesco (un esito ritenuto “nella norma” dall’esaminatore). Superata positivamente questa procedura, Topolino verrà incaricato di provare un prototipo di aereo che lo farà volare sopra Parigi, occupata dai nazisti. CattuUna vignetta da Mickey Mouse on a Secret Mission, storia di 84 strisce scritta da rato da questi ultimi, Mickey verrà poi Bill Walsh e disegnata da Floyd Gottfredson, condotto a Berlino (raffigurata già sepubblicata sui quotidiani statunitensi dal 19 luglio al 23 ottobre 1943. midistrutta dagli alleati, nonostante i bombardamenti britannici avessero raggiunto solo parzialmente gli obiettivi). Qui il nostro eroe riuscirà con l’astuzia a liberarsi e a recuperare il controllo del proprio velivolo, con il quale scorrazzerà per tutta la Germania, danneggiando sensibilmente l’apparato militare tedesco, arrivando persino a scoperchiare il tetto del “covo” del Führer a Berchtesgaden (dove un cartello annuncerà bef38 fardo: «Affittasi. Presto l’attuale proprietario lascerà la città») . Anche Pluto, dopo essere stato riformato dall’esercito, riuscirà a provare il pro39 prio patriottismo catturando un comandante tedesco fuggiasco in Pluto hero . Infine, in The war orphans del 1944, Topolino aiuterà i giovani eredi al trono di uno Stato dell’Europa centro-orientale, sconfiggendo gli agenti nazisti 40 che li minacciavano . L’altro principale personaggio di casa Disney, Paperino, sarà a sua volta protagonista di cartoni animati collegati al conflitto. In The new spirit, del 1942, si loderanno i benefici del pagare le tasse come strumento per combattere l’Asse, mentre in Der Fuehrer’s Face (diretto da Jack Kinney nel 1943 e premiato lo stesso anno come migliore cortometraggio di animazione) il simpatico pennuto si troverà nel mezzo di un incubo a dover lavorare in una disumana fabbrica tedesca, bombardato dalla propaganda nazista (il cortometraggio, aperto da una banda musicale in cui si vedono tra l’altro Hirohito suonare il basso e Mussolini la grancassa, si concluderà con l’effige di Hitler sbeffeggiata con il liberatorio lancio di un pomodoro). 35


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In alto: locandina del film Der Fuehrer's Face, diretto da Jack Kinney nel 1943 (dal sito wikpedia.it).

Infine, in Commando Duck del 1944 si vedrà Paperino distruggere – a modo suo – una base giapponese. Alla propaganda anti-nazista parteciperanno anche le altre majors: ad esempio la Warner Bros nel 1942 realizzerà The Ducktators, sotto la supervisione di Norman McCabe. Un cartone animato ambientato in una fattoria, in cui da un uovo nero esce un anatroccolo bianco con chiarissimi riferimenti a Hitler (ha gli stivali e i baffi a francobollo, parla tedesco gridando «Sieg Heil!» mentre fa il saluto nazista e dissemina svastiche ovunque). All’anatra in questione si alleano una grassa oca dall’accento italiano, completamente nera, chiamata “Duce”, e una vecchia anatra giapponese. I tre complottano per prendere il controllo della fattoria, contrastati da una colomba che simboleggia la pace e che dopo essere stata calpestata riuscirà a sconfiggerli. Il cortometraggio si conclude invitando a comprare i buoni di risparmio del governo, in modo da sostenere la preparazione bellica. Tornando a Superman, è stato osservato che la scelta di non schierare nel conflitto direttamente il supereroe per eccellenza fosse legata anche ad un motivo pratico, di tipo narrativo. Uno dei tratti principali del fumetto supereroistico – che sarà in particolare sviluppato dalla Marvel, ma che è caratteristico

A lato: uno sbeffeggiamento dei capi dell’asse in U.S.A. Comics n. 5 dell’estate 1942, di Ernie Hart e Al Avison (dal sito marvel.fandom.com/wiki).

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i supereroi a stelle e strisce, tra società e politica anche della DC – è infatti la verosimiglianza, ovvero l’inserirsi in un universo realistico ispirato, se non ricalcato, su quello reale. Superman non può quindi dispiegare totalmente i suoi super poteri nel conflitto perché ne altererebbe l’esito, ad esempio accorciandone di 41 molto la durata oppure impedendo l’olocausto, andando in contraddizione con la realtà storica. Darebbe vita a quella che narrativamente è definita una ucronia. Capitan America, viceversa, non disponendo di poteri equivalenti a quelli del kryptoniano, non appare decisivo per decidere le sorti della guerra, per cui lo si può tranquillamente impiegare sul fronte come protagonista di scontri che restano in fondo “locali” e marginali nell’equilibrio complessivo dello scontro. Steve Rogers, suo alter Copertina del n. 46 di Captain America dell’aprile 1945 (Stan Lee e Alex Schomburg), ego sotto la maschera, è d’altra in cui vengono evocati i forni nazisti per gli ebrei parte arruolato nell’esercito, per (dal sito marvel.fandom.com/wiki). cui non sorprende vederlo al fronte (a differenza di Bruce Wayne/ Batman che resterà a Gotham City, anche perché il suo impiego in guerra – assieme a Robin – sarebbe problematico). Più in generale, Umberto Eco, nell’osservare che le azioni dei supereroi della Golden Age e del periodo successivo sono sempre focalizzate su una dimensione locale e non su quella globale, spiegherà che ciò avviene per una ragione iterativa, in quanto questo approccio consente la ripetizione narrativa e, specularmente, presenta un universo narrativo senza età, risultando così funzionale alle esigenze “di mercato” di questi prodotti, i cui lettori desiderano periodicamente la somministrazione di un prodotto riconoscibile, ma 42 comunque romanzato, con una trama a sorpresa finale . 37


COME OGNI TIPICA MANIFESTAZIONE DI POP ART, ANCHE I FUMETTI SONO LO SPECCHIO DELLE SOCIETÀ E DEL CONTESTO POLITICO IN CUI VENGONO REALIZZATI. UN VIAGGIO ATTRAVERSO LE SCUOLE PRINCIPALI DEL FUMETTO (STATI UNITI, AREA FRANCO-BELGA, GIAPPONE, ITALIA E RESTO DEL MONDO) E I LORO PERSONAGGI, TRA SUPEREROI E ANTIEROI, PER ESPLORARE LA NONA ARTE SOTTO I PRISMI DELL’ANALISI GEOPOLITICA.

isbn: 978-88-94818-89-5

edizioninpe.it Edizioni NPE euro 14,90


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