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I giovani sono cari a Dio

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RICERCA PERSONALE

RICERCA PERSONALE

Giovani, Santi e Beati

di Waimer Perinelli

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I GIOVANI SONO CARI A DIO

“Muore giovane chi è caro agli dei” questo dicevano gli antichi e noi spesso, troppo spesso, lo ripetiamo per consolarci. Ma Dio ha cari i giovani anche da vivi. Non a caso nella storia della Chiesa e dei santuari i ragazzi sono protagonisti, testimoni di eventi miracolosi. A Fatima, in Portogallo, nel 1917 la Madonna apparve a tre pastorelli e nacque così il Santuario di Nostra Signora di Fatima. A Lourdes in Francia nel dipartimento degli Alti Pirenei, la Madonna apparve nel 1878 alla contadinella quattordicenne Bernardette Soubirous. Nacque così il Santuario di Nostra Signora di Lourdes. A Medjugorje in Bosnia Erzegovina, nel 1981, la Madonna sarebbe apparsa, uso il condizionale perché l’inchiesta non è conclusa e i dubbi sono molti, ad un gruppo di ragazzi, almeno sei, con età compresa fra i 10 e 16 anni. Anche il Trentino ha alcune apparizioni mariane. La più celebre e importante sull’Altipiano di Pinè, dove in località Comparsa la Madonna sarebbe apparsa alla contadina Domenica Targa, nella leggenda appena quattordicenne, in realtà di almeno 30 anni. A Bosentino, ai piedi della Vigolana, nel 1620 la Madonna sarebbe apparsa a Janesel, un pastorello dodicenne, raccomandandogli l’edificazione di una cappella a Lei dedicata. Il successivo santuario è detto della Madonna del Feles poiché sorge in una zona ricca di felci. A Ospedaletto, in Valsugana, la Madonna, sarebbe apparsa nel 1640, ad un giovane pastorello sordomuto. La chiesa del Santuario della Madonna della Rocchetta (piccolo fuso) fu edificata nella seconda metà del Seicento sul luogo dove fin dal 1625 c’era una cappella. Nel giugno del 2018 è morta a Londra, all’età di 93 anni, Anna Agnolet l’ultima veggente delle apparizioni mariane a Voltago nell’Agordino. Il 5 luglio del 1937 a lei, appena undicenne, e ad altri sette adolescenti, la Madonna raccomandò di pregare. I giovani furono interrogati dall’Arcidiacono di Agordo e dal suo cappellano don Albino Luciani diventato quarant’anni dopo Papa Giovanni Paolo I. La Chiesa non

ha mai riconosciuto come veritiera quest'apparizione ma da tutto il bellunese iniziarono i pellegrinaggi verso il luogo che sarebbe stato chiamato “il “Sas de la Madona”. Ancora oggi persone provenienti anche dall’estero, si ritrovano presso il Sas per pregare. Fra i giovani testimoni della Fede morti drammaticamente per affermarla, ci sono Giovanna D’Arco, appena ventenne e Maria Goretti. Giovanna D’Arco (1412-1431), iniziò ad avere le visioni mistiche a 13 anni, disse ai suoi familiari di parlare con Dio e morì a soli vent’anni. Oggi è il simbolo di coraggio e generosità, avendo disse, per “mandato divino Salvato la Francia”. Santa Maria Goretti (1890-1902) all’iSanta Maria Goretti (da Romananews - lasupervisione24.com) nizio del 900 resistette ad un tentativo di stupro e non ancora dodicenne, venne barbaramente uccisa. Oggi è il simbolo della castità e della virtù. Carlo Acutis è fra noi un esempio della possibilità di usare i mezzi multimediali a fin di bene perché, come ricorda la madre “ Sui Social ci sono tante cose brutte ma si possono inviare messaggi evangelici, si può fare del bene come testimoniano le molte lettere che ancor oggi comunicano conversioni ed esempi di solidarietà”.

Santuario della Madonna della Rocchetta (Ospedaletto)

Testimonianza di fede

di Franco Zadra

Parla Mons. Lauro Tisi, Vescovo di Trento «Affliggere i consolati»... perché consolino gli afflitti

La domanda «Come possiamo realizzare oggi il mandato di Gesù a portare il vangelo a tutte le nazioni?» posta all’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, da un gruppo di laici nel corso di un incontro nel contesto della formazione offerta alle parrocchie da qualche anno ormai, chiamata “passi di vangelo”, ha permesso al presule, del quale abbiamo imparato ad amare la franchezza e la vitalità con la quale cerca di richiamare le comunità a una esperienza evangelica autentica, a esprimersi di riflesso, ma senza equivoci, anche sul percorso intrapreso dalla Chiesa universale chiamata da papa Francesco a raccogliere le voci di quanti più possibile, in vista del sinodo dei vescovi che metterà a fuoco proprio la sinodalità come stile ecclesiale.

«Tu non puoi annunciare il vangelo – ha detto l’arcivescovo rispondendo alla domanda - senza esserti chiesto se quel vangelo, prima di tutto, interpella te. Allora la provocazione è proprio questa, siamo sicuri che il vangelo ci colpisca, sia il fuoco della nostra vita, o forse non è che un elemento marginale? Guardate che questa è una operazione che la Chiesa fa pochissimo, quella di chiedersi se lei ci crede ancora. A volte, nelle strategie dell’annuncio, pensa alle tecniche per annunciare il vangelo, ma non si è chiesta se il vangelo lo ha ancora dentro. Questo è il passaggio più importante e, se lo devo dire, l’ho detto di recente anche ai sacerdoti, è la lacuna più grande della Chiesa, perché quando noi ci convochiamo, ci convochiamo per organizzare le cose per gli altri, e non ci chiediamo se quel vangelo ci ferisce ancora, ci colpisce, oppure non è diventato un soprammobile.

L'Arcivescovo Lauro Tisi

Il rischio che sia una realtà sullo sfondo e che, alla fine, ti restano solo le tecniche, è altissimo. Questa è la realtà in cui spesso ci troviamo, annunciamo quello che non crediamo più, e allora l’annuncio è stanco, rassegnato, ormai ai titoli di coda. Chiediamocelo, fino in fondo! Credo che la prima operazione sinodale la Chiesa debba farla a sè stessa, domandandosi «ma tu, credi ancora?». Gesù dice in un suo passaggio «ci sarà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8), e noi la liquidiamo con un po’ di esegesi questa affermazione. La provocazione è fortissima, perché Gesù sa che c’è il rischio di una Chiesa senza fede, senza Dio, senza speranza. Ancora, dovremmo chiederci: «quando dico la parola vangelo, penso a un volto o penso a delle idee, a una serie di riflessioni sul vivere umano?». Il vangelo spesso per noi non è un volto, una storia, una concretezza, un umano, ma è una vision del mondo, un quadro etico, una interpretazione generica della vita, immaginata sulla scorta del dover essere solidali e del voler bene. Chiediamoci «chi è il vangelo?», perché molto spesso per noi è solo “un che cosa”, un’idea, una vision, un’etica, non è un volto personale. Come Chiesa abbiamo per tanti anni venduto etica, tralasciando l’incandescente volto scandaloso e incredibile di Gesù di Nazareth. Perché, uno con un grembiule in mano, uno che muore abbracciando il nemico, questo è vangelo! Uno che racconta storie dove l’ultimo diventa centrale, uno che nel suo vivere ha i poveri come interlocutori, questo non è un appello generico a voler bene, questo è un sistema di vita scandaloso, ingombrante, e davvero spiazzante. Ma questo è Gesù di Nazareth, il resto sono liofilizzati della Chiesa che l’ha emendato perché ne ha paura, ha paura del suo Signore, e come Pietro gli diciamo «non raccontarci la tua che ti racconto la mia, ti do io l’indirizzo di movimento». La via è quella di un vissuto esistenziale che dimostri che tu sei del tutto preso da un volto, se no non annunci niente, è un po’ di filosofia che lascia il tempo che trova come spesso sono i pensieri filosofici che si possono trattare in salotto. Con Gesù di Nazareth il salotto te lo scordi, perché, come dice don Tonino Bello, il suo compito è affliggere i consolati, è portare l’uomo a essere altro rispetto a uno spartito che è quello tragico che vediamo in queste ore terribili della guerra in Ucraina. Ma chi sono i mandati a evangelizzare? All’inizio l’annuncio aveva il volto dell’uomo qualunque, poi è divenuto una specialità di genere maschile, esclusiva partita del ministero sacerdotale. Questa è una deriva malata. Lo ripeto: questa è patologia. Occorre smontare un sistema secolare per il quale ancora incontro qualcuno di voi che mi dice: «preghi lei che è più vicino a Dio», e non sa che i vescovi sono i più lontani da Dio. C’è sotto l’idea che il ruolo, il ministero, diventa gioco forza un terreno dove tu hai la vicinanza con Dio perché la vicinanza è data da quello che fai, invece che da quanto Gesù di Nazareth è penetrato nel tuo umano, dalla configurazione a Gesù di Nazareth che vuol dire: quanto tratto del tuo umano ha i tratti di Gesù di Nazareth? Quanto perdono hai? Quanto abbassarsi hai? Quanta frequentazione del povero hai?… Dobbiamo ripartire da lì. Lo dico sottovoce, ma vedo con grande preoccupazione il fatto che intere chiese, anche nazionali, pensino la riforma della Chiesa, partendo dalla riorganizzazione dei ministeri. Non è così! Prima di tutto bisogna che ci intendiamo sul fuoco. Il fuoco è per tutti ed è di tutti. Non si tratta solo di riorganizzare un sistema, si tratta di chiedersi se c’è ancora un po’ di entusiasmo per questo Volto. I ministeri sono da ripensare in chiave evangelica, destrutturati, e portati a essere servizi a una comunità che evangelizza, questa è la chiave di volta, una testimonianza che deve essere comunitaria. Siamo chiamati a percepirci come “noi”. Il soggetto evangelizzante è il noi, non un io che si muove facendo il supereroe della carità. La testimonianza richiede una declinazione comunitaria e questa è la conversione che ci interpella tutti».

Testimonianza di fede

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