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La distruzione dei simboli scomodi
Arte e società
di Guido Tommasini
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LA DISTRUZIONE DEI SIMBOLI SCOMODI
Nel passato si passava spesso dal culto delle immagini alla loro distruzione. Fino dal IV secolo il nuovo cristianesimo, sulla struttura base di una lotta per il potere strettamente politica aveva iniziato a distruggere le statue del paganesimo ma in generale è soprattutto quando una civilizzazione si sostituisce ad un’altra che il danno risulta grave perché la maggior parte delle espressioni artistiche precedenti viene distrutta per far parte ai nuovi conquistatori, per cui il discorso sarebbe lunghissimo Comunque si può partire dalla fine del medioevo, quando il culto esagerato delle immagini aveva fecondato una reazione contraria, che identificando le opere d’arte come simboli del passato, ha successivamente causato la distruzione di enormi patrimoni artistici A tale fenomeno hanno contribuito famosi personaggi storici come Hus, Lutero, Savonarola nelle loro visioni purificatrici e successivamente anche la Rivoluzione Francese ha fatto parecchi danni in tale settore. Oggi le proteste contro certi personaggi simbolo sono cresciute in modo esponenziale negli Stati Uniti a seguito di un particolare episodio, quello della barbara uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto troppo zelante, ma la distruzione o la ricollocazione di diverse statue scomode era iniziata da parecchio tempo. La protesta ha avuto come primi bersagli i simboli di politici schiavisti ma poi anche di personaggi legati alle guerre indiane e addirittura dei primi esploratori che avevano inaugurato la via verso il Nuovo Mondo come Cristoforo Colombo. In queste rivendicazioni, per le rimozioni attuali è stata particolarmente attiva l’organizzazione Black Lives Matter (Le vite dei neri contano) Così tante statue di personaggi storici sono state distrutte o comunque fatte oggetto di atti vandalici, compresi dei murali. L’elenco è molto numeroso, per cui si citano quelle più emblematiche come Cristoforo Colombo, Woodrow Wilson (per una sola citazione favorevole alla segregazione razziale), Junipero Serra (missionario), Juan de Onate (conquistador spagnolo del Nuovo Messico) John Mason (massacratore di nativi americani), statua del poliziotto vigile dell’Illinois (statua anti-immigrati europei), statua equestre di Re Giorgio III, William Crawford, Toro di Wall Street, Robert E. Lee (generale sudista), Edward Colston(mercante di schiavi). Personalmente sono un ammiratore di politici e scrittori afro americani come Martin Luther King, Eldridge Cleaver, George Jackson e sono anche d’accordo sulla distruzione delle statue di mercanti di schiavi o di sterminatori di nativi americani, ma l’abbattimento della statua del generale Lee mi sembra un’aberrazione in quanto la Confederazione sudista è stata una realtà storica, un complesso di istituzioni delle quali lo schiavismo era soltanto una delle componenti. Su questi argomenti sarebbe più utile pensare in positivo come al film – Soldato blu – che ruppe la tradizione di Hollywood dell’indiano cattivo, oppure al grande Marlon Brando che per attirare l’attenzione sul dramma degli indiani sterminati dai vari governi americani delegò una loro rappresentante ad annunciare la sua rinuncia al premio Oscar per – Il Padrino -. In quell’occasione la rappresentante indiana il cui nome era Marie Louise Cruz venne duramente minacciata da
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John Wayne. Il problema qui sollevato ci porta a quello più ampio il quale si colloca fra il grottesco dell’arroganza di vincitori che hanno esposto effigi di personaggi non proprio edificanti al grottesco confusionario di distruttori che fanno di tutta l’erba un fascio. Continuando su questa strada, per quanto riguarda l’ Italia, qualcuno potrebbe chiedersi l’opportunità di mantenere a Livorno la famosa statua di Ferdinando I, scolpita da Giovanni Bandini con sotto i Quattro Mori di Pietro Tacca. Abbattere monumenti significa voler cancellare, per quanto ingombrante una statua possa essere, anche parte di una cultura, parte di ciò che era il passato, le radici di una civilizzazione, per cui l’indiscriminata generalizzazione di questi comportamenti potrebbe diventare pericolosa. Basti pensare a cosa succederebbe nel settore dell’editoria dove c’è stato già qualcuno che ha proposto di riformare il romanzo – Via col vento – per i suoi contenuti schiavisti. Se dovesse passare questo principio ci sarebbero procedimenti che non avrebbero mai fine, magari fino ad arrivare per assurdo addirittura alla revisione di gran parte della letteratura latina dato che la civiltà romana comprendeva l’istituto della schiavitù. Sembrerebbe quindi inutile condannare persone o autori che immersi in un contesto storico passato abbiano compiuto atti o scritto testi che oggi consideriamo moralmente riprovevoli e quindi tutte le campagne per la rimozione dei simboli sarebbero ormai fuori tempo massimo. Al contrario c’è sempre tempo per fare su queste tematiche una riflessione critica.