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L’artista in controluce: Efrem Bertini
L’artista in controluce
di Eleonora Mezzanotte
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EFREM BERTINI,
UN PITTORE DI CASA NOSTRA
Oltre ai grandi nomi di artisti già molto noti e indagati dai testi di storia dell’arte, vogliamo giustamente dare risalto a quei pittori, scultori di casa nostra, portatori di un eccezionale talento. In questo numero abbiamo dunque deciso di dedicare un’intervista ad un pittore, trentino doc originario di Cimego in Valle del Chiese, che ha fatto della sua arte una pratica quotidiana e quasi necessaria. Stiamo parlando di Efrem Bertini, classe 1980. Laureato in Biotecnologie agrarie e vegetali presso l’Università degli studi di Milano, vanta un dottorato in biologia molecolare e biochimica tra Roma e Israele, è stato ricercatore al Cibio e attualmente è professore di biotecnologie all’Istituto Ivo Carneri di Civezzano. Una formazione quindi prettamente scientifica, che in una prima analisi parrebbe totalmente opposta a quella artistica. Lo abbiamo incontrato a Trento, dove abita, per chiedergli da dove nasce questa vocazione per la pittura e come è riuscito a combinare scienza ed arte in maniera così efficace.
Quando è nata la passione per la pittura e da quanto tempo dipingi?
Difficile stabilire da quanto tempo dipingo; in realtà mi sono sempre dedicato al disegno e alla pittura, seppure con bassissima frequenza fino a circa cinque anni fa. Più una semplice passione quindi, che un appuntamento fisso. Le opere che attualmente si possono trovare in giro a firma mia sono tutte relativamente recenti, in particolare degli ultimi due anni, in cui ho effettivamente cominciato ad investire in
Vaso di fiori gialli su sfondo blu
Love and cleaver
maniera professionale sulla pittura e a dedicarmici quasi quotidianamente. Nonostante abbia seguito corsi di pittura, mi definisco un pittore autodidatta. Pittore più che artista, perché ho a che fare con i colori, le variazioni cromatiche, le luci e le ombre, l’esecuzione di un dipinto nelle sue molteplici fasi. Spesso a mio avviso il termine artista viene usato con troppa licenza. Sono della concezione che per essere artisti bisogna prima di tutto essere maestri dell’arte e artigiani, essere cioè portatori di quel sapere artistico che ha a che fare con ciò che anticamente i greci definivano techne, ovvero la tecnica, la manualità. È necessario comprendere i segreti della tecnica, sperimentare, conoscere la chimica dei pigmenti, sapere in che modo questi interagiscono tra loro e in questo forse la mia formazione scientifica mi ha agevolato.
Quale tecnica prediligi? Olio o tempera?
La tempera non la uso, ho dipinto poche volte a tempera e prediligo l’olio. Amo anche l’acquerello e lo sto sperimentando. Nonostante sia una pratica, quella dell’acquerello, che viene talvolta trasmessa anche ai bambini, nasconde non poche insidie, poiché non permette errori e richiede esperienza nella giusta diluizione dei pigmenti.
In quale corrente artistica ti identifichi maggiormente? Quali sono i soggetti o i temi che preferisci dipingere?
Mi sento più vicino, nello stile e nei gusti, ai grandi maestri della pennellata di fine Ottocento e inizi Novecento: Sargent, Boldini, Dupré. Ammiro la capacità espressiva di questi pittori, che con un colpo di pennello riuscivano a trasformare un’idea in immagine. Una pittura materica quasi approssimativa, una pennellata che da vicino pare grezza, ma che attraverso uno sguardo complessivo dell’opera svela un effetto straordinariamente realistico. Non dipingo quadri astratti, ma prediligo soggetti concreti tratti dal quotidiano, la rappresentazione del reale, con talvolta qualche concessione alla fantasia e alla metafora. Preferisco dipingere figure, quindi figure femminili, maschili e ritratti. Mi piace molto anche il genere della natura morta; non solo fiori e canestre di frutta e verdura, ma anche oggetti meno scontati, isolati dal loro contesto e riproposti sulla tela: attrezzi da lavoro, reperti di guerra e altre cose semplici e ordinarie con le quali cerco di costruire una trama. Lavoro spesso sui contrasti, non solo di luce e colore, ma anche semantici. Giocare sull’accostamento di due o più oggetti che tra loro non hanno apparentemente nessun nesso logico, ma la cui vicinanza sottende un legame, una storia. Per esempio la tragedia della guerra in Ucraina mi ha portato a dipingere un quadro in cui un elmetto tedesco della Seconda Guerra Mondiale è vicino ad un berretto dell’armata rossa, tra questi un peluche con una targhetta riportante la scritta love che li abbraccia entrambi.
L’artista in controluce
Dove dipingi solitamente, in casa, in uno studio o anche all’aperto? So che sei anche fotografo professionista, quanto la fotografia ti aiuta in pittura?
Dipingo per lo più a casa e spesso sulla base di fotografie. Sia nella ritrattistica che in quadri di paesaggio mi avvalgo di riferimenti fotografici. Mi piacerebbe dipingere anche all’aperto, ovvero en plen air, ma devo ancora realizzare uno studio portatile per il trasporto dei materiali. La fotografia mi piace molto e le accortezze da fotografo le applico anche in pittura, stando attento alle variazioni di luce, agli aspetti cromatici e chiaroscurali.
Lavori anche su commissione? E dove si possono trovare le tue opere?
Sì, lavoro anche su commissione. Ho ricevuto richieste che vanno dal semplice ritratto a copie d’autore. I miei lavori si possono trovare sulla mia pagina efrembertini.art e sono attivo e reperibile anche su Instagram al profilo efrembertini_art.
La morte di un artista trentino
di Waimer Perinelli
L’ARTE PIANGE MARCO BERLANDA
Il paradiso deve avere un posto speciale per le persone buone e fragili. Dante non lo cita forse perché i censibili sulla terra devono essere ben pochi. Uno di loro era Marco Berlanda e ad affermarlo non sono i molti critici che di lui hanno scritto, ma le sue opere. Scrivere o parlare di qualcuno ch’è morto è come trattenerlo ancora un po’ con noi. Naturalmente se ne vale la pena, se lo si è stimato e amato. Marco era un uomo sereno, come lo si può essere in un mondo tanto contorto, e si è spento senza fragore attorniato dall’affetto della moglie Rita e dei tre figli, Gabriella, Simone e Luca, alla venerabile età di 90 anni. Era un artista! Nato a Trento nell’aprile del 1932 era approdato alla pittura verso i 40 anni pur avendo un’innata passione alla quale si era opposta con forza la madre. L’aveva ascoltata e aveva scelto il posto sicuro all’ Enel dove aveva il compito di esattore. Anni di pazienza e infine la scelta con la frequentazione dello studio-scuola di Mariano Fracalossi alla quale si sono formati tanti autodidatti trentini. Ma lui era diverso. Lo ricordo nell’antro-studio delle mura di piazza Fiera immerso totalmente nei colori; un’immagine di lui che richiama, in carne e ossa, una tela di Schifano. Rammento le sue corse in bicicletta per le vie della città. Non rinunciava mai a fermarsi, a scambiare alcune parole attorno agli avvenimenti artistici del periodo. L’ho intervistato più volte per la Rai seguendo le molte esposizioni allestite in Regione e altrove e ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo che l’entusiasmo per la pittura non riusciva a contenere. Era un artista istintivo mai superficiale. Amava la fotografia e la usava spesso come base per le sue opere. Già artisti di ogni epoca usavano tecniche simili alla fotografia per l’impostazione dei propri lavori e questo non perché non sapessero disegnare, ma solo perché ne erano facilitati. Furono gli impressionisti, i pittori in plein air, a scegliere decisamente di delineare, far risaltare i soggetti con il solo accostamento e contrasto dei colori. La tecnica fu accentuata dagli espressionisti e Marco Berlanda amava essere considerato uno di loro anche se diceva, con pacifica autostima, “molti mi volevano apparentare con l’arte naives (naif). Tanto è vero, aggiungeva soddisfatto, alcune opere riconducibili a un certo periodo, sono state acquisite dal museo dedicato al Naif di Luzzara.” Certo alcune sue opere sono accostabili per forma e contenuti ad Antonio Ligabue( il “maestro italiano” di tale tecnica) tuttavia personalmente preferisco ricordare, attraverso i suoi lavori, un altro pittore trentino, Giuseppe Angelico Dallabrida (1874-1957), un espressionista di grande forza. Che li accomuna, oltre all’arte, c’è la passione per la bicicletta con la quale il pittore, originario di Caldonazzo, pedalava dopo avergli tolto il sellino. Li accomunano paesaggi e scorci di natura nonché la scelta di un’arte povera dove si mescolano terre e oli naturali, vernici e tempere. Renzo Francescotti lo ha definito “Pittore Selvaggio” cogliendone l’originalità incontenibile, come una foresta che apparentemente sfugge ad ogni regola. Marco Berlanda intervistato un anno fa dalla collega Daniela Larentis, ha dichiarato di essere sempre stato ispirato dal mondo esterno: “Alle volte, disse, bastava un particolare ad attirare la mia attenzione, sono sempre stato affascinato dalle persone, dai loro volti, dai luoghi di relazione.” Innumerevoli le mostra personali e collettive a cui è stato invitato, da Berlino al Messico, ma nel suo cuore era rimasta una sala a lui dedicata dall’importante galleria Christian Berst di Parigi. Di lui si può senza dubbio affermare che è una delle figure importanti del panorama artistico trentino contemporaneo. Un uomo anticonvenzionale, buono e generoso.