La Protezione Civile del feltrino di Caterina Michieletto
Dalle “Vette Feltrine” una catena
di solidarietà sociale
C
rescendo nella vallata Feltrina si apprende fin da piccoli che due sono le catene che cingono e sorvegliano il suo ampio territorio: alle sue spalle è sorretta dalla maestosa catena alpina delle “Vette Feltrine”, al suo interno è custodita da quella catena di solidarietà sociale che trova nel volontariato il suo cuore pulsante. Quella che ci apprestiamo a conoscere è una delle realtà di volontariato più diffuse nel bacino del Feltrino, ossia il servizio di “Protezione civile”. Prima di raccontare come il volontariato di Protezione civile è articolato e come opera nel territorio feltrino, è necessario compiere un breve “salto” nel passato per risalire alle radici di questa rete strutturata di intervento prosociale. Bisogna considerare che la spinta al mutuo aiuto in situazioni emergenziali, siano esse originate da calamità naturali, siano esse determinate dall’azione antropica, intesa come attività dell’uomo che modifica l’ambiente in cui vive, era emersa molto prima che il Servizio di Protezione civile fosse normativamente stabilito e disciplinato. Al contempo si può osservare come lo stesso principio di solidarietà, tradotto nella sfera sociale, politica ed economica trovò un suo pieno riconoscimento giuridico solo con l’avvento della Costituzione, che al suo art. 2 sancisce, accanto ai “diritti inviolabili dell’uomo”, “i doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale”. In merito a questa ponderazione di diritti e doveri Francesco De Vita, in quanto membro della Commissione per l’approvazione della Carta costituzionale, pronunciò queste ricche e profonde parole: “Occorre
equilibrare diritti e doveri. È stato giustamente detto che il diritto senza il dovere fa padrone, che il dovere senza diritto fa servo. Equilibrando i diritti e i doveri si fa l’uomo veramente libero”. Quando il principio e dovere di solidarietà sociale prese la forma del volontariato di Protezione civile? Non ci fu un momento definito, ma si trattò di una presa di coscienza graduale da parte delle istituzioni nel vedere come lo slancio di empatia e di cooperazione reciproca avesse animato gli italiani nell’affrontare insieme delle gravi emergenze che si verificarono in successione: nel ’66 l’alluvione di Firenze causata dallo straripamento dell’Arno, nel ’76 il terremoto del Friuli, nell’ ’80 il terremoto dell’Irpinia. Sulla base di questa consapevolezza si comprese l’urgenza di canalizzare la coesione e la solidarietà sociali, lo spirito di partecipazione e la forte spinta motivazionale delle persone in un sistema pubblico organizzato che fosse in grado di utilizzare queste risorse preziose e di valorizzarle. Il punto di partenza del processo di istituzionalizzazione del volontariato di Protezione civile si identifica con la legge quadro n.225/’92, legge che dichiara la nascita del Servizio Nazionale di Protezione civile. Il percorso che ha visto la progressiva regolamentazione del volontariato di Protezione civile ha raggiunto il suo punto di approdo con
il “Codice della Protezione civile”, cioè il d. lgs n.1/2018 che ha aggiornato la legge quadro del ’92, con l’obiettivo di rafforzare il ruolo del Servizio Nazionale di Protezione civile e procedere ad un riordino di tutte le disposizioni riguardanti attività, finalità e struttura del volontariato di Protezione civile. Le associazioni di protezione civile diffuse capillarmente sul territorio italiano sono ancorate a queste fondamenta storiche e su questi solidi pilastri hanno costruito, ciascuna in collegamento con la zona di appartenenza, la propria organizzazione. Con uno sguardo dall’interno del volontariato di Protezione civile che sostiene l’area del Feltrino, raccontiamo questa esperienza di cittadinanza attiva partendo da un’intervista al Presidente del Coordinamento di Protezione civile dell’Unione Montana Feltrina, nonché membro dell’ANA Feltre nel gruppo di Cesiomaggiore.
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