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Conosciamo Chico Forti

Testimonianza diretta

di Emanuele Paccher

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Conosciamo Enrico Forti

Enrico (Chico) Forti, nato a Trento l’8 febbraio 1959, è un ex produttore televisivo e velista italiano. Ha vissuto a Trento fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, poi si è trasferito a Bologna per frequentare l’istituto superiore di educazione fisica. Nel 1979 inizia a praticare lo sport del windsurfing sul lago di Garda. Nel 1985 è il primo italiano a competere nella coppa del mondo di tale specialità. È appassionato anche di jumping e di sci. Nel 1987 è coinvolto in un incidente automobilistico, il quale interrompe la sua carriera agonistica. Dopo una lunga convalescenza, inizia a produrre filmati di sport estremi. Nel 1990 partecipa al quiz televisivo Telemike, presentandosi sulla storia del windsurf e vincendo 120 milioni di lire. Con questi soldi, nel 1992, si trasferisce in America. Qui sposa la modella Heather Crane, dalla quale avrà tre figli. Alcuni azzeccati investimenti immobiliari gli permettono di accumulare una piccola fortuna. A Miami gira un documentario sulla morte di Andrew Cunanan, il serial killer che uccise Gianni Versace, dubitando della ricostruzione ufficiale della polizia, secondo la quale si trattava di un suicidio. La sua vita cambia radicalmente a partire dal 1998: andando alla ricerca di nuove opportunità di investimento, entra in trattativa per l’acquisto del Pike Hotel di Ibiza, luogo simbolo della movida dell’isola spagnola, di proprietà di Tony Pike e del figlio Dale Pike, il quale è contrario alla vendita. Chico invita allora Dale a Miami per

Chico Forti con il nostro collaboratore Emanele Paccher

cercare di trovare un accordo. Pike jr arriva il 15 febbraio del 1998 in aereo. A prenderlo in aeroporto è lo stesso Chico. Poche ore dopo l’incontro Dale viene trovato morto su una spiaggia di Miami. Chico davanti alla polizia dapprima nega di essere stato con l’imprenditore australiano, poi, raccolte dalla polizia alcune prove sul loro incontro, racconta di averlo lasciato davanti a un parcheggio poco dopo averlo prelevato in aeroporto. L’interrogatorio avviene in assenza di un avvocato. Secondo i legali, Chico è stato sottoposto a pressioni psicologiche. Qualcuno insinua che la polizia di Miami voglia vendicarsi per il documentario girato pochi anni prima. Il sogno americano di Chico Forti si infrange definitivamente nel 2000: la giuria popolare chiamata a pronunciarsi sul caso lo ritiene colpevole dell’omicidio oltre ogni ragionevole dubbio. La sentenza è pesantissima: ergastolo senza condizionale.

Tanti però sono i punti grigi: le irregolarità nell’interrogatorio, i dubbi sul movente, la mancanza di tracce di DNA sul luogo del crimine e il superamento della prova della macchina della verità alla quale l’italiano si sottopone volontariamente.

Tanti però anche i punti a sfavore di Chico: la prima testimonianza falsa, l’aver acquistato una pistola calibro 22, la stessa che uccise

Dale, poco prima dell’assassinio, le tracce di sabbia nell’auto.

Tantissime le personalità che si sono interessate al caso Forti, sia per affermare a gran voce la sua innocenza, sia per ribadirne la colpevolezza. Alcuni, più moderati, vorrebbero semplicemente che Chico possa scontare la pena in Italia. Il 23 dicembre 2020 la situazione sembrava essersi sbloccata: il governatore della Florida, Ron De Santis, anche grazie all’interessamento del ministro Luigi Di Maio, aveva firmato l’atto per il trasferimento di Chico in Italia in base alla convenzione di Strasburgo del 1983. Tuttavia, la procedura non si è mai conclusa per degli ostacoli burocratici. Tanti dubbi, tanti dilemmi etici e morali, sia sulla colpevolezza che sulla modalità e sul luogo in cui scontare la pena. Una sola certezza: Chico ad oggi ha trascorso più di un terzo della sua vita in carcere.

L’autonomia e i comuni multilingue

di Marco Nicolo’ Perinelli

L’AUTONOMIA NON SI BARATTA

Era il 5 settembre del 1946 quando il ministro degli esteri italiano Alcide Degasperi e il collega austriaco Karl Gruber sottoscrissero l’Accordo di Parigi che integrava il Trattato di Pace attribuendo competenze legislative, amministrative ed esecutive alle popolazioni di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e dei limitrofi comuni mistilingui della provincia di Trento, ladini, cimbri e mocheni. E’ una data da scolpire nella memoria di tutti, premessa e base del nostro sistema autonomistico, assunto ancora oggi a modello internazionale, e studiato a fondo, si pensi alla polveriera del Medio Oriente o all’Ucraina solo per citare due esempi a noi più vicini. Modello di tolleranza ed autogoverno che rimanda per chiarezza ad una definizione di Autonomia. Dove il modello è fallito c’è guerra. La nostra intervista a Walter Pruner, italiano, trentino, mocheno, figlio di Enrico (Frassilongo 24.01.1924- Trento 08.09.1989, eletto ininterrottamente per otto legislature dal 1952 al 1988) uno dei padri della nostra autonomia.

A chi appartiene oggi l’Autonomia?

L’ Autonomia appartiene a tutti. Credo profondamente che il collante dell’ autonomismo sia il sentimento ad autodeterminarsi al meglio attraverso interventi che partendo da premesse diverse convergono sulla necessità di soluzioni politiche mirate, condivise e modulate territorialmente. Le ragioni storiche della nostra Autonomia vanno studiate, fatte studiare, soprattutto fatte capire. Ma va fatto capire innanzitutto che il fondamentale dato identitario non può tradursi in egoismo territoriale o di popolo. E’ un patrimonio politico evoluto non conservativo, di cui andare dinamicamente fieri attraverso una forte capacità creativa, qualitativa e di innovazione. E’ giusto che le comunità che ne hanno consapevolezza, capacità e gradimento, concorrano a desiderarla. L’autonomista distingue tra ricchezza e benessere: la prima esprime un dato materiale che da solo però non basta; il secondo una felice armonia tra persona e contesto socio ambientale al cui interno convive fatturato economico e realizzazione personale. Al centro sta dunque la persona.

Chi e che cosa ha fatto male alla nostra autonomia?

Il periodo del dopoguerra ha visto la comunità mochena oggetto di attenzioni caritatevoli da parte dell’istituzione, con provvedimenti tendenti ad

Walter Priuner

infrastrutturare il territorio fisico e non quello identitario, fatto di una Comunità che per quanto riguarda nello specifico la sponda sinistra germanofona incontrò fortissime resistenze in tema di integrazione linguistica. Nell’ immediato dopoguerra la questione mochena fu letta essenzialmente come un problema e non una risorsa. Il tentativo di “acquistare” elettoralmente la comunità mochena non l’aiutò, addormentandone, sedandone legittime rivendicazioni e potenzialità. Non fu così con tutti i governi provinciali, va riconosciuto, merito in particolare del ruolo di diaframma politico di Enrico Pruner e di figure che anche in loco accanto a lui profondamente si spesero. Egli mantenne coi governi

L’autonomia e i comuni multilingue

provinciali costanti, a volte conflittuali ma sempre fruttuosi rapporti, assieme ad una Comunità caratterizzata sempre da altissima generosità. Transizione morbida dunque, che coinvolse anche la comunità cimbra di Luserna passando da intese politiche coi Ladini trentini. Oggi anche il cambio generazionale ha aiutato a vivere con orgoglio questa peculiarità etnica. Ciò è potuto avvenire in virtù di pregresse semine politico culturali, senza sconti a populismi di maniera, sorrette dalla schiena dritta di amministratori che rifiutarono compromessi al ribasso. Essi respinsero sempre dinamiche di contributi pubblici di scambio, - allora non vi erano logiche di Pnrr – valutati irricevibili in quanto dialettiche elettorali ricattatorie.

Quali sono pericoli che l’Autonomia corre oggi?

Solo con le ragioni storiche, sacrosante, che giustificarono la nostra Autonomia, la indeboliamo. L’accordo di Parigi e l’intuizione di Degasperi di porre la questione dei limitrofi comuni mistilingui della Provincia di Trento, deve oggi rappresentare la “Bibbia” istituzionale di scritture che vanno riaggiornate e riviste in chiave neo globaliste. L’Autonomia oggi ci sottopone con forza temi che non si fermano al confine di Frassilongo piuttosto che di Luserna o di Mazzin di Fassa. Ce lo ha rinfacciato con cruda brutalità la globalizzazione. L’incontro tra identità locali e voracità di mercati finanziari intolleranti nei confronti di ogni tipo di minoranza, richiede forte consapevolezza di obbiettivi, e coesione politica chiara, non solo elettorale: trasversalità di vedute per una Autonomia che sappia punto a punto rispondere con provvedimenti locali compatibili e resistenti sul piano globale. In questa scommessa nessuno può chiamarsi fuori. Sarebbero letali le divisioni.

Oggi l’autonomia è a rischio?

Bell’interrogativo. L’Autonomia formale, quella giuridicamente riconosciuta dai trattati mi sentirei di escluderlo. I pericoli maggiori sono principalmente due: Uno, la posizione di chi dell’ Autonomia, nulla o poco conoscendola, ne dichiara il suo stato di privilegio, favorisce così facendo il suo progressivo svuotamento giustificando ricatti finanziari tali da produrre di fatto un lento avvicinamento ad una sorta di anoressia contributiva, di strangolamento, di lenta, costante, letale contrazione finanziaria. Secondo, corse in solitario delle due province. Bolzano in particolare penso debba scrollarsi definitivamente di dosso scorie storiche e diffidenze inutili nei confronti della Regione. Lo ripeto, è fondamentale che si litighi se inevitabile, su tutto, ma non sull’ Autonomia.

Cultura e Autonomia, educazione, insegnamento hanno spazio nell’Autonomia?

Sul tema della scuola essa ha trovato, giustamente, il tempo di dedicarsi ai nuovi linguaggi, uno su tutti quelli informatici. Deve trovare gli spazi anche per il linguaggio dell’ Autonomia, e prima, per comprenderne le ragioni, per la sua storia. Senza derive localistiche che non hanno senso. Non si parte anche qui da zero, perché sicuramente molte apicalità culturali sul territorio hanno e stanno lavorando in questa direzione. Quella potenza inesplosa che è lì, basta coinvolgerla, rappresentata dalla nostra eccellenza universitaria, deve essere virtuosamente coinvolta in questa sfida culturale fondamentale, senza la quale prevarrebbe l’assenza di conoscenza del passato che non permette coscienza del presente e del futuro.

Walter Priuner in Val dei Mocheni

Il senso religioso

di Franco Zadra

UNO SCETTICISMO DISTRUTTORE CHE FA TENDENZA

Avevamo chiuso l’ultimo articolo di questa rubrica, dicendo che il pregiudizio induce una sorta di blocco della conoscenza, pone intralcio nell’ avvicinarci alla realtà tutta intera, realtà che finiamo per scorgere solo in maniera parziale, frammentaria, disponibile dunque a farsi manipolare e interpretare per conclusioni spesso divergenti, se non opposte. Seguendo l’insegnamento di don Giussani, arriviamo ora a parlare della ideologia che viene definita dal nostro autore come «la costruzione teorico-pratica sviluppata su un preconcetto». Sappiamo forse intuire il fatto, quasi ovvio, che esiste un sistema di opinioni che regolano la vita sociale, abitualmente condiviso e di rado criticato, citato in modo sbrigativo come “mentalità corrente” alla quale ci si oppone con grande sforzo, ma più facilmente ci si abbandona poiché è sempre meno faticoso lasciarsi trascinare dalla corrente. Tale sistema introduce l’uso di formule sintetiche che - come scriveva Aleksandr Solženicyn nel suo grande romanzo “Reparto C” con il quale fece conoscere al mondo la realtà dei gulag, in uno dei quali fu detenuto per molti anni - «violentano la ragione. Per esempio: “nemico del popolo! Elemento estraneo! Traditore!”, e tutti ti abbandonano». Assumere una ideologia, trovarsela tra i piedi quando siamo chiamati a esprimere un giudizio, o quando semplicemente la realtà della vita ci viene incontro con tutta la ricchezza e varietà (spesso crudezza) dei suoi momenti e avvenimenti, è molto, troppo, facile. Il fatto è che l’ideologia, pur producendo una violenza sulla ragione, si insinua nel nostro comune sistema di aspettative, costruito in anni di educazione assente o consegnata quasi del tutto o in modo sufficiente agli slogan della pubblicità, alla comunicazione di massa, ai tormentoni di ogni tipo e moda, in maniera subdola, quasi indolore. Una punturina del tutto simile alla somministrazione di un vaccino, che invece ti inocula proprio quel virus ideologico che si fa forte nel assolutizzare uno spunto offerto dall’esperienza, prendendolo però a pretesto per fare altro. Gli esempi che si potrebbero fare sarebbero moltissimi. Uno tra i più memorabili e risibili, ma che mostra bene come l’ideologia si faccia strada nel nostro modo di pensare (e quindi di agire) è il ricordare come è stato “presentato” al pubblico delle reti Mediaset il giudice civile milanese, Raimondo Mesiano, del verdetto Fininvest-Cir che ha visto condannato il gruppo Fininvest a risarcire alla Cir di Carlo De Benedetti 750 milioni di euro per lo “scippo” di Segrate. Seguito da una telecamera nascosta, il giudice viene dato in pasto all’opinione pubblica per i suoi comportamenti “stravaganti”, e la giornalista che lo spia, a un tratto commenta, «un’altra stranezza: guardatelo seduto su una panchina. Camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzino turchese. Di quelli che in tribunale non è proprio il caso di sfoggiare». Del giudice Mesiano, trent’anni dopo, l’opinione pubblica ricorda al limite che portava i calzini turchesi, ma dell’uomo nella sua concretezza nessuno sa più nulla. Così funziona l’ideologia, lo spunto, anche minimo come può esserlo un calzino turchese, serve qualche cosa di estraneo all’intenzione dichiarata, al politico per giustificare e pubblicizzare una sua operazione, ai poteri forti per manipolare l’opinione pubblica che attraverso i mass-media modellano una mentalità comune, corrompendo in definitiva ogni autentico impeto di cambiamento, emarginando di fatto l’individuo in se stesso e impedendo una visione globale della realtà. Indicare ora, come prevede la scaletta solita del nostro intervento, una “buona” lettura, non aiuterebbe ad abbassare le nostre barriere ideologiche, poiché è in particolare di libri che le ideologie si nutrono; ma se ci fosse un libro che aiutasse a incontrare dal vivo Colui che ha avuto la pretesa di affermare: «Io sono la via, la verità, e la vita», e secondo testimonianze attendibili, in controtendenza rispetto al comune sistema di aspettative, è pure risorto dai morti, sarebbe proprio quello che indicherei qui. Ne sapete qualcosa?

Le nostre città

di Laura Mansini

ROMA CAPITALE

Città sontuosa e cialtrona. La si ama o la si odia.

Tempo di Elezioni, tempo di incontri internazionali, tempo di manifestazioni , di viaggi, di vacanze e la nostra capitale è davvero ancora Caput Mundi. Accoglie tutti come le larghe braccia del colonnato della splendida piazza di San Pietro progettata dal Bernini.

Il Colosseo

Le elezioni finalmente sono passate, sappiamo chi le ha vinte, tuttavia ci rendiamo anche conto che i vincitori si troveranno davanti agli ormai tristemente consueti problemi: prima di tutto quelli ambientali causa di devastazioni, morti e conseguenti recriminazioni su ciò che nel tempo si sarebbe dovuto fare, ma non è stato fatto; ai quali si aggiunge una Pandemia non ancora vinta del tutto e per non farci mancare nulla ora l’Europa è alle prese con una guerra provocata dalla Russia di Putin, e a Roma , giovedì 22 settembre all’interno del parco di Villa Borghese una scalinata del Globe Theatre è crollata mentre stavano uscendo circa 900 studenti arrivati nella capitale per assistere ad uno spettacolo shakespeariano. Fortunatamente vi sono stati solo 12 feriti non gravi. Altro palcoscenico quello dove va in scena la grave crisi economica italiana causata dalla somma di tutte queste problematiche. Spetterà quindi al nuovo governo risolvere le situazioni rimaste sul campo, sperando siano in grado di farlo, anche perché l’Italia è sull’orlo del baratro e per capirlo è sufficiente una piccola vacanza a Roma, la nostra meravigliosa capitale. Infatti i costi alberghieri sono lievitati, i nostri giovani migliori cercano lavoro all’estero e negli alberghi troviamo un personale internazionale, multietnico, certamente volonteroso, meno costoso, ma privo di una seria cultura recettiva. Si parla di Alberghi a 4 stelle, di bar eleganti nelle piazze romane che vengono lentamente sostituiti da gelaterie, pizzerie al taglio. La nostra splendida Capitale, che offre ai turisti internazionali la possibilità di immergersi nella storia millenaria di una città che nei secoli ha dominato il mondo, sia politicamente che Culturalmente e religiosamente, sta lentamente ma inesorabilmente perdendo l’identità.

Le nostre città

La Roma di Trastevere quella della Siora Lella, amata da Alberto Sordi, quartiere fra i più noti e romantici della città, se ne è andata sostituita da una generazione di nuovi abitanti, che offrono pizze, aperitivi, strane bruschette cotte troppo, mentre un improbabile cantastorie, con la chitarra strimpella “ammore ammore” e a chi gli chiede di cantare “Chitarra Romana” risponde che non la conosce perché lui è di Bulgària. Se vedesse questa nuova Trastevere, molto probabilmente il grande Woody Allen non sentirebbe l’ispirazione di ambientarvi uno dei suoi ultimi film “Love in Roma”, che ha donato grande pubblicità a questa zona , tanto che verso le ore 20 una marea umana si riversa alla ricerca di quelle atmosfere, di quella gente che ormai non c’è più, a meno che non si sia disposti a spendere un capitale per un piatto ricco di 3 saltimbocca alla romana ed un carciofo alla giudia. Comunque Roma è Roma. Se non ti soffermi a guardare le strade lastricate di sanpietrini intervallati da grandi buche rappezzate alla meglio con l’asfalto che cede, i vetri di bottiglia

La Fontana di Trevi

reduci di bevute lasciate da gruppi di ragazzotti , cestini vuoti con le cartacce ed bicchieri di cartone attorno, una Fontana di Trevi sommersa di turisti da tutto il mondo, la città ti conquista, con i suoi meravigliosi edifici come Palazzo Barberini con una raccolta di quadri dalla bellezza senza tempo, oppure Galleria Corsini, con le opere di Salvator Rosa e un bel ritratto del nostro vescovo Bernardo Clesio, e poi il Vaticano con le sue magnificenze. Roma è sede del potere Religioso, ma anche politico e se volevate sapere per chi votare, o meglio, non votare, dovevate salire su un taxi dove il conducente ti sa dire tutti i segreti sui vari nostri politici. Lui lo sa perché ha un cugino che fa l’usciere a palazzo Madama e per tutto i percorso ti riempie la testa delle varie malefatte dei nostri rappresentanti. C’è il tassista deluso, oppure quello battagliero, comunque tutti si destreggiano con perizia nel traffico caotico della capitale maledicendo quegli attrezzi infernali che sfrecciano davanti improvvisamente: i monopattini elettrici, guidati da persone senza patente, assicurazione e casco. “Per il casco pazienza, dice il tassista, se si rompe la testa son fatti sui, ma deve essere assicurato e targato”. Roma conosce la bellezza della “Dolce vita” narrata da Fellini, ma anche l’assurdità di una completa mancanza di civiltà. Può accadere infatti che un solerte farmacista esasperato dalle immondizie lasciate nella notte davanti al suo negozio decida di raccoglierle e di gettarle nel cestino della differenziata; bravo direte voi, ma per i vigili urbani si merita una multa perché non ha differenziato correttamente l’immondizia. Fatto vero da cui è nato un caso nazionale, come quello della negoziante che chiede i cassonetti. Ma questi è noto servivano soprattutto agli incendiari nelle manifestazioni. Insomma Roma è tutto questo: la storia millenaria ci racconta di una città caotica, sporca e pericolosa, invasa dai barbari; ora va un po’ meglio ma due millenni non hanno cambiato molto e alcune povertà evidenti stridono ancora davanti ai palazzi del potere che fanno sognare turisti e romani.

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