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Il Sinodo dei Vescovi: la Bibbia racconta
Il Sinodo dei Vescovi di Franco Zadra
La BIBBIA RACCONTA...
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Seguendo l’invito di papa Francesco che intende coinvolgere tutti in vista dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi di ottobre del prossimo anno, per il quale è in corso in tutte le diocesi del pianeta una prima fase di ascolto e discernimento che si concluderà il prossimo aprile, anche noi avanziamo un piccolo contributo. Ricordo qui solo un passaggio della preghiera per il Sinodo: «Siamo deboli e peccatori; Spirito Santo non lasciare che promuoviamo il disordine. Non lasciare che l'ignoranza ci porti sulla strada sbagliata né che la parzialità influenzi le nostre azioni».
Dovremmo conoscere, poiché “pubblicato” da oltre 3500 anni e disponibile alla riflessione di buona parte dell'umanità, almeno di coloro che si riconoscono nelle tre principali religioni monoteiste, l'episodio biblico che racconta di quando Giacobbe poté finalmente lasciare suo suocero Labano, per ritornare nella sua terra dopo quattordici anni di pastorizia, con il suo primo amore, Rachele, sua seconda moglie, e la moglie Lia. Nel leggere di questa rocambolesca “fuga”, veniamo a sapere che Rachele, nel fare i bagagli, fece incetta degli idoli di suo padre all'insaputa di tutti. Quando Labano si rese conto che gli erano stati rubati gli idoli, inseguì Giacobbe e perquisì tutte le tende dell'accampamento, ricevendo l'assicurazione dal genero che avrebbe messo a morte chiunque fosse stato trovato in possesso degli idoli scomparsi. Labano arriva anche nella tenda di Rachele, ma questa aveva nascosto la refurtiva nella sella di un cammello sulla quale si era seduta, scusandosi con il padre di non potersi alzare poiché interessata da “quelle cose che capitano alle donne una volta al mese”. Gli idoli non vengono trovati e Labano è così costretto a scusarsi con Giacobbe che da parte sua non esita a farglielo pesare... ma andate a leggervi il racconto perché è molto gustoso. Veniamo dunque al Sinodo dei Vesco-
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vi e al nostro piccolo contributo. C’è forse un idolo che si nasconde dentro la Chiesa e che mette a rischio la vitalità della comunione ecclesiale, un idolo sottratto al mondo così come gli idoli che Rachele rubò a Labano. Questo idolo lo potremmo chiamare “la salvaguardia dell'immagine a ogni costo”, la “buona fama”, la “propaganda artificiale”, usando lo stesso concetto che passò per la mente di Gesù quando accusò i farisei di essere dei “sepolcri imbiancati”, o di preoccuparsi di pulire solo l’esterno del piatto. Noi, qui, non ci sentiamo rivestiti di tanta autorità messianica e nemmeno abbiamo la pretesa di sentenziare con supponenza nei confronti di una realtà che amiamo con le più sincere intenzioni. Cerchiamo al limite di ragionare, in cerca di alternative, nel tentativo di liberarci da ciò che ci rende meno sereni e più tiepidi, poiché timorosi, nella nostra professione di fede. Ora, non intendiamo fare un elenco di fatti nei quali la Chiesa è apparsa più interessata a difendere la propria immagine, sacrificando a volte finanche la sua umanità all’idolo di cui sopra, invece di affrontare il problema che la impaccia nella consapevolezza che siamo tutti peccatori. È doloroso anche per noi divulgare vicende imbarazzanti. Vorremmo piuttosto cogliere nella vicenda della matriarca Rachele, la cui tomba a Betlemme è ancora oggi il terzo sito religioso più importante per gli ebrei, ma onorato anche da cristiani e musulmani, un suggerimento non tanto di una strategia per continuare a nascondere gli idoli del mondo, ma per una verifica approfondita che ci renda più liberi di fronte a essi. «Man mano che maturiamo – scriveva don Luigi Giussani – siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri. Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella grazia che ci viene donata e rinnovata ogni mattino. Da qui viene quella baldanza ingenua che ci caratterizza, per la quale ogni giorno della nostra vita è concepito come un’offerta a Dio, perché la Chiesa esista dentro i nostri corpi e le nostre anime, attraverso la materialità della nostra esistenza».
ONGARO CLAUDIO
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