L’editore e l’autore ringraziano ARF! Festival per averli fatti incontrare.
Hanna-Barbera di Marco Gasperetti © dell’Autore dei testi © Solone srl per questa edizione © degli aventi diritto per le immagini utilizzate Collana: L’Arte delle Nuvole, 23 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini e informazioni: info@edizioninpe.it Ufficio Stampa e Supervisione: Stefano Romanini ufficiostampa@edizioninpe.it service editoriale Valeria Morelli grafica in copertina Sebastiano Barcaroli Stampato presso Peruzzo Industrie Grafiche SpA – Mestrino (PD) nel mese di giugno 2017 Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl via Aversana, 8 - 84025 Eboli (SA) recapito postale NPE c/o mbe via Brodolini, 30/32 z.i. 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe
Marco P. Gasperetti
Hanna-Barbera I personaggi e le avventure dello studio che ha fatto la storia dell’animazione televisiva
Indice
INTRODUZIONE
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PREFAZIONE
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Capitolo primo Capitolo secondo Capitolo terzo Capitolo quarto
HANNA INCONTRA BARBERA
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WILLIAM HANNA
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JOSEPH ROLAND BARBERA
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Capitolo quinto Capitolo sesto
UN GATTO E UN TOPO NELLA TANA DEL LEONE 4.1 Gli inizi alla mgm 4.2 Di topi e... gatti 4.3 Tom & Jerry 4.4 Musica per gatti e topi 4.5 Tom, Jerry e gli altri 4.6 Le sette statuette d’oro di Hanna-Barbera 4.7 La censura in Tom & Jerry 4.8 La fine alla mgm 4.9 Tom & Jerry: la storia continua HANNA-BARBERA PRODUCTION
33 33 36 40 46 47 51 55 58 60
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LIMITED ANIMATION 6.1 Architettura di un personaggio 6.2 Layout artist 6.3 L’animazione pianificata e gli altri Studios
71 72 74 78
Capitolo settimo
THE RUFF & REDDY SHOW
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Capitolo ottavo
Capitolo nono
Capitolo decimo
Capitolo undicesimo
Capitolo dodicesimo Capitolo tredicesimo
Capitolo quattordicesimo
I GRANDI SHOW CLASSICI 8.1 The Huckleberry Hound Show 8.2 Braccobaldo Bau 8.3 Pixie, Dixie e Mr. Jinks 8.4 L’Orso Yoghi 8.5 Gli show di Yoghi 8.6 L’Orso Yoghi, addio alla tv 8.7 Gli speciali dell’orso Yoghi e il ritorno al grande schermo 8.8 Le star degli show classici
89 89 91 93 95 97 101 102 104
DAI FLAGSTONES AI FLINTSTONES 9.1 Meet the Flintstones 9.2 La trama di Una strana macchina volante 9.3 “Yabba Dabba Doo” e le guest star 9.4 Lungometraggio e special tv 9.5 La famiglia del futuro: I Jetson 9.6 La trama di Rosey the Robot (“Il Robot - 1961)
111 118 119 125 126 129 132
TOP CAT 11.1 La trama di Hawaii, Here we come (“Come andare alle Hawaii - 1961)
143
LA “SVOLTA” JONNY QUEST 10.1 Il lato oscuro di Jonny Quest 10.2 Il destino dei Quest
133 138 140 148
WACKY RACES
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SCOOBY-DOO – THE MYSTERIES FIVE 13.1 Scooby-Doo, Where Are You! 13.2 La trama di What a night for a knight (1969) 13.3 The New Scooby-Doo Movies 13.4 Scooby-Doo & Dynomutt 13.5 Scooby va a Hollywood 13.6 Arriva Scrappy-Doo 13.7 Scooby-Doo ancora in tv 13.8 Be Cool Scooby-Doo! 13.9 Scooby Doo, fuori serie
161 164 165 169 170 171 172 173 175 177
NUOVI SUPEREROI 14.1 Space Ghost e Dino Boy 14.2 Space Ghost – The Council of Doom 14.3 Moby Dick and Mighty Mightor 14.4 Gli Erculoidi 6
183 184 188 190 192
Capitolo quindicesimo Capitolo sedicesimo
Capitolo diciassettesimo Capitolo diciottesimo
Capitolo diciannovesimo
14.5 Shazzan! 14.6 Birdman e il Galaxy Trio 14.7 Young Samson and Goliath 14.8 Frankenstein Jr. e Gli Impossibili, il lato comico dei supereroi 14.9 La Formica Atomica, piccolo grande eroe
194 197 203 204 208
SUPEREROI DI “CARTA” 15.1 I Fantastici Quattro e La Cosa 15.2 I Superamici
211 211 214
HANNA-BARBERA FRANCOFONI 17.1 Dal Belgio arrivano i Puffi… 17.2 ...e gli Snorky 17.3 Hanna-Barbera e altre storie del Belgio
235 235 243 246
DALLA FICTION AL CARTOON 16.1 La famiglia Addams 16.2 Jeannie 16.3 Fonzie, Laverne & Shirley e Mork & Mindy 16.4 vic Very Important Cartoon
NELLA TELA DI CARLOTTA, IL RITORNO AL GRANDE SCHERMO
223 223 226 228 230
249
WHAT A CARTOON! 19.1 The Powerpuff Girls (“Le Superchicche”) 19.2 Dexter’s Lab (“Il Laboratorio di Dexter”) 19.3 Cow & Chicken (“Mucca e Pollo”) BIBLIOGRAFIA
255 256 258 259
FILMOGRAFIA
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7
263
Introduzione
Non ricordo dove lessi che scrivere l’introduzione per un libro è l’ultima parte che si scrive e che è anche quella che in molti nemmeno leggeranno mai. Ed eccomi qui, a libro concluso, a scrivere la mia introduzione. Ma non è semplice scrivere l’introduzione a un libro che ha l’ambizione di raccontare sessant’anni di storie, sessant’anni di personaggi, sessant’anni di risate e di avventure. Sessant’anni che non sembrano sessanta, perché quei personaggi, quelle storie ci sono ora con la stessa forza e la stessa capacità di far sorridere noi e le nuove generazioni come se fossero stati inventati ieri e non sessant’anni fa. Raccontare tutto quello che hanno scritto, disegnato e pensato alla Hanna-Barbera richiederebbe come minimo altri sessant’anni. Facciamo due conti assieme: la Hanna-Barbera ha prodotto circa 400 cartoon, arrotondo per difetto a questa cifra che già mi sembra considerevole, durante la loro lunga carriera, dividendola per gli anni in cui effettivamente hanno prodotto cartoon, l’ultimo prodotto da Joseph Barbera è datato 2006, fa quarantanove anni di carriera, il che significa che producevano nuovi cartoon e nuovi personaggi alla velocità di uno ogni mese e mezzo. Naturalmente questa è semplicemente una media matematica, ma è un dato di fatto che, nel loro primo decennio di carriera, produssero qualcosa come 47 show, dai classic come Braccobaldo e Yoghi, a serie di taglio più maturo come Jonny Quest e Space Ghost. In soli dieci anni avevano già messo le solide basi di quelli che poi sarebbero diventati i loro classici. Scooby-Doo sarebbe venuto fuori da lì a poco, ma i Flintstones erano già in produzione al terzo anno di vita degli studios, e le prime quattro stagioni classiche degli Antenati chiusero il loro ciclo nel 1966. La Hanna-Barbera non solo stava bruciando le tappe ma sbaragliava la concorrenza. Riuscire a racchiudere l’essenza di quello che era, ed è, il mondo 9
hanna & barbera
di Hanna-Barbera in un unico libro è utopia. Tanti piccoli dettagli a volte insignificanti volevano prendere spazio fra le righe che stavo scrivendo: a volte ci riuscivano compromettendo la comprensibilità delle ultime dieci righe scritte, ma quel dettaglio doveva esserci, quell’aneddoto andava raccontato e il paragrafo lo riscrivevo da capo. Altri piccoli aneddoti sono però rimasti fuori, è frustrante per me che davvero di questi due produttori amo ogni singola produzione, di cui amo la perfezione con cui sono costruite le storie di Fred Flintstones allo stesso modo in cui ne amo l’imperfezione, come il foglio di acetato posizionato male, o addirittura dimenticato, come accade nella sigla di chiusura dei Flintstones o nella sequenza di apertura delle Wacky Races. Durante la sigla di apertura, per un paio di fotogrammi, il corpo di Sawtooth, il castoro secondo pilota di Rufus Ruffcut, vettura 10, scompare. Sono pochi fotogrammi e forse in pochi ne abbiamo notato l’assenza, ma quei pochi fotogrammi, quell’errore lasciato lì racconta tutta una storia. Racconta di un modo diverso di fare animazione, più artigianale rispetto a quello tecnologico di oggi. Quei pochi fotogrammi mancanti raccontano di un periodo in cui non c’era la possibilità di fare un veloce check della scena. Oggi per renderizzare una sequenza al massimo ci si impiega una notte o un giorno intero, all’epoca invece anche settimane per avere un reel della sequenza, e quando arrivava era passato già molto tempo e la deadline era sempre più vicina. Se la cosa era trascurabile, quindi non veniva corretta e restava lì, a raccontare la sua storia. Ma viaggiando ancora di più con la fantasia quei fotogrammi mancanti raccontano della mano dell’operatore che ha dimenticato di inserire quei due fogli di acetato disegnati sotto la macchina da presa, magari era il suo primo giorno di lavoro ed era inesperto, o magari era ormai la routine per lui, la meccanica può giocare certi scherzi. Se pensate che questo è tutto quello che penso quando mi accorgo che mancano due fotogrammi in un cartoon di Hanna-Barbera, provate a immaginare quello che penso quando guardo tutti gli altri fotogrammi presenti. Per me questo libro è stato un viaggio, un viaggio in un mondo che è la William Hanna e Joseph Barbera posano mia infanzia ma è anche l’infancon due dei loro personaggi più popolari. zia di tutti. Tom & Jerry sono Tutti i diritti riservati.
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introduzione
ancora popolarissimi fra i bambini e rivederli con gli occhi di oggi e con la conoscenza reale del lavoro che c’era dietro non ha tolto nulla alla magia di quei cartoon. Le tappe di questo mio viaggio mi hanno anche fatto scoprire aneddoti curiosi, ne cito uno davvero insolito. Il doppiatore storico di Shaggy, Casey Kasem ad un certo punto della sua vita divenne vegetariano e chiese alla produzione se anche Shaggy poteva diventarlo e lo accontentarono. Non cambia molto nel personaggio ma rivela una produzione che, anche se a pieno regime lavorativo, aveva il tempo di fermarsi ad ascoltare gli artisti con cui collaborava. Nel percorso di ricerca, il mio sembra quasi un viaggio spirituale e forse in un certo senso lo è anche stato: ho scoperto quanto il rapporto fra i due produttori americani e l’Italia fosse profondo. Ho scoperto un nome che ho avuto sotto gli occhi per anni senza veramente vederlo. Il nome è quello di Vezio Melegari, lo trovate su tutte le pubblicazioni Hanna-Barbera della Mondadori, (ma anche sui Manuali delle Giovani Marmotte, popolarissimi fra i ragazzini durante gli anni Ottanta e persino su un Tutto Puffi della amz) incuriosito ho indagato un po’, per fortuna che questa è l’era di internet e le notizie ci sono, basta saperle cercare. In questa piccola indagine ho scoperto che Vezio Melegari non è solo una firma su un editoriale, il nome di un curatore di un libro, lui è l’uomo che ha fatto in modo che nascesse un Hanna-Barbera made in Italy. I libri con Yoghi, Bubu, Svicolone, Magilla e Braccobaldo pubblicati in Italia, fra Mondadori e Soldatino, la sua casa editrice, sono tutti nati dalla sua fantasia ma, prima ancora, dalla sua intraprendenza. In un mondo in cui internet non c’era ancora, Vezio Melegari ha trovato l’indirizzo dei due produttori americani e gli ha inviato una lettera, carta, inchiostro e francobollo. Voleva comprare i diritti per pubblicare in Italia Yoghi & co, ma non arriva nessuna risposta dall’America. Vezio insistette, scrisse ancora a Bill e Joe, e finalmente i due colpiti da tanta caparbietà gli risposero, proponendogli di rappresentarli in Italia. E così naquero le pubblicazioni del Soldatino, scritte e disegnate da artisti italiani. Questo legame speciale poi si è allargato e si è diffuso anche sul piccolo schermo grazie a corti animati prodotti per il notissimo Carosello, dallo studio Pagot e dalla Gamma Film. Carosello era popolarissimo all’epoca e l’animazione era uno dei sistemi più usati. Fu un periodo d’oro per gli studi italiani. Hanna e Barbera concessero a questi studi di animazione di realizzare con I Flintstones, I Jetsons, Braccobaldo e Yoghi degli splendidi piccoli gioielli per pubblicizzare frullatori, patatine e anche antizanzare. 11
hanna & barbera
A rivederli ora si nota un po’ di differenza dai modelli originali, un po’ le zampe di Yoghi, oppure la testa di George Jetson, ma sono belli da vedere quanto quelli americani. È con Carosello che la frase “Wilma, passami la clava!” diventa un tormentone. Sempre viaggiando fra le pagine dei libri, di carta e digitali, mi sono imbattuto nell’unica serie co-prodotta da Bill e Joe che tornano in contatto con i fratelli Pagot (per chi non lo sa, o non lo ricorda, sono quelli del pulcino Calimero) nel 1990. Il frutto di questa collaborazione fu la serie Don Coyote e Sancho Panda, buffa rivisitazione del famoso personaggio scritto da Miguel de Cervantes. Naturalmente la Hanna-Barbera aveva contatti e lavorava con studi di tutto il mondo, ma la differenza era che gli altri studi erano dei service che facevano il lavoro che loro non riuscivano più a fare, dato l’elevato numero di produzioni che avevano in corso, mentre con i Pagot ci fu un rapporto paritario su un progetto inedito. Addentrandomi in questi corridoi del passato alla ricerca di notizie, vedendo cartoon e scrivendo, sono stato riportato al presente dall’annuncio fatto dalla DC Comics (loro pubblicano “cosette” tipo Batman, Superman e Wonder Woman) sulla prossima uscita di alcuni reboot dei personaggi della Hanna-Barbera. Ho drizzato le orecchie e con un occhio guardavo al passato e con l’altro tenevo sotto controllo il presente. Le anticipazioni sul web hanno cominciato ad arrivare, alcune mi hanno positivamente colpito, altre mi hanno lasciato più perplesso. A lasciarmi molto perplesso è stata la rivisitazione in chiave cyberpunk dei membri della Mystery Inc. armati fino ai denti e con uno Shaggy versione hipster, ancor meno convincente il reboot dei Flintstones. Dalle immagini che circolano in rete sembra che abbiano semplicemente ridisegnato in chiave realistica (ma perché poi?) i personaggi. Ad attirare la mia attenzione è stata Future Quest, saga all’interno della quale la DC Comics ha composto un unico universo dove coesistono Jonny Quest, Birdman, Space Ghost, Gli Erculoidi e tutti gli altri personaggi del genere supereroistico inventati da Bill e Joe. Probabilmente questa è la saga più riuscita perché rientra nel genere di storie scritte dalla DC e finora la lettura si è rivelata appassionante. Ma tornando al percorso intrapreso, avanti e indietro nel tempo, come fossi a bordo della nave volante di Pippopotamo e So-So, la cosa che mi ha affascinato di più è stato lo spirito pionieristico, passatemi il termine, dei due produttori, la voglia di mettersi alla prova sempre con nuove cose, anziché adagiarsi sui terreni sicuri di Bedrock e Jellystone. 12
introduzione
Hanno sempre continuato ad avventurarsi in tutti i mondi e le dimensioni possibili, e quando possibili non erano loro li hanno resi tali. Non c’è settore della fantasia, della fantascienza, dell’intrattenimento che non sia stato esplorato dai due produttori, spesso facendo proprio da apripista per tutti gli altri, inventando anche nuovi generi. Non ci credete? Be’ vi anticipo (se state leggendo questa introduzione dopo aver letto tutto il libro lo sapete già) che furono loro i primi a trarre da un videogioco una serie animata. Quale? Beh per scoprirlo non vi resta che cominciare a leggere questo libro. Buona lettura.
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Prefazione
A volte ricordare fa sentire vecchi e quando penso ai miei pomeriggi televisivi da bambino, devo dire che di anni ne sono passati... e parecchi. C’era poco, anzi pochissimo. I cartoni venivano trasmessi un giorno alla settimana, a volte due. C’erano degli appuntamenti fissi come l’indimenticabile Gustavo,una serie ungherese, in onda in genere il sabato all’ora di pranzo, e Filopat e Patafil, una serie tedesca che, devo dire onestamente, era un po’ triste, con due pupazzi molto essenziali, costituiti da una palla di legno e un corpo di corda. I cartoni Disney venivano trasmessi molto raramente e solo durante le vacanze natalizie. Poi c’era Carosello, dove l’animazione abbondava davvero, ed era uno degli appuntamenti quotidiani al quale nessun bambino (e adulto) poteva mancare e che aveva anche la funzione di scandire il nostro tempo... e la conclusione della giornata: «A letto dopo Carosello!», si diceva. Ed era il diktat di ogni famiglia. C’erano anche tantissime sigle tv, e molte di queste soddisfacevano la mia voglia di vedere animazione, poiché anche in queste si usava moltissimo il disegno animato. Il tutto rigorosamente in bianco e nero. Il colore si vedeva al cinema o con i filmini 8mm che mio padre proiettava in casa, senza sonoro e con quella tecnologia dell’epoca che era la preistoria dell’home video. Questo era più o meno il nostro palinsesto televisivo, molto limitato e ridotto, l’unico che poteva dare nutrimento alla nostra immaginazione, l’unico che saziava la nostra curiosità e voglia di divertirci. In questo palinsesto sgangherato, libero dalla sudditanza di indici di ascolto e dalle violente interruzioni pubblicitarie, fecero il loro ingresso in televisione le serie, che avrebbero condizionato tutto il modo di concepire l’animazione fino allora conosciuta e che avrebbero trovato un loro corrispettivo, in termini di rivoluzione del gusto e dei costumi, solo nei manga e nell’animazione giapponese qualche anno dopo: i cartoni animati di Hanna-Barbera. 15
hanna & barbera
Hanna-Barbera. Era quel magico lettering che si leggeva sui titoli di testa, con quella inspiegabile H davanti ad “anna” e il “Barbera” che conoscevo fin da piccolo come un tipo di vino, non perché fossi alcolizzato, ma perché lo beveva da Trinchetto nei fumetti di Braccio di Ferro (di cui ero un assiduo lettore). Hanna-Barbera, al di là dei significati che gli attribuivo, erano allegria, calore e famiglia. Sì, una famiglia vera e propria: devo confessare infatti, e a distanza di anni, che pensavo addirittura che Hanna e Barbera fossero due signore: due mamme buone che avevano deciso di far divertire i loro piccoli “fabbricando” cartoni animati belli, divertenti e buffi. “Siamo tutti qui!” era il grido di battaglia di Braccobaldo show (The Huckleberry Hound), “Yabba dabba doo!” quello degli Antenati (The Flintstones), quel tormentone cantilenante di “Eh eh eh eh va bene Bubu” dell’orso Yoghi (Yogi Bear), oppure “Maledetti topastri!” di Pixie e Dixie, e ancora Magilla Gorilla che vola con i palloncini, Svicolone (Snagglepuss), con quel colletto, la cravatta e l’accento spiccatamente emiliano, Lupo de Lupis, il “lupo tanto buonino!”, che prendeva sempre tante botte, I Pronipoti (The Jetsons) che erano anche diventati dei testimonial di un’azienda di elettrodomestici (Girmi) su Carosello, Ernesto Sparalesto (Quick Draw McGraw) e tanti altri. Tutti nomi di certo “italianizzati” rispetto agli originali, ma ai quali sono sempre affezionato. Personaggi buffi e divertenti, dalla linea squadrata, sintetica, figli più della scuola upa (United Production of America) che della Walt Disney, realizzati in un’epoca in cui non esistevano computer e fotoritocchi ma solo rodovetro (i fogli di carta acetata trasparenti), pennini e pennelli. Personaggi rimasti nel mio immaginario e che, insieme a tanto altro, hanno influenzato tutta la mia attività professionale successiva. La passione per i cartoni di Hanna-Barbera è ovviamente proseguita nel tempo: grande fan di Wacky Races e delle Avventure di Penelope Pitstop: grandi risate con Dastardly e Muttley e le macchine volanti. E che dire di Napo Orso Capo, l’orso che parlava napoletano e inforcava una moto invisibile. E poi Scooby-Doo, I Puffi, Tom & Jerry, fino alla fondazione della Cartoon Network nel 1994, da dove poi tutti i cartoni hanno fatto la storia moderna che conosciamo. Tecnicamente le storie dei cartoni di Hanna-Barbera erano molto semplici, funzionali, efficaci e generalmente finivano con una gran risata. La grande novità erano le chiusure e le aperture in dissolvenza a nero durante la narrazione che scandivano i capitoli ma che, in realtà, nelle versioni americane servivano a inserire brevi spot pubblicitari, da noi ancora non arrivati. L’animazione era sempre limitata ma efficacissima e una cosa che mi ha sempre divertito e 16
prefazione
di cui ho poi sempre abusato, facendo il mestiere dell’animatore, era la preparazione all’azione detta “anticipazione” (in termine tecnico), che richiedeva un numero esiguo di disegni, senza essere di minore effetto scenico. Queste azioni “preparatorie” in genere erano accompagnate da un rullo di tamburi e da un effetto “fischio di proiettile” al momento dello scatto, insieme all’immancabile vortice disegnato che rappresentava graficamente lo spostamento d’aria. Poi gli inseguimenti con quei cicli di corsa ripetuti e le braccia tese in avanti, mentre le panoramiche scorrevano, sempre con lo stesso steccato, lo stesso albero, lo stesso masso, a rotazione. Mi piaceva lo stile asciutto e tutti quei movimenti limitati anche nella recitazione: mentre le braccia si aprivano e si chiudevano gesticolando (in tutto saranno state tre o quattro posizioni chiave), le teste ripetevano un labiale sintetico, muovendosi leggermente in su e poi in giù, con uno schema ben definito. Raramente si vedevano rotazioni o cambi prospettici, se non in pochi fotogrammi, con linee cinetiche di velocità accompagnate sempre da un fischio, un altro bell’espediente per risparmiare disegni. Le camminate erano spesso risolte tagliando l’inquadratura, evitando quindi l’animazione del passo e muovendo solo il busto del personaggio, con un semplice scorrimento di panoramica. Il passaggio di tempo e di luogo era spesso affidato alla whip pan e cioè a una panoramica veloce di pochi fotogrammi, che trasformava l’inquadratura in strisce di colore. E poi la presenza di tanti, tantissimi blink e cioè, rivolgendomi a chi non è del mestiere, il veloce battito d’occhi, risolto in genere con tre posizioni (occhio aperto, occhio con la palpebra semichiusa, occhio chiuso e ritorno con le stesse fasi), altra soluzione, per dare vita ai piani di ascolto o per le azioni secondarie sempre con il minimo lavoro. Naturalmente la sinteticità e la semplificazione non erano certo indolenza degli animatori come potrebbe sembrare, ma una tecnica di lavoro che ha permesso la produzione costante di parecchie puntate e di minutaggi elevati in tempi ristretti che ha fatto scuola. Ringrazio quindi Marco per questo libro, che celebra un periodo artistico e produttivo importante della televisione passata e in qualche modo di quella futura, perché il mondo di Hanna-Barbera ha costruito le basi di tutto quel che è stato e sarà il prodotto seriale animato. Maurizio Forestieri
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capitolo 1
Hanna incontra Barbera
Gli anni Trenta in America furono anni duri per l’intera nazione: la Grande Depressione, iniziata nel 1929, privò del lavoro molti americani e gettò nella disperazione l’intera nazione. In tutto questo troviamo però un mercato che cercava, nonostante tutto, di crearsi il proprio spazio: il cinema di animazione muoveva, in quegli anni, i primi timidi passi di quella che si sarebbe rivelata essere una marcia inesorabile. Potremmo prendere come riferimento cronologico dell’inzio di questo cambiamento il 1928 e la Disney come apripista. Fu infatti in quell’anno che il cinema di animazione mostrò il suo potenziale commerciale, e lo fece con le allegre note fischiettate da Topolino (icona e simbolo del nascente impero Disney) alla guida del vaporetto Willie. Da quel momento tutto cambiò. Con Steamboat Willie prima e con Snow White and the Seven Dwarfs (“Biancaneve e i sette nani”, 1937) poi, la Disney alzò l’asticella della qualità dei disegni animati e il pubblico ormai voleva e, ammettiamolo, da allora avrebbe voluto sempre “la Disney”. Si impose infatti, in quegli anni, un tipo di tratto dalle linee morbide per la costruzione dei personaggi e una netta divisione fra bene e male nella costruzione delle storie. Dal punto di vista tecnico la Disney fece partire quella ricerca di realismo del movimento che poi venne definita l’ “illusione della vita” e che influenzò tutto il mondo dell’animazione contemporanea dell’epoca e futura. Le major pertanto iniziarono la loro rincorsa agli studios di zio Walt, con alterne fortune. Alcuni studi si allontanarono dalle leziose animazioni tipiche dello stile disneyano per esplorare nuovi territori, come fecero per esempio gli studios della Warner Bros che misero in produzione cartoon che si distaccavano dal canone disneyano in maniera netta. 19
hanna & barbera
La serie dei Looney Tunes, che vedeva fra i suoi padri uno dei registi di disegni animati più innovativo e trasgressivo di quegli anni, Tex Avery, fu una di queste. Lo stile dei Looney Tunes era più nervoso e a tratti violento, portando all’esasperazione le situazioni e, grazie ad Avery, abbatté la divisione fra schermo e spettatore, distruggendo totalmente il concetto di illusione della vita. Altri invece, come i fratelli Fleischer, dapprima tentarono altre vie, presentando personaggi che rompevano gli schemi, come la sensuale Betty Boop o altri che rompevano a suon di pugni ogni cosa gli capitasse davanti, come il collerico Braccio di Ferro, al secolo Popeye. Fin qui per i fratelli Fleischer andò tutto bene ma il loro errore fu di tentare la via del lungometraggio animato. Nel 1939 presentarono sul grande schermo I Viaggi di Gulliver che, sebbene pregevole e tecnicamente ben realizzato, non resse il confronto con la Disney e fallì al botteghino, dando inizio alla fine dello studio dei fratelli Fleischer. I loro sceneggiatori e registi non erano pronti per il grande salto: passare dalle gag dei sette minuti di un cortometraggio animato a una storia articolata di settantasei del lungometraggio fu un errore di valutazione che gli costò caro. Ma torniamo al 1930. A cercare il proprio spazio sul grande schermo c’erano anche gli studios della mgm che, con le loro Happy Harmonies, cercavano di contrastare le Silly Symphonies della Disney. Le Happy Harmonies erano distribuite dalla mgm e prodotte dallo studio Harman-Ising, studio per cui lavorava un giovanissimo William Hanna. Bill venne assunto nel 1930 come ragazzo tuttofare, ma si fece notare velocemente e, da ragazzo che spazzava il pavimento, svuotava i cestini e portava i caffè, passò prima al lavaggio dei fogli di acetato usati (per poterli usare di nuovo) e poi alla direzione del reparto di inchiostrazione e colorazione della Harman-Ising. «Fare il timing di un cartoon è in parte matematica e in parte intuizione», così avrebbe scritto Bill nella sua autobiografia ricordando i suoi primi passi nel mondo dell’animazione. Non furono solo la matematica e l’intuizione a farlo notare allo studio, ma anche la sua curiosità e la volontà di imparare a fare cartoon. Cominciò a restare nello studio oltre il suo orario di lavoro, affiancando Harman durante la scrittura delle gag, e ben presto Bill stesso iniziò a proporne. Rudolph e Hugh capirono le potenzialità del giovane tuttofare, anche se le gag che proponeva non erano particolarmente originali, e cominciarono a renderlo sempre più partecipe dell’ideazione dei loro cartoons. Dopo soli sei anni alla Harman-Ising a William Hanna venne affidata la regia, insieme a Paul Fennell (altro talentuoso animatore proveniente dalla 20
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Disney) della sua prima Happy Harmonies intitolata To Spring anche se nessuno dei due venne accreditato come regista. «To Spring è stato quello che si potrebbe chiamare uno spettacolo destinato a dare agli spettatori quella che oggi viene definita una festa per gli occhi», ricorda William nella sua autobiografia riferendosi alla vivacità dei colori del suo esordio alla regia, proiettato su grande schermo nella magnificenza del Technicolor per dare risalto a ogni singola sfumatura della sua vivace trasposizione animata del risveglio della primavera. Il 1938 fu invece un anno funesto per la Harman-Ising: il contratto con la mgm venne bruscamente chiuso, cosa che avvenne perché Hugh e Rudolph non riuscivano più a rispettare le consegne. Avevano firmato un contratto per una mole di lavoro superiore a quanto lo studio ne potesse effettivamente realizzare. La mgm si mise quindi direttamente sul mercato dell’animazione, aprendo il proprio studio e mettendo Fred Quimby a guidarlo. Fred organizzò una cena con tutti gli ex artisti della Harman-Ising e propose loro di entrare a far parte della mgm Cartoon. Gran parte degli artisti, rimasti senza lavoro, accettò di buon grado l’invito di Quimby e fra questi c’era anche William Hanna che venne assunto per la direzione delle animazioni. Ma le sole forze reclutate dalla Harman-Ising non erano sufficienti a sostenere il lavoro necessario per proiettare la mgm Cartoon ai vertici del mercato cinematografico e, quindi, vennero assunti anche artisti esterni e fra questi arrivò anche un giovane ex ragioniere che aveva da poco scoperto la passione per il disegno e che rispondeva al nome di Joseph Barbera.
Se non fosse stato per questa serie di eventi, probabilmente questi due artisti caratterialmente così diversi tra loro non si sarebbero mai incontrati. Ma furono proprio queste loro diversità di gusti e stili, e anche di competenze artistiche, che crearono i presupposti che diedero origine a quello che possiamo definire il sodalizio artistico più longevo di sempre nel campo dell’animazione. Per dovere di cronaca voglio aggiungere che nemmeno per la Harman-Ising fu la fine. Continuarono a lavorare come freelance e furono, per esempio, i primi a lavorare su commissione per la Disney, per la quale realizzarono il delicato e divertente episodio delle Silly Simphonies intitolato Merbabies (“Sirenette in festa”, 1938).
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Joe Barbera (a sinistra) e Bill Hanna (a destra). Tutti i diritti riservati.
capitolo 2
William Hanna
Facciamo ora un salto indietro nel tempo e torniamo al 14 Luglio del 1910 ed esattamente andiamo a Melrose nel Bill Hanna disegnato New Mexico. Quel giorno nasceva Wilda Patrick Owsley. liam Denby Hanna, il terzo di sette figli e unico maschio dei coniugi William John Hanna e Avice Joyce Denby. L’infanzia di Bill fu spensierata, a contatto diretto con la natura e sempre in cerca di avventure, come quelle raccontate nei libri che leggeva avidamente. Durante i primi anni di vita di Bill, la famiglia Hanna si era spostata più volte attraverso l’America, seguendo le esigenze lavorative del capofamiglia. Quando Bill aveva solo tre anni si spostarono dal New Mexico, andando prima in Oregon, e poi si spostarono verso sud per stabilirsi definitivamente in California. Fu proprio qui che il richiamo dell’avventura all’aria aperta portò Bill a incontrare ed entrare nell’organizzazione dei boy scout. Nella sua autobiografia racconta quanto fu importante e formativa questa esperienza per lui, al punto che continuò a incontrare annualmente i suoi amici scout per i successivi sessant’anni. Questo forte desiderio di Bill di vivere a contatto con la natura, diciamo un po’ rustico, lo accompagnò per tutto il resto della sua vita: non si adeguò mai pienamente allo star system e restò sempre un po’ più nell’ombra rispetto al più mondano Joe Barbera. Arrivò il 1929 e il diciannovenne Bill, come il resto dell’America, si ritrovò sprofondato nella Grande Depressione e fu costretto ad abbandonare il Compton Junior College per trovarsi un lavoro. La ricerca di occupazione lo portò a lavorare anche come lavamacchine ma durò solo una settimana. In quel periodo un tale Jack Stevens, lavorava alla Pacific Title & Art Studio di Leon Schlesinger, studio che collaborava con la 23
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Warner Bros. Jack informò Bill che Schlesinger aveva appena firmato un contratto con uno studio californiano, la Harman-Ising, per la produzione degli episodi dei Looney Tunes e delle Merry Melodies della Warner Bros e stavano cercando personale. Questa informazione fu il momento che diede inizio a una serie di eventi che porteranno il giovane “lavamacchine” a diventare uno dei produttori di disegni animati per la televisione più noto al mondo (l’altro ovviamente è Joseph Barbera). Ma tutto questo Bill non poteva nemmeno immaginarlo, visto che alla Harman-Ising lo avevano assunto come ragazzo tuttofare. La mattina, alle otto in punto, Bill puliva lo studio prima che arrivassero gli animatori, poi si occupava dei caffè, ripuliva i fogli di acetato, in modo da poterli riutilizzare e, a fine giornata, riordinava tutto. Trascorrendo molto tempo all’interno dello studio cominciò a guardarsi intorno e rimase affascinato dal processo creativo e tecnico che c’era dietro la produzione di un disegno animato. Questa sua curiosità lo portò a volerne sapere di più, e cominciò a fermarsi allo studio anche dopo l’orario di lavoro affiancando Harman nel suo lavoro. Da ragazzo tuttofare passò velocemente a responsabile del reparto ink and paint dove supervisionava un gruppo di sette ragazze. In questo reparto le ragazze inchiostravano e coloravano gli acetati dalle nove di mattina alle sei di sera, per poi passarli al reparto che si sarebbe occupato di filmare la scena. Nel frattempo Bill, spinto da Harman, cominciò a prendere parte con idee e suggerimenti al processo creativo di scrittura di un disegno animato. Nel 1933 Schlesinger chiuse il contratto con Harman-Ising per aprire la propria divisione di produzione di disegni animati per la Warner Bros, portando via da Harman-Ising buona parte dei loro animatori. Ma Bill, nella sua totale lealtà, non abbandonò chi lo aveva aiutato in un momento difficile. Passarono tre mesi di difficoltà per Bill e gli altri che erano rimasti alla Harman-Ising, ma poi finalmente lo studio firmò un contratto con la mgm e inziò la produzione delle Happy Harmonies. All’età di ventitré anni, Bill fu messo ad affiancare Harman nello sviluppo delle storie, un bel passo avanti rispetto a lavorare al reparto ink and paint. Lavorando fianco a fianco con Bill i due produttori videro nel giovane uno spiccato senso del timing e un buon orecchio musicale al punto che nel 1936, solo sei anni dopo il suo ingresso negli studi, gli affidarono la sua prima e unica regia delle Happy Harmonies e a soli ventisei anni Bill diresse To Spring (in realtà fu una co-regia perché fu affiancato dall’animatore Paul Fennell). 24
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To Spring racconta il ritorno della primavera grazie all’opera di tanti laboriosi gnometti che, dalle viscere della terra, devono riportare i colori sul mondo di superficie. Il loro lavoro viene ostacolato dall’Inverno, che non ha nessuna intenzione di lasciare il passo alla Primavera. Alla fine gli gnomi vincono e la Primavera torna a fiorire in tutti i suoi colori come ogni anno. Le animazioni sono fluide, i colori vivaci, pensati per essere proiettati in Technicolor, gli gnometti non sono “graziosi” ma barbuti e dai lineamenti volutamente marcati in contrasto con il delicato lirismo del mondo di superficie. Promuovere Bill a regista fu anche il tentativo di Harman-Ising per suddividere il lavoro e aumentare la produzione, cercando di adempiere in questo modo agli impegni contrattuali presi con la mgm. Purtroppo non fu sufficiente: subito dopo il debutto alla regia di Bill le cose si misero nuovamente molto male. I ritardi sulle consegne accumulati dalla Harman-Ising erano ormai insostenibili per la mgm, che decise di recedere dal contratto e contestualmente di organizzare lo studio di animazione, alla guida del quale venne messo Fred Quimby. Bill si trovò di nuovo senza lavoro, ma a
Bill Hanna posa insieme a Fred e Yoghi. © Warner Bros.
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differenza della volta precedente qualcosa nella sua vita era cambiato e non poteva permettersi di restare a lungo senza un’occupazione. Nell’agosto del 1936 infatti era convolato a nozze con Violet Blanch Wogatzke. Quella che sarebbe diventata sua moglie gli fu presentata da uno degli scrittori della Harman-Ising, Mo Caldwell, che stava uscendo con una ragazza di nome Vera, sorella gemella di Violet. Mo propose a Bill un’uscita a quattro, e fra Bill e Violet scattò subito l’amore. Questa volta quindi Bill non poteva permettersi di restare comunque alla Harman-Ising, nonostante l’enorme riconoscenza che ancora aveva per lo studio. Per sua fortuna, Quimby stava reclutando molti degli artisti della Harman-Ising e fra questi comparve anche il nome di William Barbera, che accettò di buon grado il ruolo di direttore delle animazioni. Lo studio cominciava a prendere forma, ampliandosi rapidamente e cercando di raccogliere, sotto la propria ala, i più talentuosi sceneggiatori, animatori e disegnatori. Tra questi ultimi arrivò Joseph Roland Barbera.
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capitolo 3
Joseph Roland Barbera Facciamo nuovamente un salto indietro nel tempo, arrivando fino al 24 Joe Barbera disegnato marzo del 1911. da Patrick Owsley. A Little Italy nasceva Joseph Roland Barbera, figlio di Francesca Calvacca e di Vincent Barbera. Joe non crebbe a Little Italy perché, appena compiuto il quarto mese, la famiglia Barbera si trasferì nel Flatbush a Brooklyn. I genitori di Joe rientravano nello standard della tipica famiglia italo-americana dei primi del Novecento: il padre era il capofamiglia completamente dedito al lavoro e la madre, con l’aiuto della nonna materna, restava a casa a crescere i tre figli. Vincent Barbera era un barbiere o, meglio, un acconciatore per uomo e donna. Fu grazie alla sua specializzazione nell’acconciare i capelli delle donne in una piega molto complicata e altrettanto popolare all’epoca, la famosa piega alla Marcel, che si conquistò una discreta popolarità nel Flatbush. La maggiore popolarità portò molto più clienti e di conseguenza molti più soldi e a soli venticinque anni Vincent aprì altri due negozi di barbiere a Brooklyn. L’aumento del lavoro portò il capofamiglia a trascorrere sempre meno tempo a casa con la moglie e i suoi tre figli. Nella sua autobiografia Joe lo ricorderà come un padre assente, che amava più vestire bene e stare in società che stare a casa con la propria famiglia. Joe e i suoi fratelli furono cresciuti dalla madre e dalla nonna materna. Molti anni dopo, in un’intervista per Who’s Who, Joe dichiarò che sua nonna era la persona che ammirava di più. Lui la ricordava come una forte donna siciliana che lasciò la città di Sciacca in Sicilia, per cercare una vita migliore per lei e la sua famiglia oltreoceano. Joe crebbe in un ambiente meno movimentato rispetto a quello di Bill, passava 27
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più tempo a casa, con sua madre, che fuori all’aria aperta. Madre e figlio avevano creato questo gioco in cui lui diceva un numero a caso di uno dei volumi dell’enciclopedia The Book of Knowledge, e lei lo prendeva dallo scaffale per leggergli qualche pagina, trasportando il piccolo Barbera in mondi lontani nel tempo. Joe era un bambino che, pur non essendo introverso, amava anche stare da solo e sognare a occhi aperti. Raccontava come durante un piovoso pomeriggio passato a casa fece una sorprendente scoperta. Scoprì che lui, unico nella sua famiglia, era in grado di disegnare. La cosa avvenne per lui in modo naturale, prese carta e matita e copiò un’immagine che rappresentava due cuccioli di cane che giocavano con un gattino. Sua mamma conservò per anni questo primo “capolavoro” del figlio che alla fine sarebbe tornato fra le mani di Joe una volta diventato il maturo e affermato artista che tutti conosciamo. Arrivò però per Joe il momento di cominciare ad andare a scuola e la madre lo iscrisse all’istituto cattolico Holy Innocents. Le suore che gestivano la scuola notarono presto le capacità artistiche di Joe e lo misero subito all’opera facendogli ridisegnare, sulla lavagna, immagini tratte dalla Bibbia. Una delle immagini che sarebbe rimasta più impressa nella memoria di Joseph Barbera fu una in particolare. Si trattava di una rappresentazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, ricco di palme e di persone che agitavano le mani in segno di saluto all’ingresso del Messia. Joe era diventato così il piccolo artista della scuola e spesso le suore portavano dei visitatori ad ammirare il giovane artista all’opera. L’impegno che le suore richiedevano al loro “piccolo Michelangelo” era molto e quindi lo esonerarono dal seguire le lezioni, per dedicarsi completamente al disegno. La madre di Joe non tardò molto a capire la connessione che c’era fra la polvere di gessetti colorati che ogni giorno ricopriva i vestiti di suo figlio e suoi scarsi progressi scolastici. Senza pensarci su prese la decisione di iscrivere suo figlio alla scuola pubblica. Qui l’interesse di Joe si spostò verso la letteratura e soprattutto verso le storie avventurose e cavalleresche descritte nel ciclo carolingio della Chanson de Roland. Il fascino che il personaggio di Roland esercitava sul giovane Joe era tale che al momento del rito della Confermazione scelse proprio il nome del cavaliere come suo secondo nome. Il successivo innamoramento ci fu quando scoprì che quelle stesse letture potevano essere trasportate sulle assi di un palco e “prendere vita”. Joe cominciò a frequentare assiduamente Broadway e a pensare di frequentare un corso di recitazione, ma dopo aver appreso il costo di un corso di recitazione accantonò l’idea di calcare il palcoscenico. Ma gli rimase il 28
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sogno di scrivere per Broadway, cosa che fece successivamente ben due volte con The Two Faces of Janus e The Maid and the Martian. Il sangue italiano di Joe evidentemente aveva bisogno di passioni nella sua vita e, dopo il teatro, la sua più grande passione fu lo sport, e cominciò a praticare la boxe. Ottenne risultati ottimi ma abbandonò la carriera pugilistica sul nascere perché il tipo di vita richiesta a un atleta poco si addiceva al passionale e creativo Joe. Finita la scuola Joe non si iscrisse al college ma cominciò a cercare un lavoro. Era il 1928 e la Grande Depressione si faceva già sentire. Grazie all’aiuto di un cliente del padre venne assunto come contabile alla Irving Trust Bank, a Wall Street. La trascuratezza che le suore diedero alla formazione scolastica di Joe venne a chiedere il conto: Joe era praticamente negato per la matematica ma comunque riuscì a cavarsela e passò anche al ruolo di assistente del revisore delle tasse. Per sfuggire alla routine fredda e meccanica dei numeri riprese a disegnare, ma cercò di farlo in maniera redditizia. Inviò per posta dei disegni al «Saturday Evening Post» a Philadelphia, e consegnò di persona altri disegni alle riviste «Redbook» e «Collier’s» che si trovavano nei paraggi del suo luogo di lavoro. Ogni mercoledì Joe si recava alle due redazioni per consegnare dei nuovi lavori nella speranza che venissero comprati, ma immancabilmente si ritrovava a riprendere quelli della settimana precedente che erano stati rifiutati in blocco. Ma Joe insisteva, Joseph Barbera insieme a Tom & Jerry. © Warner Bros.
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non perché pensasse che i redattori non capissero di avere davanti un portentoso talento, ma più semplicemente perché quello era il modo di Joe per sopravvivere: era il suo lavoro. Ogni mercoledì entrando in quelle redazioni respirava la creatività e il talento nell’aria. Sentiva il lavoro di persone che facevano qualcosa di meglio che stare chiusi in una stanza a incolonnare numeri come era costretto a fare lui alla Irving Trust Bank. Finalmente un sabato mattina Joe trovò nella posta una lunga busta contenente un assegno della rivista «Collier’s» per l’acquisto di un suo “fumetto”. Quell’assegno per Joe fu qualcosa di incredibile, quasi un oggetto da venerare: il “fumetto” di Joe fu acquistato per venticinque dollari. Successivamente Joe vendette altri disegni alla stessa rivista, anche se questo non lo portò a considerare il lavoro di disegnatore una valida e redditizia alternativa, ma solo qualcosa che lo avrebbe aiutato a”sopportare” il suo lavoro alla Irving. Fu in questo periodo (siamo nel 1929) che la Disney distribuì nelle sale cinematografiche il primo cartoon delle Silly Simphonies, intitolato The Skeleton Dance (“La danza degli scheletri”). Questo cartoon divertente e innocentemente macabro fu visto anche da Joe che ne restò affascinato. Vedere questi quattro scheletri muoversi sul grande schermo e danzare a ritmo di musica davanti ai suoi occhi lo affascinò. Joe era incuriosito dalla tecnica che c’era dietro più che dal mestiere di animatore quindi non ebbe alcuna epifania in quel momento. Però qualcosa lo spinse a scrivere a Walt Disney, mandandogli anche un suo disegno di Topolino. Walt stesso gli rispose, dicendogli che sarebbe passato presto da New York City e che lo avrebbe incontrato volentieri. L’incontro non avvenne mai e Joseph Barbera raccontò che, a posteriori, ne fu sollevato. Joe poteva diventare solo “uno dei tanti nomi” che lavorava per Disney invece di diventare lui stesso il Nome. L’interesse per il disegno come concreta possibilità di lavoro ormai era nato in Joe, al punto che decise di migliorarsi seguendo dei corsi di disegno dal vero. In uno di questi corsi Joe parlò con un suo insegnante dell’interesse che stava maturando per l’animazione e lui gli suggerì di contattare un suo ex studente, Willard Bowsky che lavorava negli studi dei fratelli Fleischer. Bowsky lo ricevette cordialmente e si complimentò per la qualità dei suoi lavori pubblicati da «Collier’s». Nel giro di poco tempo a Joe venne offerto un lavoro negli studi Fleischer. Joe si prese due settimane di vacanza dal lavoro alla Irving e andò a lavorare nel reparto di colorazione degli studi Fleischer.
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All’interno di uno studio di animazione il reparto di colorazione è quello più tecnico, perciò Joe si ritrovò a dover fare un lavoro che non richiedeva da parte sua alcuno sforzo creativo, e la cosa non lo soddisfaceva affatto. All’epoca poi, come ricordava Joe, era quasi ironico chiamarlo reparto di colorazione, dato che gli unici colori usati erano il bianco e il nero. Nel giro di tre giorni fu “promosso” al reparto inchiostrazione. Era velocemente salito nella “gerarchia” di uno studio anche se di un solo gradino rispetto al reparto colorazione. Il lavoro lì consisteva nel ricalcare su fogli di acetato trasparente i disegni degli animatori e poi di passarli al reparto colorazione. Al suo quarto giorno di lavoro Joe capì che inchiostrare i disegni degli altri non era il lavoro che faceva per lui e tornò alla sicurezza, quanto meno economica, del suo abituale lavoro da contabile. Ma, appena tre settimane dopo la fine dei rapporti con gli studi Fleischer, le cose per Joe si misero male alla Irving Trust. La maggior parte del personale più giovane fu licenziato, in favore di quei lavoratori che avevano una famiglia da mantenere. La Grande Depressione era in atto e Joe si ritrovò nel mezzo e per di più senza lavoro.
Evidentemente però il destino aveva altro in serbo per lui. Poco tempo dopo venne a sapere da un vecchio amico che i Van Beuren Studios stavano cercando animatori. Su consiglio di questo amico andò a proporsi come animatore. Le uniche esperienze di Joe, all’interno di uno studio di animazione, si riducevano ai pochi giorni passati agli studi Fleischer, peraltro a fare il colorista prima e l’inchiostratore poi, quindi nulla a che fare con il lavoro vero e proprio dell’animatore. Comunque tentò e la fortuna fu dalla sua: Burt Gillettes direttore della Van Beuren lo assunse come intercalatore. Si ritrovò quindi davanti al tavolo di disegno, negli studi della Van Beuren, senza avere la più pallida idea su cosa fare. Vedendolo in difficoltà un suo collega più esperto, Carlo Vinci, gli spiegò in cosa consisteva il lavoro dell’intercalatore. In animazione il lavoro dell’intercalatore consiste nel creare i disegni di raccordo fra i disegni dell’animatore e dell’assistente animatore, che si occupano di realizzare solo i disegni chiave del movimento. L’animatore realizza il disegno iniziale, quello di scomposizione e quello finale, per esempio 1, 5 e 9. Passa i disegni all’assistente che, oltre a metterli a modello, realizza anche i disegni 3 e 7. I cinque disegni arrivano quindi all’intercalatore che realizza i disegni di raccordo 2, 4, 6 e 8 che completano e rendono fluido
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il movimento (da My Life in ’Toons - From Flatbush to Bedrock in Under a Century, Turner Publications Inc.)
Joe ci mise tutto l’impegno possibile per riuscire nel suo lavoro e imparare le tecniche di animazione, e per questo si comprò un tavolo luminoso per potersi “allenare” anche a casa. Joe imparò velocemente le tecniche base dell’animazione e in breve tempo venne promosso da intercalatore ad assistente animatore. Joe non era pienamente soddisfatto dello studio in cui lavorava, aveva capito che il livello medio degli animatori era basso e lui raggiunse, e superò, anche il migliore del team. Non solo: il lavoro era mal organizzato, non c’erano modelli dei personaggi e quindi ogni animatore dava la sua versione di Molly Moo-Cow, che quindi risultava leggermente diversa in base a quale animatore la stesse disegnando. La scelta di puntare tutto su una mucca lasciava perplesso Joe: uccelli, gatti, cani e persino topi sono animali adatti a un cartoon, ti viene voglia di coccolarli, cosa difficile da immaginare con una mucca. Nonostante le perplessità di Joe il lavoro alla Van Beuren procedeva, ma dei guai erano in vista. Nel 1937 la rko Pictures decise di distribuire solo le pellicole della Disney e di conseguenza chiudeva il contratto di distribuzione della Van Beuren. Joe si ritrovò ancora una volta senza lavoro. Determinato e forte dell’esperienza maturata, prese la decisione di andare a chiedere lavoro a Walt Disney. Paul Terry della Terrytoons, pur di togliere allo zio Walt un animatore, propose a Joe un contratto con il suo studio. Joe accettò e per la seconda volta sfumò la possibilità per Joe di diventare “uno” della Disney. Il lavoro alla Terrytoons non durò molto: era il 1937, la mgm stava mettendo su il proprio reparto animazione e Joe fu contattato da Fred Quimby. Come già sappiamo Joe accettò e proprio negli studi della mgm incontrò il giovane Bill Hanna.
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capitolo 4
Un gatto e un topo nella tana del leone 4.1 Gli inizi alla mgm Il reparto animazione della mgm, sotto la guida di Fred Quimby, era pronto per entrare in produzione, bisognava capire con cosa iniziare questa avventura. In quegli anni sul «New York Journal» erano molto popolari le strisce di The Katzenjammer Kids (Captain and the Kids) scritte da Rudolph Dirks e disegnate da Harold H. Knerr. Le strip erano incentrate sulle avventure di uno strano gruppo di personaggi che vivevano su un’isola, probabilmente una colonia tedesca. Di questo gruppo facevano parte un vecchio lupo di mare in pensione, il Capitano appunto, due ragazzini pestiferi, una cuoca e un ispettore scolastico. Tutti i personaggi si esprimevano con un accento spiccatamente tedesco. Per Fred Quimby questa era la scelta vincente e decise che Captain and the Kids sarebbe stato il primo cartoon realizzato e prodotto interamente dalla mgm, anche se la scelta incontrò il disappunto dell’intero staff degli animatori. Model sheet per Captain and the Kids. © mgm Studios.
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Le storie di questo strano gruppo di personaggi funzionavano e divertivano nelle gag veloci delle strip, ma risultavano forzate e noiose in un episodio di sei minuti. Un altro problema era il linguaggio: sul finire degli anni Trenta l’accento tedesco non era molto apprezzato, perché cominciava a essere associato al nazismo, che di lì a poco avrebbe segnato drammaticamente la storia del mondo. Quimby, nonostante tutto perseguì ostinatamente questa idea e la regia fu affidata a Bill Hanna, a Bob Allen e a Friz Freleng. Come avevano immaginato tutti, Quimby escluso, il pubblico rispose con freddezza alle proiezioni di Captain and the Kids: in sostanza, non faceva ridere. Fred Quimby imputò la colpa di questo insuccesso ai registi, che vennero declassati a storymen. Per Bill fu un duro colpo, come avrebbe ricordato anche nella sua autobiografia. Il problema secondo lui era anche nello stile grafico: i personaggi tratteggiati da Knerr sulle strip non avevano quell’appeal estetico “tenero” che era, per esempio, tipico dei cartoon della Disney, ma avevano un aspetto decisamente più ruvido. Le storie mancavano di carattere e i protagonisti, soprattutto i due ragazzini, non ispiravano altro che cordiale antipatia. Quimby, nel tentativo di salvare lo studio dal naufragio, chiamò Milt Gross, altro famoso disegnatore di strip comiche di quegli anni (autore di Nize Baby e di Jr, di cui la mgm sperava di produrre un cartoon). Mettere un disegnatore a dirigere degli animatori non fu una buona idea. Molto spesso infatti Milt, invece di limitarsi a correggere i disegni, faceva alzare l’animatore dal tavolo e ridisegnava tutto lui stesso. La pressione a cui fu sottoposto Milt e questo suo modo di lavorare alla fine lo spinsero ad abbandonare la mgm, e a sostituirlo venne chiamato un altro disegnatore di strip, Harry Hershfield. Tuttavia il suo passaggio al dipartimento della mgm fu brevissimo e non lasciò particolari tracce, così la situazione tornò di nuovo nelle mani di Quimby, vale a dire in stallo. Finalmente la mgm prese la saggia decisione di chiamare la coppia che in passato aveva realizzato per loro le Merrie Melodies, vale a dire Hugh Harman e Rudolf Ising. Harman e Ising presero Joseph Barbera come storyman, e Freleng notò che Barbera era anche un ottimo disegnatore perciò lo volle nel suo staff di animatori. La cosa durò poco perché in breve tempo Freleng lasciò la mgm. L’apporto creativo di Harman e Ising fece finalmente la differenza per la mgm. A spiccare in particolare fu Barney Bear, orso dall’indole rilassata, creato da Ising, ispirato a se stesso. Ising aveva quelli che potremmo definire dei tempi decisionali un po’ “lenti”: per revisionare e approvare uno storyboard impiegava quasi sei mesi, operazione che in genere richiedeva al massimo due settimane. 34
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Barney Bear fu un successo, le animazioni morbide derivavano dall’esperienza maturata da Ising durante il primo periodo alla Disney. Le gag erano lunghe e articolate, non frenetiche come erano per esempio quelle di Tex Avery. Il disegno dei personaggi, come quello dei background, era accurato, la morbidezza del tratto descriveva la realtà senza voler mai cercare di imitarla. Disegno di produzione di Barney Bear per l’episodio Goggle Harman aveva invece Fishing Bear. © mgm Studio. un animo più artistico e sensibile, la sua più grande ambizione era di sollevare il concetto di disegno animato a livelli culturalmente e artisticamente più elevati. Nel suo periodo alla mgm, per ben sei mesi, mise tutti all’opera per realizzare un cartoon basato sulla poesia di Thomas Gray intitolata Elegia scritta in un cimitero campestre. Non era esattamente quello che alla mgm ci si aspettava da un regista delle Merrie Melodies. Tuttavia Harman riuscì nel suo intento di realizzare qualcosa che elevasse il cartone animato da mero intrattenimento a un livello più alto e delicato: nacque così, nel 1939, quel piccolo capolavoro intitolato Peace on Earth (1939). La storia della fine del genere umano, autoestintosi con la guerra, viene raccontata da un anziano scoiattolo ai suoi due nipotini durante la vigilia di Natale. L’uomo viene descritto dallo scoiattolo come un mostro bellicoso sempre in cerca di motivi per attaccare e uccidere i suoi simili, fino ad arrivare all’autoeliminazione e all’estinzione. Gli animali sopravvissuti alla guerra ricreano una società basata sulla pace, la tolleranza e l’amore per il prossimo. Il disegno degli animali è “lezioso” in perfetto stile disneyano, le figure sono morbide e tonde, le animazioni fluide e i movimenti delicati. I colori, dalle calde tonalità pastello, ricreano il calore dell’atmosfera natalizia, in stridente 35
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contrasto con le scene del racconto del nonno scoiattolo, che sono animate in modo molto realistico. Le scene di guerra hanno una colorazione a tinte fredde con una forte prevalenza di neri, e furono riprese leggermente fuori fuoco. Ciò che risulta è un cartone di una dolcezza e drammaticità uniche. Peace on Earth fu nominato agli Oscar, che però andò alla Disney con The Ugly Duckling (“Il Brutto Anatroccolo”), ma soprattutto fu, ed è tuttora, l’unico cartoon a essere citato durante le nomine dei premi Nobel.
4.2 Di topi e… gatti Joe e Bill lavorarono insieme agli episodi di Barney Bear sotto la supervisione di Rudy Ising condividendo la stessa stanza. Joe era preoccupato, secondo lui la mgm continuava ad avere nel portfolio solo Barney Bear e Peace on Earth (“Pace in Terra”) nulla che potesse entrare veramente in competizione con gli altri studios, Disney in testa, e rischiavano la chiusura del reparto animazione. Lavorando gomito a gomito, Joe e Bill si erano convinti di poter creare qualcosa di nuovo. Durante il lavoro rimanevano spesso soli e cominciarono a discutere su quale potesse essere il progetto giusto da realizzare. La loro linea guida principale era il tipo di relazione che doveva intercorrere tra due personaggi, ed erano fermamente convinti che le storie dovessero svilupparsi in modo vivace e ricco di gag, che sarebbero però risultate ancora più divertenti se causate da un continuo conflitto fra i due. Passarono al vaglio tutte le possibili combinazioni di antagonisti naturali, cane e gatto, gatto e uccello, ma le scartarono in favore della coppia gatto e topo, ben consapevoli che nel mondo dell’animazione era un’idea ritenuta priva di originalità. Infatti nessuno dei loro colleghi apprezzò questa scelta, lo stesso Ising si chiamò fuori dal progetto e lasciò i due a lavorare in maniera indipendente, ma Joe e Bill non si lasciarono scoraggiare. Secondo Joe l’idea poteva funzionare, perché c’era un gatto e c’era un topo, il gatto dava la caccia al topo e il topo cercava di sfuggirgli, in pratica metà della storia si scriveva da sola. Joe cominciò a realizzare degli studi: il gatto, che chiamarono Jasper, aveva un aspetto molto aggressivo, il pelo grigio arruffato e un ghigno degno del Gatto del Cheshire. Per le proporzioni ricordava più un cucciolo che un gatto adulto. Il topolino aveva un aspetto più tenero, occhi grandi, un corpo allungato e il pelo era sulle tonalità del marrone. Piccolo mistero sul suo nome: Joe sosteneva che non lo avessero scelto un 36
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nome, mentre Bill affermava che lo avessero battezzato Jinx. La storia, a conferma di quanto diceva Joe, si scriveva da sola per buona parte. A farla funzionare e a darle una marcia in più fu il rapporto conflittuale che esisteva tra i due personaggi,e l’inversione dei ruoli nella storia. Essendo Jasper a iniziare la caccia, qualunque reazione successiva del topolino avrebbe fatto scattare l’empatia del pubblico, che a quel punto avrebbe giustificato il comportamento vendicativo del ratto. Questa era la forza dei due protagonisti: non avevano un ruolo definito, cioè uno cattivo e uno buono, ma passavano dall’uno all’altro, come naturale conseguenza delle loro azioni. In Puss Gets the Boot (“Un gatto messo alla porta”) fece il suo debutto anche Mammy Two Shoes, la domestica di colore, che si esprimeva con un forte accento afroamericano, di cui però si sarebbero viste sempre e solo le gambe fino al ginocchio. Questo personaggio sarebbe ritornato ben venti volte e la sua ultima apparizione sarebbe stata nel 1952, nella serie «Tom & Jerry».
Bill e Joe si sentivano sicuri della loro architettura narrativa, le gag studiate da Joe e temporizzate da Bill erano state scritte, ora non restava che presentare il cartoon allo staff e valutarne la reazione. Generalmente per presentare un
Model sheet per Jasper. © mgm Studios.
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nuovo progetto era sufficiente realizzare uno storyboard da sottoporre a Fred Quimby, ma Bill e Joe volevano rendere più immediato l’impatto delle gag visive che avevano realizzato. Pensarono a un sistema che gli permettesse di visualizzare le azioni senza dover realizzare l’intera animazione. Joe aveva escogitato delle scorciatoie per realizzare il minor numero di disegni possibile ma rendere la sensazione del movimento dei personaggi. Per esempio animò una camminata usando solo due disegni delle gambe, riprese alternativamente per dare l’illusione del movimento e chiamarono questa tecnica “animazione limitata”. Bill e Joe erano pronti per proiettare Puss Gets the Boot, che fu un successo. Puss Gets the Boot – 1940
In apertura di Puss Gets the Boot vediamo Jasper che “gioca” con il topolino, anche se più che altro lo terrorizza e tenta di mangiarlo, ma il topolino riesce comunque a sfuggirgli sempre. Durante uno dei vari inseguimenti all’interno della casa, Jasper urta una colonna decorativa con sopra un vaso e li fa cadere, distruggendoli entrambi. Il trambusto attira l’attenzione della domestica di colore, Mammy Two Shoes per l’appunto, che prende Jasper minacciando di buttarlo fuori di casa se rompesse anche una sola altra cosa. A questo punto per il topolino è tempo di vendetta e comincia a mettere Jasper in difficoltà, gettando bicchieri e piatti in terra. Il “povero” gatto si ritrova a essere lui la vittima del topolino ed è costretto, per salvare la pelliccia, a impedire che gli oggetti lanciati dal topolino cadano e si rompano attirando le ire di Mammy Two Shoes. La situazione diventa un crescendo di piatti volanti che Jasper prende al volo, ritrovandosi alla fine a sorreggere un’altissima e vacillante pila di piatti. A questo punto il topolino dà al terrorizzato Jasper il colpo di grazia, facendo crollare i piatti in una cacofonia di cocci in frantumi. Attirata dal frastuono arriva la domestica che caccia Jasper fuori casa, lasciando il topolino nella sua casa dolce casa. La mgm, entusiasta del risultato ottenuto dai due registi, diede la propria approvazione per la realizzazione del primo cortometraggio diretto da Bill e Joe. Nonostante questo, però, all’interno dello studio l’accoglienza continuava a essere tiepida. Rudolf Ising, che si era deliberatamente ritirato dal progetto, lasciò il suo nome come produttore, mentre Bill e Joe, che avevano scritto, disegnato e diretto l’intero corto, non furono neppure accreditati. 38
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Puss Gets The Boot venne proiettato per la prima volta nel 1940, il pubblico se ne innamorò e ricevette anche una candidatura agli Oscar come miglior cortometraggio, vinto invece da The Milky Way di Ising. La storia conteneva già tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato le avventure di Tom & Jerry. L’iniziale aggressività, ostentatamente annoiata, di Jasper la ritroveremo spesso in Tom. Il topolino che passa da vittima indifesa delle angherie di Jasper a spietato e anche strafottente cacciatore è un atteggiamento che troveremo anche nel piccolo Jerry. Furono probabilmente anche queste caratteristiche a rendere popolare il cartoon: lo spettatore poteva riconoscersi in entrambi i personaggi, da oppresso a oppressore, e provare pena anche per l’oppressore che diviene bersaglio dell’altro. Nonostante il successo del cortometraggio, Fred Quimby disse a Bill e a Joe che non voleva che realizzassero altri episodi del gatto e del topo. I due cartoon su cui lavorarono Bill e Joe dopo il loro esordio registico furono Swing Social e Gallopin’ Gals. Nonostante la qualità ottima delle animazioni i due cortometraggi furono, a parere dei registi, molto carenti nell’appeal dei personaggi sul pubblico. Il primo presentava dei pesci gatto dalle fattezze africane che cantavano sul fondo del lago, il secondo delle giumente pettegole in un ippodromo. Una curiosità su Gallopin’ Gals: era ispirato al film Donne di George Cukor (Women, 1939). Il gatto e il topo però erano pronti a tornare, Bill e Joe non avevano accantonato l’idea di continuare a ideare gag per i due nemici-amici anche se non avevano la speranza di poterle realizzare. Per loro fortuna a Quimby arrivò una lettera da Besa Short, nome molto noto a Hollywood, proprietaria di una catena di sale cinematografiche in Texas che chiedeva quando la mgm prevedesse un altro episodio del gatto e del topo. Quimby fu costretto a tornare sui suoi passi e sbloccò il veto di non produrre ulteriori cortometraggi con Jasper e il topo. Iniziava così la storia di un gatto e di un topo che divennero un fenomeno che resse per ben 114 episodi, tutti diretti da Bill e Joe per un periodo durato diciassette anni, conquistando la bellezza di sette premi Oscar.
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4.3 Tom & Jerry Nel 1940 entrarono, quindi, ufficialmente in produzione per mgm i cartoni di Jasper e del topo, ma era necessario trovare un nome migliore per il gatto e un nome per il topolino. Bill e Joe decisero che a scegliere fosse il fato: chiesero agli altri collaboratori dello studio di scrivere su un biglietto di carta due nomi che poi sarebbero stati estratti a sorte, e il “vincitore” avrebbe guadagnato cinquanta dollari. Il biglietto estratto fu di un animatore di nome John Carr, che aveva scritto i nomi “Tom & Jerry”. Bill e Joe non ne furono particolarmente colpiti, ma pensarono che più semplici erano i nomi e più facile sarebbe stato, per il pubblico, ricordarseli. I registi misero a frutto, per questo progetto, tutto quello che avevano imparato lavorando con Ising e Harman: background rifiniti fin nel minimo dettaglio, che andavano dagli interni della casa dove vivevano Tom e Jerry, per arrivare alla Francia del XVII secolo, passando per gli splendidi scorci delle strade di Manhattan.
Model sheet del topolino come appariva in Puss Gets the Boot. © mgm Studios.
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I personaggi vennero disegnati con tratti più morbidi e tondeggianti, Tom perse il ghigno e i denti aguzzi di Jasper, e il pelo si fece via via meno arruffato. Nell’insieme il design di Tom divenne meno “mefistofelico”. Jerry il topo oltre ad avere finalmente un nome ufficiale, cambiò leggermente rispetto al restyling fatto per Tom: divenne solo più tondo e paffuto. Narrativamente parlando la situazione di base era sempre la stessa: c’erano un gatto e un topo e quindi la caccia, ma la varietà delle storie create dai due registi funzionava grazie alle personalità ben definite dei due personaggi. La relazione fra i due era quella classica del cacciatore e della preda, ma Bill e Joe aggiunsero una certa umanità a questa relazione rendendo la cosa più complessa e dando al pubblico l’idea che, per quanto fosse determinato a farlo, Tom non avrebbe mai realmente preso Jerry e che il piccolo Jerry non era la vittima designata ma dimostrava sempre un suo lato aggressivo. Una regola non scritta di Tom & Jerry era che non doveva mai essere Jerry a iniziare la “caccia” ma sempre Tom, tranne alcune eccezioni come per esempio in Fraidy Cat (“Tom e il fantasma”1942) dove è Jerry a cominciare la “caccia”. The Midnight Snack (“Lo spuntino di mezzanotte”), sarà il primo episodio che darà il via alla lunga storia di Tom & Jerry, e sancirà anche l’inizio della lunga collaborazione artistica fra Bill e Joe, la più lunga nella storia dell’animazione. The Midnight Snack – 1941
Jerry sta cercando di fare uno spuntino di mezzanotte trafugando dal frigorifero un bel pezzo di gruviera. Tom lo scopre e comincia a seguirlo, mimetizzandosi come può, e a impilare furtivamente oggetti sul pezzo di formaggio che Jerry porta sulle spalle sempre più faticosamente. La situazione precipita, nel vero senso della parola, in testa a Jerry. Tom lo prende e lo blocca, mettendogli un ferro da stiro sul codino. Nel rimettere in frigorifero il formaggio preso da Jerry, Tom assaggia distrattamente della marmellata e non resiste alla tentazione di approfittare di tutte quelle delizie. Durante il suo spuntino, distratto da Jerry che tenta la fuga, Tom afferra inavvertitamente un pezzo di formaggio e, disgustato, lo lancia alle sue spalle, infrangendo vetrinetta e piatti del mobile della cucina. Naturalmente Mammy Two Shoes accorre pensando che sia Tom il colpevole del disastro (e in realtà lo è). Tom preso dal panico afferra Jerry e lo infila nel frigorifero per poi dileguarsi. Mammy apre il frigorifero e vedendo Jerry si spaventa e salta su uno sgabello sollevandosi le sue dieci coloratissime sottane. Pensando che la causa del disastro sia Jerry, la terrorizzata Mammy chiede l’intervento di Tom, che accorre. Inizia la caccia che vede però prevalere la furbizia di Jerry 41
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contro la forza bruta del gatto. Alla fine il topo la spunterà anche questa volta, mentre a Tom toccherà prendersi le (meritate) “scopettate” di Mammy. Il plot ripropone un po’ l’idea che c’era dietro a Puss Gets the Boot, ma questa volta Mammy è consapevole di avere un topo in casa e pensa che sia lui il colpevole. Vediamo anche, per la prima volta, la gag l’esilarante di Mammy che salta terrorizzata sul primo sgabello sollevando le sue infinite sottane, gag che diventerà un vero e proprio tormentone. The Midnight Snack vedeva accreditato come produttore Fred Quimby anziché Rudolf Ising. Questo cambio avvenne quando Quimby scoprì che Ising si era accreditato come il produttore di Puss Gets the Boot ma non aveva minimamente seguito il progetto, pertanto ritenne suo diritto prendersi il titolo di produttore. Ma Fred Quimby fece esattamente quello che aveva criticato in Ising: non prese minimamente parte al processo creativo di alcun episodio della serie, accreditando Bill e Joe solo come registi. Per i due registi/produttori avvenne una cosa ben peggiore alla vincita del loro primo premio Oscar con il cortometraggio intitolato The Yankee Doodle Mouse (“Dichiarazione di
Disegno di produzione di Tom & Jerry. Tutti i diritti riservati.
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guerra”, 1943). Durante la premiazione salì sul palco a ritirare il premio solo Quimby, lasciando a casa i due veri produttori. La cosa naturalmente amareggiò Bill e Joe che chiesero di essere almeno accreditati come co-produttori, ma Quimby rispose che non poteva, aveva le mani legate, perché il vice presidente della mgm non sarebbe stato d’accordo. Il lato positivo però era che Quimby, a differenza di Ising, non aveva oggettive conoscenze artistiche e competenze in animazione, perciò i due registi erano assolutamente liberi di scrivere e animare le storie di Tom & Jerry esattamente come le volevano loro.
Tom e Jerry in un disegno di produzione di Ray Patterson. © Warner Bros.
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The Yankee Doodle Mouse – 1943 Il cartone inizia e siamo già nel pieno della caccia. Tom insegue Jerry che fugge in cantina seguendo le indicazioni “cat raid shelter” (rifugio antifelino). Jerry evidentemente installa qui il suo quartier generale, e si rifugia in un buco nel muro lanciando a Tom, che sta sbirciando nella tana, il primo attacco: un pomodoro dritto sul muso. A questo punto inizia la guerra vera e propria e anche le divertentissime versioni cartoon dei nomi e delle vere armi. L’attacco di Jerry passa per delle hen-grenades (hand-grenades “bombe a mano”), delle uova che lancia in faccia a Tom, costringendolo a cercare riparo dietro a un barile. Qui Jerry scatenerà l’artiglieria pesante, prendendo Tom a cannonate e costringendolo alla ritirata nella tinozza del bucato, “a bordo” di un pentolino che verrà affondato da un mattone lanciato da Jerry. Il topolino segnala con un dispaccio a un ipotetico mouse headquarter della Cheese Division, di aver visto e affondato il gatto. Tom torna all’attacco, mettendo il classico pezzo di formaggio davanti alla tana di Jerry, pronto a colpirlo con il martello appena mette fuori la testa. Jerry vede tutto dal periscopio e riparte la battaglia, fra
Layout di produzione di Tom & Jerry. Tutti i diritti riservati.
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grattugie/jeep, “attacchi aerei” fatti di lampadine lanciate da una scatola per uova volante, un reggiseno usato come paracadute e tutta una serie di fuochi d’artificio. Assolutamente esilarante la fuga di Jerry dai sei fuochi d’artificio “senzienti”, lanciati da Tom. In un crescendo di esplosioni, che fanno più rumore che danno, Jerry vince la guerra legando astutamente Tom a un gigantesco fuoco d’artificio che, esplodendo in cielo, disegna la bandiera americana. Era un periodo davvero d’oro per l’animazione, non solo per Tom & Jerry ma per tutto il mercato dei cartoon. Basti pensare allo stesso Gene Kelly, in cerca di un numero nuovo e unico per poter mettere un po’ in ombra l’avversario di sempre, Fred Astaire. Kelly pensò a un balletto in coppia con un noto personaggio animato, nello specifico un topo, e andando ancora più nello specifico lui avrebbe voluto Topolino. Disney declinò la proposta di Gene Kelly, l’artista si rivolse all’altro topo dei cartoon e così nacque l’idea di far ballare Gene Kelly con Jerry Mouse, in una sequenza di ballo di Anchors Aweigh (“Due marinai e una ragazza”, 1945) del regista George Sidney. La lavorazione, ricordava Joe, non fu semplice: furono fatte prima le riprese con il solo Gene mentre eseguiva il suo numero di danza, guardando nella posizione dove si sarebbe trovato Jerry, poi i passi di danza di Kelly vennero usati come guida per disegnare i movimenti di Jerry e alla fine il tutto, montato insieme, risultò davvero stupefacente. La scena era memorabile, costruita e coreografata nei minimi dettagli l’illusione era perfetta. Il pubblico ne fu entusiasta tanto che Jerry rubò praticamente la scena a Gene Kelly. A Tom toccò il ruolo di comparsa. Bill e Joe collaborarono di nuovo con Gene Kelly, molti anni dopo, nel film Invitation To The Dance (“Trittico d’amore”, 1956) scritto e diretto dallo stesso Kelly. Il film è costruito su tre diversi numeri musicali, tutti senza dialogo, e in uno dei segmenti (Sinbad the Sailor) Gene Kelly viene trasportato in un magico scenario orientale completamente disegnato, dove danza insieme a delle guardie, a una ballerina orientale e a un serpente gigante. Questa volta infatti era Gene a entrare nel mondo dei cartoon, ma senza Tom e Jerry. Il film fu ultimato nel 1952 ma Kelly, insoddisfatto del risultato finale, non volle distribuirlo. Alla fine la mgm lo fece uscire nelle sale nel 1956 ma non ebbe successo. Un’altra star della mgm incontrò Tom e Jerry per una splendida coreografia sottomarina: Esther Williams nuotò al fianco dei due nel film Dangerous When Wet (“Nebbia sulla Manica”, 1953). La sequenza onirica vedeva la bellissima Esther nuotare in un fondale marino disegnato accompagnata da entrambi i personaggi.
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4.4 Musica per gatti e topi Le storie di Tom & Jerry erano di pura azione, i due protagonisti non parlavano, emettevano solo dei suoni, soprattutto urla di dolore per i colpi ricevuti. Questa assenza di dialoghi, scelta dai due registi, proveniva dal genere slapstick del cinema muto dei primi del Novecento, dove i personaggi usavano il linguaggio del corpo e le espressioni facciali per esprimersi e comunicare. Quindi, se da una parte il senso del timing di Bill aiutava a costruire l’azione e le gag, dall’altra il talento artistico di Joe raccontava la storia attraverso le infinite espressioni buffe dei due protagonisti. C’erano altri tasselli fondamentali che completavano questo mosaico: la musica e il suono. Tutta la musica presente in Tom & Jerry era opera di un unico compositore, Scott Bradley. Scott era entrato nella mgm insieme con Harman e Ising, per i quali aveva già composto diverse colonne sonore. Alla mgm, prima di essere inserito nel progetto di Bill e Joe, aveva lavorato su Barney Bear. La differenza sostanziale con i precedenti lavori in animazione di Scott era che in Tom & Jerry la musica era parte dell’azione stessa, la doveva descrivere senza soverchiarla, accompagnandola e sottolineandola. Bradley, come era tipico in quei tempi, sceglieva tra i brani del repertorio classico e contemporaneo quello più adatto all’atmosfera dell’episodio su cui doveva lavorare, e ne modificava parzialmente la partitura per meglio adattarlo alla narrazione e all’atmosfera immaginate da Bill e Joe. Un aneddoto divertente riguardante Scott Bradley viene riportato da Jim Korkis nel suo Animation Anecdotes. […] Scott Bradley era stato invitato alla scuola del famoso compositore Miklós Rózsa, alla usc. Bradley spiegò alla classe che la musica era l’elemento più importante in un cartoon, perché aiutava a Un layout dall’episodio Sleepy-Time Tom (1951) ad opera di Richard Bikenbach. © mgm.
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evidenziare le gag. Come dimostrazione, proiettò un cartoon di Tom & Jerry senza musica, avvisando la classe che lo avrebbero trovato meno divertente. Con suo disappunto, l’intera classe rise per tutta la durata del cartoon. Poi lo proiettò di nuovo ma con la musica per dimostrare che sarebbe stato ancora più divertente. Tuttavia, alcune volte uno scherzo diverte solo la prima volta e questa versione fu gratificata solo da qualche sorriso invece dell’esplosione di risate precedente. Un imbarazzato Bradley, quindi cambiò velocemente argomento (da Animation Anecdotes: The Hidden Hostiry of Classic American Animation, Jim Korkis, Theme Park Press, 2014)
Questo non significava che il lavoro di Bradley fosse relativamente importante ai fini della realizzazione di Tom & Jerry, ma testimonia piuttosto che le gag ideate dai due registi avevano una potenza che andava ben oltre le loro aspettative e la notorietà dei personaggi faceva tutto il resto. In alcuni episodi però la musica era il fulcro della storia: The Cat Concerto (“Jerry Pianista”, 1947) e Johann Mouse (“Caccia a tempo di valzer”, 1953), entrambi vincitori di un Oscar, non avrebbero ragione di esistere senza la colonna sonora di Scott Bradley. Era impensabile quindi che Tom & Jerry potessero quindi funzionare senza la musica, forse Bradley aveva scelto l’esempio sbagliato. Jim Faris era l’artista degli effetti sonori: la sua grande abilità era quella di riuscire a creare degli effetti che si integrassero perfettamente con la partitura musicale scritta da Bradley. Salti, corse, movimenti rapidi oppure lenti, colpi, risate e tutto quello che poteva passare in mente a Bill e Joe veniva trasformato da Faris nel suono più adatto ed efficace.
4.5 Tom, Jerry e gli altri Bill e Joe erano consapevoli che, per funzionare a lungo, le avventure di Tom & Jerry dovevano introdurre anche nuovi personaggi, creando ulteriori relazioni al fine di vivacizzare le trame. Mammy Two Shoes, come abbiamo visto, aveva già fatto il suo ingresso in Puss Gets the Boot ma sarebbe rimasta sempre un po’ fuori dal centro della scena. Questa sua partecipazione parziale era evidenziata anche dal fatto che non la si vede mai in faccia (in realtà nell’episodio Saturday Evening Puss del 1950 verrà più o meno mostrata). Bill e Joe già al quarto episodio introdussero un nuovo personaggio, che divenne poi ricorrente: il bulldog Spike.
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Dog Trouble (1942) era anche il primo episodio che vedeva i due protagonisti coalizzarsi contro un nemico che successivamente diverrà “nemico naturale” di Tom e correrà sempre in aiuto di Jerry. Sempre nel 1942 in Puss n’ Toots (“Colpo di fulmine”) appariva per la prima volta, Toots una deliziosa gattina beige dalle lunghe ciglia, per cui sia Tom che Jerry avrebbero perso la testa. Toots venne utilizzata di nuovo da Bill e Joe nell’episodio The Mouse Comes to Dinner (“Cena per due”, 1945). In Fine Feathered Friend del 1942 (“Un’amica pennuta”) il ruolo di spalla toccò a Hen, combattiva gallina disposta a tutto pur di difendere le sue uova dai presunti attacchi di Tom. Hen fu il primo personaggio a difendere, anche se inconsapevolmente, il piccolo Jerry. In Sufferin’ Cat! (“Il diavolo custode”, 1943) fu introdotto un altro gatto, avversario / complice di Tom, Meathead, che apparirà di nuovo in altre due occasioni, sempre più o meno simile nel design, una in Baby Puss (“Tom il neonato”) e poi in un episodio (Scat Cats, 1957) dello spin-off dedicato a Spike e Tyke. Sempre in Sufferin’ Cats! appare per la prima volta il “diavolo custode” di Tom, mentre il diavoletto custode di Jerry verrà introdotto solo nel 1946. Altri due gatti hanno affiancato o fronteggiato Tom nelle sue cacce al topo, Butch e Topsy. Questi due personaggi vennero presentati nel divertente Baby Puss (1943), insieme alla bambina Nancy di cui non ci verrà mai mostrato il volto e al gatto Meathead, già presentato qualche anno prima. Svolta romantica nel 1946 in Springtime for Thomas (“Primavera per Tom”), quando i due registi misero la sensuale gattina bianca Toodles al centro delle attenzioni di Tom e di Butch. Nello stesso episodio, oltre al già citato diavoletto custode di Jerry, appariva anche la tenera Chérie, che faceva battere il cuore a Jerry. Toodles e Chérie tornarono in altri episodi della serie. Nel successivo The Milky Waif (“A caccia di latte”, 1946) i due produttori introdussero Nibbles (chiamato anche Tuffy). Si trattava di un tenero topolino grigio con il pannolone che il pubblico amò subito, cosa che spinse Bill e Joe a riutilizzarlo per altri dodici episodi, fra cui i quattro ambientati nella Francia dei moschettieri, The Two Mouseketeers (“I due moschettieri”, 1952), premiato con l’Oscar e Touché, Pussy Cat! (“Moschettiere dilettante”) del 1954 nominato agli Academy Awards, Tom and Chérie (1955)e Royal Cat Nap (“Il sonno del gatto reale”, 1958). Nel 1948 fu la prima volta del canarino Cuckoo (presente successivamente in altri tre episodi) che correva in soccorso di Jerry, e poi fu il turno del veloce supergatto Lightning (Old Rockin’ Chair Tom, “Gatto vecchio, vita nuova”, 1948) 48
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che portò i due protagonisti a coalizzarsi per allontanare da casa questo velocissimo felino dal pelo arancione, realizzato sul modello del gatto Butch. In Heavenly Puss (“L’espresso celeste”, 1949) ritroviamo Butch e fecero la loro prima apparizione i tre gattini Fluff, Muff e Puff finiti in Paradiso chiusi in un sacco, un bel pugno nello stomaco già a quell’epoca. Li ritroveremo vivi e pestiferi più che mai in Triplet Trouble (“Tre piccole pesti”, 1952). Da notare che, più volte durante l’episodio, i tre vengono chiamati “i tre piccoli angioletti” e sul finale Tom li traveste proprio da angioletti, probabilmente sia per ironizzare sul loro diabolico comportamento (quando Mammy non li vedeva) ma anche come riferimento alla loro prima apparizione avvenuta nel Paradiso dei gatti. Tyke, il cucciolo di Spike, verrà introdotto nella serie solo nel 1949 con l’episodio Love That Pup. Nell’episodio The Little
Layout di produzione di Tom & Jerry. Tutti i diritti riservati.
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Model sheet per Tom & Jerry. © Warner Bros.
Quacker (“sos Paperina”, 1950) faceva la sua primissima apparizione il piccolo Quacker, piccola anatra ciarliera che tornerà nella serie in altri sette episodi. Bill e Joe pensarono poi di rompere un po’ la monotonia dei ruoli: presero un felino, anzi il re di tutti i felini, e crearono un’alleanza fra lui e il piccolo Jerry, nasce da qui l’idea di Jerry and the Lion (“Jerry e il leone”, 1950). Jerry deve aiutare un leone depresso fuggito dal circo a tornare alla vita libera della savana. Un’altra insolita coppia venne formata per l’episodio Jerry and the Goldfish (“Jerry e il pesce”, 1951). In questo episodio vediamo Jerry impegnato a salvare un pesciolino rosso dalle fauci di Tom. Nel successivo episodio, sempre del 1951, intitolato Jerry’s Cousin (“Il cugino di Jerry”), fece la sua apparizione il bellicoso e forzuto cugino di Jerry, Muscles. Nel 1953 i due geniali produttori pensarono a un’altra insolita coppia, il topo Jerry e l’elefante Jumbo nell’episodio dal titolo Jerry and Jumbo (“Jerry e il jumbo”). La sequenza iniziale, come anche il nome dell’elefantino, richiamano inevitabilmente alla memoria il lungometraggio prodotto dalla Disney, con protagonista un elefantino e anche un topolino (Dumbo, 1941). Nel 1954 i due 50
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protagonisti vennero “mandati” in trasferta in Italia, dove incontrano il piccolo ma irruento Topo Napoletano. In apertura di Neapolitan Mouse (“Topo napoletano”) vediamo una panoramica della baia di Napoli accompagnata dalle note di Santa Lucia. Nella versione originale l’unico a parlare, in un divertente italiano, è Topo, che deliziava le orecchie di Tom e Jerry e del pubblico americano, intonando in uno strampalato napoletano Maria Marì. Sempre nello stesso anno, dopo l’uscita dalle scene di Mammy Two Shoes avvenuta due anni prima con l’episodio Push-Button Kitty (“Il gatto meccanico”), vennero presentati per la prima volta i coniugi George e Joan, rispettivamente i padroni di Spike e Tom, titolo dell’episodio era The Pet Peeve. Come già era avvenuto per Mammy, della coppia non vedremo il volto. I due vennero riutilizzati quattro volte nell’arco di pochi anni (gli ultimi della mgm). Joan da sola però apparve altre quattro volte, viso incluso. In Pecos Pest (“Lo zio Pecos”) del 1955 venne introdotto un altro parente di Jerry, Pecos, lo zio texano di Jerry e cantante country, che avrebbe dato del filo da torcere a Tom. In Busy Buddies (“I babysitter”) del 1956, Bill e Joe mischiarono un po’ le carte: oltre a farci vedere tutti i personaggi umani, volto incluso, Tom e Jerry vennero presentati come due pacifici amici intenti, loro malgrado, a salvare il piccolo Baby dai mille pericoli casalinghi e non in cui incorre mentre la babysitter Joanie, ingaggiata da George e Joan, passa il suo tempo al telefono. Baby e la babysitter Joanie tornarono nell’episodio che concludeva la Disegno di produzione di Tom. produzione di Tom & Jerry da parte della mgm (Tot Watchers, 1958).
4.6 Le sette statuette d’oro di Hanna-Barbera Battere Disney, devo ammetterlo, è stato piacevole, e non solo perché Walt non mi aveva telefonato a New York, come aveva promesso, quando ancora stavo lavorando alla Irving Trust. No, Walt Disney non aveva altro che 51
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Citazione di Mammy Two Shoes in uno storybaord di Chi ha incastrato Roger Rabbit. Š Warner Bros.
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disprezzo per gli altri studi di cartoni animati e lo stesso valeva per ogni scrittore, regista, artista e animatore che non lavorasse per lui. Per questo motivo, ogni Oscar che abbiamo guadagnato portava una spanna sopra di lui. Per Joe quindi, vincere un Oscar non era solo un punto a favore della sua “squadra” ma soprattutto una lezione impartita a Walt, visto da Joe come un vero e proprio despota del mondo dell’animazione. A rendere però amare queste vittorie ci pensò Fred Quimby, che non permise mai ai due registi di salire sul palco a ritirare una sola delle statuette che avevano conquistato. L’alta qualità del lavoro che fecero Bill e Joe fu chiara fin dal loro esordio, nel 1940, con Puss Gets the Boot. I due registi ottennero subito la loro prima nomination agli Academy Awards, premio che andò comunque alla mgm con The Milky Way di Rudolf Ising. The Night Before Christmas del 1941 gli fece guadagnare la loro seconda nomination, mentre l’Oscar andò alla Disney con Lend a Paw (“Porgimi la zampa”) per la regia di Clyde Geronimi. La prima statuetta, invece, Bill e Joe la conquistarono nel 1943 con The Yankee Doodle Mouse battendo il disneyano Reason and Emotion per la regia di Bill Roberts. In entrambi i cortometraggi si affrontava, con ironia, la tematica bellica. L’anno successivo furono di nuovo Bill e Joe ad aggiudicarsi l’Academy Awards con Mouse Trouble (“Jerry nei guai”), mentre la Disney schierava in campo uno dei cartoon di Pippo della serie «How to…» (la candidatura di quell’anno fu per How to Play Football di Jack Kinney). Gli Academy Awards del 1945 videro Tom & Jerry vincitori del loro terzo Oscar consecutivo con Quiet, Please! (“Silenzio, prego!”). Sul fronte Disney fu il turno di Paperino che ci rimise le metaforiche penne con Donald’s Crime regia di Jack King. Nel 1947 fu The Cat Concerto a surclassare agli Oscar l’iconico topo di Walt. Nonostante il supporto di Cip e Ciop, Squatter’s Rights diretto da Jack Hannah non conquista comunque l’ambita statuetta. Fu la Warner Bros che nel 1947, con la prima apparizione ufficiale di Titty (Tweety Pie regia di Friz Freleng) interruppe la sequenza di premi vinti dalla mgm. Dr. Jekyll and Mr. Mouse guadagnò comunque una nomination, mentre gli studi dello zio Walt ne ottennero ben due: Chip an’ Dale diretto da Jack Hannah e Pluto’s Blue Note (“Pluto canterino”) per la regia di Charles A. Nichols. La quinta statuetta per Tom & Jerry arrivò nel 1949, con The Little Orphan (“Piccolo Orfano”). La Disney aveva ottenuto due nomination con Mickey and the Seal (“Topolino e la foca”) regia di Charles A. Nichols e Tea for Two Hundred con la regia di Jack Hannah. Nel 1950 la Warner Bros si aggiudica l’Oscar con For Scent-imental Reasons di Charles M. Jones. 53
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La mgm incassò l’ennesima nomination con Hatch Up Your Troubles (“Cuore di picchio”). La Disney riceve una nomination con Toy Tinkers (“Paperino ancora nei guai”) diretto da Jack Hannah. Il 1951 vedeva vincitori gli “esuli” della Disney che, riunitisi sotto il nome upa si aggiudicarono il premio con Gerald McBoing-Boing di Robert Cannon. La mgm venne candidata con il cortometraggio Jerry’s Cousin, mentre la Disney non ricevette nessuna candidatura. La statuetta tornava nelle mani della mgm con The Two Mouseketeers del 1952 mentre Lambert the Sheepish Lion (“Abele l’agnellone”) diretto da Jack Hannah fu la nomination ricevuta dalla Disney. È doveroso citare anche il bellissimo Rooty Toot Toot di John Hubley fra le nomination di quell’anno. Nel 1953 Bill e Joe vinsero l’Oscar con Johann Mouse, loro ultimo riconoscimento da parte dell’Academy. La Disney non ricevette alcuna nomination nemmeno quell’anno.
Il team di Tom & Jerry, nel 1952, posa davanti agli Oscar vinti. Da sinistra a destra Ed Barge, Irv Spence, Dick Bickenbach, Joe Barbera, Bill Hanna e Ken Muse. © Warner Bros.
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Nel 1955 con Touché, Pussy Cat!, un altro episodio di ambientazione francese Tom & Jerry ricevettero la loro ultima candidatura agli Oscar: la statuetta quell’anno andò a When Magoo Flew di Pete Burness, mentre Pig is Pigs di Jack Kinney fu la nomination ricevuta dalla Disney. L’ultima nomination agli Academy Awards di Bill e Joe fu Good Will to Men (“Pace in Terra”) del 1956, remake di Peace on Earth sempre della mgm per la regia di Hugh Harman, anch’esso nominato agli Oscar nel 1940. L’ Oscar del 1956 andò a Friz Freleng, quindi alla Warner Bros e alla prima apparizione del topo più veloce di tutto il Messico, Speedy Gonzales. La Disney ricevette una candidatura per No Hunting di Jack Hannah. Con ben quattordici nomination e sette Oscar vinti, la mgm, Bill e Joe potevano ritenersi più che soddisfatti. Tom & Jerry avevano conquistato il pubblico di tutto il mondo e per ben quindici anni avevano dato del filo da torcere allo zio Walt.
4.7 La censura in Tom & Jerry Il successo di Tom & Jerry fu davvero un continuo crescendo, la creatività di Bill e Joe si poteva definire esplosiva… in senso letterale! Armi di ogni genere furono impugnate dai due protagonisti, dalle semplici forchette, passando per asce e spade per arrivare a pistole, cannoni e candelotti di dinamite. La comicità e l’esagerazione di queste scene ne attenuavano l’impatto violento o bellico ma non la pensavano così i censori, che negli anni Sessanta cominciarono a tagliare tutto quello che sorpassava il limite da loro tracciato. Le armi furono, e sono tuttora, considerate tabù nei cartoni animati televisivi e per questo vietate oppure rese meno realistiche. Ma in Tom & Jerry quelle che risultarono spesso più indigeste furono le scene che potevano ritenersi offensive verso le diverse etnie. Molte gag utilizzavano, ad esempio, lo stereotipo dell’uomo o della donna di colore secondo la visione, naturalmente sbagliata, della società americana dell’epoca. La conseguenza fu che Mammy Two Shoes fu letteralmente tagliata via dalle forbici della censura, che ritenne il personaggio offensivo per la comunità afroamericana. Mammy Two Shoes fu considerata lo stereotipo della donna africana, al limite del razzismo, tanto da spingere la mgm a farla ridisegnare e sostituirla, in tutte e venti le sue apparizioni, con gambe bianche di una donna con uno spiccato accento irlandese (con buona pace degli stereotipi razzisti sugli irlandesi). Il personaggio della domestica afroamericana è stato citato anche nel lungometraggio Who Framed Roger Rabbit (“Chi ha incastrato Roger Rabbit”, 55
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di Robert Zemeckis, 1988). La vediamo nell’episodio della serie fittizia di Baby Herman e Roger Rabbit intitolato Somethin’s Cookin’ che apre il film. Anche di questo personaggio vedremo solo le gambe paffute, ma questa volta bianche, che calzano delle eleganti scarpe con il tacco al posto delle ciabatte delle Mammy originale. La censura postuma colpì anche molti altri dei cortometraggi di Tom & Jerry, tutte quelle scene in cui in qualche modo si faceva riferimento a qualche etnia particolare o a qualche tipo di violenza vennero, molto arbitrariamente e barbaramente, tagliate dalla censura americana. In Puss ’n’ Toots (1942), per esempio, venne eliminata la scena in cui Tom, bloccato sul giradischi, riceveva un altro disco in testa, diventando una specie di cappello da mandarino e trasformando Tom in un vecchio cinese. Più o meno la stessa situazione si presenta, e viene tagliata, in Little Runaway (1952). In Flirty Birdy (“Un condor innamorato”, 1952) fu sempre Tom a cadere sotto le cesoie della censura. Tom veniva lanciato dall’aquila verso un filo della biancheria trascinando con sé un vestito steso e urtando contro uno spolverino di piume che, finendogli in testa, lo trasformava nell’immagine iconografica del capo indiano. The Milky Waif (“A caccia di latte”, 1946) ricevette un bel taglio: l’intera sequenza in cui Jerry e Nibbles uscivano dall’armadio vestiti rispettivamente da donna africana e da bimbo africano venne tagliata in maniera brutale, come anche in The Little Orphan (“Piccolo orfano”, 1949), dove la censura tagliò via, distruggendo anche la logica delle scene, l’intera sequenza in cui Tom veniva colpito dalla candela lanciatagli da Nibbles, prendeva fuoco rimaneva con la faccia annerita ricordando i lineamenti africani da cartoon anni Quaranta. Queste erano giusto alcune delle censure effettuate perché si riteneva che le scene contenessero offese di stampo razzista o che ce ne fossero altre considerate “particolarmente violente”, secondo la censura dell’epoca. La scena “incriminata” di Mouse Trouble (1944) era quella in cui Jerry, dopo aver segato la scatola in cui era chiuso Tom, guardava all’interno e alzava, con aria preoccupata, un cartello con su scritto “Is there a doctor in the house?”. Ma anche il cortometraggio The Two Mouseketeers premiato con l’Oscar nel 1952 subì il taglio della scena finale in cui si lasciava intendere che Tom venisse decapitato, mentre a essere decapitata fu la sequenza. Anche se in tempi più recenti si è capito che sostituire un personaggio perché poteva offendere la sensibilità di qualcuno o tagliare una scena perché ritenuta offensiva significava voler nascondere un determinato periodo storico, fingere 56
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che un pregiudizio comune negli anni Cinquanta non fosse mai esistito, e pertanto fu ritenuto più giusto reinserire le animazioni originali di Mammy Two Shoes e anche le scene tagliate. Il doppio dvd Tom & Jerry Deluxe Anniversary Collection pubblicato dalla Warner Bros, presenta questo cartello all’inizio della riproduzione del dvd: Alcuni dei cartoon che state per vedere sono il prodotto della loro epoca. Possono rappresentare alcuni dei pregiudizi etnici e razziali comuni nella società americana. Questo era sbagliato allora ed è sbagliato anche oggi. Alcuni dei cartoon che vedrete non rappresentano il punto di vista della Warner Bros sulla società moderna, ma vengono presentati come furono originariamente creati, perché fare diversamente sarebbe come dichiarare che determinati pregiudizi non siano mai esistiti. (traduzione dell’autore)
Negli episodi presentati nel dvd, Mammy è sempre presente, non è stata sostituita dalla sua controparte irlandese, ma perde molto del suo caratteristico modo di parlare. Mentre alcuni interventi censori restano, per esempio The Little Orphan e The Milky Waif vengono presentati nella loro versione brutalmente amputata. Il cartello iniziale quindi resta un po’ contraddittorio ed è spiacevole scoprire che in una Deluxe Edition vengano presentati episodi barbaramente massacrati.
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4.8 La fine alla mgm Nel 1955 Fred Quimby convocò tutto lo studio per una riunione straordinaria. Annunciò che, per salvaguardare la sua salute, avrebbe abbandonato il dipartimento di animazione della mgm. Lasciava però lo studio nelle capaci mani di Bill e Joe, che finalmente vedevano riconosciuto il ruolo fondamentale che avevano svolto per la mgm in tutti quegli anni. Consapevoli che la televisione stava cambiando le abitudini degli americani, non avevano intenzione di riposare sugli allori perché erano ben consci del fatto che, nonostante il successo ottenuto, Tom & Jerry potevano non sopravvivere a questo cambiamento. I due registi/produttori restarono alla guida del dipartimento di animazione pochi anni e produssero quindici nuovi episodi più tre remake. The Egg and Jerry (“Cuore di picchio”, 1956), Tops with Pops (“Non disturbare il can che dorme”, 1957), Feedin’ The Kiddie (“Il piccolo orfano”, 1958) che sono rispettivamente i remake di Hatch Up Your Troubles, Love That Pup e Little Orphan tutti del 1949. In questi remake, come del resto in gran parte della produzione degli anni Cinquanta, oltre all’adattamento al formato cinemascope, furono apportate altre modifiche. Lo stile dei personaggi si fece più piatto e il tratto meno morbido, con un’outline nera più marcata. Le scenografie perdevano la profondità prospettica, la colorazione pittorica e morbida delle tinte pastello degli anni Quaranta, per lasciare il posto a scenografie più bidimensionali, colorate a tinte piatte, dove spesso la stilizzazione estrema prendeva il posto della rappresentazione della realtà. Il cambio di stile fu, molto probabilmente, dettato in parte dalla necessità di risparmiare ma anche per andare incontro al gusto dell’epoca. La Disney stessa si era adattata a questo design più stilizzato e bidimensionale, come per esempio in Toot, Whistle, Plunk and Boom (1953) vincitore dell’Oscar, come miglior corto animato quell’anno, dove troviamo una stilizzazione dei personaggi e una bidimensionalità prospettica insolita per la fabbrica di Topolino. Ma Bill e Joe sentivano la spada di Damocle pendere sopra le loro teste, il mondo del cinema stava cambiando, e non solo a causa della diffusione della televisione nelle case degli americani. Agli inizi degli anni Sessanta finì quella che era stata l’epoca d’oro dell’animazione e lo sfruttamento commerciale dei cortometraggi animati. Il block booking, cioè la pratica usata dai produttori per obbligare i cinema a comprare interi pacchetti di film e cortometraggi, divenne illegale. Secondo la nuova regolamentazione i corti dovevano essere venduti separatamente: in 58
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questo modo i proprietari dei cinema potevano ottenere prezzi più bassi e la situazione precipitò al punto che non era più conveniente, per le major, produrre dei corti. Nelle sale cinematografiche prendeva piede il double feature, cioè la possibilità di vedere due film uno dopo l’altro al costo di un solo biglietto, nel tentativo di contrastare la nuova rivale, la televisione. Questa era quindi l’atmosfera sul finire degli anni Cinquanta e Bill e Joe ne erano pienamente consapevoli, ma nonostante questo furono colti di sorpresa quando arrivò una telefonata dai dirigenti della mgm.
Ai piani alti si erano resi conto che replicare un vecchio cortometraggio di Tom & Jerry fruttava agli studios poco meno di uno inedito, ma a differenza dell’inedito era praticamente a costo zero, quindi perché produrne altri per un mercato che comunque stava morendo? Quella telefonata, a cui rispose uno dei contabili, poneva fine al dipartimento di animazione della mgm. Bill e Joe si ritrovarono senza lavoro, ma pensarono che i due creatori di una serie di successo come quella di Tom & Jerry avrebbero avuto tutti gli altri studi d’animazione pronti a stendergli il tappeto rosso. Non fu così. Anche gli altri studi stavano attraversando un brutto momento, fare animazione era diventato troppo costoso. Bill e Joe dovettero rimboccarsi le maniche e, in un periodo in cui di certezze ce ne erano poche, cominciarono a lavorare come freelance. La cosa più interessante che realizzarono furono tre spot per le sigarette Philip Morris con protagonista la versione animata di Lucille Ball protagonista della sitcom I Love Lucy (“Lucy ed io”). Non era raro, a quell’epoca, che lo sponsor di un Scena dallo storyboard di programma fosse una marca di It’s Greek to Me-ow! (“Tom & Jerry in Grecia”) sigarette, teniamo a mente questo prodotto da Gene Deitch. © Warner Bros. particolare e andiamo avanti.
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4.9 Tom & Jerry: la storia continua La fine del dipartimento di animazione della mgm non significò anche la fine delle avventure di Tom & Jerry. I due amici/nemici ebbero diverse nuove incarnazioni, anche televisive, dirette da diversi registi, fino a chiudere il cerchio tornando di nuovo dai loro creatori, Bill e Joe. Tre anni dopo la chiusura del dipartimento di animazione della mgm, la major decise di tornare a occuparsi di animazione: i diritti di Tom & Jerry erano rimasti alla mgm che pensò al regista Gene Deitch per rilanciarli sul grande schermo. L’apporto di Gene non fu di particolare rilievo, l’estrema stilizzazione del design e le animazioni poco fluide, che caratterizzavano il suo lavoro, funzionavano su personaggi come Sidney the Elephant, Gaston Le Crayon, Tom Terrific e Munro, che gli valse l’Oscar nel 1961, ma risultarono poco o per nulla adatti a Tom & Jerry. Nei corti di Deitch, inoltre, la trama comica nasceva dalla storia e non dal rapporto tra i due protagonisti, andando così a modificare quella che era la vera natura di Tom & Jerry. Dei tredici corti realizzati da Gene Deitch dal 1961 al 1962 per la Rembrandt Films, restano comunque interessanti sopratutto It’s Greek to Me-ow!, Dicky Moe e il surreale The Tom and Jerry Cartoon Kit (“Completo per cartoni”). L’anno successivo, 1963, la mgm propose a Bill e Joe di produrre dei nuovi corti per Tom & Jerry, ma i due rifiutarono perché la produzione televisiva li impegnava a pieno regime. In quello stesso anno la Warner Bros chiudeva il dipartimento animazione e la mgm ne approfittò per reclutare Chuck Jones e metterlo alla regia dei nuovi corti di Tom & Jerry. Jones, attirato dalla libertà
Tom e Jerry nella versione di Chuck Jones. © Warner Bros.
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concessagli dalla mgm sui personaggi di Tom & Jerry e dal budget più alto, rimise insieme il suo team di lavoro e cominciò la produzione. L’impronta che Jones diede ai personaggi fu fortemente influenzata dal suo lavoro sui Looney Tunes, coadiuvato in questo dallo sceneggiature Michael Maltese (ex sceneggiatore dei Looney Tunes). Il design dei due personaggi venne leggermente cambiato, gli occhi di Jerry si fecero più grandi e l’aria nell’insieme divenne più innocente, mentre l’aspetto di Tom si fece più “diabolico” e con l’ispessimento delle sopracciglia, Maltese e Jones, dichiararono la loro fonte d’ispirazione: Wile E. Coyote. Le trame dei corti di Jones tornavano alle origini, mettendo di nuovo al centro della storia la rivalità fra i due. Chuck Jones ebbe anche la divertente idea di sostituire, in apertura a ogni corto, il leone ruggente simbolo della mgm, con un Tom “miagolante”. In quattro anni Jones realizzò ben 34 corti di Tom & Jerry. La mgm nel 1967 smise definitivamente di produrre i corti di questi personaggi, e per la prima volta i due approdarono in televisione, non con inediti ma con repliche dei corti cinematografici. Tuttavia, come abbiamo già visto, molti episodi furono pesantemente censurati in partenza o ridisegnati. Nel 1974 tornarono dai loro creatori e la Hanna-Barbera mise in produzione la prima serie televisiva di episodi inediti di Tom & Jerry, intitolata The Tom & Jerry Show. I due protagonisti erano adesso due amici e affrontavano una serie di nuove avventure aiutandosi reciprocamente. La serie, come le altre produzioni del duo di produttori, era caratterizzata più dai dialoghi che dalle azioni. Televisivamente la “violenza” che caratterizzava i corti non era ammissibile, quindi i due protagonisti trovavano soluzioni più politically correct. Il design di Tom rimase pressoché invariato, Jerry invece acquistò un piccolo papillon rosso. Le animazioni risentirono dell’uso della limited animation e le scenografie risultarono più povere, i budget degli esordi cinematografici erano un lontano ricordo oramai. La mgm non fu soddisfatta del lavoro svolto da Hanna e Barbera e chiuse la serie. Nel 1980 la mgm contattò la Filmation di Lou Scheimer (quella di He-Man and the Masters of the Universe) per produrre una nuova serie di Tom & Jerry; va detto anche che la Filmation, all’epoca, era lo studio “avversario” di Bill e Joe. Nasceva quindi The Tom & Jerry Comedy Show: Tom e Jerry non erano più pensati come due nemici ma come avversari in costante competizione, e anche qui la violenza venne decisamente limitata. Il character design era più simile a quello di Gene Deitch, come anche la realizzazione delle scenografie, più essenziali della precedente serie di Bill e Joe, e delle animazioni, non particolarmente memorabili. La struttura di ogni singolo episodio era 61
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suddivisa in tre segmenti uno dei quali vedeva protagonista il laconico Droopy, personaggio della mgm creato da Tex Avery. La produzione finì nel 1982. Dieci anni dopo Tom & Jerry ritornano sul grande schermo, questa volta in un lungometraggio animato, e Joe Barbera fu chiamato dal regista Phil Roman come consulente creativo. Il film non fu particolarmente apprezzato, le musiche di Henry Mancini non riuscirono a salvarlo e il cui peggior difetto fu quello di aver dato la voce a Tom e a Jerry. Sulla scia della ritrovata notorietà di Tom & Jerry fra il grande pubblico, nacque la serie Tom & Jerry Kids Show prodotta dalla Hanna-Barbera che vedeva i due protagonisti in versione cuccioli. Tom venne dotato di un berretto da baseball e Jerry riconquistava il papillon rosso che la Filmation aveva eliminato. Le gag tornarono a incentrarsi di nuovo sui rapporti tra i due e sui loro rocamboleschi inseguimenti, ogni episodio era diviso in tre segmenti con di nuovo protagonista Droopy in uno dei tre e altri personaggi di Avery, ma nella loro consueta versione adulta. La serie andò avanti per ben quattro stagioni. Una lunga pausa fino al 2001 quando venne rilasciato The Mansion Cat, prodotto da Hanna-Barbera per la Turner Entertainment e che andò in onda su Boomerang. Lo stile dei disegni ricalcava quelli dell’epoca d’oro del duo di nemici/amici, le animazioni erano ricche, le scenografie sintetizzate secondo un gusto retrò, la narrazione non aveva una trama particolare ma era semplicemente un lungo inseguimento fra i due. Il cartoon fu dedicato a Bill Hanna, spentosi poco tempo prima della messa in onda del corto. The Mansion Cat è costellato di piccoli (e grandi) omaggi al passato dei due personaggi e dei loro creatori, a partire dalla scena di apertura con Jerry che tenta la fuga ma è trattenuto, per la coda, da Tom, scena molto simile a quella di apertura di Puss Gets the Boot. Il proprietario di Tom era doppiato da Joe Barbera, cosa sottolineata anche dalle iniziali “JB” sulle fibbie delle sue scarpe. Nel corto era inserita anche una scena di Muscle Beach Tom (“Muscoli da spiaggia”, 1956) e per finire nella scena del surf nel corridoio sulla parete di fondo, gli scenografi resero omaggio alla carriera di Bill e Joe alla mgm inserendo, nelle cornici, foto storiche dei due produttori. Il corto fece da apripista al primo episodio delle Powerpuff Girls (“Le Superchicche”) di Craig McCracken. Nel 2005 Tom & Jerry tornarono sul grande schermo con il corto The Karate Guard (“L’arte del karate”) scritto e diretto da Joe Barbera e Spike Brandt. L’episodio fu anche l’ultimo della lunghissima carriera di Joe Barbera, splendidamente animato da Brandt e ricevette anche una nomination agli Annie Awards. Il corto ricorda le trame di due dei corti cinematografici di 62
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Tom & Jerry (The Bodyguard del 1944 e Jerry’s Cousin del 1951) strizzando l’occhio a Karate Kid. Nel 2006 tornarono le produzioni televisive con Tom & Jerry Tales, dove i due protagonisti riacquistarono, non solo il loro aspetto adulto ma anche la comicità più fisica che aveva caratterizzato le loro prime avventure, il design molto fedele a quello dei loro esordi, sia per i personaggi che per le scenografie. Le animazioni sono di nuovo realizzate in modo fluido e morbido. La serie andò avanti per due stagioni e fu chiusa nel 2008. Nel 2014 arrivò la serie di inediti intitolata The Tom & Jerry Show prodotta dalla Warner Bros. Animation e Renegade Animation (Hi Hi Puffy AmiYumi, 2004) in ventisei episodi ognuno diviso in due segmenti. Il design rimase pressoché invariato, venne però eliminata l’outline dei personaggi per facilitare l’utilizzo dell’animazione vettoriale. La trama in sé scomparve, le storie erano costruite da un insieme di gag che coinvolgevano Tom, Jerry e altri personaggi (Butch,
Model sheet per Tom & Jerry Kids. © Warner Bros.
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Spyke, Quacker, ecc.). Le animazioni e le scenografie furono realizzate interamente utilizzando Adobe Flash e ToonBoom. A oggi questa è l’ultima produzione di episodi televisivi che vede protagonisti il gatto Tom e il topo Jerry. Sotto il marchio Warner Bros, a partire dal 2002, vengono prodotti dei lungometraggi direct-to-video, con Tom e Jerry protagonisti che spesso ospitano star della produzione Hanna-Barbera (Droopy, Jonny Quest, ecc.) e, a oggi, sono stati prodotti dodici lungometraggi.
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