HA VINTO GIORGIA MELONI
L’
Italia ha votato e il Centro Destra, con Meloni in testa, e rispettando le in dicazioni dei sondaggi, ha stravinto la tornata elet torale del 25 settembre e fatto man bassa dei seggi alla Camera e al Senato. E, infatti, la sommatoria dei voti ci dice che il nuovo governo, che certamente sarà a guida Meloni, avrà la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento. E finalmente, nel bene e nel male, il nostro Paese avrà un governo democraticamente eletto al di fuori di inciuci e giochi vari di palazzo.
Le prime elezioni post- pandemia e con un Parlamento ridotto per volon tà dei cinquestellini (400 deputati e 200 senatori) premiano, indiscutibil mente Giorgia Meloni che con il 26% dei voti traina tutto il suo schiera mento.
Un risultato che conferma anche la crisi che ha colpito tutta la sinistra, ma soprattutto il PD. Non per niente Letta, il “battuto”, ha annunciato che non si presenterà come segretario al prossimo congresso del suo partito e quindi, di fatto, ha già firmato la cambiale delle sue dimissioni. Tornando a Giorgia Meloni, il suo destino sembrerebbe essere prede stinato e se oggi è diventata capo del primo partito italiano e sicuramente la prima donna a Palazzo Chigi, deve ringraziare due uomini: Ignazio La Russa e Silvio Berlusconi. Fu proprio La Russa che chiese a Silvio Berlusco ni di applicare, quando era Presidente
del Consiglio, una particolare nor ma alla legge elettorale di allora, il famoso“Porcellum”, grazie alla quale poteva entrare in Parlamento anche il primo tra i partiti rimasti sotto la soglia del fatidico 3%, ovvero il mi gliore tra i perdenti. Il Silvio nazionale la concesse e Fratelli d'Italia, nelle elezioni del 2013, con il suo 1,93% portò in Parlamento nove deputati. Fratelli d'Italia, Forza Italia e la Lega hanno vinto le elezioni in modo netto, senza se e senza ma, e lo hanno fatto a dispetto di una cam pagna elettorale mai vista nel nostro paese dove tutti i segretari dei vari partiti, nessuno escluso, e con l'aiuto di intellettuali dal pensiero unico, di giornalisti e conduttori televisivi, si sono quotidianamente impegnati per denigrare il Centro Destra, Matteo Salvini, ma soprattutto Giorgia Meloni dipingendo quest'ultima come il male assoluto. Un tiro al bersaglio nei suoi confronti senza precedenti. Ber lusconi, per qualche oscuro motivo è stato lascito fuori da critiche e offese varie, diventando quasi intoccabile. Una campagna, la loro, volta non a controbattere il programma del
Centro Destra (tranne alcuni casi più unici che rari), ma paventando, con la vittoria della Meloni, non solo l'arrivo di un “nuovo” fascismo con giorni neri e bui per la nostra nazione, non solo l'attacco ai principi democratici e costituzionali, ma anche l'inizio di una dannosa crisi finanziaria che causerebbe la distruzione economicamente del nostro paese. Argomenti questi che, purtrop po per noi, sono stati detti e ridetti anche al di fuori dei nostri confini, indubbiamente danneggiando l'im magine della nostra nazione.
E a questa odiosa campagna “contro” hanno contribuito, anche cantanti, ar tisti di fama, scrittrici, scrittori, opinio nisti e chi più ne ha più ne metta.
Potrei continuare nell'elencazione degli attacchi, a volte veramente offensivi e volgari, alla presidente di Fratelli d'Italia, ma, credetemi, non basterebbero tutte le pagine di que sto giornale.
Indubbiamente, questo risultato, che muta la geografia all'interno del Centro Destra, è merito di quel 43% di elettori che con il loro voto hanno chiaramente detto di voler una nuova stagione politica diversa dalle prece denti, ma soprattutto di non essere creduloni e saper invece ragionare con la propria testa.
Ora, Giorgia Meloni dovrà dimostrare di meritare la fiducia dei suoi elettori e soprattutto impegnarsi a ragionare non più come capo di un partito bensì come leader di una coalizione che è stata chiamata a governare, e nel migliore dei modi, il nostro Paese.
SOMMARIO
L’editoriale: ha vinto Giorgia Meloni
Sommario
Giorgia Meloni, prima donna della politica italiana
Considerazioni al chiaro di luna
ANNO 8 - OTTOBRE 2022
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GIORGIA MELONI
Prima donna della politica italiana
Chapeau a Giorgia Meloni, prima donna italiana diventata Presidente del ConsiglioRomana, quaran tacinque anni, grandi, espres sivi occhi azzurri, dotata di forte temperamento politico, Giorgia Meloni è riuscita ad essere la Leader di “Fratelli d’Italia”, il partito da lei fondato con Ignazio La Russa e Guido Crosetto nel 2012 e che presiede dal 2014. Ora prima donna italiana ad essere eletta Premier. Una donna di Destra-centro. A questo punto mi chiedo come mai nei partiti di centro- sinistra, che si battono per la parità di genere, la donna non sia mai stata considerata una possibile Presidente del con siglio o addirittura una Presidente della Repubblica. Eppure abbiamo avuto grandi donne nel passato come Nilde Iotti diventata Presiden te della Camera dei deputati dal dal 20 giugno 1979 al 22 Aprile del 1992, oppure Tina Anselmi, insegnante, partigiana, prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro de lavoro e poi della sanità.Attualmente abbiamo grandi donne al potere nella Comunità Europea, quali l‘at tuale presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen; in Inghilterra ora c’è Luz Truss, che rap presenta i conservatori. In Finlandia la giovane Sanna Marin. La storia della Meloni inizia da lontano quando da giovane è stata presidente della Giovane Italia, legata al Movimento Sociale italiano, dopo essere stata presidente di Azione
Giovani e Azione studentesca (mo vimenti neo-fascisti). La sua storia politica è sempre stata coerentemen te di Destra. Fu Vice presidente della Camera dal 2006 al 2008 e dal 2008 al 2011, nel governo Berlusconi, è stata Ministro della Gioventù.
Ora Giorgia Meloni dovrà confermare la propria leadership . Ricordiamo le critiche ricevute nel corso di questi 10 anni da parte degli altri partiti italiani ed internazionali, soprattutto da quelli della sinistra , ma anche dai “5 Stelle” partito figlio di un algoritmo, fondato Beppe Grillo, un comico, e da GianRoberto Casaleggio, impren ditore e politico , che con una forte operazione di marketing, attaccando una classe politica in affanno dopo la legislatura di Matteo Renzi, nel 2018 vinse le elezioni col motto “Uno vale uno”.
La grande novità fu l’inserimento dell’uso dei computer per creare una classe politica scelta fra coloro che si iscrivevano al movimento, non
importava chi fossero e le loro qualità. Nei diritti umani davve ro uno vale uno, ma in politica come in tutte le altre professioni è necessaria una preparazione ed una seria linea programmati ca, in grado di amministrare un popolo con la ricchezza cul turale ed umana quale quello italiano. Vinsero con il 32%, e si dovettero alleare con la Lega di Salvini prima e con il PD poi. Dopo il governo 5 Stelle-PD, venne chiamato Mario Draghi, Economista, accademico, ban chiere di comprovata esperien za e professionalità.
Il partito Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni, è rimasto all’oppo sizione, non mancando tuttavia di votare a favore dei provvedimenti considerati giusti quale la vendita di armi all’Ucraina.
La storia è nota e queste elezioni anticipate hanno dimostrato ancora una volta come una seria ed autenti ca preparazione siano la base di una forza politica. L’Italia ha fatto vincere Giorgia Meloni, chiamata con tutto il centro destra del quale fanno parte Lega, in fortissimo calo, e Forza Italia, a presentare una politica di largo respiro.
Non condivido le sue idee politiche ma rispetto chi si impegna in favo re di un ideale, pertanto, sperando riesca ad aiutare questo nostro Paese le auguro buon lavoro, sapendo che entrerà nella Storia d’Italia, come pri ma donna Presidente del Consiglio. Una nuova grande conquista per le donne.
S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo...
Sarà molto facile, mi auguro, leg gere questo articolo a cose fatte, in quel dopo elezioni che per ragioni cronologiche mi è ora precluso, almeno, molto più facile di scriverlo. Ho scelto di farlo alla vigilia del 25 settembre (stavo per scrivere dicembre) per una ragione precisa. Ho voluto assaporare fino in fondo quell’attesa di un esito, da alcuni agognato e da altri temuto, che una volta palesato avrebbe del tutto sciolto, al momento della sigaretta, intendo, quella tensione ideale che dà slancio all’impegno politico, ma che è comunemente fraintesa, perché si fugge sempre dal fare i conti con la realtà delle proprie motivazioni nel praticarlo. Titolare con la prima strofa di quella burla irriverente del poeta senese Cecco Angiolieri, è un tentativo di ammiccare con simpatia a quella schiera di candida ti, grandi e piccoli, noti o meno noti, che in questa campagna elettorale lampo, ne hanno dette e fatte di tutti i colori, e che una volta proclamato il vincitore, sa ranno costretti a riportare il discorso sul piano banale della quotidianità, magari, riuscendo a fare, lo auguro a tutti, come Cecco, dell’autoironia; in quanto, dopo aver propagandato per i loro elettori un desiderio di cambio radicale, di bruciare il mondo appunto, dovranno acconten tarsi di mettersi al servizio dello Stato, o meglio, del Popolo, comunque eletti, oppure (Dio non voglia), come il nostro Cecco, sedurre qualche giovane popola na, quando non si è al verde. La campagna elettorale è finita, ma il giorno non è ancora incominciato. È questo il momento che vorrei congela to in un’istantanea. Un momento, una foto, che ha la possibilità di mostrarci il volto più prossimo al reale di chi incarna l’impegno politico, per poter distinguere
e alla fine scegliere meglio (ormai la prossima volta) tra chi pensa alla politica come una battaglia per la conquista del potere, perciò scende in campo, affronta l’agone politico, sconfigge l’avversario, e chi invece la pensa come servizio, i com promessi li fa solo in vista di un bene comune più largo possibile, e accetta an che ruoli da mediano, ma soprattutto, di subire ingiustizie piuttosto di infliggerle. Il cambiamento, la novità in politica, dovrebbe vestire i panni della stupen da definizione coniata dal più maturo Magistero sociale della Chiesa, altrimenti, chiunque vinca, sarà sempre la stessa storia, per una sorta di compulsione, una condanna a ripetere che sottomette indistintamente destra, centro, e sinistra, quando la motivazione di fondo è, in parole povere, la conquista del potere. È stato papa Achille Ratti, Pio XI, a dare quella definizione parlando ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, il 18 dicembre 1927, ripresa di continuo dai successivi pontefici, fino a Francesco, per esempio, nel Discorso in occasione dell'Udienza agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e in Albania, il 7 giugno 2013, ma che ogni politico,
credente o meno, dovrebbe aver incorni ciata sopra il letto: «La politica è la forma più alta di carità».
In esteso, Pio XI affermò: «E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore». E, sbara gliando ogni fraintendimento, ogni luogo comune sulla politica, intesa come “sporca” e dalla quale tenersi alla larga, pronunciò quel “comandamento nuovo” al quale dovrebbero attenersi almeno i cristiani, ma in fondo, se propriamente uomini (o donne), tutti quei politici e amministratori, che siano leader o figure di secondo piano, ma alla fine ogni cit tadino che si assume la briga di recarsi al seggio per mettere una X, che invece e inesorabilmente cadono, una volta eletti, finita la campagna elettorale, appiattiti in un muto greggismo devoto, assue fatti al potere, stipendiati sicuramente e bene accomodati sulle loro poltrone, comode se della maggioranza, meno se della minoranza, se non in un rancoroso desiderio di rivalsa, tuttavia stipendiati, avendo perso di vista il Popolo: «Tutti i cristiani sono obbligati a impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità reli giosa verso Dio». Ora però occorrerebbe dire che cosa si intenda per “carità”, ma questo sarà un prossimo articolo.
AL DI LA’ DEGLI SLOGANS, ALLARME TRENTINO
Il 25 settembre si è votato per quelle tan to sospirate Elezioni Politiche Anticipate che dovrebbero dare al Paese un Governo Politico suffi cientemente forte perché ci si allontani dal baratro. Baratro in cui si entrò con la rinuncia di Mattarella a mandare l’Italia al voto nel luglio 2019, inseguendo il progetto renziano di un polo moderato da costruirsi sulla scadenza del mandato presidenziale. A febbraio 2022 era pronto il “trappo lone”.
Per istinto più che per cultura Salvini intuì che un PD incapace, dopo oltre 20 tentativi di una convergenza, di proporre per la Presidenza il nome di Draghi ad una Lega trepidante ed al contempo un Berlusconi pronto a sottoscrivere una candidatura Casini erano il preludio ad una Lega defini tivamente divisa tra Governisti e Salvi niani. Quindi Salvini, in quel cruciale venerdì, ripiegò tempestivamente su di un Mattarella Bis. Per sopravvivere politicamente al ritorno incombente della Prima Repubblica. E forse fu un bene.
Grazie alla legge Rosato, legge elet torale inventata dal PD renziano per dare stabilità a quell’assetto che si progettava per dopo il passaggio di Casini a Presidente della Repubblica, queste elezioni regalano al Paese una netta ed autosufficiente maggioranza di Centro Destra, in cui una buona parte del Centro è stata nel frattem po fagocitata da Fratelli d’Italia ed è solo in parte bilanciato da una Lega prigioniera di slogans già traditi.
Con di fronte un PD che, indicando i Nuovi Diritti, ha trascurato la tutela di quelli che avrebbero dovuti essere il Campo di una nuova progettualità.
Un M5S, sempre di più Lega Sud, nel frattempo stabilizza quella rendita di posizione in attesa di distanziarsi dalle troppe recenti giravolte e dalle beghe intestine. Il buon Calenda, scimmiottando il Liberismo de Noar tri che fu cifra del secondo Governo Berlusconi, ha permesso a Renzi di riprendere intanto il cammino verso Tajani.
Il duo Meloni – Salvini il ritorno alla Prima Repubblica non lo vuole e non lo ha mai voluto e comunque rap presenta una maggioranza attrezzata come certo non lo sono stati i Go verni Conte e tanto meno il Governo Tecnico che ha spinto l’Italia fuori dal Mediterraneo nell’interesse di nuovi assetti nell’Alleanza Atlantica. Per cui la solidità di un Governo destinato ad affrontare dei “marosi continentali” ed un riassetto globale dei Mercati non corre rischi per il prossimo difficile triennio.
Cosa ci si deve quindi aspettare in Trentino, dove una giunta povera di individualità, ha puntato a sua
volta su una scommessa neocentrista ispirata a quel “Progetto Abete” di Grandi e Tretter, già allora nato morto? Mancano poco più di un anno ed una finan ziaria alle Elezioni Ammi nistrative Regionali ed il “PATT allargato”, le Civiche Assessorili e la Lega da soli non raggiungono il peso di Fratelli d’Italia.
D’altronde Il Campo Quasi Largo a sinistra, mostra alla corsa per il Senato la sua debolezza, dove sono i voti che mancano al Centro Destra e non i voti che arrivano a quello schieramento “semilargo” ad eleggere Patton su Trento. Un’accozzaglia che vada dal “Calenda Renzi”, al “Patt al largato”, alla “Lega di Fugatti” sarebbe oggi sotto il 22% e, malgrado le com parsate “Ianeselli – Fugatti” o “Bozza relli – Bisesti” in un’alleanza con il PD la Lega sarebbe comunque di troppo. Lo dicono i numeri usciti dalle urne il 25 settembre. Per cui il quadro na zionale diviene un vincolo anche per quel Trentino dove la “Specialità” non può disgiungersi dal voler interpre tare l’Autonomia nei fatti e non nelle formule. L’incremento dell’Astensione del 9% è stato l’ultimo avviso. Ecco quindi che gli spazi si fanno stretti, a partire dalla scommessa sul “Candidato Governatore” che dovrà per forza giocarsi entro marzo. Perché gli assetti centrali non vorranno accet tare “perturbazioni” periferiche. La palla ora è al Centro e da lì si dovrà muovere per portarla sotto porta. Ricordando che il Trentino ha letto in F.d.I. quell’ap proccio moderato senza il quale non vi avrebbe riversato il suo consenso.
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La mia visita in USA a Chico Forti
Sono le 7:04 del 19 agosto 2022, ed è da un po’ che non riesco a prendere sonno. La sveglia è fissata per le 8:00, ma l’ansia e l’agitazione mi impediscono di dormire ancora. Tra poche ore farò visita a Chico Forti, e la mia testa è invasa da mille pensieri: sarà innocente? Sarà colpevo le? Come mi ci rapporto? Non ho mai avuto occasione di rap portarmi con un carcerato, non ho idea di cosa possa provare un uomo che per 23 anni viene privato della libertà personale, il bene più prezioso al mondo. Esco a far colazione, poi per distrarmi leggo un po’. Si fanno le 9:00, orario di partenza. De stinazione: consolato italiano a Miami. Il console mi illustra l’intero stabile, scambiamo qualche convenevole e poi si parte. Sono le 10:15. Poco prima delle 11 raggiungiamo il carcere. L’edificio è enorme, circon dato ovunque da molto filo spinato. È incredibile come ogni cosa attorno ora sembri più grigia. Fatta la registrazione, alle 11:04 muo viamo i primi passi dentro l’edificio. Primo step: i controlli di sicurezza. Un uomo di colore, sui 35 anni, ci spoglia di ogni avere. Occhiali, orologi, scar pe. Tutto viene esaminato minuziosa mente. All’interno è proibito portare denaro, telefoni, apparecchi elettro nici.
Superati i controlli, entriamo da un
portone sulla nostra sinistra. Qui inizia un piccolo labirinto di porte. Ben presto giungiamo in un largo atrio, in cui Chico Forti, assieme al suo cane, ci accoglie calorosamente. Me lo immaginavo diverso, Chico. È un uomo alto, sul metro e ottantacin que, in ottima forma. Dimostra qual che anno in meno rispetto ai suoi 63 anni. Ha un viso forte, segnato un po’ dal tempo, ma che trasmette vitalità e cordialità. Ha una cicatrice non troppo visibile sul suo braccio sinistro. Il labbro superiore ha, sulla destra, una piccola cicatrice o comunque
una piccola protuberanza. È un uomo senza dubbio di bell’aspetto. Dal suo viso non traspare alcun sentimento di dolore, al contrario.
Porta una maglia blu, con sotto una canottiera. Ha dei lunghi pantaloni grigio/blu chiari. Sembra tutto un po’ usura to. Solo le scarpe sembrano nuove.
Ha una stretta di mano poten te. I suoi occhi marrone chiaro sono sempre fissi verso l’in terlocutore, ti penetrano. Non distoglie mai lo sguardo. Proba bilmente è lo sguardo di chi ne ha passate davvero tante in vita, e, deciso a non piegarsi al fato avverso, ha sviluppato una forza interiore fuori dal comune.
Dà subito del tu a tutti. Anche a Bocelli e al Papa, mi confi derà. L’accento inizialmente tradisce una certa influen za anglo-americana. Sarà la forza dell’abitudine, visto che in carcere non c’è nessun altro italiano. Tuttavia, ben presto torna a parlare un italiano perfetto. Non è facile cancellare tanti anni di vita.
La stanza delle visite è ampia. Il soffitto è alto poco più di tre metri, forse tre metri e mezzo. Un picco lo orologio è fissato sopra la porta d’ingresso dei visitatori. Ci sono 3 bancate piuttosto grandi. In totale ci sono 29 sedie. Il muro è bianco, ma è intervallato da dei bellissimi disegni
Testimonianza diretta
fatti dagli stessi carcerati. Uno è in fase di completamento, un uomo sui 40 anni lo sta colorando, mentre il disegno è di Chico. La passione per l’arte, sia grafica che poetica, gli è nata in carcere.
Nella stanza ci sono poche persone. Un paio di carcerati, amici di Chico, e qualche guardia. L’ambiente mi ricor da un po’ una mensa scolastica, con quell’atmosfera difficile da decifrare, ma tutto sommato gradevole. Iniziamo a parlare. L’ansia di stamat tina è già un ricordo del passato. En triamo subito in confidenza. Chico mi racconta che dorme in una camerata composta da 52 persone, e che nel carcere ce ne sono pure di più grandi. Anzi, la sua è tra le più piccole. In totale ci sono circa 1800 carcerati. Un detenuto ha il record di permanenza: 56 anni. È entrato in carcere a 16 anni, e da allora non ha più visto la luce del sole.
La giornata di Chico è piena di attivi tà, da un po’ di tempo è coinvolto in un progetto di addestramento cani che gli dà grandi soddisfazioni. Da lui i cuccioli rimangono 6 mesi, poi pas sano ad un livello di addestramento superiore.
Mi confida che utilizza una tecnica tutta sua. La maggior parte della gen te addestra i cani incutendo timore o cercando di ricompensarli con dei biscottini o altri dolci, mentre lui no: cerca di addestrarli dando loro solo delle carezze in cambio. È un lavoro più difficile ma, mi dice, il risultato fi nale può essere decisamente miglio re. Con il cane che ha ora è difficile dargli torto: tra i due c’è grandissima sintonia e affetto, lo si percepisce subito.
Ci sediamo e continuiamo a conver sare. A Chico piace parlare, e a me piace ascoltarlo. Alle domande sulla sua vita in carcere risponde in modo un po’ evasivo, ha voglia di parlare di cose che gli danno speranza. Si parla tanto del futuro.
Ha un grande senso dell’umorismo. È un po’ esagerato nelle narrazioni, gli piace dare una piccola dose di epicità alle cose. Ciò che sorprendono sono il suo ottimismo e la sua grandissima forza di volontà.
Non lo vedo mai triste. Sorridiamo e ridiamo di frequente. Solo in un’oc casione traspare della nostalgia, ed è quando parliamo del suo Trentino. Di questo gli mancano tante cose: la gente, i laghi, le montagne, la cucina, specialmente i canederli. In carcere il cibo è scadente. La frutta e la verdura sono praticamen te assenti. La carenza di vitamine è soppesata, in piccola parte, con dei succhi.
Nella stanza c’è un discreto via vai di gente. Chico mi presenta molti in ternati e molte guardie. Hanno tutte rispetto per lui, si vede che è riuscito a conquistare, almeno un po’, i loro cuori.
Nella conversazione si parla tanto anche del passato, della sua vita pre – carceraria. E la mente va allora all’esperienza da Telemike, con la vincita di una puntata, a cui è seguita un’amicizia con Mike Bongiorno. Poi le tante esperienze da agonista nel
mondo del windsurf e della barca a vela; i giri del mondo: Giappone, Australia, Sudafrica, Polinesia; i primi passi da regista; le tante avventure.
Ad un’avventura in particolare è dav vero legato: è l’attraversata del mare che porta sino ad Alcatraz, 3 km per la sola andata, fatta per conquistare il giovane cuore di un’amata di tanti anni fa.
Ha vissuto una vita intensa, con an che tante esperienze estreme, come il salto tra due aerei in volo effettuato in costume da bagno.
Chico è stato un vulcano. E lo è anco ra: ha moltissimi progetti per il futuro. Nel cassetto dei sogni c’è la pubblica zione di un libro. Il più grande sogno, ovviamente, è il ritorno in patria.
Si fanno subito le 12. Nella stanza c’è un piccolo “punto vendita”, e Chico ci tiene ad offrirmi uno spuntino. Io d’altronde non potrei pagare, i soldi ho dovuto lasciarli all’esterno. Prende qualche succo, degli snack, una ciotola di frutta. In totale sono 18$. Non proprio una cifra irrisoria, visto che Chico vive con poche centi naia di dollari, e che il lavoro in carce re, qui in America, è pagato irrisoria mente. Un suo amico, ad esempio, si
Testimonianza diretta
mantiene compiendo piccole attività di servizio, vendendo cibo e bevande. Il tutto per soli 50$ al mese. Gli piace parlare, raccontare, discu tere. Anche perché gli incontri non sono proprio all’ordine del giorno, e le rare visite sono le poche finestre dirette sul mondo esterno. Posso poi immaginare che trovare un proprio concittadino trentino, che conosce i suoi luoghi di origine, di felicità, non sia una cosa da poco. Nonostante non possa godere di al cun permesso premio, e nonostante le poche comunicazioni dirette verso il mondo al di fuori delle solite mura, è informatissimo sul mondo esterno. Conosce per filo e per segno la politi ca italiana e la politica americana. Sa perfettamente che Miami non è più quella di 25 anni fa. Ha un’intelligen za e una capacità di captare le cose decisamente fuori dall’ordinario. Nel discorso è naturale che si parli an che del processo che l’ha visto coin volto. Nei giorni successivi alla sua accusa ufficiale aveva la possibilità di scappare. Chico ha deciso di restare, convinto della sua assoluzione. L’ombra, pesantissima, è quella di un
processo sbagliato, voluto da alcune persone che volevano farlo fuori dalla vita civile. La tesi, vera o falsa che sia, ha delle argomentazioni a suo favore: su tutte vi è anche la dichiarazione di una donna della giuria, che dopo 20 anni ha dichiarato a “Le Iene” che l’intero processo è stato una farsa. In un attimo si fanno le 14:30, orario di uscita. Un saluto, un abbraccio ca loroso, ed è ora di andare. Imbocco la porta da cui sono entrato, e avverto già nostalgia. Sono state ore intense, di grandissima umanità.
Perché io non so se Chico sia inno cente o se sia colpevole - dentro di me ho una mia idea, e ognuno di voi avrà la sua - ma a prescindere da questo è innegabile che davanti a me avevo un essere umano con cui ho condiviso momenti di grande umanità. C’è stato, tra noi due, un grandissimo rispetto, una grande intesa che raramente ho provato con altre persone.
Una stupenda canzone dice: “Se non son gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. In America sem brano esserselo dimenticato, forse non ascoltano De André.
Negli USA la pena non ha una fun zione rieducativa, ma solo retributiva, punitiva. Si perde qualsiasi aggancio ai principi di umanità della pena per far spazio al solo istinto di vendetta. Se questa è la miglior democrazia del mondo non c’è molto da stare allegri. A ciò aggiungo una considerazione: ammesso e non concesso che Chico
sia colpevole, 23 anni di carcere duro non sono stati sufficienti? Quanti ne servono ancora? 23 anni di privazioni, di impossibilità o quasi di comunicare col resto del mondo, di impossibi lità di fare due passi lungo il mare durante il tramonto, di impossibilità di salutare i propri cari. È da anni, per esempio, che non rivede sua madre, oggi 94enne.
Davvero non si riesce ad allonta narsi da una concezione della pena come vendetta? Chi sbaglia (e ripeto: ammesso e non concesso che Chico abbia sbagliato) è sacrosanto che venga punito. Ma la pena non è solo vendetta. È anche rieducazione in ot tica di un reinserimento nella società. Un ergastolo senza la possibilità di respirare mai più l’aria aperta ha ben poco senso.
È vero, c’è stato un omicidio. Un uomo è stato privato della sua vita. È una tragedia, come avviene ogni volta che una vita viene spezzata. Ma ad una tragedia bisogna rispondere con un’altra tragedia? È un sistema di storto e disumano quello che ragiona solo così.
A ciò si aggiunga un’altra informazio ne, importantissima: Chico se tornas se in Italia sconterebbe comunque la pena in carcere. Potrebbe però godere di un sistema giudiziario più umano, e soprattutto della vicinanza della sua famiglia.
Negargli questa possibilità, forse an che questo diritto potremmo dire, è un atto di pura crudeltà, di cui non se ne comprendono le ragioni. Insom ma, un ritorno in Italia di Chico Forti è un atto dovuto, giusto, umano.
Conosciamo Enrico Forti
Enrico (Chico) Forti, nato a Trento l’8 febbraio 1959, è un ex produttore tele visivo e velista italiano. Ha vissuto a Trento fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, poi si è trasferito a Bologna per frequentare l’istituto superio re di educazione fisica.
Nel 1979 inizia a praticare lo sport del windsurfing sul lago di Garda. Nel 1985 è il primo italiano a competere nella coppa del mon do di tale specialità. È appassio nato anche di jumping e di sci. Nel 1987 è coinvolto in un incidente automobilistico, il quale interrompe la sua carriera agonistica. Dopo una lunga convalescenza, inizia a produrre filmati di sport estremi. Nel 1990 partecipa al quiz tele visivo Telemike, presentandosi sulla storia del windsurf e vincen do 120 milioni di lire. Con questi soldi, nel 1992, si trasferisce in America. Qui sposa la modella Heather Crane, dalla quale avrà tre figli. Alcuni azzeccati investimenti immobiliari gli permettono di accu mulare una piccola fortuna. A Miami gira un documentario sulla morte di Andrew Cunanan, il serial killer che uccise Gianni Versace, dubitan do della ricostruzione ufficiale della polizia, secondo la quale si trattava di un suicidio.
La sua vita cambia radicalmente a partire dal 1998: andando alla ricerca di nuove opportunità di investimen to, entra in trattativa per l’acquisto del Pike Hotel di Ibiza, luogo simbolo della movida dell’isola spagnola, di proprietà di Tony Pike e del figlio Dale Pike, il quale è contrario alla vendita. Chico invita allora Dale a Miami per
cercare di trovare un accordo. Pike jr arriva il 15 febbraio del 1998 in aereo.
A prenderlo in aeroporto è lo stesso Chico. Poche ore dopo l’incontro Dale viene trovato morto su una spiaggia di Miami.
Chico davanti alla polizia dapprima nega di essere stato con l’imprendi tore australiano, poi, raccolte dalla polizia alcune prove sul loro incontro, racconta di averlo lasciato davanti a un parcheggio poco dopo averlo prelevato in aeroporto. L’interrogatorio avviene in assenza di un avvocato. Secondo i legali, Chico è stato sottoposto a pressioni psicolo giche. Qualcuno insinua che la polizia di Miami voglia vendicarsi per il docu mentario girato pochi anni prima.
Il sogno americano di Chico Forti si infrange definitivamente nel 2000: la giuria popolare chiamata a pronunciarsi sul caso lo ritiene colpevole dell’omicidio oltre ogni ragionevole dubbio. La sentenza è pesantissima: ergastolo senza condizionale.
Tanti però sono i punti grigi: le irregolarità nell’interrogatorio, i dubbi sul movente, la mancanza di tracce di DNA sul luogo del crimine e il superamento della prova della macchina della verità alla quale l’italiano si sottopone volontariamente.
Tanti però anche i punti a sfavore di Chico: la prima testimonianza falsa, l’aver acquistato una pistola calibro 22, la stessa che uccise Dale, poco prima dell’assassinio, le tracce di sabbia nell’auto.
Tantissime le personalità che si sono interessate al caso Forti, sia per affermare a gran voce la sua innocenza, sia per ribadirne la colpevolezza. Alcuni, più mode rati, vorrebbero semplicemente che Chico possa scontare la pena in Italia.
Il 23 dicembre 2020 la situazione sembrava essersi sbloccata: il gover natore della Florida, Ron De Santis, anche grazie all’interessamento del ministro Luigi Di Maio, aveva firmato l’atto per il trasferimento di Chico in Italia in base alla convenzione di Strasburgo del 1983. Tuttavia, la procedura non si è mai conclusa per degli ostacoli burocratici.
Tanti dubbi, tanti dilemmi etici e morali, sia sulla colpevolezza che sulla modalità e sul luogo in cui scontare la pena. Una sola certezza: Chico ad oggi ha trascorso più di un terzo della sua vita in carcere.
L’autonomia e i comuni multilingue
L’AUTONOMIA NON SI BARATTA
Era il 5 settembre del 1946
quando il ministro degli esteri italiano Alcide Degasperi e il collega austriaco Karl Gruber sottoscrissero l’Accordo di Parigi che integrava il Trattato di Pace attribuendo competenze legislative, amministrative ed esecutive alle popolazioni di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e dei limitrofi comuni mistilingui della provincia di Trento, ladini, cimbri e mocheni. E’ una data da scolpire nella memoria di tutti, premessa e base del nostro sistema autonomistico, assunto ancora oggi a modello internazionale, e studiato a fondo, si pensi alla polveriera del Medio Oriente o all’Ucraina solo per citare due esempi a noi più vicini. Modello di tolleranza ed autogoverno che rimanda per chiarezza ad una definizione di Autonomia. Dove il modello è fallito c’è guerra. La nostra intervista a Walter Pruner, italiano, trentino, mocheno, figlio di Enrico (Frassilongo 24.01.1924- Trento 08.09.1989, eletto ininterrottamente per otto legislature dal 1952 al 1988) uno dei padri della nostra autonomia.
A chi appartiene oggi l’Auto nomia?
L’ Autonomia appartiene a tutti. Credo profondamente che il collante dell’ autonomismo sia il sentimento ad autodeterminarsi al meglio attraverso interventi che partendo da premesse diver se convergono sulla necessità di soluzioni politiche mirate, condi vise e modulate territorialmente.
Le ragioni storiche della nostra Autonomia vanno studiate, fatte studiare, soprattutto fatte capire. Ma va fatto capire innanzitutto che il fondamentale dato identi tario non può tradursi in egoi smo territoriale o di popolo. E’ un patrimonio politico evoluto non conservativo, di cui andare dina micamente fieri attraverso una forte capacità creativa, qualitativa e di innovazione. E’ giusto che le comunità che ne hanno consa pevolezza, capacità e gradimen to, concorrano a desiderarla. L’au tonomista distingue tra ricchezza e benessere: la prima esprime un dato materiale che da solo però non basta; il secondo una felice armonia tra persona e contesto socio ambientale al cui interno convive fatturato economico e realizzazione personale. Al centro sta dunque la persona.
Chi e che cosa ha fatto male alla nostra autonomia?
Il periodo del dopoguerra ha visto la comunità mochena oggetto di attenzioni carita tevoli da parte dell’istituzione, con provvedimenti tendenti ad
infrastrutturare il territorio fisico e non quello identitario, fatto di una Comunità che per quanto riguarda nello specifico la sponda sinistra germanofona incontrò fortissime resistenze in tema di integrazione linguistica. Nell’ immediato dopo guerra la questione mochena fu letta essenzialmente come un problema e non una risorsa. Il tentativo di “acquistare” elettoralmente la comu nità mochena non l’aiutò, addor mentandone, sedandone legittime rivendicazioni e potenzialità. Non fu così con tutti i governi provinciali, va riconosciuto, merito in particolare del ruolo di diaframma politico di Enrico Pruner e di figure che anche in loco accanto a lui profondamente si spesero. Egli mantenne coi governi
L’autonomia e i comuni multilingue
provinciali costanti, a volte conflit tuali ma sempre fruttuosi rapporti, assieme ad una Comunità caratteriz zata sempre da altissima generosità. Transizione morbida dunque, che coinvolse anche la comunità cimbra di Luserna passando da intese poli tiche coi Ladini trentini. Oggi anche il cambio generazionale ha aiutato a vivere con orgoglio questa peculiarità etnica. Ciò è potuto avvenire in virtù di pregresse semine politico culturali, senza sconti a populismi di maniera, sorrette dalla schiena dritta di ammi nistratori che rifiutarono compromes si al ribasso. Essi respinsero sempre dinamiche di contributi pubblici di scambio, - allora non vi erano logiche di Pnrr – valutati irricevibili in quanto dialettiche elettorali ricattatorie.
Quali sono pericoli che l’Autono mia corre oggi?
Solo con le ragioni storiche, sacro sante, che giustificarono la nostra Autonomia, la indeboliamo. L’accordo di Parigi e l’intuizione di Degasperi di porre la questione dei limitrofi comuni mistilingui della Provincia di Trento, deve oggi rappresentare la “Bibbia” istituzionale di scritture che
vanno riaggiornate e riviste in chiave neo globaliste. L’Autonomia oggi ci sottopone con forza temi che non si fermano al confine di Frassilongo piuttosto che di Luserna o di Maz zin di Fassa. Ce lo ha rinfacciato con cruda brutalità la globalizzazione. L’incontro tra identità locali e voracità di mercati finanziari intolleranti nei confronti di ogni tipo di minoranza, richiede forte consapevolezza di obbiettivi, e coesione politica chia ra, non solo elettorale: trasversalità di vedute per una Autonomia che sappia punto a punto rispondere con provvedimenti locali compatibili e resistenti sul piano globale. In questa scommessa nessuno può chiamarsi fuori. Sarebbero letali le divisioni.
Oggi l’autonomia è a rischio? Bell’interrogativo. L’Autonomia forma le, quella giuridicamente riconosciuta dai trattati mi sentirei di escluderlo. I pericoli maggiori sono principalmen te due: Uno, la posizione di chi dell’ Auto nomia, nulla o poco conoscendola, ne dichiara il suo stato di privilegio, favorisce così facendo il suo progres sivo svuotamento giustificando ricatti finanziari tali da produrre di fatto un lento avvici namento ad una sorta di anores sia contributiva, di strangola mento, di lenta, costante, letale contrazione finanziaria. Secondo, corse in solitario delle due province. Bolzano in par ticolare penso debba scrollarsi definitivamente di dosso sco rie storiche e
diffidenze inutili nei confronti della Regione.
Lo ripeto, è fondamentale che si litighi se inevitabile, su tutto, ma non sull’ Autonomia.
Cultura e Autonomia, educazione, insegnamento hanno spazio nell’Autonomia?
Sul tema della scuola essa ha trovato, giustamente, il tempo di dedicarsi ai nuovi linguaggi, uno su tutti quelli informatici. Deve trovare gli spazi anche per il linguaggio dell’ Auto nomia, e prima, per comprenderne le ragioni, per la sua storia. Senza derive localistiche che non hanno senso. Non si parte anche qui da zero, perché sicuramente molte apicalità culturali sul territorio hanno e stanno lavorando in questa direzione. Quella potenza inesplosa che è lì, basta coin volgerla, rappresentata dalla nostra eccellenza universitaria, deve essere virtuosamente coinvolta in questa sfida culturale fondamentale, senza la quale prevarrebbe l’assenza di cono scenza del passato che non permette coscienza del presente e del futuro.
senso religioso
di Franco Zadra UNO SCETTICISMO DISTRUTTORE CHE FA TENDENZA
Avevamo chiuso l’ultimo articolo di questa rubrica, dicendo che il pregiudizio induce una sorta di blocco della conoscenza, pone intralcio nell’ avvicinarci alla realtà tutta intera, realtà che finiamo per scorgere solo in maniera parziale, frammentaria, disponibile dunque a farsi manipolare e interpretare per conclusioni spesso divergenti, se non opposte. Seguen do l’insegnamento di don Giussani, arriviamo ora a parlare della ideologia che viene definita dal nostro autore come «la costruzione teorico-pratica sviluppata su un preconcetto». Sappiamo forse intuire il fatto, quasi ovvio, che esiste un sistema di opi nioni che regolano la vita sociale, abi tualmente condiviso e di rado criti cato, citato in modo sbrigativo come “mentalità corrente” alla quale ci si oppone con grande sforzo, ma più facilmente ci si abbandona poiché è sempre meno faticoso lasciarsi trasci nare dalla corrente. Tale sistema intro duce l’uso di formule sintetiche che - come scriveva Aleksandr Solženicyn nel suo grande romanzo “Reparto C” con il quale fece conoscere al mondo la realtà dei gulag, in uno dei quali fu detenuto per molti anni - «violentano la ragione. Per esempio: “nemico del popolo! Elemento estraneo! Tradito re!”, e tutti ti abbandonano». Assumere una ideologia, trovarsela tra i piedi quando siamo chiamati a esprimere un giudizio, o quando semplicemente la realtà della vita ci viene incontro con tutta la ricchezza e varietà (spesso crudezza) dei suoi momenti e avvenimenti, è molto, troppo, facile. Il fatto è che l’ideologia, pur producendo una violenza sulla ragione, si insinua nel nostro comune
sistema di aspettative, costruito in anni di educazione assente o consegnata quasi del tutto o in modo sufficiente agli slogan della pubblicità, alla comunica zione di massa, ai tormentoni di ogni tipo e moda, in maniera subdola, quasi indolore. Una punturina del tutto simile alla somministrazione di un vacci no, che invece ti inocula pro prio quel virus ideologico che si fa forte nel assolutizzare uno spunto offerto dall’esperienza, prendendolo però a pretesto per fare altro. Gli esempi che si potrebbero fare sarebbero moltissimi.
Uno tra i più memorabili e risibili, ma che mostra bene come l’ideologia si faccia strada nel nostro modo di pensare (e quindi di agire) è il ricor dare come è stato “presentato” al pubblico delle reti Mediaset il giudice civile milanese, Raimondo Mesiano, del verdetto Fininvest-Cir che ha visto condannato il gruppo Fininvest a risarcire alla Cir di Carlo De Benedetti 750 milioni di euro per lo “scippo” di Segrate.
Seguito da una telecamera nascosta, il giudice viene dato in pasto all’opi nione pubblica per i suoi compor tamenti “stravaganti”, e la giornalista che lo spia, a un tratto commenta, «un’altra stranezza: guardatelo seduto su una panchina. Camicia, pantalone blu, mocassino bianco e calzino tur chese. Di quelli che in tribunale non è proprio il caso di sfoggiare».
Del giudice Mesiano, trent’anni dopo, l’opinione pubblica ricorda al limite che portava i calzini turchesi, ma dell’uomo nella sua concretezza nessuno sa più nulla. Così funziona
l’ideologia, lo spunto, anche minimo come può esserlo un calzino turche se, serve qualche cosa di estraneo all’intenzione dichiarata, al politico per giustificare e pubblicizzare una sua operazione, ai poteri forti per manipolare l’opinione pubblica che attraverso i mass-media modellano una mentalità comune, corrompendo in definitiva ogni autentico impeto di cambiamento, emarginando di fatto l’individuo in se stesso e impedendo una visione globale della realtà. Indicare ora, come prevede la scaletta solita del nostro intervento, una “buo na” lettura, non aiuterebbe ad abbas sare le nostre barriere ideologiche, poiché è in particolare di libri che le ideologie si nutrono; ma se ci fosse un libro che aiutasse a incontrare dal vivo Colui che ha avuto la pretesa di affermare: «Io sono la via, la verità, e la vita», e secondo testimonianze attendibili, in controtendenza rispetto al comune sistema di aspettative, è pure risorto dai morti, sarebbe proprio quello che indicherei qui. Ne sapete qualcosa?
ROMA CAPITALE
Città sontuosa e cialtrona. La si ama o la si odia.
Tempo di Elezioni, tempo di incontri internazionali, tempo di manifestazioni , di viaggi, di vacanze e la nostra capitale è davvero ancora Caput Mundi. Accoglie tutti come le larghe braccia del colonnato della splendida piazza di San Pietro progettata dal Bernini.
Roma, la nostra meravigliosa capitale. Infatti i costi alberghieri sono lievitati, i nostri giovani migliori cercano lavo ro all’estero e negli alberghi troviamo un personale internazionale, multiet nico, certamente volonteroso, meno costoso, ma privo di una seria cultura recettiva.
Le elezioni finalmente sono passate, sappiamo chi le ha vinte, tuttavia ci rendiamo anche conto che i vincitori si trove ranno davanti agli ormai tristemente consueti problemi: prima di tutto quelli ambientali causa di devasta zioni, morti e conseguenti recrimina zioni su ciò che nel tempo si sarebbe dovuto fare, ma non è stato fatto; ai quali si aggiunge una Pandemia non ancora vinta del tutto e per non farci mancare nulla ora l’Europa è alle prese con una guerra provocata dalla Russia di Putin, e a Roma , giovedì 22 settembre all’interno del parco di Villa Borghese una scalinata del Globe Theatre è crollata mentre stavano uscendo circa 900 studenti arrivati nella capitale per assistere ad uno spettacolo shakespeariano. Fortu natamente vi sono stati solo 12 feriti non gravi.
Altro palcoscenico quello dove va in scena la grave crisi economica italia
na causata dalla somma di tutte que ste problematiche. Spetterà quindi al nuovo governo risolvere le situazioni rimaste sul campo, sperando siano in grado di farlo, anche perché l’Italia è sull’orlo del baratro e per capirlo è sufficiente una piccola vacanza a
Si parla di Alberghi a 4 stelle, di bar eleganti nelle piazze romane che vengono lentamente sostituiti da gelaterie, pizzerie al taglio. La no stra splendida Capitale, che offre ai turisti internazionali la possibilità di immergersi nella storia millenaria di una città che nei secoli ha domina to il mondo, sia politicamente che Culturalmente e religiosamente, sta lentamente ma inesorabilmente perdendo l’identità.
Le nostre città
La Roma di Trastevere quella della Siora Lella, amata da Alberto Sordi, quartiere fra i più noti e romantici della città, se ne è andata sostituita da una generazione di nuovi abitanti, che offrono pizze, aperitivi, strane bruschette cotte troppo, mentre un improbabile cantastorie, con la chitarra strimpella “ammore ammore” e a chi gli chiede di cantare “Chitarra Romana” risponde che non la cono sce perché lui è di Bulgària. Se vedes se questa nuova Trastevere, molto probabilmente il grande Woody Allen non sentirebbe l’ispirazione di ambientarvi uno dei suoi ultimi film “Love in Roma”, che ha donato gran de pubblicità a questa zona , tanto che verso le ore 20 una marea umana si riversa alla ricerca di quelle atmo sfere, di quella gente che ormai non c’è più, a meno che non si sia disposti a spendere un capitale per un piatto ricco di 3 saltimbocca alla romana ed un carciofo alla giudia. Comunque Roma è Roma. Se non ti soffermi a guardare le strade lastrica te di sanpietrini intervallati da grandi buche rappezzate alla meglio con l’asfalto che cede, i vetri di bottiglia
reduci di bevute lasciate da gruppi di ragazzotti , cestini vuoti con le car tacce ed bicchieri di cartone attorno, una Fontana di Trevi sommersa di turisti da tutto il mondo, la città ti conquista, con i suoi meravigliosi edifici come Palazzo Barberini con una raccolta di quadri dalla bellezza senza tempo, oppure Galleria Corsini, con le opere di Salvator Rosa e un bel ritratto del nostro vescovo Bernar do Clesio, e poi il Vaticano con le sue magnificenze. Roma è sede del potere Religioso, ma anche politico e se volevate sapere per chi vota re, o meglio, non votare, dovevate salire su un taxi dove il conducente ti sa dire tutti i segreti sui vari nostri politici. Lui lo sa perché ha un cugino che fa l’usciere a palazzo Madama e per tutto i percorso ti riempie la testa delle varie malefatte dei nostri rappresentanti. C’è il tassista deluso, oppure quel lo battagliero, comunque tutti si destreggiano con perizia nel traffico caotico della capitale maledicendo quegli attrezzi infernali che sfrecciano davanti improvvisamente: i mono pattini elettrici, guidati da persone
senza patente, assicurazione e casco.
“
Per il casco pazienza, dice il tassista, se si rompe la testa son fatti sui, ma deve essere assicurato e targato”.
Roma conosce la bellezza della “Dol ce vita” narrata da Fellini, ma anche l’assurdità di una completa mancanza di civiltà. Può accadere infatti che un solerte farmacista esasperato dalle immondizie lasciate nella notte davanti al suo negozio decida di raccoglierle e di gettarle nel cestino della differenziata; bravo direte voi, ma per i vigili urbani si merita una multa perché non ha differenziato correttamente l’immondizia. Fatto vero da cui è nato un caso nazionale, come quello della negoziante che chiede i cassonetti. Ma questi è noto servivano soprattutto agli incendiari nelle manifestazioni.
Insomma Roma è tutto questo: la storia millenaria ci racconta di una cit tà caotica, sporca e pericolosa, invasa dai barbari; ora va un po’ meglio ma due millenni non hanno cambiato molto e alcune povertà evidenti stridono ancora davanti ai palazzi del potere che fanno sognare turisti e romani.
L’Italia in Mostra
Cinque storie che riguardano aspetti sociali molto forti e, il più delle volte, riguardano questioni che nascono da relazioni d’amore, amore in tutte le sue forme. Cinque lungometraggi che hanno raccontato la cinematografia italiana, come dichiarato dal direttore artistico della Mostra, che si è espresso sul ci nema italiano evidenziando la grande quantità della produzione. “Il signore delle Formiche” di Gian ni Amelio con Luigi Lo Cascio, Elio Germano e Sara Serraiocco, ispirato ai fatti accaduti tra il 1959 e il 1968 quando il professore di filosofia Aldo Braibanti fu messo alla gogna e processato per il suo orientamen to sessuale; “Bones and all” di Luca Guadagnino con Timothée Chalamet; “Monica” di Andrea Pallaoro; “L’im mensità” di Emanuele Crialese con Penelope Cruz, un’opera quella di Crialese che potrebbe essere con siderata un romanzo di formazione (auto-biografico) e “Chiara” di Susanna Nicchiarelli con Margherita Mazzuc co, il film biografico su Santa Chiara
D’Assisi.
Il film di Luca Guadagnino è stato il primo dei 5 film italiani in gara alla 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, organizzata dalla Biennale di Venezia diretta da Alberto Barbera svoltasi al Lido di Venezia dal 31 agosto al 10 settembre 2022. “Bones and All” è fondamentalmen te una storia d’amore meravigliosa, devastante e tragica che in più momenti farebbe piangere Čechov”, come ha riportato Indiewire. Per il Guardian: “Bones And All è un film stravagante e oltraggioso: spavento so e sorprendente nel suo distorto idealismo romantico”. Con ‘Bones and All’ il regista torna a dirigere Timothée Chalamet per una storia d’amore di cannibalismo teen nel Midwest, nella profonda America di provincia. Il film ha conquistato il 94% di recensioni positive e i consensi della stampa internazionale portando Guadagnino alla vittoria del Leone d’Argento per la miglior Regia. Il film è andato doppia mente a premi grazie alla prova della sua giovane protagonista femminile,
la 28enne canadese Taylor Russell, alla quale è andato il premio Mastroianni al giovane talento.
Il giorno dopo, il 3 settembre, con 11 minuti di applausi è stato accolto “Monica” di Andrea Pallaoro che ha ottenuto un importante riconosci mento come “Miglior Film italiano a Venezia”, istituito dall’associazione
ARCA CinemaGiovani, giunta alla sua 21esima e organizzata dall’Associa zione nazionale ricreativa culturale sportiva dipendenti Gruppo Enel. Il film parte da un’esperienza perso nale del regista che lo ha portato a riflettere sul suo passato e sugli effetti psicologici dell’abbandono.
In totale sono stati venticinque i film italiani presenti in laguna, cinque dei quali in gara per il Leone d’Oro, una tale sovrabbondanza di produzioni, grazie anche ad un record di finan ziamenti elargiti per risollevare un settore molto colpito dalla pandemia che rischia forse di minare la qualità delle produzioni e di complicare la distribuzione al pubblico sempre più in difficoltà a frequentare le sale.
e società
LA DISTRUZIONE DEI SIMBOLI SCOMODI
Nel passato si passava spesso dal culto delle immagini alla loro distruzione. Fino dal IV secolo il nuovo cristianesimo, sulla struttura base di una lotta per il potere strettamente politica aveva iniziato a distruggere le statue del paganesimo ma in generale è so prattutto quando una civilizzazione si sostituisce ad un’altra che il danno risulta grave perché la maggior parte delle espressioni artistiche precedenti viene distrutta per far parte ai nuo vi conquistatori, per cui il discorso sarebbe lunghissimo Comunque si può partire dalla fine del medioevo, quando il culto esage rato delle immagini aveva fecondato una reazione contraria, che identifi cando le opere d’arte come simboli del passato, ha successivamente causato la distruzione di enormi patrimoni artistici A tale fenomeno hanno contribuito famosi personaggi storici come Hus, Lutero, Savonarola nelle loro visioni purificatrici e succes sivamente anche la Rivoluzione Fran cese ha fatto parecchi danni in tale settore. Oggi le proteste contro certi personaggi simbolo sono cresciute in modo esponenziale negli Stati Uniti a seguito di un particolare episo dio, quello della barbara uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto troppo zelante, ma la distruzione o la ricollocazione di diverse statue scomode era iniziata da parecchio tempo. La protesta ha avuto come primi bersagli i simboli di politici schiavisti ma poi anche di personaggi legati alle guerre indiane e addirittura dei primi esploratori che avevano inaugurato
la via verso il Nuovo Mondo come Cristoforo Colombo.
In queste rivendicazioni, per le rimo zioni attuali è stata particolarmente attiva l’organizzazione Black Lives Mat ter (Le vite dei neri contano) Così tante statue di personaggi storici sono state distrutte o comunque fatte oggetto di atti vandalici, compresi dei murali. L’elenco è molto numeroso, per cui si citano quelle più emblematiche come Cristoforo Colombo, Woodrow Wilson (per una sola citazione favorevole alla segregazione razziale), Junipero Serra (missionario), Juan de Onate (conquistador spagnolo del Nuovo Messico) John Mason (massacratore di nativi americani), statua del poliziotto vigile dell’Illinois (statua anti-immigrati europei), statua equestre di Re Giorgio III, William Crawford, Toro di Wall Stre et, Robert E. Lee (generale sudista), Edward Colston(mercante di schiavi). Personalmente sono un ammiratore di politici e scrittori afro americani come Martin Luther King, Eldri dge Cleaver, George Jackson e sono anche d’accordo sulla
distruzione delle statue di mercanti di schiavi o di sterminatori di nativi ame ricani, ma l’abbattimento della statua del generale Lee mi sembra un’aber razione in quanto la Confederazione sudista è stata una realtà storica, un complesso di istituzioni delle quali lo schiavismo era soltanto una delle componenti.
Su questi argomenti sarebbe più utile pensare in positivo come al film –Soldato blu – che ruppe la tradizione di Hollywood dell’indiano cattivo, oppure al grande Marlon Brando che per attirare l’attenzione sul dramma degli indiani sterminati dai vari gover ni americani delegò una loro rappre sentante ad annunciare la sua rinun cia al premio Oscar per – Il Padrino -. In quell’occasione la rappresentante indiana il cui nome era Marie Louise Cruz venne duramente minacciata da
John Wayne.
Il problema qui sollevato ci porta a quello più ampio il quale si colloca fra il grottesco dell’arroganza di vincitori che hanno esposto effigi di personag gi non proprio edificanti al grottesco confusionario di distruttori che fanno di tutta l’erba un fascio.
Continuando su questa strada, per quanto riguarda l’ Italia, qualcuno potrebbe chiedersi l’opportunità di mantenere a Livorno la famosa statua di Ferdinando I, scolpita da Giovanni Bandini con sotto i Quattro Mori di Pietro Tacca.
Abbattere monumenti significa voler cancellare, per quanto ingombrante una statua possa essere, anche parte di una cultura, parte di ciò che era il passato, le radici di una civilizzazione, per cui l’indiscriminata generaliz zazione di questi comportamenti potrebbe diventare pericolosa. Basti
Arte e società
pensare a cosa succederebbe nel settore dell’editoria dove c’è stato già qualcuno che ha proposto di riforma re il romanzo – Via col vento – per i suoi contenuti schiavisti. Se dovesse passare questo principio ci sarebbero procedimenti che non avrebbero mai fine, magari fino ad arrivare per assurdo addirittura alla revisione di gran parte della letteratura latina dato che la civiltà romana comprendeva l’istituto della schiavitù.
Sembrerebbe quindi inutile condan nare persone o autori che immersi in un contesto storico passato abbiano compiuto atti o scritto testi che oggi consideriamo moralmente riprovevoli e quindi tutte le campagne per la ri mozione dei simboli sarebbero ormai fuori tempo massimo.
Al contrario c’è sempre tempo per fare su queste tematiche una riflessio ne critica.
STANGATA SULLE BOLLETTE E RAZIONAMENTI IN ARRIVO?
Lo spettro della crisi energetica fa paura. Inizia la corsa per trovare alternative al gas russo. Una corsa che è invero cominciata da un bel po’. Gli italiani sono preoccupati per la stangata sulle bollette e i razionamenti di elettricità in arrivo. Le quantità di sponibili di gas sono appena sufficienti per la stagione invernale e l’Italia deve seguire con attenzione le mosse della grande economia europea. Quando la domanda aumenta, a fronte di un’offer ta che diminuisce, i prezzi aumentano. L’Italia potrebbe rimanere, roman ticamente, al lume di candela. Una situazione che richiede rapidità d’inter vento, ma al momento non si è vista. Insomma, Draghi o non Draghi, elezioni o non elezioni, crisi di governo o non crisi di governo, perché non stiamo facendo sul serio? Burocrazia, avidità o semplice interesse? Di fatto il problema è assai complesso e potrebbe mettere in ginocchio il Paese. Il tema dell’energia si traduce in Pil. Nel momento in cui la produzione va in difficoltà, si manda in crisi un intero sistema. Il tessuto pro duttivo, le imprese e le famiglie saranno quelle effettivamente colpite. Lo scop pio della guerra e le sanzioni imposte dagli Stati Europei, alla Russia, hanno spinto il Presidente russo ad attuare un uso politico del gas, mettendo in difficoltà le maggiori economie euro pee. Questa è una delle cause della crisi, ma in fondo ha, forse, costretto i Paesi a mettere in luce le fragilità strutturali. L’energia che manca è un mistero che neppure la guerra in Ucraina e le azioni di Putin bastano a spiegare. L’Italia è ghiacciata.
La politica deve chiedersi realmente cosa può fare per affrontare la crisi ener getica in vista dell’inverno. Esplodono
i fronti opposti sul tema rigassificatori, trivellazioni, possibili piani per esplorare la strada del nucleare pulito. Troppo ambientalismo, fa male all’ambiente? La “politica del No”, a prescindere, non por ta a riflessioni utili al Paese. A tutti è caro l’ambiente, ma le sfide dell’Italia devono essere gestite. Realisticamente, a crisi eccezionali si dovrebbe rispondere con provvedimenti altrettanto straordinari, altro che manfrine. Hanno detto di tagliare un po’ i consumi energetici. Serve si qualcosa nell’immediato, ma anche qualcosa che garantisca il futuro. La strada verso una maggiore autono mia energetica non è stata imboccata. Abbassare di due gradi la temperatura nelle case degli italiani non garantisce il futuro.
La storia del Novecento è storia di lotta per la conquista delle fonti energetiche. All’inizio del secolo scorso, le trivelle dell’americana Standard Oil in America e della Anglo-Persian Company in Iran hanno sostituito il carbone e sovvertito gli equilibri politici globali. Presto, la
Germania e la Gran Bretagna hanno capito che i loro giacimenti di carbone non avrebbero più garantito l’indipen denza energetica. Il petrolio era diventa ta la maggior fonte di risorsa. Il risultato è stata una corsa e una competizione in Medio Oriente. Oggi le cose non sono molto diverse. L’estrazione dello shale gas americano ha sfidato le esportazio ni russe. Buone azioni a stelle strisce e strategia. I Paesi europei sono in bilico tra Stati Uniti e potenze dell’Est, Russia, Cina e India. Da una parte ci sono navi di gas liquefatto proveniente dagli Stati Uniti, che promettono sollievo, dall’altra l’allontanamento dal gas russo, da anni scelto come partner privilegiato. Nuovi equilibri in un quadro di instabili tà globale. Nel futuro, la strada segnata sembra quella di rendersi il più indipen denti possibile. Il sistema energetico italiano deve investire massicciamente in fonti di energia pulita e a portata di mano. Per quanto si acceleri il passo, tutto richiede tempo. E cosa succederà ai prezzi in bolletta nei prossimi mesi?
I SANTUARI TRENTINI
Rivisitati da Waimer Perinelli
Dopo che nella vita si è dedicato a tante altre cose, a scrivere saggi storici di taglio divulgativo l’amico Waimer Perinelli ci ha preso gusto. Ed ecco, dopo il libro sui duecento anni del Teatro Sociale di Trento questo A furor di popolo dedicato ai santuari e alla religiosità del Trentino. L’elegante volume di 150 pagine è pubblicato con il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, per i timbri di Grafiche Futura, e ospita il saggio L’offerta del cuore per la sezione del Museo dedicata agli ex voto, scritto dal conservatore del Museo di San Michele Luca Faoro. Di santuari ne sono esistiti e ne esistono presso tutti i popoli, in tutte le religioni, in tutte le epoche. Oggi i santuari cristiani nel mondo sono 1.870,di cui ben1.309, il 70 %, dedicati a Maria. Il libro ha come antefatto una ricerca svolta dall’autore già nel 1974: ” Dei 47 santuari individuati nel Trentino
Alto- Adige in una ricerca da me svolta, dal 1974 al 1978, avviata e coordinata dal professor Tullio Tentori, docente di antropologia culturale all’università di Trento, molti impor tanti centri di culto sono nel tempo quasi scomparsi dalla tradizione del cristianesimo popolare e si celebra
solo una funzione religiosa nel giorno interessante del libro di Perinelli, la più ricca di informazioni e riflessioni, che occupa un terzo dell’opera, è quella che ci parla dei tre santuari : di Sanzeno, Montagnaga di Piné e Pietralba. Siamo verso la fine del IV secolo quando il famoso vescovo di Milano Ambrogio ( il futuro Sant ‘Ambrogio), d’accordo con i l vescovo di Trento Vigilio ( il futuro San Vigilio) invia nell’Anaunia ancora pagana il diacono Sisinio con i due fratelli Mar tirio e Alessandro. Vengono tutti e tre dalla Cappadocia, e hanno il compito di evangelizzare i nonesi pagani. I tre “missionari” agiscono probabil mente con scarsa prudenza, a Sanze no, si insediano dove c’era un tempio dedicato a Saturno, rifiutano di parte cipare con una pecora alla processio ne in suo onore, sembra che abbiano buttato nel Noce la statua del dio pagano. Alla fine, rifugiati in una cap pellina che avevano costruito, vengo no letteralmente linciati dagli abitanti del paese. La lettera con cui il vescovo di Trento informa dell’eccidio San Sim pliciano succeduto ad Ambrogio nel
797 e Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli, a saperla leggere è illuminante. Scrive Vigilio: “ I nostri martiri esercitarono grande pazienza in modi sempre frequenti…” aggiun gendo però “ e con frequenti lotte”…). Insomma, pazienza e lotte! I cadaveri dei tre cappadoci furono bruciati e le loro reliquie raccolte (evidentemente dai primi convertiti) , conservate in quello c he diventerà il santuario di Sanzeno. Un santuario che è l’unico nel Trentino assolutamente libero da leggende, storico nelle sue fonda menta , ma che nonostante gli sforzi della Chiesa, non diventò mai popola re. Le pagine dedicate al santuario di Sanzeno sono arricchite dalla testi monianza di monsignor Sergio Nicolli, per molti anni segretario del vescovo Alessandro Maria Gottardi che pro mosse il restauro e la diffusione del culto dei tre martiri. L’amico Waimer mi consentirà un appunto. Egli parla costantemente di San Vigilio citandolo come martire, aggiungendo che fu ucciso a zocco late (vedi nota). Ma è molto impro babile che Vigilio sia stato martiriz zato: lo stesso storico molto preciso monsignor Rogger è molto scettico sul fatto che San Vigilio, al centro di innumerevoli leggende, sia stato mar tirizzato. Se la notizia dell’uccisione dei martiri Anauniesi, tre personaggi sino ad allora completamente oscuri fu diffusa addirittura in tutta Europa, quale onda pubblicitaria si sarebbe dovuta innescare per informare del martirio del vescovo di Trento, un
personaggio famoso, al centro di una rete di conoscenze importanti?
Invece ,niente. Quanto all’uccisione che sarebbe avvenuta a colpi di zoc colo c’è da dire che per secoli questa calzatura non appare nelle tavole o nelle tele che raffigurano il vescovo di Trento. Vi compare ad un certo punto e da allora diventa addirittura un logo che contraddistingue il santo roma no- trentino. E dire che fu ucciso a zoccolate significa affermare in pratica e che fu linciato da donne! “Volendo cercare un modello del la religiosità popolare trentina lo troviamo unico , forse irripetibile, a Montagnaga di Piné” scrive l’autore, nel capitolo “Un popolo un santua rio”. Tutto iniziò quando a Domenica Targa, una pastorella che la leggenda vuole avesse quattordici anni (ma che in effetti ne aveva trenta) a Mon tagnaga di Piné in località Palustèl, un luogo tra pascoli e boschi poi chiamato la Comparsa, mentre stava pascolando le sue bestie, apparve una bella signora. La popolazio ne e il clero si divisero nella valutazione delle apparizio ni mariane. Scrive Perinelli non si arrivò tuttavia a una dichiarazione ufficiale della Chiesa, che, se da un lato non volle confermare, almeno formalmente, i fatti, dall’altro lasciò che il culto si sviluppasse. E il culto a Montagnaga di Piné si svi luppò in modo imponente,
Religione e Storia
con l’accumulo di un ricchezza di ex voto affermatori di miracoli, col pel legrinaggio di migliaia di pellegrini organizzati da membri del clero ( io stesso da ragazzo, ho partecipato ad alcuni di questi pellegrinaggi a piedi organizzato dalla parrocchia di San Pietro di Trento ,che partivano dal fondovalle della Valsugana).
E il libro si conclude con la storia del santuario di Pietralba, in tedesco Weissenstein, sorto in un sito alla confluenza della valle di Fiemme, con la Val d’Ega e la valle dell’Adige, costruito nel luogo dove a Leonardo Waissensteiner, un contadino pastore proprietario di un luogo detto “Pietra Bianca” , comparve la Madonna, nel 1547 o nel ‘53, negli anni del Concilio di Trento. Questa volta la Chiesa, sin dall’inizio, sostenne il santuario. Il santuario, sino al 1964 appartenente alla diocesi di Trento, è di gran lunga il più vasto e visitato della regione, con oltre duecentomila presenze l’anno, fino al 1978 è stato visitato più volte dal futuro papa Albino Luciani , che arrivava a piedi dalla sua casa a Canale d’Agordo, attraverso le valli di Fiemme, Fassa e d’Ega. Si conclude con queste aggiornate informazioni il libro di Waimer Perinelli, scritto con accattivante linguaggio giornalistico, ricco di informazioni e illustrazioni, un libro appassionato e appassionate.
50 ANNI FA MORIVA DINO BUZZATI: IL DESERTO CH’E’ IN NOI
Buzzati è morto, viva Buzzati. Parafrasare il celebre motto ci introduce alla vita di un grande protagonista della cultura ita liana del 900. In questo 2022 a Dino Buzzati vengono dedicati incontri, conferenze, commemorazioni non solo nella sua Belluno ma in tante parti d’Italia e d’Europa. Era nato casualmente a San Pellegri no dI Belluno il 16 ottobre del 1906 ma, se la nascita è stata come per tutti una non scelta, la località ha gio cato un ruolo importante nella sua vita artistica ispirandogli il più famoso romanzo “Il deserto dei Tartari” pub blicato nel 1940, conosciuto in tutto il mondo, per il quale il suo nome è sta to accostato a quello di Franz Kafka e a questo innegabile scrittore affianco volentieri Samuel Becket autore del dramma “Aspettando Godot”. Con il primo, il nostro bellunese per caso, condivide la percezione del divenire del nulla e l’angoscia della trasfor mazione; con il secondo il dramma dell’attesa di qualcosa che non sta per accadere e che sicuramente non accadrà mai. Non si offendano i puristi dell’etnia letteraria ma Dino Buzzati deve l’ispi razione a Milano e al mondo inter nazionale che ha frequentato come giornalista e inviato del Corriere della sera. Dobbiamo riconoscere a Bellu no, come lui stesso ha dichiarato, il senso del nulla che gli ha ispirato con le montagne che pur amava e violava arrampicandosi.
Aveva 66 anni quando, nel 1972, è stato sorpreso, ma non troppo, dalla morte, causata come per il padre da un tumore al pancreas. La morte, come per tutti, appostata ai confini
della vita, del deserto, sorvegliata speciale ma capace di sfuggire ad ogni sentinella. Allo stesso modo la vita reale sfugge al sottotenente Gio vanni Drogo di servizio nella fortezza al limite del deserto da cui si temeva arrivassero i tartari, popolo guerriero riportato alla ribalta della cronaca dalla guerra in Ucraina perché dal popolo asiatico che si oppone oggi ai russi, discende parte della popola zione del granaio del mondo. Anche Dino Buzzati aveva antiche origini orientali provenendo dall’Ungheria, da cui deriva il nome Buda, in veneto Buzat, poi italianizzato. Dalla famiglia, il padre Giulio Cesare,
celebre giurista docente universitario a Milano; la madre Alba Mantovani fi glia della nobile veneziana Badoer, lo scrittore riceve educazione e stimoli per sviluppare la vocazione letteraria manifestata nell’attività giornalistica, poiché dalla cronaca traeva fantastici racconti. La narrazione del quotidiano si concretizza in un elzeviro del 1933 dal surreale titolo del “ Vita e amori del Cavalier rospo. Il Falstaff della fauna” anticipatore di racconti ispirati alla vita di corrispondente da Addis Abeba dov’era inviato di guerra del Corriere della Sera. Segue una ricca produzione giornalistica e letteraria che raggiunge l’apice nel 1940 con
Personaggi della nostra letteratura
il celebre “Deserto dei Tartari”. Tutti leggendolo possiamo sentirci come il sottotenente Drogo davanti all’avve nire incerto, alla noia del quotidiano, alla banalità del futuro con la delusio ne che ne consegue. Tanto maggiore quando la fine pur certa sembra non arrivare mai. Ma che vita sarebbe se non finisse mai? Totò, principe De Curtis, comico drammatico, ce ne da una visione ironica con la poesia La livella dove la morte tutti accomuna, nobili e spazzini.
Per un curioso destino degli scritti di Buzzati il mondo letterario e cine matografico italiano, e non solo, se n’è occupato in modo approfondito dopo la morte. Tratti dai suoi racconti sono stati realizzati negli anni 90 film importanti e sono ora disponibili raccolte e recensioni.
Di questo si occupano anche il Centro studi Buzzati e le biblioteche bellunesi che hanno unito le loro energie per celebrare la sua figura e per promuovere la lettura delle sue opere, organizzando una serie di eventi gratuiti e aperti a tutta la cittadinanza. In questo progetto, la Provincia di Belluno (Servizio provin ciale Biblioteche) ha assunto il ruolo di coordinamento della rassegna. In particolare, ha affidato l’incarico di consulenza scientifica a beneficio di tutte le biblioteche aderenti a Patrizia Dalla Rosa, responsabile della ricerca
e membro del Comitato scientifico del Centro Studi Buzzati, che dal 1992 si occupa dello scrittore bellunese. Patrizia Dalla Rosa è una persona col ta e paziente che parla volentieri del concittadino la cui opera frequenta dagli anni 1986-87.
“ E’ un grande scrittore, giornalista, alpinista, artista, intellettuale a tutto tondo, dice, è tale per cui il nostro ter ritorio deve sentirsi orgogliosamente buzzatiano. E la celebrazione del 50° anniversario dalla scomparsa merita una rassegna in grado di far conosce re e apprezzare non solo le opere di Buzzati, ma anche la terra che è stata spesso teatro delle sue estati oltre che della sua prosa».
La biblioteca di Sospirolo ha fatto da capofila e ha proposto il primo della serie di eventi dedicati a Buzzati: la presentazione a cura proprio di Patri zia Dalla Rosa del concorso letterario “Sospirolo tra leggende e misteri”. Il concorso è dedicato al tema del pa esaggio, protagonista di tanta parte
dell’opera di Buzzati. Accanto sono nate lungo tutto il 2022, iniziative di vario tipo (conferenze, escursioni letterarie, laboratori, presentazioni di libri, letture e spettacoli ispirati dalla drammaturgia dell’autore bellunese, a cura delle biblioteche della rete. Dalla Rosa è responsabile della ricerca e membro del Comitato scientifico del Centro Studi Buzzati, che dal 1992 si occupa dello scrittore bellunese attraverso pubblicazioni di articoli, conferenze e partecipazione a conve gni in varie parti del mondo. Inoltre, è stata studiata una grafica condivisa mediante la quale promuovere tutte le iniziative proposte dalle singole biblioteche e per la gestione di un “cartellone virtuale” che è consulta bile (alla pagina web https://www. suipassidibuzzati.it/) dove troverete certamente la serata di lettura di testi buzzatiani (Le K, Le Désert des Tartares, Le Panettone n’a pas suf fi. Letture fatte dagli attori Gregori Baquet e Guillaume Gallienne della Comédie Française,organizzata per inizio ottobre dall’Istituto Italiano di Cultura, in rue de la Varenne a Parigi e per la metà dello stesso mese la Tavola rotonda intorno all’edizione di Le Panettone n’a pas suffi (tradu zione di D. Gachet),organizzata dall’ Association des amis de Dino Buzzati di Bordeaux, con letture musicali di testi del grande bellunese.
S. PAOLINA AMABILE VISINTAINER
Amabile Visintainer nata a Vigolo Vattaro (Tn) il 16 dicembre 1865 e morta a S. Paolo del Brasile 9 luglio del 1942. Di famiglia estremamente povera, a scuola non riusciva a imparare a leggere e scrivere, pur impegnando si. I tempi erano sempre più difficili. Va a lavorare in filanda e poi decide di emigrare in Brasile. Partono in molti del paese e anche i Visintainer con tutta la famiglia. All’arrivo non trovano nulla che era stato promesso. Hanno costruito un paese, un nuovo Vigolo. Il padre apre un mulino insie me a un altro trentino e Amabile con la figlia del socio, Virginia diventano amiche.
Buongiorno, io sarei pronta per l’intervi sta. Sono suor Paolina. Riverisco, e tante grazie per avermi concesso questo onore. Dai, lo so che usi dare del tu a tutti i tuoi intervistati, quindi fa la prima doman da, ho tempo. Ma tu puoi fare altro di più utile.
Grazie, ma questa intervista la ritengo utile per chi ne vuole trarre esempio. Mica tutti devono fare chissà che cosa, basta una cortesia, un piccolo aiuto, cose così, alla portata di ognu no.
Ecco, brava, proprio così. Come dicevo, bando alle chiacchiere, ti dico subito Vigolo Vattaro 1865 S. Paolo del Brasile nel 1942.
Come ti trovavi a Vigolo?
Bene, eravamo una famiglia molto povera, ma ci volevamo bene e anche i compaesani erano gentili e davano un soprannome a tutti Adesso non più. Io
ero la Mabilota dei Lisàndri, perché mi hanno battezzata Amabile. A sei anni sono andata a scuola, fino in seconda, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo
a imparare, a leggere e scrivere e allora sono andata a lavorare in filanda per aiutare la famiglia.
Come te la cavavi? Eri solo una bam bina.
Un tempo i bambini andavano spesso a lavorare e si imparava un mestiere che poteva tornare utile, per vivere. Vero, poi cosa successe?
Ci fu la crisi, perché i confini con l’Italia si spostarono e così l’industria serica fu travolta e molte famiglie, tra cui la mia, non potevano più tirare avanti. Così in casa cominciarono a parlare di emigra re in Brasile e questo dispiaceva alla mia mamma, ma io mi rendevo conto che era necessario. Dopo la nascita del mio ultimo fratellino, partimmo con tutta la famiglia.
L’intervista impossibile
Ma non ti dispiaceva lasciare il tuo paese e le tue amicizie?
Che domande! Certo che mi dispiaceva, ma ero fiduciosa che qualcosa di bello poteva accadere e invece… invece durante il viaggio morì il mio fratellino minore e fu sepolto in mare. Che tristez za! La mamma piangeva sempre e si dava la colpa.
E quando arrivaste? Dopo un simile viaggio almeno il conforto di un po sto pronti ad accogliervi come vi era stato promesso.
Lo sbarco è stato ancora peggio. Infatti, tutto quello che ci era stato promesso dagli impresari dell’emigrazione non c’era perchè era stato dato ad altri immigrati europei e a noi, se volevamo restare, lasciavano solo terreni meno fertili. I vigolani si dettero da fare e risol sero fondando Nova Vigolo.
A 12 anni feci la prima comunione e chiesi a Dio la grazia di riuscire a leggere e scrivere. E mi esaudì. Dopo cosa successe?
Mio padre in società con Francesco Ni colodi, di Aldeno, ha aperto un mulino e con gioia, ho conosciuto Virginia, sua
figlia e siamo diventate amiche. Lavoravamo insieme al muli no e ci siamo confidate. Così ho scoperto che aveva le mie stesse aspirazioni tra cui quella di aiutare i malati e costruire un piccolo ospedale come c’era al mio paese e avremmo potuta la sciare il lavoro al mulino. Avven ne però una terribile disgrazia: mia mamma è morta di parto. Quindi io dovevo subentrare ad aiutare la famiglia perchè ero la maggiore e non potevo certo sottrarmi a questo compito. Ma siete poi riuscite a realizzare il vostro sogno?
Sì, a 25 anni assieme a Virginia abbia mo fondato l’ospedaletto di San. Vigilio, una baracca di legno accanto alla chie sa. Abbiamo lasciato il lavoro e in molti ci hanno aiutato a costruire la baracca. Subito è arrivata la prima ammalata, aveva un cancro e si chiamava Angela. Che cosa avevate in mente?
Volevamo occuparci dei malati, dei bambini orfani, dei bisognosi. Ormai l’ospedale era avviato e molte ragazze di origine trentina stanno seguendo il nostro esempio. Quando nacque l’idea della fondazione di un nuovo ordine religioso?
Quando abbiamo ricoverato la signora Angela e ci siamo dedicate alla catechesi e alla manutenzione della picco la chiesa di s. Giorgio. Poi successe che il vescovo Luigi Rossi approvò l’ordine delle Piccole Suore dell’Immaco lata Concezione il 25 agosto 1895 e diede l’abito religioso alle prime tre suore e con la professione religiosa presi il nome di Suor. Paolina del Cuore Agonizzante di Gesù. Ma mantenere una comu nità è costoso come hai risolto? Hai anche aperto un secondo ospedaletto
a Nova Trento che era il comune cui Nova Vigolo era una frazione se ricor do bene. Venisti anche eletta madre generale
Tornando alla domanda ho risolto in troducendo l’allevamento dei bachi da seta fondando una filanda, in questo modo lavoravano anche molte persone per sostenersi.
E poi cosa successe? del Brasile dove, eletta superiora gene rale a vita, guidai la Congregazione con semplicità e saggezza, organizzando scuole, ospedali, laboratori, educandati e Nel 1903 divenni superiora generale delle prime due comunità e mi trasferii a San Paolo dedicandomi totalmente ai poveri. Fui obbediente e umile quando nel 1909 fu invitata dall’arcivescovo Duarte Leopoldo y Silva a lasciare la guida della Congregazione e a trasferir mi a Bragança Paulista.
Tornasti a s. Paolo, ti ammalasti di diabete, fino a diventare cieca, poi, una ferita a un dito della mano destra andò in gangrena, e dovettero am putarti dapprima il dito e in seguito il braccio. Ma tu continuasti a lavorare e fondasti ospedali per i più poveri e scuole per i figli degli ex schiavi.
Grazie, hai fatto davvero grandi cose, Vuoi lasciare un saluto per i lettori?
Vi do la mia benedizione con tutto il cuore.
GUARDARE INDIETRO PER GUARDARE AVANTI
Correndo si arriva certamen te prima ma quante cose trascuriamo nella corsa, quanta bellezza perdiamo e forse non ritroveremo mai più.
Che ricchezza oggi. Dopo aver “scaricato” Gloria, la nostra orsetto, ad Orio, per la via del ritorno io e Lory, prendiamo per la Val Sabbia e il lago Idro come destinazione. Passiamo dalle nebbie delle pianure lombarde ad un leggero pendio che ci porterà in Trentino.
Il paesaggio si trasforma, compaiono le pannocchie di granoturco, che più avanti prenderanno le stigmate di Storo, e verdi prati arati. Stiamo risa lendo verso la val di Ledro e Bezzecca è il traguardo da raggiungere, quella località dove nel 1866 Garibaldi fu costretto ad “obbedire” e fermarsi. Oggi si procede in ordine sparso, tipica avanzata italiana, fatta con l’au tomobile, ma sempre conquistando metro su metro. L’opera dell’uomo è laboriosa, quanto lavoro, quanti muri a secco, quanto lambiccare per strap pare un pezzo di terra da coltivare. E quanti eserciti e lingue sono passate
di qua!
Si rimane abbacinati ed entusiasti dalla bellezza dei luoghi. Dietro l’in cessante rumore di clacson e i fari mi invitano anzi mi obbligano a fermar mi e lasciare il passo.
Ma oggi è una giornata particolare: dove andate di domenica così di fretta? Mi fermo, colpito da una luce rarefatta e aria di bosco, profumo di muschio e di selvatico. Si sente l’odo re del lago. Arriva la riflessione, la ca pacità di riflettere sul mondo per poi agire nel mondo. I francesi hanno un bel modo di dire: “reculer pour mieux sauter”, i momenti di pausa sono quelli in cui si raccolgono le forze, si arretra, ci si arresta, per poi avanzare.
I francesi da qui un tempo lontano ci sono passati. Quanto passato è nel nostro presente. Basterebbe recupe rare quello che è in noi. E’ un privile gio fermarsi.
La prospettiva è il privilegio di chi frequenta i classici. Io vivo l’antico e il contemporaneo nella misura in cui è ancora qui presente. Mi piace imma ginare. E’ come ritornare bambini. La ginnastica della mente è fare con
fronti. Inventare e mettere a fuoco il consueto con l’immaginato. Essere italiani è anche un privilegio dal pun to di vista dell’educazione estetica. Il gusto diffuso di risonanze orchestrali. Meraviglioso. Si può disporre di ric chezza, intelligenza, possibilità infini te, ma sentire che non è mai abba stanza. Il vero lusso è l’incompiutezza. La vita è impastata di mancanze. Per questo l’amore è tutto ed è piu’ importante del desiderio perché ci rende autentici. Per amare devi amar ti e accettare la fragilità dei propri limiti. Lory mi riprende al presente, mi accompagna calorosamente in giro al lago. Le sue attenzioni smorzano il senso di inquietudine derivato dalla partenza di “Orsetto”. Sono anche un po’ disperato. In fondo al sentiero si vede il ristorante Al Pescatore a Ponte Caffaro, entriamo nella terrazza vista lago e da subito rimango colpito e incuriosito dalla presenza di tante persone da osservare e fonte di ispi razione. Un buon punto di appoggio per riprendermi, il giusto viatico per tornare al presente e ricominciare il viaggio: tornare a vivere!
JAVIER ZANETTI, il campione
Tante cose sono cambiate da quel 26 ottobre 1863, l’umanità è stata travolta da due tragici conflitti mondiali, è stato riconosciuto il suffragio universale e nella nostra incantevole penisola, la monarchia è stata soppiantata dalla Repubblica. La domanda però sorge ora spontanea:“ Cosa successe quel fatidico giorno?”. Quelle ventiquat trore, sconosciute a molti, sono state convenzionalmente scelte come il momento in cui lo sport più prati cato nel mondo, il calcio, è venuto ufficialmente “alla luce”. Nel tempo questa disciplina ha subito molteplici accorgimenti e modifiche, come ad esempio il fuorigioco, piuttosto che la più recente e roboante introduzione del Var.
La crescita del calcio è andata di pari passo, purtroppo, con una sempre più costante immissione di denaro, aspetto che ha portato alla scom parsa di quelle figure di riferimento, denominate “bandiere”, e alla proli ferazione di quei soggetti prezzolati che con un parallelismo storico-mi litare, potremmo etichettare come mercenari.
Il racconto di oggi, però, è incentrato su un individuo della vecchia guardia, esempio di attaccamento alla ma glia e di rettitudine: Javier Adelmar Zanetti.
Nato a Buenos Aires, anche se con evidenti origini italiane, deve il suo secondo nome ad un medico che, a poche ore dalla nascita, lo salvò dai gravi problemi di respirazione che lo affliggevano. Curioso è il fatto che proprio la resistenza, la corsa travol
gente e la tenuta fisica saranno gli elementi che lo caratterizzeranno nella sua carriera, al punto da essere ribattezzato “El tractor”. La storia calci stica di Zanetti ha inizio logicamente nel suo paese natale, l’Argentina, in un momento storico particolare, denominato la “guerra sporca”, nel quale si cercò di debellare le nicchie di resistenza rappresentate dai mar xisti o peronisti. Tale fenomeno ebbe il suo culmine tra il ’76 e il ’79, quasi in concomitanza del primo successo mondiale della Albiceleste, guidata da Menotti, ottenuto in Olanda nel ‘78 e proprio a discapito degli “Oran ge”. Saranno le mirabolanti gesta di quella leggendaria formazione ad impressionare Javier, rimasto folgo rato dalla figura del capitano Daniel
Passarella, che militerà poi nel nostro campionato, e dallo straordinario bomber Mario Kempes. Con queste premesse Zanetti si avvicinò ufficial mente al mondo del calcio, facendo parte inizialmente della Disneyland, una squadra di fortuna fondata da alcuni genitori nel quartiere di Dock Sud, nel partido di Avellaneda dal quale lui stesso proveniva.
Arriviamo però al 1982, l’anno nel quale l’Independiente gli offrì una prima vera opportunità. In realtà si potrebbe dire che l’argentino fu sedotto ed abbandonato, perché dopo aver militato per sette anni a livello giovanile in questa compagine, fu scartato perché ritenuto troppo gracile. Questo rifiuto, se così voglia mo definirlo, lo segnò, al punto tale di decidere di lasciare per un anno il calcio ed aiutare la famiglia nel lavoro in cantiere, esperienza che lo avrebbe poi rafforzato a livello fisico. Il desti no di Zanetti era però deciso, lui e il pallone non potevano lasciarsi così; ecco quindi che si delineò l’opportu nità del Talleres, squadra nella quale giocava il fratello Sergio, noto con il famoso epiteto di “Pupi”, affibbiato poi perennemente ad Javier. Con quest’ultima registrò anche la prima presenza tra i professionisti, esorden do ufficialmente il 22 agosto 1992 in un match di seconda divisione. Le buone prestazioni ottenute con la squadra di Cordoba gli consenti ranno poi di ottenere il passaggio al Banfield, militante in massima serie, al quale si aggiungerà poi la chiamata della nazionale, allenata dal mito, già precedentemente citato, di Passarella.
Il calcio in controluce
Quello che accadde dopo il Banfiled, è invece noto ai più: nell’agosto del 1995 il neo presidente dell’Inter Mas simo Moratti acquistò, su consiglio del ex bomber nerazzurro Angelillo, il cartellino di Zanetti, la cui presen tazione venne però oscurata dalla figura ingombrante di Rambert, l’ae reoplanino, ritenuto il colpo effettivo del presidente. La realtà però è che quel giorno tutti si sbagliavano, colui che doveva essere la star si rivelò con il tempo un grande flop, mentre il ragazzo sbarbato, passato in secondo piano, segnò inevitabilmente la storia del club. Già, Javier legò il proprio nome alla formazione meneghina per quasi un ventennio, divenendo uffi cialmente capitano in seguito al ritiro di Bergomi e all’infortunio di Ronaldo. In quasi due decenni l’argentino ha potuto assistere a stagioni sottotono e a insuperabili traguardi, su tutti il
Triplete, ottenuti dalla formazione neroazzurra, una famiglia della quale fa e farà sempre parte. In suo onore, il 4 maggio 2015 l’Inter ha ufficialmen
te ritirato la maglia numero 4. «Ho sognato di chiudere la mia carriera all'Inter, la mia casa, ed è un orgoglio poterlo fare».
VAI DI PUNTINA GRAFFIA MA NON DISEGNA
C’era un tempo in cui si stava davanti alla radio con le dita appoggiate su “Rec” e “Play”, atten dendo il momento che la canzone richiesta passasse. Nella telefona ta intercorsa con il dj, si pregava di “non parlarci su”. Per legge questo non era possibile, per via di diritti d’autore e altre sot tigliezze legali. Ammetto di aver frodato questa legge nove volte su dieci. Mi dispiaceva rovinare una canzone con il mio vocione. Mi illudevo che a registrare il brano fosse sempre qualcuno che avendo i soldi contati non poteva comprarsi il disco, 33 o 45 giri che fosse. Poi arrivarono i compact disc. Un ogget tino di metallo che prometteva cose inenarrabili, il vinile cominciò a per dere colpi, il cd era pratico, lo potevi mettere in auto e occupava molto meno spazio. Poi arrivò la catastrofe (per i musicisti). La rete! Si cominciò con lo scaricare a frodo, fino alle piattaforme odierne che ti permette di avere, a pochi soldi, tutta la musica che vuoi. Certo, da un punto di vista prettamente personale questa possi bilità è fantastica. Ma senza sembrare il solito nostalgico, credo che stiano per tornare qualche scheggia del più o meno recente passato. Oggi sul tuo smartphone, o qualunque appa recchio apposito puoi avere 10.000 canzoni scaricate, ma pensaci, quan te di queste le conosci veramente? Quante parole sentite in musica ti hanno lasciato emozioni e pensieri? Il vinile, il 33 giri, quello grande, sta
tornando ed è pure incazzato. Il mio budget adolescenziale mi permette va due album al mese.
Certo facendo radio già da giovanis simo, ero privilegiato, ascoltavo e poi decidevo. Ma comunque la scelta era ponderata e lenta. Ma quando arrivavi a casa con sottobraccio due nuovi album, grandi, magari curati nei dettagli all’interno, testi, foto, chi suonava cosa, i ringraziamenti... met terli sul giradischi con la delicatezza di un trapianto di cuore. Mano ferma per appoggiare la puntina, evitare accuratamente anche il più piccolo rimbalzo, che ti avrebbe portato in dietro nella classifica degli ascoltatori professionisti. Ecco. Il vinile ha questa magia. Ti ferma il tempo. Per ascoltare un disco devi proprio trovarlo questo benedetto tempo. Oggi la tecnologia ci promet te di fare tutto più in fretta e meglio per avere tanta libertà. Ma onesta mente, trovate di avere più tempo di prima?? il vinile poi, se vogliamo entrare nel tecnicismo, ha una fedeltà che nessun supporto digitale può eguagliare. Ricordo un professioni sta che si spingeva ancora più in là. Per chi è in possesso di un orecchio
assoluto, si accorge di una differenza dal primo ascolto in poi. Oggi i di schi li trovi nei mercatini, spesso rovinati dal tempo e dal poco amore di chi li possedeva. Io ho rubato tutti quelli di mio fratello, sono abbastanza felice. Ma un negozio di vinili? Roba da intenditori e li trovi solo nelle grandi cit tà. Ecco perché quando ho letto che Daniele Lott ha aperto a Rovereto “Velvet”, negozio di vinili, mi sono quasi commosso. Tra l’altro un sacco di artisti hanno deciso di riportare su questo vetusto mate riale, i loro nuovi lavori. Non ultimi i The Bastard sons of Dioniso. Non voglio assolutamen te demonizzare l’attuale. La rete ci permette di conoscere musica pro veniente da ogni parte del mondo. Ma non credo che una cosa possa escludere l’altra. Adoro collegarmi con radio brasiliane o americane per trovare qualcosa di nuovo. Ma allo stesso tempo, mi piace ogni tanto, accendere a casa il mio impianto. Ascoltare con calma qualche disco, magari prima chiudo fuori dal soggiorno i miei gatti, ho paura che lo possano prendere per un gioco tutto quel “girare”. E ascolto, non posseggo l’orecchio assoluto, anzi, uno è andato quasi a quel paese, ma il tempo che ci impiego per scegliere e tutto il rito che ne consegue, mi permette di gustare il piacere dell’attesa.
Quando la musica riempie la stanza e allora il tuo umore segue le note che ti avvolgono. Funziona. Provate.
CAROLINA INVERNIZIO, casalinga di Voghera
Carolina Invernizio fu la più importante scrittrice di ro manzi di appendice italiana. Nata a Voghera nel 1851 era figlia di un funzionario del regno di Sardegna. Quando nel 1865 la capitale del nuovo regno d’Italia venne trasferita a Firenze, la famiglia Invernizio si trasferì nel ca poluogo toscano. Carolina e le sorelle frequentarono la scuola per diventare maestre.
Carolina amava scrivere e, appena ne ebbe la possibilità, pubblicò un racconto sul giornale della scuola dal titolo Amore e morte per il quale corse il rischio di essere espulsa. Già in quell’inizio infatti emergeva la sua passione per tragedie e forti sentimen ti, per ambientazioni fosche e intrighi inverosimili.
Quando nel 1881 Carolina conobbe Marcello Quinterno, un affascinante ufficiale dei carabinieri s’innamorò e fu ricambiata. Il fidanzamento fu di breve durata e si concluse con le nozze. Ebbero una sola figlia: Marcella, amata e coccolata dai genitori e dalle zie. La Invernizio era madre attenta, moglie fedele e donna pia. Sono pochi, nella sua vita, gli eventi degni di nota: il più importante è la partecipazione del marito alla guerra coloniale che portò il Regio Esercito a cercare conquistare terre nel continente africano. Al ritorno dall’Africa Marcello, reduce di guerra, ottenne il privilegio di dirigere il Regio Panificio Militare di Torino e così la famiglia dovette lasciare Firenze per trasferirsi nuovamente in Piemonte. Da quel momento in poi la Invernizio visse tra Torino e Cuneo, dove morì nel 1916.
Quando fu aperto il suo testamento, che aveva redatto ancora nel 1903,
vennero lette le sue ultime volon tà. La scrittrice disponeva che il suo corpo fosse sepolto, non prima di giorni quattro dal decesso, perché era terrorizzata dall’idea di essere sepolta viva e di risvegliarsi sotto terra. La cosa non deve stupire perché la paura della morte apparente era molto comune in quell’epoca.
A leggere la biografia di questa donna non sembra che meriti di essere ricor data, ma se andiamo a leggere quello che scriveva, cambiamo idea.
Innanzitutto la Invernizio ha scritto più di 130 romanzi: molti sono stati tradotti in altre lingue e alcuni sono diventati film di successo.
Quanto la sua vita è stata lineare, tanto le vicende che lei narrava erano intricate. Omicidi e rapimenti, furti e intrighi, tradimenti e sparizioni, sono gli ingredienti di tutte le sue storie.
La protagonista è sempre una donna virtuosa, piena di buone intenzioni, meritevole di affetto e di amore, che però si trova coinvolta, suo malgrado in
sordide storie. Le ambientazioni hanno tinte fosche mentre i personaggi appartengono a due categorie: i buoni e i cattivi.
Il mondo fantastico della Invernizio è manicheo, senza mezze misure: non c’è spazio per le sfumature e per le incertezze. Può capitare però che, a volte, per debolezza, qualcuno dei buoni venga indotto a compiere azioni malvage. Solitamente, in quel caso, alla fine dei conti la verità è destinata a venire a galla, il malvagio viene punito e il bene trionfa.
Non si può negare una certa ripetitività nella struttura delle trame nelle opere della Invernizio e per questo è stata molto criticata dal mondo letterario.
A dire il vero la Invernizio è stata una delle scrittrici più criticate. In un’epoca in cui i diritti delle donne erano quasi un’utopia, non era ammissibile che una donna si permettesse di scrivere e di diventare famosa. Per questo le sono stati attribuiti diversi appellativi deni gratori come “la Carolina di servizio” per sottolineare il fatto che le sue storie erano destinate solo alla servitù o la celebre definizione è “la casalinga di Voghera”. Antonio Gramsci la definì “l’o nesta gallina della letteratura popolare”.
La Invernizio, dal canto suo, non si la sciava impressionare dagli attacchi dei critici perché, diceva, mentre loro mi criticano, le loro mogli, le loro sorelle e le loro figlie acquistano i miei libri. E infatti il pubblico amava le sue opere e, chissà, forse si sentiva rassicurato pro prio dalla prevedibilità delle sue trame che presentavano un mondo in cui, nonostante il male, tutto si sistemava nelle ultime pagine del romanzo. Carolina amava scrivere per ore e ore e preferiva le ore della sera perché
Tra Storia, Poesia e Letteratura
in quelle ore le era più facile narrare storie che avevano l’ombra e il buio come sfondo. Quando si metteva alla scrivania la penna scorreva veloce e lei si lasciava trascinare dalle ali della sua fervida fantasia.
I suoi romanzi sono collocati in precisi contesti storici: per far questo la Inver nizio si documenta e rende verosimili i personaggi che mette in campo. Ma se per la cornice storica e sociale l’autrice cerca la verosimiglianza, le vicende nar rate talvolta sono decisamente impro babili; eppure anche questo appassio nava i suoi lettori.
La Invernizio dedicava tantissima cura nella scelta del titolo di ogni sua opera perché riteneva che gran parte del suc cesso di un libro dipendesse, in primo luogo, dal titolo. L’orfana del ghetto, La mano della morta, I ladri dell’onore sono solo alcuni dei titoli suggestivi che la Invernizio ha creato.
La sua opera più famosa che ha avuto ben quattro trasposizioni cinemato grafiche s’intitola Il bacio della morta Anche Pupi Avati, negli anni Settanta, ne ha curato la sceneggiatura.
Chi ha cercato di definire il genere let terario a cui appartengono i suoi rac conti ha individuato diversi elementi: ci sono elementi del genere poliziesco tra omicidi furti e rapimenti, ci sono le tinte fosche del genere gotico, c’è la protagonista virtuosa e il lieto fine tipici del romanzo rosa.
Ma soprattutto c’è la sua passione per ché la Invernizio viveva intensamente emozioni e sentimenti assieme ai suoi personaggi. Quando la protagonista viene tradita anche Caterina piange, ma quando nasce una bimba, il suo cuore esulta come per la nascita della sua Marcella; mentre percorre il buio vialetto del cimitero monumentale di Torino, il cuore di Carolina batte all’im pazzata in sincronia con quello della fanciulla che sta fuggendo. E quando, finalmente, gli intrighi si sciolgono an che lei può finalmente tirare un sospiro di sollievo.
La sua dedizione alla scrittura era tale che, a volte, scriveva più romanzi con temporaneamente e, per non rischiare di intrecciare le due vicende si avvaleva dell’aiuto di sua sorella che teneva la ‘contabilità dei morti’ e lo schema della trama.
Carolina Invernizio è sepolta nel
cimitero monumentale di Torino: sulla sua tomba è stata posta la scritta Il tuo nome non morirà e, in onore suo, Mila no e Cuneo le ha intitolato due vie.
FILIPPO BRUNELLESCHI, il primo architetto moderno
“Chi mai sì duro o sì invido non lodasse Pippo architetto vedendo qui struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname, quale artificio certo, se io ben iudico, come a questi tempi era incredibile potersi, così forse appresso gli antichi fu non saputo né conosciuto?” (Leon Battista Alberti, De Pictura)
Dopo aver indagato la storia e le opere di un pittore eclet tico come Giotto, la vita e i lavori di uno scultore brillante come Ghiberti, il nostro viaggio alla sco perta dei grandi maestri del passato prosegue analizzando la figura e la carriera artistica di colui che è con siderato il primo architetto dell’età moderna, ovvero Filippo Brunelleschi. Rimaniamo dunque nella Firenze di fine XIV secolo, in un clima culturale ricco di stimoli e fortunate intuizioni che portano alla maturazione artistica del Rinascimento italiano. Filippo Brunelleschi nacque a Firenze nel 1377 da famiglia agiata. Ricevette una buona istruzione, imparò ben presto a leggere e scrivere e, tramite l’utilizzo dell’abaco, poté apprendere nozioni di matematica e geometria pratica, nonché nozioni di prospet tiva. Fin da giovanissimo si interessò all’arte, dimostrando una certa pre disposizione alla pittura e al disegno. Contrario alle aspettative paterne di intraprendere studi giuridici, divenne garzone di bottega presso l’orafo Benincasa Lotti, il quale gli insegnò a fondere i metalli, a lavorare con il cesello, con lo sbalzo, con il niello e a praticare rilievi ornamentali. Nel 1398 si iscrisse alla Corporazione dell’Arte della Seta, immatricolandosi come orafo nel 1404. Tra il 1400 e il 1401 si recò a Pistoia, dove lavorò all’altare di San Jacopo, prezioso alta
re-reliquiario argenteo nella cattedra le di San Zeno. A lui si attribuiscono le statuette di Sant’Agostino e dell’Evan gelista seduto (forse San Giovanni) e due busti entro quadrilobi dei profeti Geremia e Isaia. Nel 1401 fece ritorno a Firenze per partecipare al concor so indetto dall’Arte di Calimala per la realizzazione della porta bronzea nord del Battistero. Ai partecipan ti venne richiesta l’esecuzione di una formella bronzea quadrilobata decorata a bassorilievo raffigurante la scena del Sacrificio di Isacco. La storia già la conosciamo, vinse la formella di Lorenzo Ghiberti.
Secondo la versione di Ghiberti, la vittoria gli venne riconosciuta per parere unanime della giuria; secondo Antonio Manetti, biografo del Bru nelleschi, l’esito fu un parimerito tra la formella del Ghiberti e quella del Brunelleschi, il quale però si rifiutò di collaborare con lo scultore. Succes sivamente si recò a Roma assieme Donatello, appena ventenne, per studiare da vicino le vestigia dell’Urbe antica. Nella Roma dei papi, Brunel leschi poté approfondire le regole della prospettiva e dell’architettura attraverso lo studio degli edifici roma ni. Rientrato a Firenze, lavorò come scultore realizzando il maestoso cro cifisso di Santa Maria Novella (1410), due statue per la facciata esterna di Orsanmichele, il San Pietro per l’Arte dei Beccai e il San Marco per l’Arte dei Linaioli, rispettivamente del 1412 e del 1413.
Attivo su più fronti e sempre più ri chiesto dalla committenza fiorentina per l’esecuzione di lavori di scultura e per pareri tecnici ed interventi di architettura, il cantiere che segnò la fortunata carriera del Brunelleschi fu quello per la realizzazione della gran diosa cupola di Santa Maria del Fiore. Già dalla prima metà del XV secolo Brunelleschi ricevette dalla Repubbli ca di Firenze numerosi incarichi per la costruzione e la ristrutturazione di edifici, interpellato più volte sullo sviluppo del cantiere del Duomo. Nel
1418 venne indetto il concorso per la realizzazione della cupola, che avreb be finalmente terminato la copertura della Cattedrale. La cupola, oltre che essere elemento solido e imponente dal forte valore simbolico, rappre sentava una sfida architettonica che celava non pochi problemi tecnici ed ingegneristici. Nell’aprile 1420 furono nominati due capomastri, Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi, ma già dopo pochi anni, in seguito a vicende non del tutto chiare, Ghiberti venne emarginato dai lavori e l’intero cantiere passò sotto la direzione del Brunelleschi.
A lui si deve il grande merito di aver realizzato, per quei tempi, la più grande cupola esistente, senza uso di armature di sostegno e attraverso un ingegnoso sistema a due cupole: una interna, spessa oltre due metri, con
angolo maggiore dell’altra e costitu ita da grandi archi tenuti insieme da costole e realizzata in mattoni dispo sti a “spina di pesce”; e una esterna di copertura, rivestita in tegole di cotto e segnata da otto costoloni di marmo bianco. Si veniva così a deli neare un passaggio interno invisibile che percorreva l’intera cupola sino alla lanterna, quest’ultima realizzata dopo la morte del Brunelleschi e su suo progetto. Il cantiere per la cupola del Duomo, vide impegnato l’archi tetto fiorentino dal 1420 al 1436, re stituendoci tutt’ora l’idea del grande ingegno e genio del Brunelleschi, al quale si deve anche l’invenzione della prospettiva a punto unico di fuga, uno degli elementi più inno vatori e caratterizzanti le produzioni artistiche del Rinascimento fiorentino e italiano.
Girovagando nell’Arte
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Aperto il quarto spaziodi coworking a Civezzano
Dopo Levico, Tenna e Vigolo, Alta Valsugana Smart Valley prosegue l’apertura di spazi condivisi per studio e lavoro.
Dopo il successo riscontrato dalle aperture di Hub Levico, Hub Tenna e Hub Vigolo, è stato inaugurato a Civezzano il quarto spazio di coworking e community di Alta Valsugana Smart Valley. Il progetto, nato dalla collaborazione tra Cassa Rurale Alta Valsugana ed Impact Hub Trentino, si chiama Hub
Civezzano ed ha sede in Piazza Santa Maria 20, proprio nella piazza centrale del paese.
Lo spazio di circa 150 metri quadrati messo a disposizione è di una ex fi liale della Cassa Rurale Alta Valsugana che comprende postazioni di lavoro, una sala riunioni, un angolo relax e bistrot e un piccolo balconcino dove
fare una chiamata o gustarsi una pausa caffè. Un luogo strategico per la sua posizione centralissima e per la sua versatilità: lo spazio infatti potrà essere allestito anche per serate in formative, eventi e altri tipi di attività formative e divulgative.
All’evento di inaugurazione hanno partecipato la Sindaca del Comune di Civezzano, Katia Fortarel, Paolo Cam pagnano, Direttore di Impact Hub Trentino, Flaviano Zandonai, Open Innovation Manager presso Gruppo Cooperativo CGM e Gianluca Ranno, Co-Founder di My Orango.
Per Franco Senesi, Presidente della
Promuovere crescita
Cassa Rurale Alta Valsugana: “L’aper tura, in poco più di un anno, di un quarto spazio di coworking a Civez zano, sottolinea l’attenzione che la Cassa Rurale Alta Valsugana rivolge alle crescenti esigenze nel settore del lavoro e dell’istruzione con un particolare sguardo alla sostenibilità ambientale. Il fatto che siano più di 70 le persone che hanno utilizzato i nostri spazi dall’apertura di Hub Levi co con quasi 100 ore di sale riunione
e formazione affittate dall’apertura del primo spazio, dimostra la bontà della scelta intrapresa e ci conferma l’intenzione di proseguire su questa strada con l’apertura nei prossimi mesi di una nuova struttura a Pergi ne, nella sede della neonata Fonda zione Cassa Rurale Alta Valsugana in via Maier”.
“Questo è un progetto importantis simo – ha osservato Claudio Valorz, Vicepresidente della Federazione
Cassa Rurale Alta Valsugana
Trentina della Cooperazione per il settore del credito – Un’idea, quella del coworking, nata all’interno della Federazione e che permette di met tere in atto alcune azioni virtuose: ga rantire una nuova funzione a questi ambienti e favorire un nuovo modo di interpretare il lavoro permettendo alle persone di spostarsi meno e di fruire di questi spazi per organizzare al meglio la propria vita personale e professionale”.
La scuola di Logistica a Borgo Valsugana è partita con la sua 1^ classe. Insegnanti e studenti si confrontano ogni giorno con argomenti, gestionali e strumenti digitali che potrebbero interessare anche te e aprirti un futuro di soddisfazioni personali e lavorative. Loro hanno scelto e tu?
Università Popolare Trentina è presente sul territorio provinciale con sedi ad Arco, Tione, Cles, Rovereto, Trento e a Borgo Valsugana; offrendo percorsi di studio nel settore del terziario. La strada della specializzazione è seria e ricca di traguardi.
L’offerta formativa comprende tre indirizzi di studio:
OPERATORE/TECNICO DEI SERVIZI DI IMPRESA per chi sceglie il lavoro di segreteria e contabilità
OPERATORE/TECNICO DEI SERVIZI DI VENDITA per chi è attratto dal lavoro nella promozione, vendita e marketing dei prodotti
OPERATORE/TECNICO DEI SERVIZI E SISTEMI LOGISTICI per chi si prepara al lavoro d’ufficio per gestire interventi complessi.
Gli studenti possono programmare al meglio il proprio investimento formativo, scegliendo se conseguire: la QUALIFICA PROFESSIONALE al termine del terzo anno di studi, il DIPLOMA PROFESSIONALE a conclusione del quarto, la MATURITÀ per completare gli studi fino alla classe quinta e tenersi così aperte le porte per una futura scelta universitaria.
Percorsi formativi per agricoltori nel Trentino orientale
Anche per l’agricoltura è fon damentale l’aggiornamento delle competenze professio nali. Le opportunità formative finan ziate per le aziende agricole hanno l’obiettivo di incentivare l’innovazione e lo sviluppo della microfiliera azien dale, puntando su integrazione al reddito e diversificazione delle attività, oltre che sulla valorizzazione del territorio. Agriverde-CIA srl, l’ente di formazione di CIA-Agricoltori Italiani Trentino, organizza a partire dal 15 novembre 2022 a Pergine Valsugana un percorso formativo dal titolo “La capra e la pecora: allevamento con metodo biologico”, pensato per gli operatori zootecnici e finanziato dal GAL Trentino Orientale. Il corso avrà una durata di 24 ore e si concentrerà sull’allevamento ovicaprino con focus sul metodo biologico, dalla gestione degli animali alla commercializzazione dei prodotti. A seguito di questo cor so, ad inizio 2023 sarà attivata anche un’iniziativa sulla trasformazione del latte di capra.
Sono poi aperte le iscrizioni per il corso “La gestione dell’impresa agricola”, finanziato dal GAL Orientale. In uno scenario di crisi economica e nuove difficoltà (mercato globalizzato, fenomeni atmosferici intensi, ecc.), dotarsi di competenze manageriali di base può essere una strategia utile a gestire con successo l’impresa agricola minimizzando i rischi. Il corso ha una durata di 20 ore e si terrà a Pergine Valsugana dal 6 al 15 dicembre. Il corso “Smartphone, tablet, compu ter no panico! Indicazioni pratiche che facilitano la gestione dell’azienda agricola”, organizzato a Pergine dal 7 novembre, è una risposta pratica
al bisogno di migliorare le proprie competenze informatiche. Un corso di 20 ore, finanziato dal GAL Trenti no Orientale, nel quale si imparerà a creare un account di lavoro, installare applicazioni utili ai fini lavorativi, usare mail e Pec, creare promemoria e gesti re scadenze, archiviare, come sfruttare il web per la gestione dell’azienda (es. catasto online) e nozioni di base di excel e word.
“Fattoria didattica: workshop per operatore” è invece un’iniziativa finanziata dal PSR 2014-2020 che permette di ottenere i crediti formativi come previsto dalla legge provinciale sull’agriturismo. Un percorso di 10 ore a novembre fra Trento e Lavarone, nel quale i partecipanti avranno le com petenze utili a creare o aggiornare l’offerta didattica della propria fattoria grazie all’esperienza delle Donne in Campo Trentino, da anni attive nella realizzazione di laboratori didattici per bambini e adulti.
A Baselga di Piné, a novembre, sono organizzate due iniziative formative per la valorizzazione dei prodotti e del territorio trentino, finanziate
dal Programma di Sviluppo Rurale per la Provincia Autonoma di Trento 2014-2020. La prima è “Tecniche di trasformazione della carne di suino e bovino”. Il corso, di 20 ore, è pensato per allevatori interessati a valorizzare i prodotti gastronomici tradizionali, per offrire ai clienti/turisti prodotti locali di alta qualità, da presentare nel menù degli agriturismi, da far assaggiare nelle degustazioni aziendali. L’iniziativa si terrà fra Trento e Baselga di Piné dal 2 novembre.
Una seconda iniziativa è invece il “Cor so di recinzioni tradizionali e abbeve ratoi in legno”, 24 ore programmate dal 3 al 5 novembre, che permetterà di apprendere le tecniche per saper realizzare a regola d’arte recinzioni secondo modalità costruttive tradizio nali e abbeveratoi in legno. Questi ma nufatti risultano essere vere e proprie opere di architettura rurale e caratte rizzano il paesaggio di montagna. Dettagli e moduli di iscrizione su que ste e altre iniziative (haccp, sicurezza, fitosanitari...) sono disponibili sul sito di CIA Trentino www.cia.tn.it/formazio ne o telefonando al 0461 1730489.
Caro energia, il Comune diTrento fa i conti sulla scuola: spese raddoppiate
Il rincaro dei costi legati all’ener gia non salva nessun comparto. Con l’avvio dell’anno scolastico, l’assessore provinciale all’istruzione, università e cultura Mirko Bisesti è stato chiaro: « Abbiamo stanziato 800 mila euro in più per far fronte ai rincari previsti nei prossimi mesi, soprattutto in vista del periodo in vernale quando nelle scuole supe riori bisognerà scaldare parecchio » Rispetto alle strutture scolastiche di grado inferiore invece, l’assessore ha passato la palla alle amministrazioni comunali, sottolineando come saran no loro a dover intervenire in quanto loro competenza. E rispetto a quanto previsto per le numerose scuole del capoluogo, i numeri parlano chiaro: la spesa sarà almeno doppia rispetto allo scorso anno, con aumenti vertiginosi tanto nell’elettricità quanto nella gestio ne del calore. « Stiamo ovviamente parlando ancora di dati indicativi, di previsioni e ipotesi, ma qualche informazione possiamo già darla per certa: l’impennata dei costi è evi dente – ha spiegato Franca Debiasi, dirigente del Servizio risorse finan ziarie e patrimoniali del Comune di Trento. – Se consideriamo le spese per la gestione di asili nido, scuole d’infanzia, elementari e medie, in merito all’energia elettrica parliamo di una previsione di circa 800 mila euro in più rispetto ad altrettanti 800 mila che abbiamo speso lo scorso anno: sostanzialmente, un raddoppio netto dei costi per un totale di un milione e 600 mila euro.
Discorso analogo per la gestione del calore: lo scorso anno le uscite sono state pari a due milioni e 134 mila euro, ma con l’ultimo assestamento di bilancio ed eventuali integrazioni che faremo a breve, l’idea è quella di metterne sul piatto altri 945 mila. Praticamente anche in questo caso i conti si alzeranno parecchio, superan do i tre milioni di euro » . Numeri da capogiro, ma che paradossalmente riguardano il solo comparto scola stico. La certezza che i prossimi mesi saranno durissimi dal punto di vista econo mico arriva anche dagli altri dati, quelli a livello generale, che seppure ancora preventivi (e dunque da confermare) lasciano già trapelare diverse criticità.
«Lo scorso anno, per tutte le utenze elettriche del Comune di Trento, e dunque sedi degli uffici, edifici scolastici e così via, la spesa è stata tre milioni e 200 mila euro – ha aggiunto Debiasi. – Quest’anno sono stati già previsti tre milioni in più in assestamento di bilancio, ma abbia mo messo in conto di stanziare un altro mi lione: l’energia elettrica arriverà così a toccare un picco del +120%, per un totale di sette milioni e 200 mila euro.
Per quanto riguarda la gestione del calore invece, servizio che ricordiamo essere appaltato all’esterno, rispetto ai quattro milioni che storicamente abbiamo sempre pagato quest’anno abbiamo inizialmente inserito nello scostamento di bilancio 100 mila euro in più, ma anche in questo caso ci sarà un “rinforzo”: stiamo parlando, con tutta probabilità, di un milione e 800 mila euro in più, quindi quasi sei milioni di euro. Oltre il 50% della spesa “classica” »
E’ terminata la seconda estate più calda di sempre
Dal punto di vista meteorolo gico l’estate è terminata il 31 agosto, possiamo quindi tirare le conclusioni dopo diversi articoli che hanno sempre evidenziato quanto sia stata calda e siccitosa.
Il primo report che ha analizzato l’estate 2022 è quello del Cnr/Isac, per l’Italia, da cui emerge un’anomalia di temperatura di ben +2,06°C (vedi fig.1) rispetto al trentennio climatologico di riferimento 1991-2020. L’estate 2022 è stata la seconda più calda dal 1800 (dall’inizio delle rilevazioni disponibili), in “cima” rimane sempre quella del 2003 con un’anomalia di temperatu ra di +2,58°C (mezzo grado in più di quest’anno). Non si pensava che potes se ripresentarsi in così breve tempo (19 anni) un’estate così calda. L’estate più fredda fu quella del 1816 con un’ano malia di -5,04°C, in pratica 7,1°C più fredda di quella di quest’anno. Dalle analisi del Cnr/Isac risulta anche che il periodo gennaio agosto 2022 è stato il più caldo di sempre per l’Italia sempre dal 1800.
Il grafico di fig. 2, sempre del Cnr/Isac ci mostra invece l’andamento delle preci pitazioni per l’Italia intera confrontato con il trentennio 1991/2020, anche in questo caso siamo ben lontani dai valori medi con un deficit pluviometri co notevole.
A livello planetario come è andata? L’agenzia statunitense NOAA ci dice che l’estate 2022 è stata la quarta più calda di sempre dopo 2019/2020 e 2021 peraltro con differenze di anoma lia minime rispetto a questo triennio, l’anomalia dell’estate 2022 è stata di +0,89°C (vs +0,93°C del 2019, +0,92°C del 2020 e +0,90°C del 2021) rispetto al periodo climatologico di riferimento 1901/2000. E a livello locale? Meteo trentino ha confermato che anche per il Trentino l’estate 2022 è stata la più calda da quando esistono rilevazioni dopo quella del 2003. Tuttavia alla sta zione di Trento Laste si sono registrati in assoluto più giorni con temperature massime superiori a 30°C (65 giorni, mentre il 2003 si era fermato a 64). La temperatura media a Trento è stata
di +24,8°C, superiore di 2,7°C alla me dia storica ma comunque inferiore di 0,1°C al valore record dell’estate 2003, stesso discorso a Castello Tesino dove la media è stata di +19,6°C, +2,4°C rispetto alla media storica ma inferiore di 0,6°C al valore record dell’estate 2003 di +20,2°C. Le precipitazioni in Trentino sono state disomogenee nel corso dell’estate ma ad ogni modo in tutte le località analizzate non è stata sicuramente l’estate più siccitosa, ad esempio a Trento sono caduti 266,6 mm in linea con la media storica di 268,3 mm, ben superiori all’estate 1928 quando caddero solamente 115,4 mm, stesso discorso vale per Castello Tesino dove sono caduti 348,2 mm a fronte di una media di 377,9 mm e ben superiori ai 204,2 mm dell’estate 1978. Come ho avuto modo di scrivere nei precedenti numeri il problema più grosso per la nostra provincia e in genere per gran parte del Nord Italia e non solo, sono state la scarsità di precipitazioni nell’in verno/primavera scorsa e soprattutto la scarsità di neve in quota.
FRANCO CHILETTO, un pittore prestato al fumetto
Francesco (Franco) Raffaele Chiletto è fra i principali illustratori del Novecento italiano. Un artista a 360°. Pittore, illustratore e fumettista, Francesco Chiletto nasce a Torcegno in Valsugana il 31 marzo del 1897 da Cirillo e Giuseppina Eccheli. Il padre Cirillo è il falegname del paese e la famiglia abita al primo piano di una casa di proprietà nei pressi della chie sa. Al termine degli studi elementari il giovane Chiletto inizia a lavora nella falegnameria paterna. Nel maggio del 1915 è chiamato alle armi e vive in prima persona l’incubo della Grande Guerra. Nel primo dopo guerra, nel 1921, ottiene l’incarico per il restauro della Chiesa della Madonna dell’Aiuto. Ed è proprio in questo pe riodo che inizia la sua avventura nel mondo dell’arte frequentando l’ac cademia di Brera e nel 1927 iniziano ad apparire le sue prime illustrazioni pubblicate sul settimanale cattolico Pro familia.
L’incontro con il mondo dell’editoria italiana e dei fumetti avviene nel 1936 sul settimanale Jumbo pubbli cato dall’editore Vecchi. Chiletto, come scrive l’eseperto e studioso Fabio Trevisiol, nel libro «Fu metto! 150 anni di storie italiane», (a cura di Gianni Bono e Matteo Stefa nelli, Rizzoli, 2012), è stato un pittore prestato al fumetto. «Chiletto – scrive sempre Trevisiol- è stato innanzitutto un pittore, sia in termini di vocazione artistica sia per il tempo materiale dedicato negli anni a questa attività. Lungi dall’essere un freno, questa passione gli ha permesso di lascia re un segno anche nel mondo del
fumetto».
Nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, inizia a pubblicare sulle pagine del Vittorioso la saga storica Andus e poi nel 1939 il fumetto Alla conquista di un impero (illustrazio ne dell’omonimo romanzo di Emilio Salgari). Per quanto riguarda Andus, si tratta di una delle sue opere più famo se e meglio riusci te. Scrive sempre Trevisiol: «Fedele alla propria origine di pittore, decide di utilizzare il pennello anziché il pennino. Il risultato è un effetto dipinto che, pur soffrendo una certa staticità, ha il vantaggio di ottenere con un’unica pennellata linee diverse, affianco tratti fini ad altri più spessi e modulati». Numerosi sono i suoi lavori: La freccia vermiglia, Gli sparvieri del mare, La rivincita di Santamaura, L’esplorato re di ferro. Per L’Audace pubblica: Il piccolo filibustiere. Per Jumbo Gli eroi dell’aria e per Rintintin Andus la sua opera migliore. Per Il Vittorioso La mia avventura tra gli Arussi. L’elenco è lungo perché per Paperino è la La spada dei giganti e per L’avventuroso Il Corsaro Nero, pubblicato nel 1946 sugli Albi Salgari. Nel secondo dopoguerra Chiletto
prosegue la sua attività nell’universo del fumetto italiano, riscuotendo un grande successo, grazie alla sua seconda produzione salgariana, tra il 1946 e il 1948, con il “ciclo dei corsari” sul settimanale Salgari. La sua ultima produzione è Battaglia sulla laguna, per il Vittorioso, nel 1957 Accanto alle committenze come illu stratore e fumettista, Chiletto realizza, a partire dal 1944, opere pittoriche religiose per le chiese di Torcegno, Telve, Ronchi, Albaredo di Vallarsa e Bosco di Civezzano. Negli stessi anni realizza anche dipinti a carattere devozionale e molte opere per amici e compaesani.
Chiletto muore nel 1976 all’età di settantanove anni.
LA BAMBINA ABBANDONATA DALLE STRGHE
Siamo a Levico Terme, in un passato non bene definito. E al centro di questa vicenda, come spesso accade nel panorama fantastico della Valsugana, abbiamo le streghe. E sì.. le streghe dominano il mondo delle leggende trentine. Un tempo Levico si trovò al centro di un caso alquanto strano e insolito: una bambina fu abbandonata dalle streghe. Era la primavera di molti... molti anni fa ed era giunto, per molti abitanti di Levico, il tempo di pianta re fagioli. Un bel giorno un’anziana signora, in compagnia della piccola nipotina, si recò proprio nel suo orti cello con un bel sacco pieno di semi. «Ora inizio a lavorare nell’orto -disse la nonna alla piccola nipotina. Rima ni qui vicina affinché possa vederti, non allontanarti nel bosco. E dato che fa molto caldo rimani a giocare all’ombra degli alberi. Però... rimani qui vicina». La piccola ovviamente obbedì e l’anziana signora iniziò a lavorare nel campo. Dopo un paio d’ore la nonna disse ad alta voce: «bene, per oggi ho finito. Possiamo tornare a casa». In quel mentre si voltò e ...stupore... la bambina era sparita. Spaventata e preoccupata iniziò a cercarla urlando il suo nome, ma niente..la piccola era sparita... scomparsa nel nulla. La nonna decise quindi di tornare in paese e avvisare la popolazione. Dopo qualche ora iniziarono le ricerche. Tutti in paese si diedero da fare per cercare la piccola scom parsa. Furono setacciati i boschi e i campi. Anche le vallette selvagge e le campagne lontane erano state battute dagli abitanti di Levico. Ma
della piccola nemmeno una traccia.
I genitori ovviamente furono colti dalla disperazione. Verso sera, però, successe qualcosa di strano... di vera mente strano e inatteso. Mentre alcuni uomini stavano in piazza a discutere sulla misteriosa scomparsa, uno di loro alzando lo sguardo, per caso, verso una rupe esclamò con stupore: «guardate lassù...ai piedi della rupe...la vedete? Eccola..è proprio lì la piccola bam bina scomparsa». Immediatamente i giovani più robusti e prestanti si avviarono verso la rupe. Giunti sulla cima organizzarono una cordata per recuperare la piccola. Uno di loro si calò riuscendo a prendere la bambi na spaventata e in lacrime.
«Ma cosa è successo? - chiesero i su bito i genitori. Come hai fatto a finire lassù?». «Sono stata rapita da una giovane donna -rispose la piccola. Mentre ero nell’orto con la nonna, una giovane e bella dona è venuta e mi ha avvolta in un fagotto por tandomi via con sé. Con me è stata molto buona e gentile. Mi ha dato da mangiare pane d’oro e tante..tan te mele, ma poi mi ha abbandonata lassù dove mi avete trovata».
I genitori e gli abitanti di Levico capirono subito. «È stata una strega a combinare questo scherzo -disse subito il padre». Da qual giorno la piccola fu soprannominata «la bam bina abbandonata dalle streghe».
ALTA ENERGIA
Cassa Rurale Alta Valsugana. Altamente tua.Siamo orgogliosi di sostenere le energie umane presenti sul nostro territorio. Le energie delle associazioni sportive, culturali ed artistiche. Persone che con impegno e passione operano a favore della crescita sociale della nostra comunità. Alta Energia, Alta Valsugana.
Economia, società e finanza
IO SPERIAMO CHE LA BORSA SALE
Ottobre è il Mese dell’Edu cazione finanziaria ed anche quest’anno la Cassa Rurale Alta Valsugana, da sempre impegnata nel fornire l’adeguato supporto all’alfabetizzazione finanziaria dei giovani e di tutta la comunità, ha promosso la realizza zione di due eventi di formazione ed informazione sul tema della pianifi cazione finanziaria rivolto ai giovani lavoratori, agli studenti degli istituti superiori e dell’università ed a tutta la cittadinanza. Le iniziative – grazie alla collaborazione con il Comu ne di Pergine Valsugana che ha patrocinato l’evento, con il supporto della Consulta Giovani comunale e dell’Istituto di Istruzione Superio re “Marie Curie” – sono coordinate anche dalla Fondazione Cassa Rurale Alta Valsugana e dall’asso ciazione Cooperazione Futura Partendo dal successo delle fruttuo se esperienze maturate nel corso delle precedenti edizioni del Mese dell’educazione finanziaria e della Global Money Week che hanno sempre ricevuto il prestigioso patrocinio del “Comitato per la programmazione e il coordina mento delle attività di educazio ne finanziaria”, la Cassa Rurale Alta Valsugana si propone di affrontare in
modo semplice ed allo stesso tempo esaustivo le tematiche relative alla finanza, alla pre videnza complementare e alle innovazioni apportate dal digital banking
Gli incontri previsti per venerdì 28 ottobre preve dono una sessione mattutina dedicata a tutti gli studenti delle classi quinte dell’Istitu to Superiore “Marie Curie” di Pergine Valsugana e di Levico Terme e, nel pomeriggio, un evento aperto al più vasto pubblico nel novero delle iniziative per l’inaugurazione della nuova Biblioteca Comunale di Pergine Ospiti d’eccezione della giornata, Manuela Donghi, giornalista econo mica e volto noto come conduttrice televisiva ed Enrico Gei, trader ed analista finanziario, accompagnati da alcuni gestori finanza della Cassa Rurale Alta Valsugana. I relatori sono anche gli autori del volume “Io speriamo che la borsa sale” (Mursia Edizioni) – titolo mutuato dal più noto libro “Io speriamo che me la cavo” – e dedicato proprio all’alfabe tizzazione finanziaria. Uno strumento che, con un linguaggio semplice – a tratti anche divertente – ma allo stes so tempo rigoroso nell’analisi, aiuta
a migliorare la comprensione del complesso mondo legato alla finanza e alla previdenza complementare.
“Prendendo spunto – sottolinea il Presidente della Cassa Rurale Alta Valsugana Franco Senesi – dal tema al centro di questa edizione “Costruisci oggi quello che conta per il tuo futuro”, ci siamo prefissati l’obiettivo di proseguire nell’opera di sostegno alla formazione di studenti e giovani lavoratori per agevolare una maggior consapevolezza nelle future generazioni della necessità di raggiungere un adeguato standard conoscitivo della complessa materia, di provvedere ad una coerente piani ficazione finanziaria e di integrare gli studi scolastici anche con le opportu nità conseguibili attraverso il corretto utilizzo del mondo legato alla transi zione ecologica e digitale”.
Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria
Istituito nel 2017, il Comitato è composto da undici membri selezionati tra personalità con comprovate competenze ed esperienza nel settore. Le Istituzioni che ne fanno parte sono: Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dello Svi luppo economico, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, Banca d’Italia, Consob, Covip, Ivass, Organismo
Consumatori e degli Utenti.
UNA VILLA, UN CONVENTO, UNA STORIA
Sulla collina di Tenna, in località. Campolongo, sul versante che domina il lago di Caldonazzo, è situato lo storico Maso Valdagni, un insieme di tre edifici, due molto rimaneggiati, che insistono sulle strutture di un vecchio convento dei Padri Carmelitani Scalzi. Si trattava di una residenza estiva dei religiosi, nella quale i frati, circa una decina in base alla dimensione dei locali, passavano la bella stagione organiz zando i raccolti della campagna che circondava il maso, un’area di più di dieci ettari, digradante verso il lago di Caldonazzo.
L’edificio a sud è probabilmente l’edificio più antico. Sopra l’architrave di pietra, all’ingresso del Convento, è incisa la data di arrivo della Comu nità a. 1560 e sotto l’iscrizione latina “Sedibus his imbri soleque tutus eris” che significa “Entro questa casa sarai riparato dalle acque e dal sole”. E’ stato pesantemente rimaneggiato per tra sformarlo prima in un edificio adatto a rimessa e poi abitazione agricola. Negli anni cinquanta è stato adattato a residenza turistica, il che ha compor tato l’abbattimento delle volte della chiesetta che ad esso si accompagna va. La cappella era sufficiente per of ficiare le funzioni religiose per periodi brevi. Era dedicata a San Giuseppe, tenuta in buono stato di conserva zione come confermato dal decano perginese Tecini in visita a Tenna il 6 settembre 1840. Poi passata la pro prietà dai Carmelitani ai Valdagni; le funzioni e lo scopo religioso dell’edi ficio sono ovviamente venuti meno e il Vescovo di Trento Endrici nel 1911 decise di sospendere ogni attività religiosa nell’ex convento. La famiglia
Valdagni donò quindi l’altare in marmi policromi, dotato della statua della Madonna e S. Giuseppe e pala olio su tela raffigurante S. Antonio abate, alla chiesa dei Masetti di Pergine, nel 1929, dove tuttora si trova. L’edifico a ovest era in origine costi tuito da due stalle (una per animali di grosso taglio e una per maiali) che sono ancora individuabili nella struttura totalmente nuova che si può vedere oggi. La stalla grande, probabilmente del XVI° secolo è stato utilizzato sino agli anni settanta. Ospitava sia buoi da lavoro sia animali da carne. La stalla piccola veniva usa ta fino agli anni sessanta. La struttura era completata da fienili, più volte rimaneggiati ed ampliati. Negli anni sessanta era stata aggiunta un’ ampia rimessa. Il tetto sino a una dozzina di anni fa era di lastre di ardesia come gli altri due edifici. Ora dopo una to tale ristrutturazione ad abitazioni civili è di tipo convenzionale. L’edificio a est è la Villa Valdagni. An tichi documenti, ora trafugati, parlano di un acquisto da parte della Fami
glia Valdagni di Pergine nel 1636. Si tratta di una residenza signorile la cui struttura attuale riveste caratteristi che settecentesche. Presenta tutt’ora essenzialmente le caratteristiche originali, tra cui: una edicola per due campane sul tetto. Le campane erano originariamente del secolo XVIII°, come da documenti, di origine sud tirolese. Alcuni pavimenti sono anco ra ben conservati sia in maiolica che in ardesia. Sulla facciata esterna sono visibili pitture non originali, e una meridiana risalenti agli anni ‘60 del se colo scorso opera del pittore Ochner; gli stipiti di finestre e portoni sono in pietra rossa di Trento bocciardata a mano e sopra sono presenti delle fi nestre di forma ovoidale, tipiche delle altane locali, I soffitti in volti a botte e le pareti perimetrali con uno spessore di un metro; dal terrazzo una meravi gliosa vista sul lago di Caldonazzo e sul sottostante giardino di pertinenza, con tante piante marittime quali palme ecc., che conferiscono all’e dificio una atmosfera di tipo medi terraneo. I terrazzamenti sono stati
Paese che vai
ridisegnati negli anni ’50 del secolo scorso dall’architetto Efrem Ferrari di Calceranica.
Dal punto di vista storico, non si è potuto rinvenire documentazione archivistica relativa al Convento, tranne che un indicazione precisa tratta dal manoscritto “ Tenna cenni storici” dell’allora sindaco Enrico Malpaga, che riferisce che “nel 1672 i comunisti di Tenna rinunciavano al diritto di pascolo a Campolongo a favore dei R.R. Padri Carmelitani del convento delle Laste di Trento vedi documento firmato dal Rev.do Padre Vitale Pietro Polacco Procuratore e Giacomo Fachei, sindaco di Tenna.” La proprietà dell’edificio e dei terreni circostanti in capo all’ordine religioso indicato è quindi riconfermata anche in documenti pubblici, fin dal 1600, indi alla Famiglia Valdagni ed alla famiglia Alessandrini.
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LA LUPA DEL LAGORAI
Nostra intervista a Marco Martalar, scultore della Lupa (e del Drago) di Vaia
“L
upa del Lagorai: finita!”, così, il 5 settembre ’22, Marco Martalar ha dato la notizia sui social della realizzazione della sua ultima opera. Una gigante sca lupa, immersa in un panorama mozzafiato a Vetriolo (frazione di Levico Terme), a circa metà strada tra il “Maso al Vecchio” e il “rifugio Malga Masi”.
Per la maggior parte delle persone Marco è lo scultore che ha scolpito il “Drago di Lavarone”. La materia prima, per entrambe le opere citate, è del tutto particolare e originale: Marco, difatti, utilizza solo gli scarti di Vaia. Le sue opere sono sparse per tutto il Nord Italia. Due sculture si trovano anche nel Palazzo delle Albere. Tra gli altri, anche Vittorio Sgarbi si è interes sato delle sue creazioni.
Grazie ad una visita casuale in quelle zone, ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere Marco. Con l’occasione abbiamo scambiato qualche parola. Come ti è nata la passione per la scultura?
“È una passione che è vecchia quasi quanto me. Ho cominciato da bambi no e non ho più smesso”. Hai cominciato da subito con il legno?
“No, inizialmente mi sono appassio nato al disegno. Poco tempo dopo però ho sentito il desiderio di passare a qualcosa di più tangibile, e da lì mi sono subito orientato sul legno”. E l’idea di utilizzare gli scarti di Vaia come ti è nata?
“L’idea è maturata nei mesi successivi a Vaia. Inizialmente ho cominciato a scolpire alcuni resti degli alberi, come i tronchi, le radici o piccoli rami; dopodiché, vedendo così tanti pezzi
per terra, ho pensato di costruire qualcosa di più grande, in modo da poter esprimere qualcosa di monu mentale”.
Come scegli i pezzi da usare?
“I pezzi che scelgo sono le radici che si strappano, che formano delle “sciabole” per capirsi. Di solito vado nel bosco e cerco di raccoglierne il più possibile, poi faccio una cernita e vedo quali sono i pezzi che si inca strano meglio nel mio disegno”.
Come mai hai scelto di rappresentare una lupa?
“C’è questo ritorno del lupo nelle
nostre zone, nel bene e nel male. Se ne può parlare ovviamente, ma a prescindere da qualsiasi giudizio è innegabile che dobbiamo imparare a conviverci. L’opera vuole farci notare uno dei cambiamenti che attraversa il nostro territorio. Pensiamo ai cambia menti climatici, che possono portare a dei disastri come quello di Vaia, e poi pensiamo anche ai grandi ritorni, come quello del lupo per l’appunto.
Siamo sempre noi che dobbiamo imparare ad adattarci al nuovo che arriva nel mondo”.
Quanto ci è voluto per realizzar la?
“Il lavoro fisico sul posto è durato esattamente due mesi. Ma poi a questo va aggiunta tutta la parte burocratica, tutti gli accordi necessari, il progetto. È stato un lungo lavoro insomma”.
E quanto è grande? Rapportato al tuo famoso “Drago” le dimensioni sono simili?
“La lupa è alta 6 metri, e lunga più di 5. Rispetto al Drago l’altezza è la stessa, solo che quest’ultimo sfrutta le ali che vanno in alto sino ai 6 metri, mentre il lupo è molto più imponen te e massiccio”.
Proprio qualche giorno fa stavo passeggiando sulla Panarotta e ho avvistato due lupi poco distanti da me, non è che magari la tua opera li attira e che quindi è “colpa” tua?
“Ma magari hai visto due lupi in fuga, perché vedendo un loro simile di siffatte dimensioni potrebbe anche darsi che prendano paura. Se così fosse di certo farei contento qualche allevatore…”.
Pensi che la Lupa potrà avere lo stesso successo del Drago?
“Direi che ci suono buoni propositi, Marco (gestore del rifugio di Malga Masi, ndr) mi ha detto che negli scorsi weekend ha visto passare già molti visitatori. Poi ovviamente non si può mai sapere, il successo del Drago è stato qualcosa di eccezionale e imprevedibile”.
E di questo successo a Lavarone
eravamo
di casa nostra
sono stati tutti felici?
“Inizialmente sono andati tutti in crisi. Il paesino era piccolo, e non c’erano parcheggi. La zona è stata veramente presa d’assalto. Poi col tempo si sono organizzati, e hanno sfruttato bene il grande afflusso di gente. Qui a Vetriolo la situazione è un po’ diversa, la Lupa è facilmente raggiungibile con una breve camminata e ci sono alcune zone di parcheggio”.
Quale ritieni che sia la tua opera migliore?
“La prossima”. Colgo la palla al balzo: qual è la tua prossima opera?
“Questo non posso svelartelo. Ti posso solo dire che è un’opera per un privato, ma che sarà comunque pubblica, si tratta di un’azienda e Ti svelo solo che sarà in Trentino, mentre quella dopo ancora sarà in Lombardia”.
IL METAVERSO opportunità ineludibile o distopia orwelliana?
Il
Metaverso: un nome che a molti fa paura, a molti genera ansia, a molti alimenta speranze: ma cos’è in realtà, o, per meglio dire, cosa si cela dietro questo termine oscuro ai più? Riportiamo la citazione del numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, pronunciate all’ormai ce lebre conferenza Connect di ottobre 2021: «Siamo all’inizio di un nuovo capitolo dell’era di internet». Diciamo subito, per prima cosa, che parlare di metaverso oggi è un po’ come parlare di internet negli anni Settanta. Il compito diventa più complicato se iniziamo a considerarlo non più come una specifica tecnologia, bensì come la nostra modalità di relazionarci con la tecnologia stessa: come un model lo che potrebbe mutare, in peggio o in meglio, la nostra società. In estre ma sintesi, il metaverso è una sorta di realtà che si sovrappone al mondo fisico, permettendo agli utenti di interagire in modo artificioso e par tecipare a eventi vari. Questa espe rienza è resa possibile da un insieme di tecnologie: realtà aumentata (cioè quella che arricchisce, per meglio
dire, aumenta di elementi virtuali la nostra visione), realtà virtuale (cioè quella interamente digitale) connes sione superveloce 5G.
Tuttavia, non è nemmeno la somma di questi componenti. E’ un modo di intendere il virtuale.
Esempi attuali di uso del Meta verso.
Come abbiamo dovuto vedere,
specie per le riunioni coi colleghi, a volte ci si collega a piattaforme come Zoom, restando seduti alla propria scrivania e scrutando i rettangoli ni con le loro facce inquadrate da una webcam. Una modalità che ha aiutato milioni di aziende durante il lockdown, ma che risulta anche mol to stancante (a dirlo sono i ricercatori del MIT). Con il Metaverso ci si potrà dare appuntamento in una stanza virtuale, popolata da avatar. E non è fantascienza.
Per non parlare della realtà aumen tata già in uso nei vari giochi virtuali (es i videogiochi Horizon Worlds e Fortnite) che è molto simile a ciò di cui si intende quando si parla di Me taverso. Anche il lavoro sarà una via d’accesso che porterà molta gente nel Metaverso, per pura e semplice necessità. “Soluzioni” lavorative in modalità metaverso richiederanno l’acquisto di un visore per realtà virtuale e la creazione di un avatar. L’idea che c’è dietro è che vedere la versione “filmica” del volto dei nostri collaboratori aumenterebbe la nostra produttività.
SERVIZIO A DOMICILIO
ANORESSIA E SOCIAL, GIOVANI IN CHAT Attraversare uno spazio online pro-Ana
Il fenomeno Thinspiration (ispi razione alla magrezza) rischia di incastrare nella rete milio ni di adolescenti. Esistono oltre 300.000 siti pro-Ana (pro- Anoressia), che danno consigli pratici su come perdere peso, ricorrendo a pratiche di restrizione alimentare prolungata e ossessiva. Lo afferma Maria Rizzotti, Senatrice impegnata alla lotta contro i disturbi alimentari. Quanto è facile at traversare uno spazio online di questo tipo? La risposta è sorprendente. Oggi, i disturbi alimentari corrono sui social. Pro-Ana è una comunità virtuale, dove i giovani chattano, si raggruppano e si scambiano consi gli, cercano sostegno e metodi, per raggiungere una magrezza estrema. In questo spazio online l’anoressia è un ideale e un obiettivo di vita. Un nume ro massiccio di giovani, ricerca questo tipo di community. Venire a contatto con un gruppo pro-Ana o con i suoi contenuti non vuol dire diventarne necessariamente vittima, ma il peri colo è alto. Vent’anni fa l’istigazione al disturbo alimentare correva nel web, tra siti e blog, immagini e forum, oggi, i social network, mezzi interattivi per eccellenza, hanno preso il testimone in questa staffetta malata. Infatti, molti thinstagrammers, utenti pro-Ana, hanno rivolto l’attenzione ai social. Come accedere alla comunità? Il web è il punto di partenza. La ricerca in Google è complessa. Quindici anni fa bastava un hashtag per trovarli. Negli ultimi tempi gli inter net service provider hanno bloccato e oscurato i siti istigatori, ma con un po’
«Aiuterò tutte voi a diventare perfette, faremo le cose insieme». (benvenuto di un utente pro-Ana sul suo canale social)
di attenzione i blog e i forum pro-A noressia sono facilmente reperibili da chiunque. Ogni giorno si camuf fano: basta evitare certi termini, pubblicare disclaimer e il materiale diventa “innocuo”. Le utenti, spesso, di giovanissima età, aprono canali in continuazione. È facile raggiungere questi spazi, leggere i dialoghi in chiaro tra i partecipanti, avere uno scambio online nei forum e lasciare un proprio contatto. Da un blog al gruppo WhatsApp il passo è breve. Invece, di fronte a un social è ancora più semplice trovare un contenuto pro-Ana e un gruppo disposto ad accettarci. Servono pochi minuti. Termini e App giuste aprono un’infinità di porte chiuse. Un fenomeno, vestito da digitale, nascosto in chat chiuse. Instagram, dove l’immagine è al primo posto, incoraggia un confronto sociale basato su foto spesso ritoccate, è il più popolare per contenuti visivi e hashtag. In questa piattaforma l’attività pro-Ana si nasconde in hashtag ben mascherati e costruiti. Esistono App più fresche, molto utilizzate dai ragazzi, in cui basta un “cancelletto” semplice o una richiesta per ricevere risposta immediata dal social. “Hai bisogno di aiuto”. Segue la voce “continua”. È fatta sei dentro. Appare un universo di foto #Thinspo, abbreviazione di Thin spiration. Immagini motivazionali di ragazze magrissime. Post, suggerimen ti e metodi pratici per raggiungere la magrezza estrema. È solo la prima pa
gina, perché per accedere alla comu nità non è sempre facile. Sono quasi tutte ragazzine, ma ci sono anche ragazzi e qualche maggiorenne. Spes so è necessaria una presentazione: nome o nickname, età, altezza, peso attuale e obiettivo, una foto dello stato attuale. Una volta entrata, appare un decalogo di comportamento pro-Ana utile a raggiungere l’ideale estetico, e ti accorgi, da subito, che sarai tem pestata di messaggi motivazionali, richieste fotografiche per documenta re i progressi, resoconti puntuali delle giornate trascorse a contare calorie e combattere con gli specchi e con le bilance di casa. Conquistata la fiducia del gruppo, la chat è aperta e il peso da abbattere diventa una sfida con sé stessi e la community. Sui gruppi social pro-Ana è costante il monitorag gio delle forze dell’ordine, ma la lotta all’istigazione all’anoressia è aperta e spesso i genitori non lo sanno.
LA CRESCITA EMOTIVA
La maggior parte dei geni tori d’oggi è molto attenta ai bisogni dei propri figli. Le mamme e i papà hanno saputo imparare dal passato, hanno saputo diventar coscienti e si sono formati su come si sviluppa un bambino emotivamente e cognitivamente. I bambini non sono dei piccoli adulti, acquisiscono le abilità e competenze per tappe. Sfortunatamente non tutti sono così attenti e quindi possono mettere in atto dei comportamenti o delle comunicazioni che potrebbero alterare un buon sviluppo psicofisico. La riuscita di un rapporto educativo passa dalla comunicazione, dal modo in cui ci esprimiamo con i figli. Se riusciamo ad impostare una relazione sincera, aperta e senza giudizio riusci remo ad accompagnarli nel loro svi luppo in modo funzionale. L’ambito emotivo è pieno di tappe e difficoltà, riuscire a stargli accanto, guidarlo nella gestione delle emozioni non è una cosa semplice, ma fondamenta le perché diventino adulti capaci di viversi questo settore con tranquillità, empatici e consapevoli. Lo so perfettamente che la sfera emotiva è una di quelle cose che potrebbe mettere in crisi il genitore, ma dobbiamo per forza farci fronte. Cominciamo col fissarci in testa un concetto, non possiamo decidere noi quale emozione debba provare il nostro bambino, noi come genitore possiamo solo accompagnarlo/ aiu tarlo a gestirle soprattutto le emozio ni spiacevoli ed volte dirompenti. Il nostro compito è quello di permet tere al minore di esprimersi in sicurez za in un dialogo con noi aperto e non giudicante. Questo perché solo in questo modo potremo star sicuri che nel momento del bisogno ritornerà
da noi. Ricordate che più il legame genitore-figlio è una relazione dove se si sente sicuro più acquisterà lui stesso sicurezza e voglia di autono mia.
La capacità di ascolto di un geni tore diventa quindi fondamentale, così come quella di ac cogliere le emozio ni. Dobbiamo permettere al bambino di esprimere il suo stato emotivo per quanto spiacevole e dall’altra dobbiamo stare moto attenti perché senza accorgerci potremo cercare di condizionarle. Di seguito vi faccio degli esempi per rendere un po’ più concreto questo argomento, sono esempi che vanno a sollecitare diver se emozioni o sentimenti ma che se costantemente attivate potrebbero influenzare lo sviluppo psicofisico del bambino.
Tutti gli esempi che vi faccio, ribaden do che son sicura che nella maggior parte venga fatto in modo incon sapevole, sono esempi in cui si di cercare di bloccare l’emozione spia cevole condizionandola a qualcos’al tro . Quante volte abbiamo sentito o detto “se continui a piangere, non ti compro il gelato”. Questa semplice affermazione in realtà passa il mes saggio al bambino che quella emo zione è sbagliata, che non dovrebbe provarla, ne manifestarla, ma nessuna emozione è sbagliata.
Altro esempio è quello di condizio nare quello che il bambino prova con l’amore che il genitore ha verso di lui o viceversa. “ Se continui a fare così, la
mamma non ti vuole più bene” oppu re “Se fai così, il papà piange”.
Queste sono frasi che spesso e vo lentieri vengono dette da un genitore stanco e che non sa come gestire
quel tipo di situazione, ma è giusto essere consapevoli che non è l’unico modo di guidare quella situazione e che soprattutto se nel breve termine quella frase può avere come effetto quello di far smettere il bambino con quell’azione che tanto ci da fastidio, dall’altra nel medio e nel lungo termi ne gli effetti saranno altri. Le emozio ni soffocate troveranno il modo nel tempo di manifestarsi, e lo faranno magari in modo prepotente, magari prendendo forma nel corpo. Quanti di noi soffrono di mal di stomaco, o orticarie da stress tanto per fare degli esempi.
Le emozioni vanno vissute, sperimen tate e non giudicate. E’ importante far capite al bambino che esistono e che è naturale provarle e che l’importante è trovare un modo funzionale per esprimerle.
Dott.ssa Erica Zanghellini
LA COMPAGNIA D’ARME LUPORUM FILII
L’Associazione Compagnia
d’Arme Luporum Filii di Levico Teme è un gruppo di rievocatori storici nato nel 2011 con l’intento di rappresentare usi, costu mi e stile di vita del XII-XIII secolo. È un›associazione composta principal mente da giovani ragazzi provenienti non solo dal Trentino, ma anche dal Veneto e dalla Lombardia.
Il suo scopo è quello non solo di incuriosire gli spettatori e far loro assaporare l’atmosfera di quel tempo così lontano, ma di coinvolgerli atti vamente nella rievocazione di quel mondo. Un mondo facile da imma ginare nei suoi romantici contorni, ma difficile da inquadrare nei suoi dettagli più concreti, ripulendolo da pregiudizi e mistificazioni. L’associa zione crede sia interessante cercare di aumentare le conoscenze su questa realtà, appassionando il pubblico con particolari e curiosità, allestendo an che un accampamento con mobilia ed esposizione di arcieria, armi, mo delli di macchine d’assedio e tessitura con telai a tavolette.
Didattica e dimostrazioni
Il gruppo, per promuovere la cono scenza del medioevo, nel suo aspetto bellico e non solo, si propone di inserire durante la normale vita da campo momenti di didattica riguardo i giochi medievali, la storia dell’arco e tiro con l’arco, le armi e la scherma storica, la tessitura e le macchine d’assedio. I membri del gruppo si esibiscono, durante le manifestazioni, in combattimenti con vari tipi di armi dell’epoca rappresentata e in prove di abilità nell’uso dell’arco, in modo da
poter rendere dal vivo ciò che viene esposto durante la didattica.
Arcieria e scherma
Sotto la supervisione di due istruttori certificati CSEN, riconosciuti CONI, l’associazione propone al pubblico la possibilità di provare a scoccare al cune frecce e di impugnare la spada, quando e dove i luoghi lo rendano possibile in totale sicurezza. L’associa zione fornisce anche lezioni e corsi CSEN di tiro con l’arco al di fuori del contesto rievocativo, per singoli o gruppi.
Giochi
Durante le rievocazioni l’associazione propone rappresentazioni di partite di Kubb e Cornhole, giochi da campo di origini rispettivamente norrene e germaniche, a cui far partecipare
in modo attivo anche il pubblico. Il pubblico dispone anche di numerosi giochi da tavolo.
Nel mese di agosto l’associazione ha animato i Ludi Palatini, il primo torneo in abito storico medioevale dei giochi da campo Kubb e Cor nhole.che si è svolto all’interno della proprietà privata di Castel Ivano, imponente struttura la cui parte più antica è stata eretta tra l’XI e il XII secolo d.C. si è tenuto il primo torneo in abito storico medioevale dei giochi da campo Kubb e Cornhole. Il primo è un gioco di origine norrena ancora praticato nel nord Europa, mentre il secondo di origine germanica datato XIV secolo.
L’accampamento medievale è tato animato da compagnie provenienti dal Trentino, dal Veneto, dall’Emilia Romagna, dalla Lombardia con alcuni
ospiti francesi. C’era un campo per il tiro con l’arco storico, dedicato alla prova per il pubblico, per adulti e bambini, gestito dalla compagnia trentina Gualdana del Malconsiglio che si è anche proposta in combat timenti di scherma storica. Non è mancato il mercato con oggettistica strettamente legata al medioevo o
prodotti di sua derivazione, piccoli labora tori per bambi ni, musiche e letture recitate, tra amor cor tese, miracoli, pellegrinaggi e crociate. A Ivano Fracena c’era anche il velario di “La Fenice falco neria”, prove niente da Maserà di Padova, che offre, da oltre 10 anni, dimostrazioni di tecniche di arte venatoria ed esposizione di rapaci, sia in chiave moderna che rievocativa. È stato possibile vedere 12 rapaci e cono scerli da vicino, interagendo con essi e tenendo un focus durante tutto la
Fatti storici di casa nostra
permanenza in campo su biologia ed etologia, nonché conservazione delle specie autoctone. Durante lo spettacolo di volo libero sono stati spiegati i comportamenti dei diversi esemplari in base anche alle peculia rità della specie di appartenenza e la loro attitudine alla collaborazione con l’uomo; anche durante l’esibizione il pubblico ha avuto la possibilità di in teragire direttamente con gli animali, in presenza del falconiere. L’intenzio ne è stata quella di sensibilizzare al ri conoscimento e alla tutela dei rapaci, specialmente quelli autoctoni. L’attività L’Associazione Compagnia d’Arme Luporum Filii di Levico Teme proseguirà anche per il mese di otto bre. Per contatti uporumfilii.tn@gmail. com - https://luporumfiliitn.wixsite. com/luporumfilii https://www. facebook.com/luporumfilii - Michele 3382478083 o Alessia 3492209715.
la nostra storia
di Massimo DalledonneLA VALSUGANA IRREDENTA
Fatti e persone (terza parte)
Il nostro racconto per conoscere gli eventi e quei protagonisti che, nell’arco di circa settant’an ni. hanno contribuito a trasformare anche la Valsugana da terra irredenta a terra redenta, ovvero da aspirazione politica di pochi a realtà concreta e istituzionale, è arrivato al 1867. Seb bene inserita nell’ambito dei domini tirolesi e della Casa d’Austria più in generale per ben cinque secoli, infat ti, a partire dalla metà dell’Ottocento anche nella nostra entità geografica non sono mancati quei sentimenti d’italianità - maggiormente manife stati all’interno delle città di Trento, Rovereto, Pergine, Riva, Arco e nelle classi degli intellettuali o degli stu denti universitari - che porteranno la vallata a ricongiungersi con la madre patria, così come accadde per l’intero Trentino e per una parte consistente delle regioni orientali italofone. Terminata la Terza Guerra d’Indi pendenza il Trentino e la Valsugana rimasero ancora entro i confini dell’Impero Austro-Ungarico. Nac quero società sportive, bande, cori e associazioni culturali tra cui la Lega Nazionale che fece da contraltare al Volkbund. E ci furono diverse perso ne che, in clandestinità, fecero parte di una rete di informatori militari: il SIM (Servizio Informatori Militari). Come ricorda Antonio Zanetel nel suo volume “Dizionario biografico di uomini del Trentino Sud-Orientale” in Valsugana operarono Enrico Bernabè di Pergine (sorvegliante tecnico nei lavori di fortificazione della Pana rotta), Bice Bordato Zanghellini di Strigno, Giuseppe Broccati di Pieve Tesino, barone Giuseppe Buffa di Telve, barone Raimondo Buffa di
Telve, Rodolfo Buffa di Pieve Tesino, Giuseppe Colpi di Levico, Giusep pe Crescini di Pergine, cavaliere Mario Ceola di Pergine, Celso Costa di Scurelle, cavaliere Giu seppe D’Anna De Celò, Luigi Nardelli di Telve, Pietro Zangrande di Telve, Luigi Demattè di Vigolo Vattaro, Giovanni e Ermete Divina di Bor go Valsugana, Amalia Dorighelli di Roncegno Terme, Vittorio Fezzi di Borgo Valsugana, Umberto Frisanco di Pergine, Battista Fietta di Pieve Tesino, cava liere Ezio Garbari di Pergine, Tullio Garbari di Pergine, Tullio Ghirar don di Borgo Valsuga na, Guglielmo Granello di Pieve Tesino, Aldo Marchetto di Borgo
Conosciamo la nostra storia
Valsugana, Egidio Galvan di Borgo Valsugana, Maria Marchetto di Pieve Tesino, avvocato Guido Miori di Levi co, Tullio Monauni di Pergine, Carlotta e Gisella Nones di Pergine, Alberto Ognibeni di Pieve Tesino, Umberto Palaoro di Roncegno, Ugo rella di
Strigno, Cesira Valentini Scotoni di Pergine, Ottone Tomasini, Angelo valdagni di Pergine, Guido Miori di Levico, Gino e Giovanni Slucca Mat teoni di Levico e Giulia Zangrande di Telve. Nelle carceri femminili finirono Maria Boso, Maria Tost, Adele, Ierta e Raffaella Degli Avancini. Con loro anche Augu sta Copat di Vigalzano, Caterina Libardi di Levi co e Marianna Pecoraro di Strigno. “Aveva 70 anni – scrive Zanetel – e subì un anno di carcere con l’accusa di aver aiutato dei concit tadini a disertare. Morì in seguito ai patimenti subiti”. Tra gli irreden tisti vanno ricordati anche i combattenti volontari durante la Prima Guerra Mondiale. Ecco i nomi riportati nel volume di Anto nio Zanetel: il soldato alpino Giulio Avancini di Levico caduto a Cogni Zugna il 15 luglio 1915, il soldato alpino Giovanni Divina di Bor go caduto il 20 ottobre 1915 in Val calamento,
il bersagliere Silvio Divina di Borgo caduto a Sleme il 15 agosto 1915, Mario Garbari, il bersagliere Ottone Lucchi di Levico caduto a Sleme il 15 agosto 1915, il tenente mitragliere degli alpini Vincenzo Molinari di Olle di Borgo Valsugana deceduto a Vi cenza il 15 giugno 1916, Guido Petri, il sottotenente degli alpini Alberto Pola di Roncegno caduto sul Monte Fontanone l’11 dicembre 1917, Guido Rippa, Francesco Sartori di Levico e Vittorio Rippa di Borgo deceduto il 12 luglio 1917. Antonio Zanetel pubblica anche tutti i nomi degli internati a Katzenau.
“Appena si ebbe sentore dell’im minente apertura delle ostilità sul fronte italiano, o ad ostilità appena iniziate, la gendarmeria austriaca si dette da fare per purgare anche la Valsugana di quelle persone ritenute filoitaliane. Bastavano pochi indizi per essere arrestati: una maestra, ad esempio, lo fu perché il capo della gendarmeria notò che sulla cattedra dell’insegnante vi era una copia del libro Le mie prigioni di Silvio Pellico. Gli arrestati finirono a Katzenau, taluni furono successivamente prelevati e forzosamente arruolati chi nella Compagnia di disciplina (P.U. Enns) e chi nella Compagnia di disciplina ((P.U. Benesov) ed inviati sul fronte russo”. Dall’elenco pubblicato abbia mo tratto questi numeri: Carzano (2), Borgo Valsugana (39), Levico Terme (28), Pinè (12), Pergine (30), Marter (1), Strigno (15), Telve (21), Vigolo Vattaro (14), Roncegno Terme (20), Torcegno (5), Cinte Tesino (1), Scurelle (7), Ca stello Tesino (2), Civezzano (9), Grigno (1), Calceranica (2), Vattaro (2), Nova ledo (2), Caldonazzo (15), Calceranica (2), Castelnuovo (4), Pieve Tesino (2), Bosentino (1). Ancora Zanetel. “Molti irredentisti, però, riuscirono a sfuggire in tempo all’arresto ed all’interna mento, oltrepassando in tempo la frontiera oppure giocando all’atto dell’arresto qualche astuzia”.
I VOLTI DELLA MIA GENTE
Percorso fotografico a Castello Tesinonella seconda metà del '900
Il viaggio di questo volume inizia esattamente mezzo secolo anni fa. Esattamente nella primavera/ estate del 1972 quando Romano Pa squalini inizia a fotografare le persone che incontra in piazza e per le vie del paese. Decide poi di raccogliere le foto su tre album, debitamente corre date di nome e cognome. Passano gli anni. Il tutto finisce nel dimenticatoio fino a quando, dal figlio Massimo, si ha notizia di questi album rimasti chiusi in un armadio per una trentina di anni. Grazie alla disponibilità di Giorgio Zotta, alcuni mesi fa gli album rivedono la luce ed arrivano, tramite Glauco Gadotti, sul tavolo della sindaca di Castello Tesino Graziella Menato. Da qui nasce l'idea di riportare quei visi in un volume e dare loro nuova visibilità. Lo fa diret tamente Graziella Menato. Il percorso degli album è così terminato, gli scatti cambiano forma e diventano pagine di un libro. "Un volume - ci racconta la sindaca di Castello Tesi no - che vuole fissare la memoria, i ricordi e le emozioni, mettendo tutti in relazione, perché una foto prende valore se è condivisa ed il soggetto ritratto riesce ancora ad essere parte della sua Comunità, se la Comunità stessa lo riconosce e lo ricorda". La ricerca è stata completata da ulte riori fotografie anche di anni succes sivi, tratte da album degli anni '80 e '90. Ancora Menato. "L'obiettivo del lavoro è riuscire ad immaginare un
fil rouge che parla di Castello Tesino dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, dove noi lettori siamo coinvolti direttamente; non ci sono le nostre immagini su queste pagine ma troveremo senza dubbio almeno una fotografia che ci condurrà attraverso la storia del nostro Pakarin. Storia di tutti noi, fatta di gesti semplici, di giorni apparentemente uguali, che hanno composto piano piano i tas selli della nostra identità, per scoprire pagina dopo pagina la semplicità, la caparbietà e la bellezza della nostra gente di montagna.
Ogni persona ha un viso che la carat terizza e la distingue da ogni altro, ma ognuno riassume le storie dei suoi avi, sui suoi lineamenti si riconoscono le generazioni passate, nel volto di un figlio indovini il volto del padre e della madre". I soggetti sono collo
cati senza ordine alcuno, proprio per favorire la curiosità di sfogliare pagina dopo pagina e di incontrarli di nuovo, in un insolito viaggio nel passato; osservandoli, ci mostrano quello che erano, quello che desideravano essere, il contributo che hanno dato ai loro cari e al loro paese.
"Nel libro trovano posto persone co muni, semplici, fotografate per avere e per lasciare un ricordo, uomini e donne che sono parte di noi ma anche parte della comunità, tasselli unici della nostra narrazione. Ringra ziamo tutte le persone che, con foto e collaborazione, hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro". Il volume, completamente fotografico, è autofinanziato ed è disponibile all'acquisto a Castello Tesino presso la biblioteca, l'edicola tabaccheria di Gloria e nel Piccolo Mondo di Glenda.
CARLO DORDI
130 ANNI DALLA SUA SCOMPARSA
Era il 6 ottobre del 1892 quando, nella sua residenza estiva in località Carlon, in Val di Sella, nel comune di Borgo Valsu gana se ne andava all'età di 77 anni Carlo Dordi. Sono trascorsi 130 anni dalla scomparsa di questa illustre personalità nata a Borgo l'11 agosto del 1815. Fino all'età di 7 anni visse a Milano, con lo zio Felice Ferdinan do, per tornare al suo paese natio e, successivamente, per il suo carattere esuberante, inviato al collegio militare di Hall, presso Innsbruck, dove rimase fino all'età di 11 anni. Dopo aver frequentato il ginnasio di Brera a Milano, come scrive nel suo volume "Cives Burgi Ausugi Memoria Digni" il compianto Armando Costa, passa al ginnasio dell'Imperial regio collegio Longone per frequentare l'ultimo anno della scuola a Trento. "Dopo due anni di studi filosofici passa all'ateneo di Praga per studiare legge, poi a Vienna e Innsbruck fino a laurearsi nel 1840 all'Università d Padova". Dopo alcuni anni di pratica legale a Trieste nel 1843 rientra a Bor go pe occupare fino al 1845 la carica di Capo comune. Ancora don Costa. "Per quattro anni, fino al 1849, eser cita l'avvocatura a Ala trasferendosi poi a Trento dove risiede stabilmente ed esercita la professione". Diventa presidente della Camera degli avvo cati, membro e presidente di diversi istituti cittadini in campo culturale sostenendo la Società Filarmonica, il Liceo Musicale e la Banda Cittadina di cui era ispettore. Entra in consiglio comunale a Trento occupandosi di diversi problemi di
pubblica utilità fino ad essere eletto rappresentante alla Dieta di Inn sbruck per la città di Trento. Successi vamente diventa deputato del Partito Liberale al Parlamento di Vienna.
"In questo ruolo - ricorda don Co sta - svolse una vivace azione per la salvaguardia dell'italianità della gente trentina e fu il primo presidente del Comitato Esecutivo per l'erezione del monumento a Dante di Trento. Ardente patriota fu convinto propu gnatore dell'autonomia del Trentino tanto da presentare nel 1890 alla Dieta di Innsbruck, con il collega don Antonio Brusamolin, un progetto di autonomia territoriale di cui, boi cottato, la Luogotenenza del Tirolo, impedì, di fatto, la discussione". Carlo Dordi scrisse eleganti versi in prosa e vari articoli comparsi su diver si giornali dell'epoca. Come cantante dilettate, era un basso comico, par tecipò nel 1840 all'inaugurazione del
teatro sociale di Borgo con l'esecu zione del melodramma di Donizetti "Torquato Tasso" diretto dall'amico Francesco Anzoletti. Si esibì alcune volta anche in spettacoli a Trento e Padova e, dopo il drammatico incen dio di Borgo del 6 luglio 1862, fu tra quelli più impegnati nel raccogliere fondi da destinare ai tanti sfollati del suo paese natale. Dopo la sua morte, sulla tomba nel cimitero di Trento venne collocato un busto realizza to da Andrea Malfatti. Un secondo glielo dedicò anche l'amico Umberto Sommadossi. Carlo Dordi è ricordato a Borgo nella toponomastica locale con la piazzetta all'inizio del Corso Ausugum ed a Trento con la stra da che collega via Garibaldi, dietro l'abside della Cattedrale, con piazza Alessandro Vittoria dove risiedeva. Via Carlo Dordi gli venne dedicata a Trento l'11 ottobre del 1896, lo stesso giorno della cerimonia di inaugura zione del monumento a Dante.
Al via i nuovi semafori intelligenti e gli autoveloxa Trento nord
Il lungo rettilineo dell’asse via Brennero-via Bolzano-via Alto Adige ha registrato lo scorso 19 settembre un evidente rallentamento nei ritmi di marcia delle automobili. Se ne è parlato e discusso tanto, non sono mancate - e non mancano tutt’ora - le polemiche, ma proprio dalla metà dello scorso mese sono stati ufficialmente attivati i 13 sema fori intelligenti e i due autovelox in entrambi i sensi di marcia all’altezza del Gambrinus, poco prima di entrare nel centro abitato di Lavis e poco dopo esserne usciti. Risultato? In circa tre ore i rilevatori di velocità hanno incastrato 100 automobilisti, men tre altri quattro non sono sfuggiti al controllo del passaggio con semaforo rosso. Complessivamente invece, ha segnalato il Comune di Trento nella giornata successiva, le infrazioni regi strate durante tutto il monitoraggio sono state 267, delle quali 128 per il superamento del limite di 70 chilo metri orari (un automobilista ha fatto addirittura i 108 all’ora), mentre 139 non si sono fermati al semaforo rosso. Quest’ultimo controllo è probabil mente la vera novità dei semafori “intelligenti”.
Con lo spostamento della linea che delimita lo stop alle autovetture qual che metro più in là, proprio in corri spondenza dell’impianto semaforico, d’ora in avanti il meccanismo sarà molto semplice: chiunque passerà con il rosso oppure, durante la sosta, “sconfinerà” oltre la striscia bianca, riceverà a casa la multa. E già nella prima mattinata si è vista una soglia
d’attenzione particolarmente alta. Forse anche troppo. Due poliziotti di pattuglia in moto infatti, dopo aver presidiato per un quarto d’ora la zona attorno all’Agenzia delle Entrate per controllare che tutto funzionasse cor rettamente e che il traffico scorresse senza intoppi, pur evidenziando la grande cautela dei guidatori hanno aggiunto: “Ora speriamo non avvenga l’effetto contrario, ovvero le brusche frenate non appena scatta l’arancio ne”.
In effetti in tanti dovranno abituarsi a questa nuova situazione, dato che il passaggio con il semaforo arancione non sarà considerato irregolare, an che se ieri in parecchi hanno preferito fermarsi non appena lo hanno visto scattare per evitare brutte sorprese. Insomma, si è trattato di un avvio tutto sommato tranquillo per questi nuovi meccanismi di rilevazione, ma come in tutte le cose sono emersi dei pro e dei contro. Partiamo dalle note positive: gli automobilisti (o alme no, la maggior parte di loro) hanno mantenuto un’andatura regolare e lenta, senza frenate inaspettate o rischi di incidenti. Gli autovelox hanno inevitabilmente catalizzato l’attenzione, visto che sono veramen te pochi coloro che normalmente passano con il rosso ma, di contro, sono invece parecchi i guidatori che calcano un po’ di più sull’acceleratore, soprattutto quando la strada è dritta e senza ostacoli.
Gli aspetti invece meno convincenti della vicenda, stando alle opinioni di chi si è fermato a fare benzina o di
chi semplicemente ne ha discusso con i colleghi e gli amici, sono diversi e, più che altro, si tratta di riuscire a rispondere ad alcune domande: per quale motivo non è stato installato un autovelox su via Brennero, nel tratto di strada che passa davanti al MediaWorld e al Top Center, dove in effetti le velocità sono spesso mol to elevate? Perché la segnalazione dell’autovelox al Gambrinus è pro prio in prossimità del dispositivo e quest’ultimo è coperto da un albero? Nel caso in cui venisse a formarsi colonna e un automobilista si trovas se fermo sotto al semaforo, dovesse scattare il rosso incorrerebbe in qual che sanzione? Tante perplessità, ma un dato di fatto: bisognerà abituarsi in fretta ai nuovi strumenti di moni toraggio.
DONAZIONI IN FAVORE DELL’EMERGENZA IN UCRAINA
possibile
Le donazioni
LA SOCIETÀ CIVILE IN UN ACCORDO DI SOLIDARIETÀ
“Fondo di solidarietà - Emergenza Ucraina 2022” I lavoratori del settore pubblico e privato potranno scegliere di versare volontariamente una o più ore di lavoro.
L’accordo permette il coinvolgimento di tutti i lavoratori e i datori di lavoro della provincia, oltre a singole persone, associazioni o imprese che vogliano contribuire, con una donazione anche simbolica, ad esprimere solidarietà e vicinanza al popolo ucraino.
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