Myetzko

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myetzko saint-acheul ’17

come un orso inferocito

Sergio Toppi


Myetzko – Saint-Acheul ’17 – Come un orso inferocito di Sergio Toppi © 2016, Mosquito – Eredi Toppi © 2022, Solone srl Tutti i diritti riservati. Collana Sergio Toppi, 13

Direttore editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Caporedattore: Stefano Romanini Ufficio stampa: Gloria Grieco ufficiostampa@edizioninpe.it Coordinamento editoriale: Valeria Morelli Correzione bozze: a cura della redazione Trascrizione testi e correzione bozze: Roberto Flauto Si ringraziano Erasmo Frascaroli e Gianni Brunoro per la gentile consulenza Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di settembre 2022 Saint-Acheul ’17 fu pubblicato per la prima volta su «Linus» nel dicembre 1975. Myetzko fu pubblicato per la prima volta su «Comic Art» nn.55-56, maggio-giugno 1989. Come un orso inferocito fu pubblicato per la prima volta su Le avventure possibili, Edizioni Città di Mariano Comense, marzo 2004. Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe


Myetzko

Saint-Acheul ’17 Come un orso inferocito di Sergio Toppi



Profetico Toppi di Gianni Brunoro

La pubblicazione oggi di un graphic novel come Myetzko induce il lettore, ma soprattutto il prefatore invitato a parlarne, a porsi domande problematiche. Si pensi solo al fatto che Sergio Toppi ha creato questa storia quarantatré anni fa, nel 1979, ambientandola nel 1915, ossia settantaquattro anni prima della vicenda da lui narrata, corrispondente adesso a centosette anni fa. E dove l’ha ambientata? In un paesino della Galizia. La quale, per chi abbia anche una minimale nozione di geografia, corrisponde – spanna più spanna meno – a una zona di quella Ucraina che oggi, martoriata da una feroce invasione straniera, è stata costretta a una strenua difesa, poi rivelatasi imprevedibile e ha sferrato un indomito contrattacco: che ha provocato una conseguente guerra a ogni livello, da quella armata a quella finanziaria, con inevitabili ritorsioni finanziarie. Ma non allontaniamoci troppo da Myetzko, da cui siamo partiti. Myetzko, come si potrà leggere nelle prossime pagine, è la storia di un proiettile inesploso e di Turchi devastatori, di militari e di stregoni. Vi si racconta la vicenda umana del capitano Baborka, ultimo discendente di una nobile, potente e facoltosa famiglia, e del suo attendente Myetzko Goglowa, dotato di occulti poteri. Il capitano discende dal principe Zbygnew Baborka, intorno alla cui ferocia sono nate leggende: anche quella dell’indissolubile legame con la stirpe dei Myetzko, titolari di stregonesche virtù esoteriche. Il racconto di Toppi si svolge sullo sfondo di una guerra, la cosiddetta Grande Guerra, e mette in evidenza come, oltre un secolo fa, i popoli si combattevano con le stesse, identiche problematiche di oggi e che erano le stesse delineate da Toppi in Myetzko. Ebbene, il racconto sembra adombrare solo uno di quegli eventi che oggi, numericamente moltiplicati, continuano a verificarsi in Ucraina: ma il sospetto che ci (sor)prende è che Toppi, col suo fumetto, sia stato stregonescamente profetico... Prospettandoci nel 1979 una storia di eventi che ci sembravano ormai lontani e perfino dimenticati.

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Invece l’oggi dell’Ucraina ce li presenta del tutto attuali, sicché il suo senso profetico ci lascia sbigottiti. Basta scorrere Myetzko per constatare come, oggettivamente, le precedenti considerazioni non siano affatto gratuite. Soprattutto può comunque indurci a un diverso tipo di riflessioni sul Toppi fumettista. Il quale ci affascina talmente con le meraviglie delle sue strutture grafiche, ci ipnotizza con la malia dei suoi disegni e del suo stile, da indurci a mettere in secondo piano, quasi a offuscare, la sua statura di soggettista e le sue malizie di sceneggiatore. Tanto, insomma, da spingerci ad ammirare le sue virtù figurali, trascurando quelle narrative. Invece, detto in parole semplici, il Toppi “romanziere” non ha nulla da invidiare al Toppi disegnatore. Le storie di questo volume ne sono l’ennesima dimostrazione e Myetzko, in particolare. Detto en passant, c’è da supporre che non sia affatto un caso se il 12 marzo 1994, nel contesto della Mostra Treviso Comics, fu assegnato il Premio Signor Bonaventura a Sergio Toppi, proprio per il suo Myetzko, edito allora da Comic Art. Un riconoscimento che, già allora, consacrava implicitamente Toppi al rango di autore di estrema attualità. Era un’affermazione tanto più significativa, stante il meccanismo d’assegnazione del premio, che non prevedeva possibilità di contatti fra i giurati, i quali votavano via fax o per posta, l’uno all’insaputa dell’altro, attribuendo un voto da uno a dieci a coloro che ritenevano autori dei migliori volumi dell’annata. Sicché la somma dei voti esprimeva imparzialmente il vincitore, nella fattispecie per la categoria dei volumi “avventuroso-realistici”. Dunque, Myetzko in particolare ci dà modo di penetrare nella “bottega creativa” del Toppi autore, il quale evidenzia – lo ripeto – che non è assolutamente da meno – anzi! – dello straordinario Toppi disegnatore. Mentre lui, in parallelo, sa coordinare con straordinaria coerenza le due componenti della sua arte, ricavandone quegli esiti per cui i suoi lettori lo amano e, inoltre, quelli più attenti alle raffinatezze lo stimano, quandanche loro stessi non avessero la piena consapevolezza delle sue sofisticherie. Non è esagerato il termine sofisticherie. Per constatarlo, basterebbe un semplice gioco, idoneo a materializzare visivamente il montaggio delle tavole di Toppi. Un giochino grafico che chiunque può immaginare (o anche materialmente eseguire, su qualche fotocopia delle tavole di Myetzko).

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Se si considera la sequenza delle vignette nel loro ordine di lettura (la 1, la 2, la 3...) e si materializza con un punto il centro geometrico di ciascuna vignetta, si può poi tracciare una serie di segmenti che via via uniscano nell’ordine i vari centri: ne risulterà una “spezzata”. La quale rende evidente, in maniera sintetica, il montaggio della tavola. Ebbene, se si prova a fare il giochino su differenti tavole, si renderà evidente la magia grafica di Toppi. La quale consiste in un fatto palpabile: ciascuna tavola ha un montaggio diverso e rarissimamente due tavole – comunque lontane fra loro – hanno la stessa struttura. Naturalmente questa faccenda si risolverebbe in uno sterile giochino da «Settimana enigmistica», se fosse fine a se stessa e ci limitassimo a constatare che la struttura delle tavole si limita a queste “spezzate”. In realtà, esse sono il supporto esteriore per rendere dinamica e non monocorde la successione delle vignette. Le quali custodiscono, e costituiscono, l’autentico tesoro grafico dello stile di Toppi, che, quando approdò al fumetto (in precedenza aveva praticato altre attività grafiche, come l’illustrazione e l’animazione) sul «Corriere dei Piccoli» dei tardi anni Sessanta, era partito da strutture tradizionali.

A sinistra la tavola originaria, a destra, la “spezzata” che ne documenta la struttura

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A sinistra la tavola originaria, a destra, la “spezzata” che ne documenta la struttura

Intendendo con ciò, per esempio, le pagine composte da strisce di vignette più o meno uguali: basta pensare ai fumetti bonelliani, a classici come Tex o Martin Mystère o Dylan Dog, e tante altre “strutture” dalle quali Toppi si era emancipato. Merito specialmente di Padre Giovanni Colasanti, direttore a quel tempo – anni Settanta – del «Messaggero dei Ragazzi» e che su quel mensile lo invitò a disegnare fumetti esattamente come lui li sentiva. Lì giunse a maturazione quello stile che nel giro di pochissimi anni portò Toppi anche a scriversi direttamente i propri testi. Sbocciò allora l’autore completo, capace di evidenziare la propria autentica personalità, dando così la stura alla propria libera fantasia. Emergeva dunque in lui, a quel punto, uno stile caratterizzato – specie per quanto colpisce a prima vista e soprattutto in relazione agli anni Settanta cui ci si riferisce – da un montaggio che evidenziava particolarmente il fatto che Toppi, lasciata la tradizionale sequenza quadrettata, poteva avventurarsi in strutture allora del tutto inusuali, ossia un montaggio estremamente libero (come documentato dalle sopra citate spezzate) nel succedersi delle vignette.

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Esse assumono in lui, da allora, i più svariati rapporti reciproci quanto a dimensioni e che non di rado sono addirittura prive del consueto tratto delimitante (v. a esempio la pagina 45 di Myetzko, ma tante altre in questo volume). Inoltre, le immagini sono spesso interconnesse fra loro o addirittura talvolta, in uno stile complesso ma ammirevole, sono ricavate l’una dentro lo spazio uniforme dell’altra, come per esempio nel racconto Saint-Acheul ’17: in cui, nell’ampia vignetta superiore della pagina 22, l’estesa, pesante campitura nera sotto l’elmetto è alleggerita scavandovi delle silhouette bianche dei soldati in battaglia. Parallelamente, anche il tratto si è andato facendo via via più graffiante e incisivo, tutto costituito da tratti sottili e sottilissimi di raffinata sofisticheria, capaci di rendere lievi i paesaggi o, al contrario, di incupire le atmosfere; di dare un senso di aerea levità alla pagina, come pure di investirla del greve peso di una angosciante carica negativa; di dare un senso assai colto a raffigurazioni di auliche epoche storiche (v. pagine 36, 42, 43 di Myetzko) o, al contrario, di rendere suggestiva la più ovvia quotidianità (pagina 37, sempre in Myetzko). E ancora, sul piano compositivo, le vignette stesse tendono a invadere completamente la pagina, con ciò perdendo la semplicità del loro ruolo narrativo, per assumere in cambio il ruolo strutturale di un’intera tavola: si vedano le due pagine iniziali di Come un orso inferocito e varie altre successive. Siamo dunque di fronte a una ricerca decisamente intellettualistica ma non per questo ermetica. Pur magari perdendo in una qualche misura ciò che il fumetto di per se stesso esigerebbe, cioè la dinamicità di narrazione, ne guadagnano tuttavia la gradevolezza estetica delle immagini e il loro livello, che perde in banalità ma acquista tuttavia in contenuto artistico. In sostanza, dunque, rispetto al suo precedente passato fumettistico, Toppi evidenziava, da un certo punto in avanti, capacità espressive inusitate.

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Sul piano narrativo questo libro è un po’ la metafora di “tutto” il Toppi autore completo: che spesso in scenari noti, conosciuti e realistici cala un’ipotesi del tutto fantastica, per cui la precedente idea che se ne aveva ne viene scardinata. Ed egli ha l’insinuante, diabolica abilità di introdurvi una ventata di follia, capace di suscitare nel lettore una sensazione di straniamento, cosicché gli ambienti-topos del tutto tradizionali si velano di un’angoscia inquietante e drammatica. Tuttavia, se già il piano narrativo riserva non poche sorprese, è su quello grafico che si esplica la vera maestria di Toppi. Sulla misteriosa inquietudine derivante dalla storia narrata, ossia la materia, si ha il prevaricante trionfo della forma, splendidamente illustrata. Perché Toppi conserva un fortissimo piacere per qualcosa che molti disegnatori sembrano non amare più: la struttura varia e originale, il dinamico montaggio della pagina. Ciascuna vignetta sembra una limpida immagine, congelata da un obiettivo fotografico al microsecondo, e in ciò può sembrare statica: ma poi le immagini assemblate acquistano dinamismo, grazie a un montaggio vivace e pieno di ritmo, accentuato dalle veloci variazioni di visuale, assimilabili a loro volta a svelte zoomate. È dunque difficile, con Toppi, sfuggire a una sensazione di metafora grafica, a una sinestetica idea di musicalità. 10


Sul foglio di carta, egli sa infatti usare il suo mezzo espressivo, quasi sempre il diletto pennino, come uno strumento musicale da cui ricavare ogni tipo di accordi, spesso poetici, talvolta dissonanti, sempre armonici. E in questo libro, come del resto in altri, si può vederlo spaziare tra differenti tonalità. Cioè, come un musicista con i propri strumenti, così Toppi ricava dal pennino o dal pennello degli accordi, con essi sfiora lieve la pagina, come toccando le corde di una cetra, oppure la scuote facendola vibrare come una sinfonia, o ancora la soffonde dei toni gravi del canto gregoriano. Tutti questi sono discorsi che valgono in generale per/sul lavoro e l’arte di Toppi. Ma, come in uno specchio infranto, ogni singolo frammento rappresenta lo specchio intero, così in questo frammento della sua sterminata opera possiamo rintracciare quelle caratteristiche – specialmente grafiche ma non solo – che ne caratterizzano la carriera, sia da narratore sia da disegnatore. Vediamone dunque qualche dettaglio, passando dunque al libro. Esso è con tutta evidenza un’antologia nei cui tre racconti – tutti sulla Grande Guerra – essa viene affrontata secondo ottiche diverse: inconfondibilmente antimilitariste, ma con differente impegno. Fra di esse, comunque, quella che si presenta come la più impegnata è senza dubbio Come un orso inferocito,

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che assume i toni di una maledicente invettiva: bensì contro la guerra, ma soprattutto contro la tracotanza degli ufficiali di carriera, visti come miopi strateghi, umanamente insensibili, autoritariamente violenti. Qui, un colonnello si rivolge a un suo tenente di complemento, peraltro un intellettuale, rimbrottandolo ruvidamente perché non ha “censurato” le lettere mandate a casa dai soldati del suo plotone: «La parola ripetuta più volte è macello. Sono lettere piene di meschinità gratuite, che non si possono nemmeno riferire, contro chi ha deciso questa guerra... Codardi, vigliacchi, ecco cosa sono». Al che, il tenente ha poco da rispondere: «Sono reclute, povera gente, contadini spaventati da una guerra più grande di loro. Non sono soldati abituati alla disciplina, all’attesa del combattimento...», ché con tutta risposta – parafrasi dell’ottusità degli ufficiali – si becca l’incarico di compiere una missione impossibile. Recandosi a compierla, pensieri neri gli agitano la mente, come «Ah, poveri noi miseri tapini, creati per essere lo zimbello di tanti malnati, che speculano sulla vita e riempiono vigliaccamente le loro tasche dell’oro mercanteggiato a prezzo del nostro sangue». A parte che questi testi rimandano con drammatica preveggenza – come si diceva all’inizio – al nostro oggi e all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, sembra comunque di udire le

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parole di violenta reazione della canzone di protesta Gorizia contenuta in un famoso disco pubblicato come antologia nel 1964, Bella Ciao (canti di lavoro e di protesta, curati dai musicologi Roberto Leydi e Michele Straniero, che avevano studiato anni per raccoglierne i materiali da mettere insieme in uno spettacolo, del quale il long playing era la documentazione “per la Storia”): «Traditori signori ufficiali/ voi la guerra l’avete voluta/ scannatori di carne venduta/ questa guerra ci insegni a punir», questa la canzone rivolta agli ufficiali, che continuava: «O vigliacchi che voi ve ne state/ con le mogli sui letti di lana/ schernitori di noi carne umana [...] Qui si muore gridando assassini/ maledetti sarete un dì»; e continua rivolgendo lo sguardo ai soldati: «Cara moglie che tu non mi senti / raccomando ai compagni vicini / di tenermi da conto i bambini / che io muoio col suo nome nel cuor». È lo stesso spirito che anima Toppi nel proprio racconto, pur in quel certo lirismo contemplativo che caratterizza lo scrittore protagonista di Come un orso inferocito. È la partecipazione dolente ai sentimenti del compunto, ubbidiente scoramento (“Signorsì, signor colonnello”) di un sensibile intellettuale costretto a confrontarsi con grande malavoglia col duro mestiere delle armi. Non è una vera storia, è solo un ampio flash su situazioni correnti nella guerra. Ma ciò non toglie che la polemica antimilitarista di Toppi sia evidente nell’amarezza di fondo evidenziata dalla violenta invettiva manifestata dal pur conciliante intellettualismo del suo protagonista. È un intellettuale anche il protagonista di Saint-Acheul ’17, dove quel numero nel titolo allude al penultimo anno della Grande Guerra. Si tratta di un soldato semplice, uno studente, di scarse attitudini militari, destinato perciò alle vessazioni di un gretto superiore, che lo destina ai servizi più umili. Ebbene, scavando per un’inutile occupazione, scopre un’amigdala scolpita nella selce, che come studioso sa essere la preziosa testimonianza di un’antichissima arma risalente al “periodo acheuleano” Paleolitico. Ma il suo superiore lo prende in giro e lo nomina a un servizio di guardia che comporta un pericolo mortale.

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Ciononostante, un uomo primordiale sorto dal nulla, facendo uso di quell’arma, stermina numerosi nemici e poi scompare: lasciando che lo studente sia creduto l’autore di tanta, pur eroica, efferatezza. Per cui, da quel momento, i suoi superiori lo tratteranno con guardinga diffidenza. Il racconto è una fantasia surreale, ma è una satira di sulfurea intelligenza, ancora sulla stupidità degli ufficiali e sulla loro ignoranza; e un apologo sull’importanza vitale e salvifica della cultura. Questo è ciò che testimonia, nella sua vaga potenza epica, Saint-Acheul ’17. Infine, accenniamo soltanto di sfuggita – avendone già parlato – alle intense suggestioni di Myetzko, dove è pur presente la Grande Guerra. 14


Ma qui assistiamo all’irruzione del magico, implicito nella fantasia dell’autore, nel contesto reale dello spunto storico da lui raccontato. In questo nostro excursus abbiamo toccato vari e differenti argomenti... Ma non trascuriamo quello basilare: che Sergio Toppi è bensì un grande disegnatore (e per questo vari colleghi lo hanno considerato un maestro), ma la sua maestria grafica procede in parallelo alla sua esuberanza di fantasia. Sullo scenario visualmente palpabile della sua grandezza di disegnatore fa buona guardia un inconfondibile fondale di scrittore/romanziere.

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Saint-Acheul ’17


Pubblicato per la prima volta su su «Linus» nel dicembre 1975


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«Non si deve pretendere troppo dalla fortuna, quando si stanca ti volta le spalle.»

Di fronte alla brutalità dei conflitti bellici, la ragione è impotente. Myetzko, Saint-Acheul ’17 e Come un orso inferocito raccontano gli eventi drammatici della Grande Guerra calandoli in una dimensione surreale. Tre storie che affrontano in ottiche diverse i tragici scenari dei primi decenni del Novecento, un periodo storico verso il quale il Maestro ha sempre mostrato interesse.

Dalle tavole dinamiche dal tratto graffiante e le strutture inusuali, emerge una polemica antimilitarista unita a una satira sull’ignoranza di taluni ufficiali, che pone l’accento sul potere salvifico della cultura. La realtà si fonde con elementi magici e fantastici, in un’opera in cui si registrano le caratteristiche peculiari del Sergio Toppi narratore e disegnatore.

Sergio Toppi (Milano 1932 – 2012), è stato un illustratore ed un fumettista italiano. Oggi è considerato uno dei più grandi autori mai esistiti. “Dalle sue tavole così incise e così bulinate, dalla ricchezza traboccante delle sue storie misteriose e tragiche ci viene costantemente il conforto che può esistere un uomo così responsabile, così pronto a rispettare il suo impegno. Come una religione. Il suo lavoro tende alla perfezione, per semplice senso del dovere”.

edizioninpe.it ISBN: 978-88-36270-87-3

euro 16,90


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