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RICERCA PERSONALE
Conosciamo le leggi
di Erica Vicentini*
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Il REATO di DIFFAMAZIONE e l’uso dei SOCIAL NETWORK
Ormai l’uso di Internet e dei social network nella vita quotidiana è un elemento costante, che caratterizza pressoché ogni decisione e comportamento delle nostre giornate, tanto che si parla ormai da tempo di realtà virtuale, domicilio digitale e social-life. Ne è derivato che, con il dilagare dell’uso dei social network quali piattaforme attraverso cui l’utente può interagire con terzi soggetti comunicando pensieri, immagini o video è diventato sempre più frequente l’accertamento nelle aule dei tribunali di condotte penalmente rilevanti perpetrate attraverso un uso improprio e illecito degli stessi. Dato che, ovviamente, Internet e i social-network come Facebook non possono essere considerati zona franca, ove tutto è concesso, va in primo luogo evidenziato come ormai è assodata la considerazione di Facebook, Instagram o TikTok come veri e propri luoghi pubblici, seppur virtuali, di interazione sociale. Con ciò determinando il fatto che, l’uso improprio di tali strumenti può portare alla sussistenza dei presupposti del reato di cui all’art. 595 c.p. vale a dire della diffamazione, peraltro in forma aggravata dall’utilizzo del mezzo di comunicazione assimilabile alla stampa. Trattasi di un reato moderatamente grave, di competenza del Tribunale Ordinario e non del Giudice di Pace, che nella forma aggravata prevede una sanzione da sei mesi a tre anni di reclusione o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Il delitto di diffamazione è posto a tutela dell’onore, della reputazione e prestigio individuale, che possono essere minati dalla comunicazione con terzi di offese o fatti denigratori inerenti un determinato soggetto. L’onore, infatti, in senso lato rappresenta un bene individuale, protetto dalla legge per consentire all’individuo l’esplicazione della propria personalità morale: esso si identifica, da un lato, con il sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale e designa quella somma di valori morali che l’individuo attribuisce a se stesso; dall’altro, rappresenta anche la stima o l’opinione che gli altri hanno di noi stessi, dunque il patrimonio morale che deriva dall’altrui considerazione. Trattandosi di un reato in cui la norma non prevede una specifica forma di condotta, esso si consuma ogni volta che viene proferita offesa alla reputazione di una determinata persona, in assenza del soggetto passivo, con qualsiasi mezzo idoneo comunicando con più persone. Dall’analisi del reato emergono tre requisiti costitutivi dell’elemento oggettivo della diffamazione: – offesa all’altrui reputazione; – assenza dell’offeso; – comunicazione a più persone. È evidente come siano elementi facili da mettere insieme e quindi che non sia poi così difficile incappare in questo reato. La giurisprudenza di legittimità ha poi più volte confermato che la comunicazione di contenuti diffamatori attraverso la bacheca Facebook di un utente, visualizzabile da tutti coloro che hanno accesso al profilo, costituisce diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3 c.p. e ciò comporta un rischio di sanzione elevato. In una nuova sentenza, la Cassazione è tornata a parlare di diffamazione allargando ancora l’interpretazione dei presupposti. Per integrare il reato di diffamazione aggravata a mezzo Facebook non occorre, come precisa la sentenza n. 10762/2022, che nel post si faccia nome e cognome della persona a cui sono rivolte le offese. Si è ritenuto sufficiente fare riferimento alla professione della persona offesa e a elementi qualificanti della persona che la rendano univocamente individuabile da parte di consentire ad amici, collaboratori, o vicini a diverso titolo. Oltre al rischio di condanna penale, poi, permane l’obbligo al risarcimento del danno alla persona offesa, con rischio di ulteriore (cospicuo) esborso.
* Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84)