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Il libro di Francescotti
Girovagando tra la cultura
mi risaliva al 394 d.C. mentre l’ultima in caratteri demotici è databile al 452. Non si può dire che nei secoli siano mancati i tentativi di traduzione, basti pensare che già nel V secolo il sacerdote Orapollo scrisse Hieroglyphica, dove venivano illustrati ben 200 glifi, peccato che quest’opera si sia rivelata ingannevole ai fini della comprensione della scrittura egizia. Molti sono stati i tentativi, fino a quelli che hanno spianato la strada. Già il medico inglese Thomas Young aveva intuito che nel cartiglio del testo geroglifico era riportato il nome di un sovrano, questo facendo seguito al lavoro di altri studiosi come Silvestre de Sacy e Johan David Åkerblad, che aveva individuato la pronuncia corretta di 14 dei 29 segni, ma riteneva erroneamente che i simboli demotici fossero esclusivamente di natura fonetica. Il suo metodo di comparazione con il
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Jean-Francois Champollion
copto, divenne poi la chiave di volta utile alla decifrazione della scrittura geroglifica. Nel 1814, Young tradusse completamente il testo demotico della Stele di Rosetta e si dedicò allo studio dell’alfabeto geroglifico ma non riuscì a comprendere che i testi non erano tradotti in modo letterale. Il vero “traduttore”, colui che ha dato il maggior contributo alla comprensione dei geroglifici, grazie alla sua conoscenza della lingua copta è il francese Jean-François Champollion. Champollion il Giovane per questa sua grande impresa riportata nella comunicazione scientifica a Bon-Joseph Dacier, segretario dell’Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi, nota come “lettera al signor M. Dacier” datata 1822, è considerato il padre dell’egittologia. Egli dedicò il suo ingegno per la redazione di una grammatica e di un dizionario della lingua egiziana che vennero pubblicati postumi, a causa della sua prematura morte a soli 41 anni per ictus, nel 1832. La sua intuizione per cui la scrittura egizia era una combinazione tra fonetica, ideogrammi e pittogrammi si rivelò corretta, svelando uno dei grandi misteri di questa civiltà.
Presentato a Tenna il libro di Francescotti “IL TRAGHETTO DI PIEDICASTELLO”
La Sala Consigliare di Tenna era gremita e si sono dovute aggiungere altre sedie per la presentazione del romanzo di Renzo Francescotti “Il traghetto di Piedicastello”. Una serata molto applaudita, organizzata dall’amministrazione di Tenna in collaborazione con La Fonte, presieduta da Waimer Perinelli, con l’autore a dialogare con il presentatore, il sindaco di Tenna Marco Nicola Perinelli, e i componenti del Gruppo “Neruda”, Chiara Turrini a interpretare alcuni brani del romanzo, Maurizio Agostini e Franco Grasselli a proporre canti in dialetto tratti dagli spettacoli del “Neruda”. Molti gli spunti offerti da questo “romanzo a racconti”, che fa parte di quella che è stata chiamata “la saga dei rioni di Renzo Francescotti”, uscito con successo nei mesi scorsi, ambientato nel più antico e singolare quartiere di Trento, che abbraccia l’arco di tempo di oltre settant’anni, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri.Quest’opera in cui tutti gli avvenimenti sono realmente accaduti, tutti i personaggi sono realmente vissuti, Francescotti fonde la sua esperienza di narratore a quella di storico e poeta ed è frutto di una lunga ricerca attraverso i documenti ma soprattutto i racconti degli abitanti. Sono soprattutto le donne a far vivere il romanzo: la maestra Carmela che non si sposò mai, completamente dedita ai suoi scolari; la Lena lavandaia che lavò i panni al giovane Mussolini, il quale se ne andò senza pagare il debito; le sue due figlie la Ginalonga, una delle prime operaie alla Michelin e la Wanda, la bella del rione che finì tragicamente la sua vita nelle acque dell’Adige…Non sorprende quindi che il romanzo piaccia soprattutto alle donne.
Girovagando nell’Arte
di Eleonora Mezzanotte
LORENZO GHIBERTI, lo scultore del “Paradiso”
Lorenzo Ghiberti (1378 – 1455) fu sculture, architetto, orafo e scrittore d’arte vissuto a Firenze a cavallo tra il XIV e il XV secolo. Sulla sua nascita ci sono informazioni contraddittorie e poco chiare, date anche dalle molteplici e diverse versioni fornite dall’artista mentre era in vita. In una denuncia anonima risalente al 1444, si accusava Lorenzo di essere incompatibile con la carica dei dodici buonomini (collegio consultivo composto da dodici membri eletti dalla cittadinanza) in quanto figlio illegittimo. Pare che la madre, Monna Fiore, sia stata spostata a Pelago con Cione di ser Bonaccorso Abatini o Batini, “persona disutile e quasi smemorato”, che lasciò per partire alla volta di Firenze dove conobbe l’orafo Bartolo di Michele, da cui, sempre secondo quanto riportato nella lettera, ebbe due figli tra cui Lorenzo. È pertanto plausibile che l’artista sia nato a Firenze attorno al 1378 e non a Pelago come riportato sulla facciata della casa natale dove probabilmente abitò la madre. Assieme a Masolino da Panicale e Jacopo della Quercia, fu promotore di un nuovo linguaggio artistico in scultura, sapendo conciliare sapientemente l’eleganza tardo gotica, l’approccio classicheggiante della nuova arte rinascimentale con un’attenta e accurata ricerca naturalistica. Ghiberti ricevette una prima formazione presso la fiorente bottega d’oreficeria di Bartolo. In quel periodo a Firenze fiorivano numerose e fortunate botteghe, come quella del Brunelleschi o di Donatello, tanto per fare alcuni nomi, a testimonianza del fatto che il capoluogo toscano era una fucina di idee e sperimentazioni artistiche, crogiolo di artisti e artigiani di indubbio spessore. Nel 1400 Ghiberti lasciò Firenze alla volta di Pesaro, forse assieme all’amico pittore Mariotto di Nardo, e lì presso la corte dei Malatesta venne loro commissionata la dipintura di una stanza nel palazzo medievale. Di tale lavoro però non rimane alcuna traccia, poiché il palazzo venne completamente ricostruito nel Cinquecento. Durante il soggiorno pesarese, Ghiberti ricevette una lettera da Firenze in cui lo si informava che era stato indetto un concorso per la realizzazione della porta nord del Battistero. Si licenziò dunque dal Signore di Pesaro e fece ritorno a Firenze, dove si mise a lavorare alla formella bronzea raffigurante il Sacrificio di Isacco da portare alla commissione giudicante. Sulla vittoria di Ghiberti ci sono pervenute notizie discordanti: il biografo di Brunelleschi ci informa che il giudizio finale fu un pari merito tra la formella del Ghiberti e quella di Brunelleschi ritraente lo stesso soggetto. Di fronte all’ipotesi di un lavoro di cooperazione tra i due, Brunelleschi rifiutò l’incarico che andò dunque di diritto a Ghiberti. Quest’ultimo però, nel suo famoso trattato I Commentari, nega tale versione e afferma più volte che la vittoria gli è stata riconosciuta all’unanimità. Il meraviglioso portale nord, iniziato nel 1403 e concluso nel 1424, fu dedicato al Nuovo Testamento, con ventotto formelle di bronzo riportanti episodi salienti della vita di Cristo, degli Evangelisti e dei Padri della Chiesa. Ghiberti, nella disposizione e nella configurazione delle formelle si ispirò alla porta sud del Battistero, realizzata tra il 1329 e il 1336 da Andrea Pisano e collaboratori. Durante gli anni in cui lavorò alla porta nord, fuse anche tre statue per la chiesa di Orsanmichele, un cantiere vivace e stimolante dove le corporazioni di mestiere fiorentine si facevano rappresentare attraverso le statue bronzee o marmoree dei relativi santi protettori, inserite in nicchie all’esterno della struttura. Per l’Arte di Calimala realizzò un San Giovanni Battista, per l’Arte del Cambio il San Matteo, mentre l’Arte della Lana gli commissionò la statua di Santo Stefano. L’altra grande impresa che lega il nome di Ghiberti al Battistero di Firenze è indubbiamente la Porta del Paradiso, direzionata ad est e frontale alla Cattedrale. L’idea iniziale fu quella di seguire lo schema compositivo e geometrico dei precedenti portali, ovvero di
Girovagando nell’Arte
Lorenzo Ghiberti - La Porta del Paradiso
ventotto formelle quadrilobate con scene tratte dall’Antico Testamento. Fu probabilmente Ghiberti ad avanzare l’idea di una nuova suddivisione spaziale, in modo tale da decorare le due grandi ante con dieci bassorilievi inseriti in una cornice rettangolare. Le formelle, più grandi e preziose nella lavorazione, vennero dorate in superficie, così che la porta est assunse un’estetica di straordinario pregio. Le dieci scene vennero incorniciate da statue di profeti intervallate a testine, tra cui un autoritratto dell’artista. Gran parte delle informazioni circa la vita e l’operato di Ghiberti, oltre che dal Vasari, ci vengono trasmesse dal suo trattato I Commentari, composto da tre libri e rimasto incompiuto, quasi un testamento letterario che pone le basi per la trattazione artistica a venire, contenendo d’altronde le prime biografie artistiche (partendo da quella di Giotto) nella storia della critica d’arte.
Lorenzo Ghiberti - Giacobbe ed Esau' (da Enciclopedia delle Belle Arti)
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