Feltrino News n. 4/2021 Aprile

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Famiglia, sport e società di Veronica Gianello

“Ma mio figlio è più bravo”:

il precario confine tra genitore e allenatore

Mi raccomando, non dia regole a mio figlio quando viene in palestra, poverino, che le deve già seguire a scuola”, o ancora “Perché mio figlio non gioca? È più bravo dell’altro bambino”, oppure “Non serve che riprenda mia figlia se non sta attenta, è in palestra, si deve divertire”. Queste sono solo alcune delle tante frasi che chi lavora in associazioni sportive si sente dire ogni giorno da alcuni genitori che accompagnano—tante volte, diciamolo pure, scaricano—i propri figli alle attività pomeridiane e serali. Psicologi, baby-sitter, autisti, animatori: gli allenatori, secondo questi genitori, sono tante cose, ma sicuramente non degli istruttori all’altezza del loro bambino. Evitiamo generalismi: non tutti i genitori, per fortuna, sono così. Eppure, anche in altri ambiti, c’è una tendenza a proteggere e difendere il proprio bambino a spada tratta sempre e comunque. Vediamo questo fenomeno inquietante già nelle scuole, dove gli insegnanti non sono più autorevoli rappresentanti di un’istituzione essenziale per la formazione, bensì persone inadatte a pre-

scindere. Figuriamoci quindi che rispetto bisogna portare a delle persone che, per passatempo, fanno fare sport ai bambini. Sì, perché spesso alla base c’è proprio questo tipo di ignoranza. Cosa ci vorrà mai per insegnare a un bimbo a calciare un pallone? A saltellare, a fare una capriola? Lo può fare chiunque. Così se un allenatore fa saltare un turno a un bambino che non si comporta bene, lascia in panchina un bambino che non è ancora pronto, o che quel giorno non è pronto, se l’allenatore riprende un bambino che chiacchiera, è comunque in torto, e il genitore si sente in dovere di intervenire. Raramente si chiedono spiegazioni, il più delle volte si sentenzia l’errore dell’allenatore senza possibilità di difesa. Ancora peggio, si affrontano questi discorsi in presenza dei bambini stessi, che vivono un conflitto interno tra due figure di riferimento per lui essenziali: il genitore e l’allenatore. Quando lo sport praticato piace al bambino, quest’ultimo tende a vedere nel proprio allenatore un modello positivo di cui fidarsi. Se in questo rapporto però si intromette il genitore che parla in maniera negativa dell’allenatore, il bambino si sente confuso: a chi credere? Alla mamma o all’allenatore? Troppo spesso, tuttavia, si vedono situazioni ancora diverse: genitori che proiettano nei figli

i propri sogni. Capita così di ritrovarsi in palestra bambini che praticano uno sport che arrivano a odiare, solo perché piace ai genitori. Anche in questo caso le indicazioni possono essere contrastanti, e a un allenatore che consiglia di fare uno sport che piaccia, si oppone un genitore che “so io cos’è meglio per mio figlio”. Esistono poi situazioni comuni a ogni sport, che tristemente si ripetono, e che fanno capire quanto, a volte, quell’ora in palestra sia poco considerata. Troviamo così bambini che vengono ingozzati di patatine sulla soglia della palestra e che poi “Maestra, ho mal di pancia”, genitori scocciati perché non possono assistere agli allenamenti del proprio bambino, gruppi Whatsapp intasati di lamentele e commenti sulla scarsa utilità di un tipo di allenamento. Gli spalti delle competizioni poi sono un mondo a parte, un piccolo teatrino tragicomico davvero preoccupante. Settori giovanili e amatoriali con genitori pronti a insultare e a insultarsi, con ansie e tensioni davvero poco adatte a un ambiente che dovrebbe prima di tutto insegnare lealtà e rispetto. Certo, lo sport può essere duro, richiede volontà a sacrificio e più si va avanti nel praticarlo più diventa impegnativo. È giusto essere rigorosi e precisi in ciò che si fa, ma è altrettanto giusto lasciare lo spazio adatto ad ogni età per un corretto sviluppo psicomotorio basato sulle attitudini di ognuno. Il genitore deve fare il genitore, l’allenatore deve fare l’allenatore, e soprattutto il bambino, perché alla fine è proprio di lui che ci si dimentica, dev’essere il soggetto principale attorno cui ruota questa complessa ma meravigliosa macchina.

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