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Sheep AL.L. Chain Riccardo Lagorio
Vacca Bianca modenese: che bella (ri)scoperta!
di Chiara Papotti
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La carne occupa da sempre un posto importante nella nostra cultura alimentare ed è nel richiamo alla tradizione che questo alimento può recuperare la sua dimensione, tra nutrimento, sicurezza e piacere al palato.
È nel sapore della carne, nella sua incredibile varietà e ricchezza di sfumature, che si rifl ettono attenzioni al benessere animale, rispetto degli spazi e dei ritmi naturali, cura dell’alimentazione. Tutti elementi che giustifi cano la fatica e l’impegno di chi crede nell’allevamento di qualità e nella tutela delle razze bovine, soprattutto quelle minori. Nella provincia di Modena un gruppo di storici allevatori, sostenuti dall’associazione Slow Food e dell’Associazione Provinciale Allevatori, ha avviato un progetto per la tutela della biodiversità animale attraverso il recupero di una razza autoctona in via di estinzione: la vacca Bianca modenese.
Animale dalla duplice attitudine, da latte e da carne, in passato rappresentava anche un valido aiuto nel lavoro nei campi. Anche
conosciuta come Val Padana, per il legame ristretto alla pianura, oggi conta poche centinaia di esemplari.
Alcuni documenti storici testimoniano una consistente presenza della Bianca nella zona di Carpi (MO) alla fi ne del ‘800. In poco tempo si è diffusa nelle province di Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Mantova raggiungendo la quota di oltre 140.000 capi negli anni ‘50. Solo dieci anni dopo, però, la riproduzione dei capi ebbe un vero tracollo: gli allevatori, vedendo la possibilità di fare grandi margini di profi tto nella produzione del Parmigiano Reggiano, la sostituirono con altre razze provenienti dall’Olanda, note per avere mammelle adatte alla mungitura meccanica e capaci di ottenere migliori rese produttive.
Per questa ragione la Bianca modenese ha rischiato di scomparire defi nitivamente dal panorama delle razze di pregio, fi no a quando, nel 2006, alcuni allevatori si sono riuniti e hanno costituito il Consorzio Valorizzazione Prodotti Razza Bianca Modenese-Valpadana Modena. Il gruppo si è posto duplici fi ni: la salvaguardia e l’aumento numerico della razza, l’imposizione di tecniche di allevamento sane, naturali e sicure per il benessere dell’animale, la trasformazione accurata dei prodotti e la commercializzazione gestita dai soci stessi. Per valorizzare e sostenere gli impegni presi dagli allevatori, Slow Food ha concesso alla Bianca modenese il riconoscimento di presidio (www.consorziobiancamodenese.it).
Oggi le aziende coinvolte nel progetto sono una ventina, tutte di piccole dimensioni e allevano poche decine di capi. Sposare l’idea della qualità ai massimi livelli, seguendo e curando il bestiame dalla nascita fi no alla macellazione, alimentandolo esclusivamente con prodotti naturali, ha portato in poco tempo grandi risultati.
Nel Caseifi cio Rosola di Verucchia di Zocca, sull’Appennino modenese (caseifi ciorosola.it), si producono forme di Parmigiano Reggiano ottenute esclusivamente da latte di Bianca Modenese; lo stesso avviene nel Caseifi cio Santa Rita (www.santaritabio.com) di Serramazzoni che produce poche forme di formaggio di pura razza Bianca, stagionate almeno 24 mesi, come da disciplinare di produzione.
Il latte prodotto dalla vacca Bianca è particolarmente adatto alla trasformazione: ha un ottimo rapporto tra grasso e proteine, e una elevata quantità di frazione k delle caseine, responsabile di una coagulazione rapida e più resistente del latte.
Oltre ai caseifi ci che producono formaggi dal gusto unico e intenso, sono diverse le aziende agricole che allevano esemplari destinati alla produzione delle carni di Bianca modenese. Il sapore al palato, complice anche l’alimentazione con foraggi biologici di montagna, è una bella scoperta.
La carne in commercio deriva da due capi differenti: il maschio giovane e la femmina anziana, non più idonea alla riproduzione e alla mungitura. Il primo ha una carne tenera e ben marezzata di grasso, particolarmente adatta alle cotture veloci che caratterizzano la cucina contemporanea.
La carne della vacca anziana, invece, si esalta nell’utilizzo della cucina tradizionale fatta di lente e pazienti cotture, come bolliti, stracotti, ossibuchi, ragù e, ovviamente, il brodo.
La commercializzazione delle carni viene oggi effettuata in piccole quantità e solo su prenotazione da parte di abili macellai capaci di valorizzare i tagli anatomici a regola d’arte.
Il lavoro di squadra che sta dietro alla fi liera della Modenese
è ricchezza: l’estinzione di questa razza rappresenterebbe un impoverimento e una perdita irreparabile della nostra cultura e della nostra storia, e signifi cherebbe sciupare una risorsa per il futuro.
La Bianca è un animale che conserva grandi potenzialità, capace di fornire produzioni di qualità superiore e sostenibili, proprio quelle su cui dovremmo basare l’alimentazione di domani.
Chiara Papotti
Parmigiano Reggiano di Bianca Modenese del Caseifi cio Rosola, disponibile nelle stagionature di 24, 36 e 60 mesi. Il latte di Bianca modenese, presidio Slow Food, è una materia prima di eccezionale qualità: l’ottimo rapporto fra tenore di grasso e indice proteico e l’alta frequenza del gene B delle Kcaseine lo rendono più facile da lavorare durante il complesso procedimento che porta alla creazione del Parmigiano Reggiano.
SHEEP AL.L. CHAIN
di Riccardo Lagorio
Il progetto SHEEP AL.L. CHAIN (Sheep Alpagota Lamon Chain, Filiera per le pecore Alpagota e di Lamon, sheepallchain.it) si prefi gge di migliorare la presenza sul mercato degli allevamenti delle razze ovine autoctone del Veneto a limitata diffusione come la pecora di razza Alpagota e quella di razza Lamon.
Un programma meritevole di attenzione in quanto tende a preservare e tutelare la biodiversità valorizzando gli allevamenti ovini che si situano quasi esclusivamente in aree margi-
nali (la montagna e la pedemontana bellunese) e migliorare il rapporto dei prodotti col territorio.
In quanto si tratta di razze in via di estinzione, il programma di recupero genetico e di conservazione si basa su un percorso intrapreso 15 anni fa dalla Regione Veneto nella rotazione programmata degli arieti all’interno di una rete di aziende agricole coinvolte. «La pecora dell’Alpago è una razza che per la sua frugalità risulta di poca spesa poiché riesce ad alimentarsi in terreni marginali e a produrre agnelli la cui carne è ambitissima per il gusto che la caratterizza» spiega ANTONELLA TORMEN, la capoprogetto. La consistenza della razza si è drasticamente ridotta passando dai 10.000 capi degli inizi del ‘900 al migliaio di capi degli anni Ottanta, per registrare 2.400 capi all’inizio del secondo decennio del XXI secolo.
La storia della pecora Alpagota è intimamente legata al passato del Bellunese, come spiegava a fi ne Ot-
tocento ANTONIO MARESIO BAZOLLE, politico e letterato: “L’allevamento
La sopravvivenza delle due razze ovine autoctone della Provincia di Belluno, le pecore Alpagota e Lamon, dipende dalla sostenibilità economica della loro fi liera. Iniziato nel 2018, il progetto SHEEP AL.L. CHAIN si pone l’obiettivo di valorizzare le produzioni derivanti dalle due razze: carne, prodotti a base di carne e lana
In alto: monti dell’Alpago (photo © Roberto Gobbo). A destra: Ferruccio Brandalise mostra lo speck nella sua macelleria a Spert d’Alpago. In basso, le pendole di pecora.
delle pecore fu sempre generale e nazionale in questi paesi, ed anzi nei tempi passati lo era molto più che attualmente… Nella mancanza di commercio, e nella ristrettezza dei mezzi economici, le pecore (e con esse le capre) fornivano prima del secolo presente la massima quantità della carne di cui si cibavano gli abitanti del Bellunese… La tenuta delle pecore reca pochissimo lavoro o fastidio ai contadini, e questo è appunto uno dei meriti che i contadini attribuiscono ad esse…”.
Non essendo contraddistinta da nessuna specializzazione produttiva la pecora Alpagota si ascrive tra le razze a triplice attitudine, anche se attualmente viene sfruttata soprattutto per la produzione della carne di agnello. Gli agnelli migliori vengono macellati a 60 giorni, quando hanno raggiunto, a peso vivo, 20 kg con una resa del 55%.