Tra passato e presente di Alice Vettorata
JOSEPHINE BAKER
L
a protagonista di questo articolo è una danza sfrenata, ma che ha un significato opposto rispetto a quella che abbiamo avuto modo di vedere in Senato lo scorso novembre, risultato dell’affossamento della legge sui diritti civili, il DDL Zan. Sì, perché quella della quale parleremo è la danza di Joséphine Baker, nata Freda Josephine McDonald, un’artista vissuta agli inizi del Novecento che grazie alle sue capacità d’intrattenimento è riuscita a veicolare messaggi d’inclusione. Una danza fatta per il motivo opposto a quello che è stato divulgato di recente. La Baker invece era stata plasmata da queste tematiche, tanto che divennero una missione da portare a termine. Nacque nel Missouri, metà creola afroamericana e metà amerinda degli Appalachi. Dopo essersi allontanata dalla famiglia già all’età di tredici anni iniziò a contrastare il sistema della segregazione razziale che stava attanagliando l’America, esibendosi come danzatrice in teatri a St. Louis e a New York, quando molti limiti non permettevano libertà alle persone nere. La svolta significativa nella sua vita avvenne nel 1925, anno in cui grazie al suo ottimo ruolo artistico all’interno del Rinascimen-
to di Harlem, ebbe la possibilità di iniziare una tournée in Francia, luogo che diventerà la sua nuova casa. Nello specifico Parigi agli inizi del ‘900 era sotto gli influssi del fascino di ciò che era esotico, così non poté che rimanere ammaliata dalla diciannovenne che salì sui palcoscenici del Théâtre des Champs-Élysées e del Folies Bergère indossando l’iconico gonnellino di banane, accompagnata da un ghepardo di nome Chiquita che scorrazzava tra l’orchestra. Subirono il suo fascino anche alcuni artisti che cavalcavano la scena parigina in quel periodo come Hemingway, Picasso e Cocteau, i quali divennero persone amiche che le resero tributi nella loro arte. La sua fama artistica come cantante e ballerina decollò, cambiando rotta soltanto con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, evento nel quale ebbe comunque un ruolo da protagonista. Nel 1939 dopo aver dichiarato guerra alla Germania, l’Agenzia di intelligence militare francese incaricò la Baker come corrispondente d’onore con il compito di raccogliere informazioni utili a fini bellici dai soldati tedeschi incontrati, spesso nei bar. Aiutò così la resistenza, viaggiando nel mondo ed esibendosi, intrattenendo dopo gli spettacoli conversazioni ed estrapolando dati da trascrivere nelle sue partiture o in pezzi di carta, riposti poi accuratamente nel reggiseno per fuggire ai controlli tedeschi. Per i preziosi aiuti ottenne riconoscimenti come la Rosette de la Résistance, la Medaglia della Resistenza e venne nominata Cavaliere della Légion d'honneur dal generale Charles de Gaulle. Il suo impegno sociale e politico non ter-
minò qui. Tornando in America per una tournée si interfacciò nuovamente con le piaghe del razzismo già nel momento in cui dovette cercare una camera d’albergo per pernottare e trentasei alloggi le negarono l’accesso. Era pur sempre una donna nera. Decise di denunciare, di collaborare con la NAACP (Associazione Nazionale per il Progresso per le Persone di Colore), di marciare su Washington nel 1963 con il Reverendo Martin Luther King prendendo voce: “Sono entrata nei palazzi dei re e delle regine e nelle case dei presidenti[...]Ma non potevo entrare in un hotel in America e prendere una tazza di caffè, e questo mi ha fatto arrabbiare. E quando mi arrabbio, sai che apro la mia boccaccia. E poi attenzione, perché quando Josephine apre la bocca, lo sentono in tutto il mondo.”. Parallelamente, Joséphine nella vita privata diede vita alla Rainbow Tribe, adottando tredici bambini di provenienza e religione differenti. Da donna bisessuale, attiva per preservare i diritti civili, Joséphine Baker è ancor’oggi un’icona, necessaria.
61