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Le leggende della Valsugana: la povera Giana
Le leggende della Valsugana
di Andrea Casna
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La povera Giana
Anche a Lavico le leggende che narrano le gesta crudeli dei nobili non mancano. E queste leggende, ovviamente, ruotano attorno a Castel Selva. Ora ridotto, come molti manieri del nostro Trentino, a una rovina, un tempo fu sede del potere amministrativo della giurisdizione di Selva. Le sue origini sono avvolte nelle nebbie del tempo, ma probabilmente fu edificato dalla popolazione attorno al VI secolo come burlando difensivo contro i “barbari”. A partire dal 1027 la storia del castello si lega a quella del Principato Vescovile di Trento e nel corso del Cinquecento il principe vescovo di Trento Bernardo Clesio ordinò la ricostruzione del maniero che, con il Concilio di Trento, nel 1545, ospitò alcuni cardinali. Sul portale castellideltrentino.it, a proposito degli interventi voluti da Bernardo Clesio si legge che «numerosi artisti vengono ingaggiati per affrescare le stanze del castello, i soffitti vengono decorati con raffinati cassettoni e i boschi e le terre incolte attorno al maniero vengono trasformati in giardini e vigneti». Nei secoli successivi fu abbandonato e nel 1779 venne acquistato dal comune di Levico Terme che ne utilizzò le parti in muratura per la costruzione di molte case del centro storico. Questa, in sintesi, è la storia ufficiale. Ma anche Castel Selva nasconde una seconda verità che non si trova nei libri di storia e nella documentazione ufficiale. Questa, che stiamo per raccontare, è una storia nascosta che gli abitanti della zona non hanno mai dimenticato. Anzi. Secondo le leggende, infatti, pare che i castellani di Selva esigessero il diritto di prima notte di matrimonio su tutte le belle ragazze che si sposavano. Ma questa è una storia, possiamo dire, “classica”, spesso ricorrente nel panorama fantastico e rurale dei castelli. Quello che ruota attorno alle vecchie mura di Castel Selva è una storia molto più agghiacciante. È la storia della povera Giana. Aldo Gorfer, nel suo libro «I castelli del Trentino (Vol. 2)» racconta che «Giana, una bella ragazza di Selva, era stata rapita e portata al castello. Ma ella era riuscita a fuggire saltando da un muro. Rincorsa dagli sgherri era stata raggiunta alla Salina, sopra Levico, legata a due larici che furono piegati e poi lasciati bruscamente andare di modo che il corpo della donna fu spezzato a metà». Si narra, anche, che sul luogo della morte fosse stata eretta una lapide a memoria della povera Giana. Il signore di Castel Selva aveva messo gli occhi sulla bella Giana. Una domenica mattina, proprio nel bel mezzo della messa, i suoi uomini avevano fatto irruzione nella casa di Dio interrompendo bruscamente la funzione religiosa. Lì, fra la costernazione e le urla dei presenti, gli sgherri presero la povera Giana e la rinchiusero nelle segrete del castello. Dopo alcuni giorni, una delle guardie decise di aiutare la poveretta a fuggire. Una notte infatti la giovane Giana trovò la porta della cella aperta: uscì di corsa e si gettò dalla prima finestra. Fortunatamente cadde su un mucchio di fieno. A quel punto, con la libertà fra le mani, fuggì nei campi sopra Levico verso la Salina ma, sfortunatamente, fu raggiunta dalle guardie del castello che, come ha scritto Mauro Neri nel libro «Le mille leggende del Trentino», «piegarono due giovani larici fin quando le chiome si confusero tra di loro, legarono i polsi e le caviglie della poveretta ai due tronchi e poi, senza nessun preavviso, li lasciarono andare in modo che il corpo della donna fosse spezzato a metà».