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Rivive la statua lignea

Fatti di casa nostra

di Massimo Dalledonne

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RIVIVE LA STATUA LIGNEA

DI SAN PIETRO AL TAMBOLIN DI RAVA

Una storia che merita di essere raccontata. Questa volta dalla fine visto che, nelle scorse settimane, in occasione dei festeggiamenti per i 95 anni di fondazione del gruppo Ana di Strigno, la statua lignea di San Pietro è tornata al suo posto: nella piazza d’armi di Tambolin. Così si chiamava, durante la Prima Guerra Mondiale, quella spiana che si stende tra rocce di Cima Ravetta e l’omonima forcella. Era stata scelta dallo Stato Maggiore dell’esercito italiano come sede stanziale del contingente dei militari destinati a rintuzzare le minacce dell’esercito austro-ungarico tra monte Cima e la cresta Ravetta. Come ricorda lo storico Luca Girotto “questa zona era stata scelta in quanto permetteva di spostarsi rapidamente grazie alla rete viaria d’alta quota che gli zappatori e i contingenti di lavoratori militarizzati avevano realizzato nell’estate-autunno del 1916 lungo le valli di Rava e di Quarazza”. Sin dall’autunno del 1916 le truppe erano ben fornite di materiale ed attrezzature e qualche decina di metri dietro il ciglio di cresta, come ricorda ancora Girotto “sulle pendici orientali di cima Primaluna erano state erette le baracche della mensa, del cappellano e del suo attendente, del reggimento e di quello della batteria di artiglieria da montagna che rafforzava lo schieramento. Le messe si tenevano all’aperto, con qualsiasi tempo e quell’inverno la massa nevosa in quota aveva superato i quattro metri di altezza”. Si decise così di erigere la “cappella della Ravetta”, nei pressi delle baracche del comando ma a valle dell’esistente mulattiera. Venne eretta dagli zappatori del 2° battaglione tra gli scogli di granito. Un piccolo edificio e, a destra dell’ingresso, venne posta una singolare scultura: San Pietro con una corona di spine composta da una matassa di reticolato scolpito nel tronco di un larice dal capitano Augusto Gardelli. Pochi mesi dopo, nel giugno del 1917, le truppe vennero trasferite e la postazione occupata prima dalle brigate Trapani ed Aosta e, successivamente, da un battaglione di bersaglieri. “Con lo sfondamento del fronte della Seconda Armata tra Plezzo e Tolmino – scrive ancora Girotto – nell’ottobre del 1917 la cappella si trovò alla merce dei reparti Standschutzen. La piazza d’armi del Tambolin, nei mesi a seguire, venne spogliata di tutto, compresi gli allestimenti della cappella. Alla fine del conflitto la chiesetta era oramai ridotta ad un perimetro murario privo di copertura, che gli anni e le intemperie hanno lentamente degradato ai pochi resti attuali”. Ma che fine aveva fatto la statua di San Pietro? “Rotolata o gettata nel sottostante canalone fino ai ghiaioni di Val Rava – ricorda ancora Luca Girotto – venne recuperata nel dopoguerra dai nuovi occupanti delle vicine malghe per farne legna da ardere; fu, probabilmente, solo l’espressione dolente del primo discepolo di Cristo coronato di filo spinato, scolpita dal capitano Gardelli, che indusse la mano sacrilega a risparmiare parzialmente l’opera d’arte salvandone il busto e destinando al focolare il restante corpo in larice”. Il busto venne recuperato alcuni decenni or sono e conservato presso la sede del gruppo alpini di Strigno, nel comune di Castel Ivano. Da alcune settimane, però, una fedele riproduzione della statua di San Pietro è ritornata al Tambolin di Rava, rimessa a nuovo dalle mani dello scultore di Pieve Tesino Alberto Boschetti e l’impegno delle penne nere che hanno provveduto alla pulizia dell’area e all’installazione di alcuni pannelli informativi.

La Letteratura per il BenEssere

LA PAURA

Tutti noi conosciamo la paura: la pandemia e la guerra hanno acceso le nostre paure e oggi ci troviamo a portare il peso di questa emozione bloccante. Sì perché la paura, se non gestita, ha il potere di bloccarci, di paralizzarci. Innanzitutto precisiamo che la paura, come tutte le emozioni, è preziosa e importante e non va assolutamente demonizzata. La paura appartiene a quelle emozioni che non amiamo provare, ma sappiamo che ogni emozione è utili e preziosa. Potrei dire, addirittura, che la paura arriva con lo scopo di salvarci la vita. Vi faccio un esempio: Reinhold Messner è riuscito a scalare tutti gli Ottomila, ma non ci sarebbe riuscito se non fosse stato affiancato dalla paura. Quando prendiamo a braccetto la paura, quando la facciamo nostra alleata, questa si trasforma in prudenza; quando invece le permettiamo di legarci i piedi e di impedirci di camminare, allora ci blocca e ci paralizza. L’antidoto a questa paura si chiama fiducia, ma ne parleremo più avanti. Tutti hanno almeno sentito parlare della Divina Commedia, il poema di Dante Alighieri in cui viene raccontato un viaggio nei regni dell’oltretomba. Non tutti forse sanno che Dante ha avuto paura moltissime volte e che spesso, soprattutto nell’inferno, ha temuto per la sua incolumità e una volta è addirittura svenuto dal terrore. Nel primo canto dell’inferno Dante si è perso in un bosco, in una valle da cui mai era uscita persona viva. Guardando in alto ha la sensazione di aver trovato una via d’uscita ma poi tre animali feroci si mettono sulla sua strada e lo fanno indietreggiare. In quel momento vede un’ombra, non sa bene chi sia, ma non ha paura di chiedere aiuto. Invoca quest’ombra dicendo: Abbi pietà di me, chiunque tu sia, aiutami. L’ombra è quella di Virgilio, grande poeta della latinità, che sarà la guida di Dante. Nel secondo canto Dante sta per partire per il viaggio ma viene travolto dalla paura: è terrorizzato all’idea di andare all’inferno, teme di non riuscire a sopravvivere al viaggio e allora inizia ad accampare scuse. Non ha il coraggio di dire che ha paura e allora dichiara di non esserne degno, di non meritare un onore simile. Virgilio ascolta le pontificazioni di Dante e poi lo rassicura raccontandogli che ci sono tre donne in Paradiso che vogliono la sua salvezza. Le parole che Virgilio usa hanno il potere di infondere coraggio in Dante e di permettergli di affrontare il difficile viaggio che li attende. La rassicurazione funziona sempre perché fa leva su un meccanismo della nostra mente.Il nostro cervello reagisce alle immagini, a tutte le immagini, vere o finte che siano. Se siamo per strada, soli, di notte e all’improvviso un cane corre verso di noi abbaiando noi proviamo ovviamente paura. Ma se stiamo guardando un film, comodamente seduti sul nostro divano, e all’improvviso il protagonista, che sta camminando in una strada buia da solo, si trova davanti un cane ringhioso, si accende in noi la stessa emozione. Il cervello non distingue tra immagine vera e immagine falsa e a stimolo simile produce simile reazione. Ma questo meccanismo funziona anche con le emozioni positive. Quindi, quando qualcosa ci fa paura dobbiamo solo cercare qualcuno che accenda in noi fiducia e rassicurazione. E se non abbiamo qualcuno a cui chiedere? Beh possiamo sempre imbrogliare il nostro cervello: ci mettiamo davanti allo specchio e diciamo esattamente le parole che abbiamo bisogno di sentirci dire. Provare per credere!

di Silvana Poli

Dante Alighieri (Ritratto)

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