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Gli indimenticabili: Ferenc Puskas

Gli indimenticabili

di Alessandro Caldera

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PUSKÀS: soldato ungherese, calciatore del mondo

Ci sono uomini che con le loro gesta ed abilità hanno contribuito a rendere grande un Paese, o un popolo, al punto di diventarne quasi delle icone. Talvolta, queste imprese risultano così importanti, da permettere di identificare una stessa nazione con la donna o l’uomo che le ha compiute. L’Italia, ad esempio, può vantare un’ innumerevole quantità di persone che hanno contribuito a renderla immortale. Culturalmente parlando potremmo citare Dante, artisticamente Leonardo e sportivamente, Baggio oppure Tomba. In alcuni casi, che rappresentano però rarissime eccezioni, bisogna addirittura scomodare una figura retorica della nostra grammatica, ovvero l’antonomasia. L’utilizzo di questo termine implica la presenza di veri e propri prodigi nel rispettivo settore di competenza, come il già citato Dante per la poesia, oppure Maradona per il calcio. Ecco, il protagonista di oggi, non può essere paragonato al “Diez” perché nessuno forse ne è degno, in comune ha però un favoloso mancino, che lo ha portato ad essere uno dei bomber più prolifici di sempre, e la capacità di risvegliare un popolo, in questo frangente ungherese, assopito ed intorpidito sotto l’oppressivo regime comunista. Di chi stiamo parlando? Ferenc Puskás. La stella magiara era attesa da un destino ineluttabile, costellato di forti delusioni e fantastici successi. Cresciuto in un quartiere popolare, si mostrò precocissimo, al punto che la Kispest, squadra locale, lo portò ad utilizzare lo pseudonimo di Miklós Kovács di anni 13, al fine di aggirare le norme vigenti che impedivano il tesseramento al di sotto del suddetto parametro di età. L’esordio avvenne in una giornata di novembre del 1943, quando Ferenc era da poco sedicenne. Riguardo a quel pomeriggio va ricordato un aneddoto curioso: il

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Gli indimenticabili

custode dello stadio non voleva ammettere il ragazzo perché ritenuto troppo piccolo, esile. Tempestivo fu l’intervento del padre-allenatore, Franz, il quale ammonì l’uomo, esortandolo a gustarsi l’incontro, perché del giovane avrebbe sentito parlare anche in futuro. Era vero: di “Öcsi”, il “fratellino”, così lo avevano ribattezzato i compagni per la corporatura fisica e la giovane età, si sarebbe parlato eccome. Nel ‘49, alla soglia dei duecento gol segnati in carriera, la formazione in cui militava divenne quella dell’ esercito, mutò il nome in Honved e i giocatori assunsero diversi incarichi, ad esempio quello di Maggiore, ricoperto dallo stesso Ferenc. Paradossalmente, due anni prima, Puskás aveva avuto l’opportunità di lasciare l’Ungheria e di accasarsi alla Juventus; l’affare era in dirittura d’arrivo ma Erzsébet, la moglie, in lacrime lo convinse a restare, per la gioia dei tifosi che lo vedranno realizzare, con quella maglia, 378 centri su 369 partite disputate. Quello stesso club fu la base per la costituzione della “Aranycsapat”, la squadra d’oro, un termine coniato a seguito della vittoria da parte della nazionale ungherese dei giochi olimpici del 1952 di Helsinki, a discapito della Jugoslavia. L’anno seguente Ferenc e compagni, si imposero a Wembley contro i maestri del gioco, gli Inglesi, con il tennistico punteggio di 3-6 e un dominio del campo semplicemente devastante. Le parole del capitano dei Leoni, Billy Wright, risultano più che mai chiare per capire la forza dei magiari: “Mi sono sentito un pompiere che arrivava all’incendio tardi e in più a quello sbagliato”. Quel trionfo, non fu solo il giusto riconoscimento per il calcio enciclopedico con il quale Öcsi e compagni incantarono il mondo, fu un momento di rivalsa e spensieratezza per un popolo fortemente spaesato dopo il distaccamento dall’area di influenza dell’Unione Sovietica, ma talmente grato da presentarsi alla stazione per accogliere i giocatori con più di 400.000 persone. Ora però bisogna ritornare a quel mondiale ‘54, divenuto inesorabilmente tragico per quello che comportò. Il calcio, ed in particolare la nazionale con i suoi successi, aveva contribuito a rendere meno evidente quanto fosse irrespirabile il clima politico, soprattutto i trionfi avevano glorificato il regime, all’opposto della sconfitta di quel giorno che fece emergere tutte le lacune. Questa situazione portò a quella funesta settimana del ‘56, passata alla storia come la “Rivoluzione ungherese”, repressa nel sangue e durante la quale Puskás fu ritenuto morto. Ferenc era vivo ma decise ugualmente di lasciare il Paese, cosa che gli costò l’accusa di disertore. Nel ‘58 firmò per il Real Madrid dove, anche se fuori forma, “insegnò calcio” prima di ritirarsi a 37 anni e diventare allenatore. Nel 2006 una polmonite lo portò via all’età di 79 anni anche se in realtà Öcsi se ne era andato qualche anno prima, a causa di un male subdolo che lo attanagliava, il morbo di Alzheimer, tremendo per come si manifesta e per quello comporta, ossia la cancellazione di un bene inestimabile: i ricordi.

Ferenc Puskàs -1954 (da Wikipedia)

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