Neil Gaiman, Jorge L ouis B orges, Manly Wade Wellman e molti altri...
Gli accoliti di Cthulhu
a cura di Robert M. Price
Gli accoliti di Cthulhu
A cura di Robert M. Price
Traduzione in lingua italiana del volume Acolytes of Cthulhu pubblicato da Titan Publishing Group Ltd © Titan Publishing Group Ltd © 2024, Solone srl Tutti i diritti riservati.
Collana Narrativa, 44
Caporedattore: Stefano Romanini
Ufcio Stampa: Gloria Grieco Service editoriale: Ruslan Viviano
Progetto grafco di cover e quarta: Sebastiano Barcaroli
Traduzione: Gloria Grieco: Introduzione, La maledizione del casato dei Duryea, Il settimo incantesimo, Dalle profondità dell’antica blasfemia
Traduzione a cura di CHWilliams Language Services di Camilla Hanako Williams: I gioielli di Charlotte, Le lettere di fuoco freddo, Orrore a Vecra, Fuori dal vasetto, Il cervello della terra, Attraverso l’angolo alieno, L’eredità in un cristallo, Il testamento di Claude Ashur, La guerra fnale, L’orrore di Dunstable, La culla dell’inferno, L’ultimo lavoro di Pietro d’Apono, L’occhio di Horus, La cantina, Mythos, Ci sono altre cose, L’orrore fuori dal tempo, Il destino ricorrente, Conoscenza necrotica, Autobus notturno, L’anello di peltro, John Lehmann da solo, La morte viola, Nebbie di morte, Shoggot riserva speciale Correzione bozze: Roberta Amorino
Stampato in Cina – novembre 2024 Edizioni NPE
è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE youtube.com/@EdizioniNPE_ #edizioninpe
introduzione p. 15
la maledizione del casato dei duryea p. 27 di Earl Peirce, Jr.
il settimo incantesimo p. 41 di Joseph Payne Brennan
dalle profondità dell ’ antica blasfemia p. 47 di Hugh B. Cave & Robert M. Price
i gioielli di charlotte p. 69 di Duane Rimel
le lettere di fuoco freddo p. 77 di Manly Wade Wellman
orrore a vecra
91 di Henry Hasse
fuori dal vasetto
111 di Charles A. Tanner
il cervello della terra
121 di Edmond Hamilton
attraverso l ’ angolo alieno p. 145 di Elwin G. Powers
l’eredità in un cristallo p. 149 di James Causey
il testamento di claude ashur p. 163 di C. Hall Tompson
la guerra finale p. 203 di David H. Keller, M.D.
l ’ orrore di dunstable p. 209 di Arthur Pendragon
la culla dell ’ inferno p. 227 di Arthur Pendragon
l ’ ultimo lavoro di pietro d ’ apono p. 245 di Stefan B. Aletti
l ’ occhio di horus
253 di Stefan B. Aletti
la cantina p. 261 di Stefan B. Aletti mythos p. 275 di John S. Glasby
ci sono altre cose p. 303 di Jorges Luis Borges
l ’ orrore fuori dal tempo p. 309 di Randall Garrett
il destino ricorrente
di S. T. Joshi
conoscenza necrotica
di Dirk W. Mosig
autobus notturno
di Donald R. Burleson
l ’ anello di peltro
di Peter H. Cannon
john lehmann da solo
di David Kaufman
la morte viola
di Gustav Meyrink
nebbie di morte
di Richard F. Searight & Franklyn Searight
shoggoth riserva speciale
di Neil Gaiman
INFORMAZIONI SUI RACCONTI PRESENTI NEL VOLUME
Introduzione p. 15
(© 2014 Robert M. Price);
La maledizione del casato dei Duryea p. 27
di Earl Peirce, Jr. (© 1936 Popular Fiction Publishing Company per Weird Tales); Il settimo incantesimo p. 41
di Joseph Payne Brennan (© 1963 Joseph Payne Brennan per Scream at Midnight);
Dalle profondità dell’antica blasfemia p. 47
di Hugh B. Cave e Robert M. Price (© 2014 Te Estate of Hugh B. Cave);
I gioielli di Charlotte p. 69
di Duane Rimel (©1935 Duane Rimel per Unusual Stories);
Le lettere di fuoco freddo p. 77
di Manly Wade Wellman (© 1944 Popular Fiction Company per Weird Tales);
Orrore a Vecra p. 91
di Henry Hasse (© 1943, pubblicato con il permesso di Forrest J. Ackerman);
Fuori dal vasetto p. 111
di Charles A. Tanner (© 1940 Albing Publications per Stirring Science Stories); Il cervello della Terra p. 121
di Edmond Hamilton (© 1932 Popular Fiction Company per Weird Tales); Attraverso l’angolo alieno p. 145
di Elwin G. Powers;
L’eredità in un cristallo p. 149
di James Causey (© 1943 Popular Fiction Publishing Company per Weird Tales); Il testamento di Claude Ashur p. 163
di C. Hall Tompson (© Popular Fiction Publishing Company per Weird Tales);
La guerra fnale p. 203
di David H. Keller, M.D. (apparso per la prima volta su Perri Press nel 1949);
L’orrore di Dunstable p. 209
di Arthur Pendragon (© 1964 Zif-Davis Publishing Company per Fantastic Stories of the Imagination);
La culla dell’Inferno p. 227
di Arthur Pendragon (© 1965 Zif-Davis Publishing Company per Fantastic Stories of the Imagination);
L’ultimo lavoro di Pietro d’Apono p. 245
di Stefan B. Aletti (© 1969 Health Knowledge, Inc. per Magazine of Horror);
L’occhio di Horus p. 253
di Stefan B. Aletti (© 1968 Health Knowledge, Inc. per Magazine of Horror);
La Cantina p. 261
di Stefan B. Aletti (© 1969 Health Knowledge, Inc. per Weird Terror Tales);
Mythos p. 275
di John S. Glasby (© John Spencer & Co. per Supernatural Stories);
Ci sono altre cose p. 303
di Jorges Luis Borges (© 1975 Te Atlantic Monthly per Te Atlantic Monthly);
L’orrore fuori dal tempo p. 309
di Randall Garrett (© 1978 Mercury Press, Inc. per Fantasy & Science Fiction);
Il destino ricorrente p. 321
di S.T. Joshi (© 1980 prima apparizione su Kenneth Neilly, ed., Lovecraftian Ramblings XV);
Conoscenza necrotica p. 341
di Dirk W. Mosig (© 1976 prima apparizione su Mosig, ed., Te Necrotic Scroll); Autobus notturno p. 349
di Donald R. Burleson (© 1985 Yith Press per Eldritch Tales);
L’Anello di peltro p. 353
di Peter H. Cannon (© 1989 Cryptic Publications per Tales of Lovecraftian Horror);
John Lehmann da solo p. 361
di David Kaufman (© 1987 Alfred Hitchcock’s Mystery Magazine);
La morte viola p. 375
di Gustav Meyrink (© 1997 Robert M. Price);
Nebbie di morte p. 381
di Richard F. Searight and Franklyn Searight (© 1999 per questa raccolta); Shoggoth riserva speciale p. 405 di Neil Gaiman (© 1998 Neil Gaiman. Pubblicato per la prima volta su Te Mammoth Book of Comic Fantasy).
INTRODUZIONE
Dalla sua morte nel 1937, Lovecraft è divenuto rapidamente un cult. Aveva già un suo circolo di discepoli che collaborava con lui e lo emulava.
Edmund Wilson, Tales of the marvellous and the ridiculous, 24 novembre 1945
Èimportante notare come H.P. Lovecraft si frmasse talvolta come “Grandpa Cthulhu” o anche semplicemente “Cthulhu”. Per questo gli accoliti di Cthulhu sono i suoi stessi accoliti. Il culto di Cthulhu è il culto letterario di Lovecraft. Credo che questo spieghi in gran parte il potere che gli scritti di Lovecraft esercitano su molti lettori e catturano la loro immaginazione, senza mai abbandonarla.
Tutti i suoi testi, come ha scritto Michael Rifaterre (in Fictional truth), acquistano profondità e spessore, riescono insomma a “suonare veri” ai propri lettori, dal momento che l’autore ha costruito – nella cassa di risonanza di un sottotesto – una realtà precedente, grazie alla quale le immagini e gli sviluppi della storia appaiono solidi. Una storia costruita sulla sabbia suonerebbe vuota, inverosimile, quando sottoposta al controllo del lettore.
Un classico esempio potrebbero essere i cosiddetti dicta probantia del Vecchio Testamento, citati nel Vangelo secondo Matteo per dimostrare come diverse vicende della vita di Gesù avessero avverato la profezia. Queste presunte vicende richiedono un qualche sostegno alla credibilità, dal momento che parlano di un uomo concepito dallo Spirito Santo nel grembo di una Vergine, il quale miracolosamente guarisce i malati e così via; non esattamente il tipo di argomenti che supera facilmente il criterio di plausibilità della maggior parte dei lettori. Ma quando Matteo li racconta, li fornisce di una apparente corrispondenza nelle Antiche Scritture.
Allora il lettore è portato a pensare che, dopotutto, i miracoli siano accaduti davvero. All’improvviso sembrano corrispondere a un’antica profezia. Come fossero il compimento di quanto annunciato centinaia di anni prima da Isaia, Geremia o Ezechiele. Per fare un esempio completamente diverso, l’orrore in Pet Sematary di Stephen King, la cui trasposizione cinematografca non può che apparire cartoonesca, colpisce nel profondo i lettori sensibili dal momento che gran parte del testo descrive una tragedia familiare che ruota attorno all’inaspettata morte di un bambino. In mancanza di un sottotesto molto realistico, lo stillicidio di zombie non avrebbe mai convinto.
Intendo dire che una grande ragione per cui i racconti di Lovecraft hanno un potere ipnotico su molti di noi, è che ci vediamo rifessi nello specchio che lui stesso regge. Scopriamo hpl probabilmente quando siamo degli adolescenti secchioni, poco atletici e non interessati all’esistenza da pecoroni dei nostri coetanei, guidati dagli ormoni. Per questo fniamo per identifcarci con i misantropi eruditi che popolano le sue storie. Amiamo i libri, e nel momento in cui scopriamo i nostri reconditi autori preferiti, molte delle loro opere sono probabilmente fuori catalogo. Così, come i bibliofli dannati di Te shambler from the stars di Bloch e Te thing on the roof di Howard, impariamo cosa vuol dire bramare volumi introvabili e provare ciò che a noi (e ancor di più a coloro che non condividono il nostro amore per i libri) sembra essere un fantastico, fanatico desiderio di possedere quei tesori. Assicurarsi una copia di Te outsider and others sarebbe davvero una cosa da poco rispetto a imbattersi in una copia della traduzione del Necronomicon di John Dee.
Alcuni fanno notare, con una certa preoccupazione, come i fandom tendano ad assumere delle connotazioni religiose. Il più banale invita quei fan a “farsi una vita!”. Ma sapete, noi abbiamo una vita! Si tratta di capire dove. Come canta Debbie Harry nella canzone Te real world, «Io vivo in una rivista [«Weird Tales», nel nostro caso], non nel mondo reale... non più, non più, non più». O se preferite i rem: «È la fne del mondo per come lo conosciamo, e io mi sento bene». Non esiste un “mondo reale” oggettivo. Ogni esistenza è essenzialmente un copione che si sviluppa nel contesto di uno o dell’altro universo narrativo fttizio. Siamo tutti degli “anacronisti creativi”, ma noi lovecraftiani, come i nostri cugini in altri fandom buddisti, abbiamo scelto di far parte di una minoranza, di condurre una vita settaria che i sociologi Berger e Luckmann (in La realtà come costruzione sociale) defniscono come “provincia fnita di signifcato”. Siamo disposti a sopportare la disapprovazione dei morti viventi che ci circondano, gli stessi che perseguitano il povero Dilbert. Siamo orgogliosi che hpl non sia riuscito a tenersi un lavoro terreno, anche se noi stessi ne siamo capaci.
Lovecraft è diventato il nostro Cristo, il nostro Dio. Un angelo apparve in sogno all’erudito San Girolamo per rimproverargli il suo amore per i Classici e disse: «Tu non sei un seguace di Cristo, ma di Cicerone». Colpevole!
Alcuni disprezzano i fandom che si sostituiscono in qualche modo alla religione perché ritengono, come fu per Paul Tillich, che quest’ultima debba simboleggiare e concentrarsi sulle preoccupazioni fnali di un individuo, e che queste debbano rappresentare il giusto fne ultimo, occupandosi di questioni di puntuale rilevanza ed eterna importanza. Ma è una visione triste e puritana della religiosità. Si focalizza sul punto sbagliato trascurando il ruolo dell’immaginazione nella religione, ad esempio nel mito. Credo che la sensibilità religiosa sia essenzialmente uno stimolo estetico dell’immaginazione che contribuisce a un’interpretazione estetica della vita e del mondo attraverso il fltro con cui scegliamo di vederli, sia esso quello della grande storia epica di salvezza della Bibbia o quello della storia cosmica di Lovecraft. È questo genere di fantasie vivide ad arricchire una vita altrimenti spenta e utilitaristica. Le convinzioni morali di cui, bisogna ammetterlo, ciascuno di noi ha bisogno sono una cosa diversa, ed è un errore pericoloso farle dipendere dalle convinzioni religiose. Facendo questa confusione, la moralità sarà sempre soggetta a un dogma e porterà prima o poi a guerre sante e inquisizioni.
Dunque noi lovecraftiani, noi accoliti di Cthulhu, non ambiamo a desumere i nostri principi morali da Lovecraft (per quanto capiti di trovarlo convincente quando afronta tali questioni nei suoi saggi e nelle sue lettere). E non pensiamo che gli altri debbano necessariamente individuare le loro bussole morali nelle proprie religioni. Che mondo migliore sarebbe se tutti potessimo trarre i nostri scrupoli morali dal buonsenso, da una serie di considerazioni terrene, e accettare di non essere d’accordo su quale scelta nutrirà la nostra immaginazione, generando universi simbolici di cui respireremo l’aria giorno dopo giorno.
Il culto di Lovecraft temo sia di un livello ancor più infantile rispetto agli “irregolari di Baker Street” e il loro culto di Sherlock Holmes.
Edmund Wilson, Tales of the marvellous and the ridiculous
...tutti i prigionieri dimostrarono di essere uomini di tipo bassissimo, mezzosangue, e aberrati mentalmente. La maggior parte erano uomini di mare, e un piccolo numero di negri e mulatti, in larga parte provenienti dalle Indie Occidentali o Brava Portoghesi provenienti dalle isole di Capo Verde, dava un’impronta voodoo all’eterogeneo culto.
H.P. Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu, 1926
L’adolescenza è quella fase in cui le persone intelligenti cominciano ad essere indipendenti rispetto alle infuenze familiari, abbastanza da poter mettere duramente sotto esame tutte le credenze ereditate. Se vuoi diventare un razionalista, uno scettico, un agnostico, l’adolescenza è il momento migliore per farlo. È un meccanismo di ribellione. Un modo per camminare con le tue gambe, per farti valere. Ciò non signifca che sia sufciente buttare via il catechismo dell’infanzia. Devi anche acquisire per la prima volta la capacità di ragionamento critico. Se c’è del marcio nel dogma della Danimarca, ora hai il futo per scovarlo. E tutto questo, inoltre, ti prepara alla comprensione di hpl. Scopri così la visione scientifca, razionalista, cosmicistica che Lovecraft ha del mondo, in cui il mito dell’antropocentrismo viene rovesciato dalla consapevolezza della sconfnata eternità (ben riassunta da William Jennings Bryan) della polvere universale.
Lontano dal gregge degli adulti conservatori, che si nutrono di sitcom, e dei coetanei frequentatori di balli di fne anno, il giovane lovecraftiano si aggrappa strettamente alla propria dottrina segreta, incurante della massa circostante, proprio come Lovecraft e per le stesse ragioni. Questo tipo di lettore si rispecchierà analogamente nel romanzo Te new Adam di Stanley G. Weinbaum.
Il problema di Edmund Wilson, per colpa del quale fece quelle afermazioni blasfeme che non potremo mai perdonare sul nostro Dio della fction, non più di quanto i veterani del Vietnam possano mai perdonare Jane Fonda, è che lui stava andando in cancrena e ne andava anche orgoglioso. Diversamente dai teoreti dell’analisi transazionale, che esortano a mantenere vivo il bambino che è in noi, Wilson apparteneva a una generazione di fumatori di sigari e bevitori di scotch fssati con il fetore pungente e stantio del “verismo”, convinti che la letteratura dovesse rifettere quella mentalità, riducendo le pagine dei “buoni libri” a mera tappezzeria per la prigione della noiosa età adulta.
Noi entriamo in scena con un’ingenua preveggenza che ci consente di vedere le ruggenti glorie di un adepto Zen. Crescendo, si formano delle nebulose cataratte sull’anima che non permettono di percepire la magia a lungo, ma gli appassionati hanno trovato una soluzione. Noi usiamo la fction di Lovecraft (e di altri idoli) così come un esausto Randolph Carter usava la chiave d’argento, per far ritorno allo splendido mondo dei sogni, l’unico veramente signifcativo. D’altronde Lovecraft, come Proust, ammise candidamente che si trattava di un ritorno all’infanzia. Ma perché porla in maniera così improba? Perché non scegliere, ad esempio, un’altra metafora nel fare marcia indietro e tornare bambini per poter accedere al regno dei cieli, dal momento che solo questi possono guadagnarselo?
I tempi sono maturi per acquisire maggiore consapevolezza dell’aspetto più serio e profondo della narrativa di Lovecraft... Il terreno è particolarmente fertile in Europa, dove c’è un’alta considerazione delle sue opere.
Dirk W. Mosig, Te Prophet from Providence, 1973
Rovine di ciclopi antidiluviani su un’isola solitaria del Pacifco. Centro di un culto sotterraneo e universale delle streghe.
H.P. Lovecraft, Commonplace Book #110, 1923
Il fascino esotico del culto segreto di Cthulhu, nella narrativa di Lovecraft, nasce dal curioso paradosso di essere difuso in tutto il mondo pur essendo appunto segreto. Procede insieme con la Storia, è il lascito degli Antichi dormienti all’ingannabile razza umana (non che sia diverso dalle tradizionali religioni del Vicino Oriente, dal momento che sia nell’Enūma eliš babilonese che nella Genesi l’umanità è creata per servire, come un insieme di schiavi che fungono da guardiani della Terra). Il culto copre la terra come le acque coprono il mare. Se qualcuno apprende troppo su di esso, appaiono dal nulla dei “negri dall’aspetto di marinai” per eliminarlo, sebbene gli studiosi dell’Occidente sembra non ne abbiano mai sentito parlare. I seguaci di Cthulhu esercitano i propri rituali in posti isolati, lontani dalla civiltà.
Così anche gli accoliti di Lovecraft: ci identifchiamo con l’indistinta rete di lovecraftiani difusa in vari luoghi e, sebbene apprezziamo la comunanza con spiriti afni, la temiamo anche, per paura di essere costretti a profanare i nostri tesori più cari portandoli allo scoperto.
L’interesse amichevole di un altro fan di Lovecraft è un sollievo (non siamo pazzi: qualcun altro ha la nostra stessa ossessione!) e al tempo stesso una minaccia, poiché per noi i testi di Lovecraft rappresentano un sancta sanctorum in cui soltanto un’anima solitaria può mettere piede. La riunione della congrega dovrebbe essere una convocazione sacra, eppure è in qualche modo una violazione. Questo spiega probabilmente il carattere scioccante e orribile di molte convention di fan (anche in quei microcosmi noti come fumetterie).
Gli esoteristi che, dal percorrere un sentiero solitario, fniscono per riunirsi periodicamente, si trasformano magicamente in un mucchio di detestabili, profani e banali membri del Raccoon Lodge. I loro strani costumi, che sembravano il segno di una devozione solitaria ai più oscuri misteri, in virtù di un semplice raggruppamento di
persone diventano una nuova e pubblica mondanità, come i geek nel pubblico del programma televisivo “Let’s make a deal”. Partecipando a un evento di questo tipo, capisci improvvisamente quel vecchio detto secondo cui non vorresti mai far parte di un gruppo che ha tra i suoi membri qualcuno come te.
I Misteri diventano pateticamente profani con la rivelazione comune. Per questo l’esoterista esige segretezza, anche se uno un giorno dovesse ritrovarsi circondato da suoi simili (e in efetti, in una convention, lo è). Come disse Macrobio riferendosi ai Misteri Greci: «Soltanto una élite può venire a conoscenza del vero segreto... Il resto può accontentarsi di venerare il mistero, difendendolo dalle... espressioni fgurate della banalità». A mio avviso, il fantastico Necronomicon cammina perfettamente sul flo del rasoio che sto descrivendo. Non ammette costumi né armi, eccetto lingue critiche pungenti.
Allo stesso modo, colui che ama ciò che i comuni mortali disprezzano, deve pensarci due volte prima di cercare la rispettabilità tra i mondani. Alcuni lovecraftiani insistono afnché Lovecraft ottenga, tra i maestrini e gli ottusi accademici, la stessa anestetica accettabilità che ha afondato Poe in un mare soporifero. Viene da chiedersi se il loro obiettivo sia quello di tornare a un’esistenza mondana pur non abbandonando Lovecraft. Ma tutto ciò è fuorviante: se ci si vuole lasciare lo Shangri-La alle proprie spalle, non bisogna trascinare con sé hpl scalciando e urlando oltre il portale incantato, per l’amor di Yog!
Potremmo anche tentare di difendere Lovecraft da coloro che non potranno mai apprezzarlo (come il mondano incallito Wilson) utilizzando l’espediente preferito delle matricole di antropologia: abbracciare i metodi delle culture aliene soltanto per ottenere una posizione strategica da cui sparare alla propria. Nel caso qui contemplato, dobbiamo pensare a un intimidito fan di Lovecraft che deve controbattere alle critiche dei mondani senz’anima, i quali sostengono che Lovecraft non deve valere molto se non piace a un ciarlone come Wilson (un po’ come Lucy che dice a Schroeder che se Beethoven fosse stato così eccezionale, avrebbero messo la sua faccia sulle gomme da masticare). Qual è la risposta? L’apologista lovecraftiano potrebbe rispondere che Lovecraft è molto più apprezzato in America Latina e in Europa, specialmente in Francia. Ma poi, a pensarci bene, anche Jerry Lewis lo è.
La possibilità di imitazione dimostra, per così dire, che ogni idiosincrasia è soggetta a generalizzazione. La singolarità stilistica non è l’identità numerica di un individuo ma l’identità specifca di un tipo. Un tipo che può mancare di antecedenti ma che è soggetto a un numero infnito di applicazioni successive. Descrivere una singolarità signifca in qualche modo abolirla moltiplicandola.
Gerard Genette, Finzione e dizione, 1993
«Io sono il Suo Messaggero», disse il demone mentre con disprezzo colpì la testa del suo Padrone.
H.P. Lovecraft, “Azathoth”, Funghi di Yuggoth XXII
Forse la vera nota negativa dei seguaci di Lovecraft, accoliti di Cthulhu, è che si sforzano troppo (o non abbastanza?) di seguire le scritture del vecchio gentiluomo. I loro numerosi pastiches hanno quell’odore di pesce che lo stesso Lovecraft non sopportava. È così grande il loro entusiasmo che, di fatto, molti di essi si lanciano avventatamente in battaglia. Ma abbiate un po’ di pazienza, consideratelo un esercizio di apprendimento.
Nell’antico mondo ellenistico, era un vero esercizio scolastico. Gli studenti dovevano dimostrare di aver compreso Socrate, Diogene e gli altri, componendo aneddoti e frasi che riassumessero il pensiero dei grandi uomini. È questo che fanno i pasticheurs, e molti di loro si stanno facendo le ossa in questo modo. Forse un giorno potranno scoprire il proprio stile, proprio come Brian Lumley, Ramsey Campbell e Robert Bloch. Ma c’è anche la possibilità che venga fuori un pasticheur maturo di Lovecraft, qualcuno che porti efettivamente avanti la vecchia eredità.
Forse, così come i teosof hanno consacrato Krishnamurti, dobbiamo aspettare “colui che verrà”; anche se credo si sia già incarnato in Tomas Ligotti e in pochi altri. Ma resta ancora qualcosa da sapere sui pastiches giovanili, che costituiscono una sorta di rito di iniziazione per i lovecraftiani (vedi in questo volume Il destino ricorrente di S. T. Joshi). Supponiamo che qualcuno legga questi racconti derivativi e li trovi scarsi: incolperà hpl? Come un povero magnete che attiri a sé tali limature? Un dio che permette ai propri servitori di colpirlo in questo modo, non è forse un idiota?
Io penso di no. È importante ricordare che la parodia e il pastiche sono separati da una linea sottilissima, come l’amore e l’odio. Il pasticheur cerca di cogliere i segni
distintivi dello stile del suo modello, così da emularlo. Più si avvicina all’originale, migliore sarà il risultato. Ma se l’aspirante pasticheur non va oltre le caratteristiche superfciali più evidenti (ad esempio i titoli dei libri e i nomi dei mostri di Lovecraft o i fnali delle storie in corsivo), si appoggerà troppo pesantemente su di esse ignorando il resto, i complessi ricami di stile e struttura che esercitano la loro magia in maniera così sottile da stregare anche il lettore adolescente, pur non essendo lui in grado di individuare il trucco.
Il trucco c’è, d’accordo, ma come il pubblico stupito di Houdini, l’adolescente pasticheur non riesce a capire come riprodurre l’impresa, e se ci prova il risultato è imbarazzante. Ma prima o poi, in questo modo, il ragazzo imparerà da solo i trucchi, se saremo pazienti con lui.
In che modo gli autori di questo volume possono essere considerati “accoliti” di Lovecraft o del Grande Cthulhu? Alcuni facevano parte dell’élite a cui faceva riferimento Wilson, discepoli di Lovecraft quando questo era ancora in vita, apprendisti che chiedevano i suoi consigli e scrivevano alla sua maniera. Duane Rimel fu uno di questi. I gioielli di Charlotte è un’appendice del suo racconto più noto L’albero sulla collina e della poesia I sogni di Yith, che hanno visto entrambi il contributo di Lovecraft. Con la prima storia ha in comune il protagonista Constantine Teunis e, come la seconda, cita il lontano pianeta Yith, creato da lui insieme a Lovecraft. Analogamente, Richard J. Searight fu un altro corrispondente di Lovecraft e accolse con entusiasmo le sue idee.
Searight lasciò due bozze incompiute di un racconto che intendeva intitolare Nebbie di morte , e suo f glio Franklyn Searight, un valente scrittore weird della vecchia scuola, ha intrecciato quei f li penzolanti in un arazzo di cui suo padre sarebbe stato orgoglioso.
Altri autori, senza cercare consapevolmente di scrivere nello stile lovecraftiano, possono tuttavia essere annoverati tra gli accoliti di Cthulhu, in quanto pare che, come il folle scultore Wilcox, fossero sensibili alle sollecitazioni del sognatore di R’lyeh. Erano sulla stessa lunghezza d’onda di Lovecraft, anche se scrivevano indipendentemente dal recluso di Providence.
Uno di questi fu Gustav Meyrink, di cui Lovecraft apprezzò molto il romanzo Il Golem. Ma ora stavo pensando a un’altra opera di Meyrink: La morte viola. Una versione inglese della storia, Te Violet Death, apparve nel numero di luglio «Weird Tales» nel 1935. Chiunque abbia familiarità con il tedesco originale di Meyrink, riconoscerà che la versione apparsa su «Weird Tales» è soltanto un libero adattamento, non esattamente la traduzione de La morte viola. Per questo motivo, ho commissionato a Kathleen Houlihan una nuova, fedele traduzione, dal titolo Te Purple Death.
Trovereste molto interessante confrontare le due versioni inglesi. Ringrazio il professor Daniel Lindblum per avermi fatto trovare l’originale.
Earl Peirce fu una sorta di nipote letterario del vecchio gentiluomo, essendo un protetto del protetto di Lovecraft, Robert Bloch. Ne La maledizione del casato dei Duryea, Peirce si ispira al libro di Bloch. “Quale?”, vi chiederete. Un piccolo volume di cui forse avete sentito parlare: De Vermis Mysteriis.
Henry Hasse fu un altro contemporaneo di Lovecraft. Scriveva anch’esso su «Weird Tales» e, come Wellman, trovava che il Necronomicon fosse troppo afascinante per non consultarlo nella sala delle collezioni speciali della Miskatonic. Fece riferimento al temibile tomo sia in Te Guardian of the Book (presente nella mia antologia Tales of the Lovecraft Mythos) che in Orrore a Vecra, un racconto certamente da fan, apparso nella fanzine lovecraftiana «Te Acolyte» nell’autunno del 1943 e raccolto in questa pubblicazione.
Nel suo intrigante saggio Some Notes on Cthulhuian Pseudobiblia (in H.P. Lovecraft: Four Decades of Criticism di S. T. Joshi), Edward Lauterbach cercò di richiamare l’attenzione su un testo sui Miti, citato dallo scrittore di fantascienza Charles R. Tanner all’interno del racconto Fuori dal vasetto (apparso in Stirring Science Stories nel febbraio del 1941): il Leabhar Mor Dubh, o “Grande Libro Nero”, un volume di blasfemia gaelica.
Secondo Tanner, la voce di Lauterbach per qualche motivo non era riuscita a ottenere l’attenzione che meritava. Mi auguro che ripubblicare questa storia possa contribuire a rimediare in qualche modo. Il mio ringraziamento va a William Fulwiller, sempre molto attento, per avermi fatto conoscere il racconto.
Un altro caso di tomi sui Miti rimasti all’oscuro nonostante la loro intrinseca succosità, sono gli infernali Mnemabic Fragments di Stefan B. Aletti, che fecero un troppo breve debutto in Te Last Work of Pietro of Apono di Aletti («Magazine of Horror» #27, maggio 1969). Il primo lavoro di Aletti, un quartetto di racconti apparsi sulle riviste di Doc Lowndes, suscitò molto scalpore tra i lettori, che subito lo acclamarono e defnirono come il nuovo alfere della tradizione lovecraftiana. Tuttavia, di recente Aletti ha lasciato il campo, ed è giunto il momento di rendere nuovamente disponibili i suoi primi scritti, prima che diventino introvabili come gli stessi Mnemabic Fragments. Tre di questi sono nel presente volume, mentre il quarto, Te Castle in the Window, compare nella mia antologia Te Necronomicon edita da Chaosium. Sono in debito con Mike Ashley per avermi introdotto all’opera di Stefan Aletti.
Un altro scrittore lovecraftiano la cui fama è più circoscritta di quanto dovrebbe, è Arthur Pendragon. Questo relativo anonimato è, però, facilmente comprensibile per due ragioni: la prima è che, a quanto ne so, ha scritto solo un paio di racconti, Te Dunstable Horror e Te Crib of Hell (apparsi rispettivamente su «Fantastic» nell’aprile
1964 e maggio 1965); la seconda è che si celava dietro uno pseudonimo. Come fa notare il sapiente Darrell Schweitzer, l’identità segreta di Pendragon coincide probabilmente con quella di Arthur Porges, che scrisse per la rivista – con un nome decisamente simile – nello stesso periodo. Mi sembra ragionevole. Lasciatemi ringraziare Fred Blosser per avermi fatto scoprire i due racconti di Pendragon/Porges.
In una lettera all’amico Lovecraft, Clark Ashton Smith lamentava quanto segue: «Edmond Hamilton, che sia dannato, ha rovinato un’idea simile a quella che avevo in mente per un racconto che si sarebbe intitolato Te lunar brain, basato sulla teoria che ci sia un vasto cervello vivente al centro della luna» (marzo 1932). Forse Smith intendeva dire che Hamilton, il fustigatore preferito sia di cas che di hpl, aveva rovinato l’idea sviluppandola in modo banale? O aveva semplicemente rovinato la possibilità che Smith potesse utilizzarla, dal momento che avrebbe dato l’impressione di aver copiato Hamilton? In ogni caso il racconto di Hamilton, raccolto in questo volume, ha molti punti a suo favore, specialmente dal punto di vista del cosmicismo lovecraftiano.
Tra gli accoliti di Cthulhu dobbiamo certamente annoverare il professor Dirk W. Mosig e i suoi brillanti discepoli S. T. Joshi, Donald R. Burleson e Peter H. Cannon. Tutti loro hanno seguito l’esempio di Mosig nelle proprie ricerche innovative e nella reinterpretazione critica della prospettiva flosofca di Lovecraft, così come nei tentativi sperimentali di scrivere testi autenticamente lovecraftiani senza essere infuenzati dalla tradizione di Derleth, a volte in modo ironico altre in maniera tremendamente seria. E poi c’è il delizioso pastiche derlethiano Il destino ricorrente, un’indiscrezione giovanile perpetrata dal diciassettenne Joshi nel 1975 e qui ripubblicata dopo essere apparsa sulla fanzine «Lovecraftian Ramblings» XV (1980) di Ken Neilly.
robert m. price Halloween 1997.
Altri titoli della stessa collana:
H.P. Lovecraft – I gatti di Ulthar e altri racconti isbn: 978-88-94818-99-4
H.P. Lovecraft – La musica di Erich Zann e altri racconti isbn: 978-88-94818-42-0
H.P. Lovecraft – La tomba– isbn: 978-88-94818-83-3
I luoghi di Lovecraft – isbn: 978-88-94818-41-3
Vampiri: dove trovarli – isbn: 978-88-94818-94-9
Animali misteriosi e come mangiarli – isbn: 978-88-36270-83-5
I luoghi del Re – isbn: 978-88-36272-13-6