EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 9 • Settembre 2019
€ 5,42
The WELSH Way Dierendonck, MASTER of Meat
Tentazioni della CARNE artificiale
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura
Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin
EURO ANNUARIO CARNE 2019
Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
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Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
In questo numero:
La carne nel mondo
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Agenda
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Diamo i numeri
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Naturalmente carnivoro
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Immagini
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Tendenze
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Attualità
La tentazione della carne artificiale
Giovanni Ballarini 24
Slalom
Ristagno dell’economia e impegni per l’Italia
Cosimo Sorrentino
La carne in rete
Social meat
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Aziende
Insieme tra ricerca e docenza, al servizio della trasformazione…
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Mercati
Report UE: previsioni per le esportazioni di carni suine nel 2019…
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A pagina 46.
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Speciale carne bovina francese
Biodiversità e tradizione
Elena Benedetti
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Eventi
The Welsh Way
Elena Benedetti
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Butchers for Children
Sabaudia chiama e i Butchers rispondono (con un sacco di ciccia)
Commercializzazione
Distribuzione Moderna Organizzata: vizi e virtù
Retail news
Italiani sempre meno fedeli ai brand
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Comunicare la carne
Fake news su carne di maiale e salumi: 10 falsi miti
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Analisi di settore
Ismea: tendenze e dinamiche del settore suinicolo
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Razze
Per il rilancio della Romagnola servono strategie commerciali più efficaci
80
Gare carnivore
World Steak Challenge 2019. And the winner is…
World Butchers’ Challenge
Notizie dal WBC 2020
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Macellerie d’Italia
Magnani: l’abito fa il monaco, se la carne c’è
90
52 Sebastiano Corona
Elena Benedetti
58
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Famiglia Magnoli, macellai per vocazione
Federica Cornia
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Roberto Passaretta, l’orgoglio di una professione e l’evoluzione …
Gaia Borghi
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Il sapore senza tempo della macelleria Francini
Riccardo Lagorio
104
Institute of Masters of Meat
Ritorno alle origini
Elena Benedetti
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La carne in tavola
Une très chic bourguignonne
Giorgia Fieni
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Prodotti tipici
Vanno in tutto il mondo le panadas degli antichi pastori sardi
Nunzia Manicardi 116
A pagina 30.
EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 9 • Settembre 2019
€ 5,42
The WELSH Way Dierendonck, MASTER of Meat
Tentazioni della CARNE artificiale
In copertina: pulled pork burger (photo © karepa – stock.adobe.com).
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Ristoranti carnivori
Taki, non solo sushi
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Assemblee
Vent’anni di Unicarve
Fiere
I consumatori amano i prodotti che vengono dal freddo
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Tecnologie
Priorità numero uno: sicurezza alimentare
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Gian Omar Bison
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MULTIVAC Italia presenta la nuova sede
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Tre elementi rilevanti per una maggiore automazione della produzione…
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Sì alla carne recuperata meccanicamente
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La pagina scientifica
Antibiotici: possibili rischi commerciali
Giulia Mauri
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Consumi
“Senza” e il “ricco di”, la salute nel carrello della spesa
Sebastiano Corona
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Sicurezza alimentare
L’allerta a tavola
Sebastiano Corona
158
Sicurezza alimentare e comunicazione
Giovanni Ballarini 162
Sono 180 grammi, lascio?
60’s pop butcher
Giovanni Papalato 166
Libri
W la ciccia!
170
A pagina 120.
A pagina 170.
A pagina 130.
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LA CARNE NEL MONDO
Australia Gli agricoltori australiani hanno accolto con favore la presentazione alla Camera dei rappresentanti del Parlamento del Commonwealth di un nuovo disegno di legge che offre maggior protezione dagli animalisti che entrano e causano danni alle loro proprietà. Secondo la National Farmers Federation (NFF), quest’anno si è infatti registrato un forte aumento del numero di episodi di attivismo anti-allevamenti in tutta l’Australia. Il progetto prevede una modifica del Codice penale, con la possibilità di irrorare pene fino a cinque anni di reclusione per chiunque compia danni o furti dalla proprietà, o inciti altri a farlo. Un massimo di 12 mesi in carcere potrebbe essere comminato a chiunque entri in una proprietà agricola e interrompa l’attività agricola. Sarà reato anche la realizzazione e trasmissione di video o foto, considerati un’aggravante del furto o del danneggiamento. La legge riguarda i reati commessi in qualsiasi tipo di azienda agricola nonché all’interno dei macelli. È prevista una deroga per i giornalisti che realizzano reportage di interesse pubblico. È da tempo che le associazioni animaliste in Australia conducono campagne contro gli allevatori. L’associazione AUSSIE FARMS, per esempio, ha compilato e pubblicato sul web una vera e propria lista di proscrizione con i dati di migliaia di allevatori, incitando ad agire contro di loro. Il governo è intervenuto e ha ottenuto la chiusura del sito (fonte: EFA News - European Food Agency; photo © CHAIWAT).
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Brasile Sarebbe potuto diventare il quarto gruppo mondiale nel settore delle carni dopo la brasiliana JBS, l’americana TYSON FOODS e la cinese WH GROUP. BRF e MARFRIG, due importanti gruppi brasiliani, avevano siglato un memorandum of understanding per discutere la possibilità di una fusione, che avrebbe visto la nascita di uno dei più grandi gruppi industriali delle carni al mondo, un gigante diversificato con un fatturato annuo di quasi 80 miliardi di BRL (20,2 miliardi di USD). Ma il matrimonio non s’ha da fare: una nota delle società ha infatti annunciato il blocco delle trattative. Secondo BRF, quindi, “il rapporto commerciale tra la BRF e Marfrig rimarrà invariato e non ci saranno modifiche alle pratiche, condizioni e termini stabiliti negli accordi esistenti stipulati da entrambe le parti” (fonte: EFA News - European Food Agency; in foto, barbecue brasiliano; photo © Andrea Izzotti).
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AGENDA Londra (UK) Meatopia è un Meat and Music Festival o, meglio, la “Woodstock degli animali edibili”, così fu battezzata dal suo fondatore, JOSH OZERSKY, e portata nel Regno Unito dallo chef RICHARD H. TURNER. L’edizione 2019 si svolgerà da venerdì 30 agosto a domenica 1 settembre sempre a Londra presso il Tobacco Dock. L’evento è oramai un appuntamento fisso per gli amanti delle carni e del barbecue, tra gare di macellai che vedono sempre la partecipazione del nostro DARIO CECCHINI (in foto), dell’Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti (FI), oltre che di chef londinesi e internazionali. Il tutto tra piatti di carne, musica live, DJ set e demo di tagli. I prezzi variano dalle 24 alle 95 sterline per persona (photo © Wikes McDermid). www.meatopia.co.uk Sasso Marconi, Bologna Domenica 1 settembre, presso la tenuta Le Conchiglie di Sasso Marconi (BO), si svolgerà l’XI edizione di Chef…al Massimo. Pensata, ideata e organizzata dalla famiglia Zivieri, proprietaria di una macelleria a Monzuno, sull’Appennino bolognese, in ricordo di MASSIMO ZIVIERI, fondatore dell’azienda di famiglia e saldo sostenitore dei concetti di allevamento etico e filiera controllata, la manifestazione è ben presto diventata un appuntamento imperdibile non solo per i clienti della macelleria, ma anche per tantissimi appassionati e professionisti del food. Il programma inizierà a partire dalle 11.30 e proseguirà fino al tramonto. Obbligatoria la prenotazione e la presenza naturalmente! (in foto, un particolare della festa svoltasi a Bologna negli spazi di FICO nel 2018). www.chefalmassimo.it
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Madrid (Spagna) Dal 17 al 19 settembre Madrid ospiterĂ Meat Attraction, evento internazionale dedicato allâ&#x20AC;&#x2122;industria delle carni. Sono attesi 400 espositori e 20.000 operatori del settore provenienti da una cinquantina di Paesi. Tra carni fresche e salumi, oltre ad attrezzature e servizi, la manifestazione organizzata dalle associazioni di categoria IFEMA e ANICE si preannuncia interessante per chi è orientato a sviluppare strategie commerciali con la Spagna. www.ifema.es/meat-attraction
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DIAMO I NUMERI
38% Mercato in crescita per il pollo: a giugno, dopo 5 mesi di sofferenza, il mercato all’origine del pollo ha evidenziato una ripresa dei prezzi, tornati al di sopra dei livelli dello scorso anno (+1,8% sul vivo e +1,4% all’ingrosso sul petto); tuttavia, le alte temperature raggiunte nei giorni tra fine giugno e inizio luglio hanno avuto effetti depressivi sui consumi, che, associati alla consueta tendenza stagionale a terminare le scorte in freezer prima delle vacanze, hanno generato un sensibile rallentamento della domanda. Anche nel 2018 il comparto avicolo ha confermato di essere un modello produttivo efficiente, con risultati migliori rispetto agli altri prodotti carnei; il valore dell’avicoltura secondo UNAITALIA ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. Nel 2018 erano oltre 2.600 gli allevamenti di polli registrati in Anagrafe nazionale, per una produzione di oltre 71 milioni di capi. Le carni avicole hanno rappresentato (in volume), nel 2018, quasi il 38% dei consumi domestici di carni fresche, mantenendo per il quarto anno consecutivo il primato tra le carni consumate dalle famiglie italiane in ambito domestico, superando la carne bovina (fonte: ISMEA; photo © Alexander Raths, stock.adobe.com).
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NATURALMENTE CARNIVORO
Quarantacinque “Naturalmente carnivori” al Belvedere di Sabaudia, in provincia di Latina, lo scorso 14 luglio hanno dispensato Labella e Manuele Avagliano, hanno sostenuto con entusiasmo il “Progetto Heal Onlus” per la cura e la ricerca nell’ambito della madrina della giornata la showgirl Elena Santarelli. A pagina 52 un ampio servizio fotografico di Massimiliano Rella (photo © M
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o sorrisi, abbracci, carni, barbecue succulenti e piatti delle cucine regionali di tutta Italia. Capeggiati da Orlando Di Mario, Mara a neuro-oncologia pediatrica, coordinato dalla dottoressa Angela Mastronuzzi dellâ&#x20AC;&#x2122;ospedale Bambin GesĂš di Roma. Splendida Massimiliano Rella).
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IMMAGINI
I fratelli Cosimo e Antonio Magnoli gestiscono dal 2000 la macelleria “Non solo carne” aperta dal padre nel 1967 a Gioiosa Ionica, in provincia di Reggio Calabria, e ne hanno appena rinnovato locali e concept con l’allestimento di un angolo salumeria, una ricca proposta di pronti a cuocere e un angolo per le degustazioni destinato all’assaggio di vini e formaggi del posto. Ce ne parla Federica Cornia a pagina 94 (photo © Samuele Cotrona 2018).
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TENDENZE
Cella di frollatura con vista
Tagli di carne, scaffalature e una stanza della macelleria dedicata alla frollatura. Naturalmente tutto a vista. Succede a Madrid (photo © karrastock – stock.adobe.com).
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La nostra qualità VMǼIXXI MP ORS[ LS[ YRMGS HIM RSWXVM TVSJIWWMSRMWXM
Il taglio “alla francese” è riconosciuto dai professionisti di tutto il mondo come il più accurato. Le carcasse sono sezionate metodicamente, secondo le linee anatomiche dell’animale, in 34 tagli evidenziando così il carattere unico di ciascun muscolo. Vi è una vasta gamma di sapori grazie alle 22 razze bovine prodotte in Francia GLI SǺVSRS ZEVMIXª XIRIVI^^E WYGGSWMXª e gusto persistente.
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razze bovine
Portavoce della ĀĮĞåŹ±ƐÚåĮĮ±ƐϱŹĻå ÆŇƽĞĻ±ƐüŹ±ĻÏåžå
Ismea, consumi alimentari in ripresa nel 2019. Carni fresche e salumi in recupero
Nel primo trimestre 2019 la spesa alimentare ha ricominciato a crescere dopo l’andamento piatto del 2018. I dati sui consumi delle famiglie del Panel ISMEA NIELSEN evidenziano, infatti, un incremento di poco sotto l’1% sullo stesso trimestre 2018. Aumentano in particolare gli acquisti di prodotti confezionati e, tra questi, soprattutto le bevande, che mettono a segno una progressione della spesa del 4,8%, con punte del 6,5% per l’insieme dei vini e degli spumanti. Le referenze sfuse, al contrario, subiscono un’ulteriore riduzione dell’1,7%, dopo la perdita di oltre tre punti percentuali dello scorso anno. Tra le sorprese di questo avvio del 2019, si segnala la netta ripresa degli acquisti nel Mezzogiorno (+2,8% i confezionati e +0,9% gli sfusi), che nel 2018 aveva mostrato più che altrove i segni della crisi. Relativamente alle bevande, i segni più del vino (+4,4%), degli spumanti (+18,3%) e della birra (+5,1%), offrono una chiara indicazione su come il cosiddetto “lusso accessibile” sia entrato stabilmente nelle abitudini di consumo di molti Italiani. Tra i generi alimentari, spicca invece il dato degli ortaggi, con un +4,6% della spesa, anche questa volta grazie al contributo della IV gamma (+6,6%). Stabili gli acquisti dei prodotti ittici e di pasta, riso e farine, mentre per le carni fresche (+0,8%) e i salumi (+1,8%) prosegue la tendenza al recupero osservata a partire dallo scorso anno (fonte: ISMEA; photo © karrastock – stock.adobe.com).
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La Natura non é mai stata così Buona.
Battuta di Fassone
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ATTUALITÀ
La tentazione della carne artificiale di Giovanni Ballarini
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a quando si ha notizia della sua esistenza, l’uomo non ha mai rinunciato a cibarsi di carne, anche se col tempo si sono fatti largo diversi movimenti miranti alla protezione degli animali e dell’ambiente che hanno generato forti dubbi e contrasti. Oggi ci si interroga sul futuro della carne, su quella sintetica, sulle bistecche ottenute da cellule animali coltivate e, soprattutto, sugli hamburger sintetici prodotti con proteine vegetali opportunamente trattate, con aggiunta di grassi e additivi al fine di renderli, per quanto possibile, simili ai veri hamburger. Carne senza carne: merito delle leghemoglobine, sangue vegetale Negli USA le catene di fast food White Castle e Burger King hanno compiuto
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vendite sperimentali di hamburger vegetali rispettivamente denominati White Castle Slider e Impossible Whopper. Sempre negli Stati Uniti sono in vendita i cosiddetti hamburger 2.0 prodotti dall’impresa Impossible Foods (IF) fatti con grano, olio di cocco e patate. Il segreto di questi hamburger sta nell’impiego dell’additivo leghemoglobin (da legume, hemoglobin), ricavato dalla soia (Glycine max), che dà all’hamburger il colore e il gusto del sangue. La leghemoglobina o legemoglobina, legoglobina o metaemoglobina, è una proteina che trasporta l’ossigeno come l’emoglobina del sangue; si trova nei noduli delle radici delle leguminose, che sono colonizzate da batteri che fissano l’azoto, e strette sono le similitudini chimiche e strutturali tra la leghe-
moglobina vegetale e l’emoglobina animale, entrambe di colore rosso. Partendo da queste conoscenze, la produzione della leghemoglobina è stata industrializzata partendo da lievito geneticamente modificato. Le diete occidentali contenenti carne hanno un maggiore impatto sull’ambiente rispetto alle diete vegetariane, genericamente più sostenibili. Tuttavia, a causa di ragioni sociali e personali, molti consumatori sono riluttanti a ridurre la quantità di carne e, attualmente, chi segue i principi vegetariani o vegani appartiene ancora ad un numero limitato della popolazione mondiale. Un modo per aumentare la diffusione di diete più sostenibili pare sia quello di creare un sostituto della carne dai vegetali, soddisfacendo al tempo stesso i gusti dei consumatori
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
Ricetta
Giraudi International Trading S.A.M. Tel: +377 931 042 42 E-mail: giraudi@giraudi.com
Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl
Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com
Atlante porta il filetto di carne finta in Italia. Il prodotto 100% di origine vegetale è disponibile in Emilia-Romagna e in Liguria Atlante, azienda che opera nel settore della GDO come partner delle principali catene italiane ed estere per l’import di prodotti alimentari da tutto il mondo e l’export delle migliori specialità italiane, porta in Italia il primo filetto vegano al 100% di origine vegetale. Il filetto vegano era stato presentato come novità assoluta per il mercato italiano in occasione di Marca 2019 a Bologna, il salone internazionale sui prodotti a marca del distributore, seconda fiera in Europa del settore. Oggi i consumatori possono acquistarlo in 64 punti vendita Sigma in Emilia-Romagna e in 1 punto vendita Sigma a La Spezia, mentre entro la fine dell’anno sarà disponibile anche nelle altre regioni italiane. Nato da un progetto dell’azienda olandese Vivera (specializzata nella produzione di alimenti a base vegetale, con un potenziale di offerta superiore a un milione di prodotti sostitutivi della carne, fra i quali polpette, cotolette, lasagne, hamburger e tagliate), il filetto vegano è stato studiato e realizzato per soddisfare le esigenze di chi adotta un regime alimentare a base di prodotti di origine vegetale e si presenta come una vera e propria alternativa alla carne. Grazie ad una tecnologia di produzione avanzata, si presenta come un prodotto altamente innovativo poiché somiglia a un vero e proprio filetto di carne per aspetto, struttura, gusto e consistenza. Confezionato in atmosfera protettiva, è un prodotto a base di soia e di proteine del frumento arricchito con ferro e vitamina B12, fonte di fibre e ad alto tenore proteico (con 17,3 grammi di proteine ogni 100 grammi). Nella prima settimana del lancio del filetto vegano in 400 punti vendita della catena britannica Tesco ne sono state vendute circa 40.000 unità, con un conseguente incremento della produzione di 100.000 unità a settimana (fonte: EFA News – European Food Agency).
carnivori. Bisogna cioè produrre alimenti con le proprietà sensoriali, la consistenza, sensazione, gusto e odore della carne vera. Un’indagine sui meccanismi molecolari ha portato alla scoperta che l’eme è il catalizzatore critico delle reazioni chimiche che trasformano semplici biomolecole nella complessa gamma di odori e molecole aromatiche che definiscono il profilo aromatico caratteristico della carne. L’eme è un anello di porfirina contenente ferro che esiste come cofattore di proteine in tutti gli animali ed è essenziale per la maggior parte dei processi biochimici che coinvolgono l’ossigeno molecolare. Anche per questo le proteine di mioglobina ed emoglobina della carne rappresentano un’impor-
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tante fonte di ferro nella dieta. Anche diverse piante contengono proteine analoghe all’emoglobina e condividono un progenitore comune con emoglobine animali. Le emoglobine vegetali sono presenti negli steli, radici, cotiledoni e foglie, sono coinvolte nell’omeostasi dell’ossigeno e sono largamente consumate nella dieta umana. Nelle carni, dopo cottura, la mioglobina si trasforma in un insieme altamente specifico e diversificato di centinaia di composti aromatici, la cui combinazione crea l’inconfondibile profilo aromatico caratteristico della carne. Nelle carni di origine vegetale, la proteina leghemoglobina della soia con la cottura rilascia l’eme e catalizza reazioni che possono dare origine a composti che comprendono il
sapore e l’aroma tipici della carne. Il ferro della leghemoglobina ha una biodisponibilità equivalente al ferro dall’emoglobina bovina quando è integrato in una matrice alimentare. La sicurezza della leghemoglobina è stata saggiata su animali da esperimento1. Valori nutrizionali degli hamburger vegetali Per rendere accettabili al consumatore gli hamburger vegetali, questi devono avere una composizione che porta a significative differenze nutrizionali in confronto agli hamburger di carne. Rispetto agli hamburger di carne, quelli vegetali sono privi di colesterolo, ma hanno un maggiore contenuto di grassi saturi (fino al 60% in più), più sodio e meno ferro, peraltro di origine vegetale
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e, salvo quello dell’additivo leghemoglobina, meno biodisponibile. Inoltre le proteine vegetali sono di minor valore biologico rispetto a quelle d’origine animale. Preoccupazioni e perplessità per la carne artificiale Oltre alle conseguenze nutrizionali che un diffuso impiego delle carni artificiali a medio e lungo termine può avere sulla popolazione, diverse e importanti sono le preoccupazioni e le perplessità che, soprattutto in Europa, e in Italia in particolare, riguardano queste carni. Innanzitutto questi alimenti vanno contro l’idea di una naturalità del cibo, anche se sono prodotti con vegetali, perché questi sono trattati dall’industria in modo non tradizionale, con l’uso anche di grassi esotici, come l’olio di cocco. Poi c’è il motivo economico. La carne artificiale è una produzione di tipo industriale, per lo più brevettata da grandi complessi multinazionali che hanno in mano
i mercati mondiali dei cereali e della soia e hanno tutto l’interesse a trasformare queste commodity in alimenti dai quali trarre maggiori profitti. Gli effetti e le conseguenze sui commerci internazionali sono ancora tutti da valutare. La carne è un alimento naturale e nelle sue trasformazioni, anche salumiere, il consumatore preferisce sempre più i prodotti senza additivi e conservanti, tanto è vero che molte etichette evidenziano la loro assenza. La carne artificiale si basa sull’uso della leghemoglobina, perciò non si può certo parlare di mancanza di additivi. Il diffuso apprezzamento di alimenti naturali è dimostrato dal successo sempre crescente di specialità e tipologie “locali”, dalle verdure ai formaggi e non ultime le carni. Una tendenza che contrasta con le produzioni industriali di alimenti standardizzati. Per quanto riguarda l’impatto ambientale e la sostenibilità delle carni artificiali, mancano precisi
dati sui sistemi di produzione; si può tutt’al più fare riferimento alla generica indicazione che gli alimenti vegetali sono più sostenibili di quelli d’origine animale. È infine da sottolineare l’idea che la carne artificiale sembra essere un’abile operazione di marketing che mira a modificare stili alimentari naturali fondati sulla biodiversità alimentare, sulla qualità degli alimenti e sulla tradizione della loro produzione, trasformazione e uso. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota 1. FRASER R.Z. et al. (2018), Safety Evaluation of Soy Leghemoglobin Protein Preparation Derived From Pichia pastoris, Intended for Use as a Flavor Catalyst in Plant-Based Meat, Int. J. Toxicol. 37(3): 241-262; JIN Y. et al. (2018), Evaluating Potential Risks of Food Allergy and Toxicity of Soy Leghemoglobin Expressed in Pichia pastoris, Mol. Nutr. Food. Res. 62(1).
SLALOM
Ristagno dell’economia e impegni per l’Italia di Cosimo Sorrentino
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opo tanto penare, è arrivata la buona notizia: la commissione UE ha infatti deciso di non aprire la procedura di infrazione contro il nostro Paese per la violazione delle regole e degli impegni in materia di finanza pubblica. La rinuncia a detta procedura ha subito portato alla riduzione dello spread, con grande beneficio del nostro debito pubblico. Ricordiamo che i rilievi della Commissione investivano tre annualità del nostro bilancio — il consuntivo per il 2018, il bilancio dell’anno in corso e il bilancio del prossimo esercizio finanziario, che l’Italia dovrà predisporre in autunno — avendo rilevato, per tutti i tre esercizi, degli scostamenti significativi del rapporto tra deficit e PIL e del rapporto tra debito pubblico e PIL. Perciò, detta Commissione ha preso atto che il nostro Governo ha introdotto diverse misure correttive del fabbisogno con il bilancio di assestamento approvato con decreto-legge — strumento fortemente preteso dalla Commissione —, bloccando così una serie di fondi non ancora spesi, ma che saranno spendibili nei prossimi mesi. Tale decisione, che rende imperativo il futuro comportamento del nostro Esecutivo, porta ad una correzione dello scostamento denunciato e fa sì che lo scostamento dal 2% di deficit concordato a dicembre dal nostro Governo, ed il 2,4%, calcolato dalla Commissione UE, siano riassorbiti. Secondo il “vituperato” commissario P IERRE M OSCOVICI , tale correzione serve anche a mettere a posto il bilancio del 2018. Quanto al 2020, la Commissione ha preso atto della dichiarazione di volontà
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del Governo italiano di voler restare entro le cifre concordate e che ogni altra diversa decisione non potrà, comunque, avvenire in deficit. Sembra chiaro però che la questione riguardante il prossimo anno rimarrà sul tavolo della Commissione, poiché i vari governi dell’Unione devono sottoporre i propri progetti di bilancio alla stessa, la quale non ignorerà le dichiarazione che il nostro Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia hanno fatto circa il bilancio 2019 per evitare la procedura di infrazione. Ciò premesso, vorremmo formulare alcune considerazioni circa la nostra attuale situazione economica, tenendo conto dei facili ottimismi che manifesta una parte del nostro Paese ed i cupi pessimismi di imminente realizzazione che prevede l’altra: di fronte alla propagandata nuova recessione, crollo dell’occupazione, aumento della disoccupazione, spread fuori controllo, crisi finanziaria dolente, si può agevolmente opporre che il temuto deficit al 2,4% viaggia verso il 2,1%, le ingenti perdite virtuali registrate sui mercati finanziari nel 2018 sono oggi state assorbite e hanno lasciato il posto ad un leggero saldo positivo, l’occupazione è aumentata di circa centomila addetti, la disoccupazione è diminuita di circa duecentomila unità. Nello stesso tempo, non si può non osservare che né la produzione industriale né l’esportazione procedano bene, ma la situazione, pur non essendo eccellente, come proclama qualcuno, non appare catastrofica, come cerca di convincerci qualche altro. È pur vero però che, secondo le ultime stime del Fondo Monetario
Internazionale (FMI), le crescenti incertezze dell’economia mondiale rallentano la crescita italiana, attestata sullo 0,1% quest’anno, mentre, per il prossimo, la stima è stata prevista a +0,8%. L’Italia rimane ansimante, in un contesto nel quale Eurolandia continua a crescere di oltre l’1% ed il PIL dell’Eurozona viene confermato, dallo stesso FMI, a 1,3% nel 2019 e rivisto al rialzo al’1,6% nel 2020. Il contesto globale, tuttavia, è agitato da una congiuntura negativa, sulla quale pesano le tensioni commerciali di un possibile No-Deal Brexit, come annunciato dal nuovo premier JOHNSON, ma gli economisti avvertono che non si intravedono i rischi di una recessione. Inoltre, sempre secondo il FMI, i vari governi dovrebbero agire a sostengo della crescita, che si fermerà al 3,2% quest’anno, per salire al 3,5% il prossimo. Notizie agrodolci per gli USA che continueranno a crescere nel 2019 di un +2,6%; dato comunque inferiore al 3% sperato dall’Amministrazione americana. Frena anche la Cina, per la quale è prevista una crescita del 6,2% quest’anno e del 6,0% nel 2020; a pesare sono le tensioni commerciali con gli USA, nonostante la tregua raggiunta in occasione dell’ultimo G20 in Giappone. Anche il presidente della BCE si è soffermato sulla situazione dell’economia globale e su quella europea in particolare, evidenziando le ridotte previsioni di una recessione, pur essendo preoccupato per i segnali deboli dell’industria, soprattutto in quei paesi, come la Germania e l’Italia, nei quali essa rappresenta una componente centrale del sistema produttivo. Ed è arrivato,
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quindi, l’appello alla politica di bilancio, perché si affianchi a quella monetaria nella funzione di stimolo, probabilmente riferendosi soprattutto alla Germania, la quale, con i suoi surplus di bilancio, ha ampi margini per contrastare gli influssi negativi che arrivano dall’esterno e spingere la crescita. Per quanto riguarda l’Italia, che sui conti pubblici ha meno spazio di manovra, l’invito implicito è quello di guardare alla qualità della spesa e quindi ad incrementare gli investimenti. Si avvicina ora per il
nostro Paese il tempo della prossima manovra di bilancio. Assisteremo probabilmente alla consueta divaricazione fra le previsioni da parte del Governo e delle opposizioni, ma, secondo il nostro avviso, come è già successo finora, la realtà smentirà sia gli uni che gli altri, ed assisteremo, come ritengono anche molti osservatori, alla conclusione di un compromesso non eccezionale mediante l’utilizzo di un ridotto deficit. Non si assisterà così al crollo dell’economia, né alla sua “splendida ripartenza”. Sarebbe stato meglio,
come pure sostengono in molti, attuare iniziative per il rilancio della crescita, che, per essere efficaci, dovrebbero essere non di carattere elettoralistico, né troppo gravose per i conti pubblici. Alcune di esse potrebbero essere anche a costo zero a partire da quella, che è il sogno di ogni imprenditore, di una forte riduzione degli adempimenti burocratici, che si rivelano sempre più vessatori e che non ci mettono sullo stesso piano degli altri nostri partners europei. Cosimo Sorrentino
De Castro eletto capogruppo S&D in ComAgri Parlamento UE «La sfida che abbiamo di fronte nei prossimi cinque anni si chiama PAC. Dobbiamo riformare la Politica Agricola Comune ponendo al centro i diritti e gli interessi degli agricoltori, dei consumatori e di tutti gli operatori del sistema agroalimentare». Lo dichiara l’eurodeputato PD, PAOLO DE CASTRO (in foto), commentando la sua elezione a coordinatore responsabile per il Gruppo S&D nella Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. «Il nostro primo obiettivo resta la riforma della PAC 2020-2027. Occorre avanzare senza fretta, auspicando che il collega popolare HERBERT DORFMANN venga indicato dal suo Gruppo nella stessa funzione. Dobbiamo prima sapere su quante risorse di bilancio potrà contare l’agricoltura e il mondo rurale nei prossimi 7 anni, e conoscere il nome del nuovo Commissario europeo all’agricoltura. Nel frattempo, continueremo a lavorare per garantire una produzione europea sempre più sostenibile a livello economico, sociale e ambientale. Grazie ad una maggioranza europeista consolidata in seno alla Commissione Agri, composta al 60% da deputati progressisti, popolari e liberali, e grazie anche al peso specifico che i deputati di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e Romania avranno nel processo decisionale della Commissione stessa, sono certo che riusciremo a garantire i diritti dei 513 milioni di cittadini europei e gli interessi dei nostri 10 milioni di agricoltori, ponendo al centro della nostra azione il rilancio del settore produttivo mediterraneo» (fonte: EFA News – European Food Agency).
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LA CARNE IN RETE
Social di Elena
2. MEAT podcast made in Australia 1. Belerei, per amore della buona carne Questo è uno degli e-commerce di carne di riferimento del mercato tedesco e non solo: www.beilerei.com. La loro filosofia? Eccola. “Una carne davvero buona ha bisogno di tempo e dedizione. In un mondo che cambia rapidamente, noi ci prendiamo questo tempo. Con precisione ed esperienza, il nostro mastro macellaio trova i pezzi migliori e li prepara per voi a mano” (photo © beilerei.com).
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VIC’S PREMIUM QUALITY MEAT è sinonimo di lavorazione delle carni di qualità in Australia, più precisamente nello stato di Victoria e nel nuovo Galles del Sud. Parallelamente al loro business di taglio, lavorazione e frollatura sono attivi con MEAT: The Ultimate Podcast by Vic’s Meat, un canale di racconti sul mondo delle carni che si può ascoltare dalle piattaforme iTunes, YouTube e Spotify. “Per aumentare la tua consapevolezza sulla carne e fare scelte consapevoli”. Link: www.vicsmeat.com.au/podcast (photo © instagram.com/vicspremiumqualitymeat).
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meat Benedetti
3. Heritage Meats Ecco un sito che a parer nostro rappresenta uno dei progetti digitali più interessanti del momento. Si tratta di una macelleria in quel di Hong Kong che non si limita a vendere carne. Attraverso www.heritagefoods. com.hk l’impegno è focalizzato su un racconto che va oltre il banco carni e che mira a creare una “nuova conversazione sul tema del cibo”. Attraverso produzioni video liberamente visibili su heritagefoods.com.hk/ourfilms ci raccontano storie di allevatori, razze, biodiversità, la rivoluzione grass-fed, il concetto di animale intero e le carni di selvaggina. Meravigliosi (in foto maiali di razza Mangalica in un allevamento ungherese, photo © instagram.com/heritage_foods_hk).
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4. Magliette carnivore È on-line MEATY STORE (www.meaty.store), il nostro e-shop delle T-shirt per Naturalmente Carnivori, l’e-commerce dedicato a chi ama, lavora e fa delle proteine animale la propria professione e passione. Vi trovate serie limitate e un’ampia varietà tra taglie e colori, oltre a un blog di notizie e curiosità. Con l’acquisto di minimo 2 T-shirt il trasporto è felicemente a carico nostro (photo © meaty.store).
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AZIENDE
Accademia Italiana Stagionello® e Metodo Cuomo® brevettato
Insieme tra ricerca e docenza, al servizio della trasformazione alimentare sicura e innovativa
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uando si parla di innovazione tecnologica legata alla produzione di alimenti, si associa questo connubio ad una serie di opportunità che ne scaturiscono, tendenzialmente legate all’aumento del profitto, alla diminuzione radicale di alcune tempistiche ed al risparmio di alcune risorse. Tutti aspetti positivi, la cui validità, tuttavia, è ancora più rimarcata se il connubio tra scienza ed alimentazione agisce unicamente in virtù di un unico obiettivo: la sicurezza alimentare.
Quando ciò avviene, accadono cose straordinarie. Scaturiscono incontri e collaborazioni che hanno il potere di accelerare alcune evoluzioni scientifiche e che possono cambiare la qualità della vita dell’uomo. Ed è proprio quella di “cambiare le cose” la mission dell’Accademia Italiana Stagionello®, da anni specializzata nella ricerca e nella didattica al fine di erogare corsi di altissima formazione dedicati ai professionisti del panorama agroalimentare internazionale. L’Accademia nasce come un luogo dove
confrontarsi con molteplici realtà di stampo internazionale. Un luogo in cui entrare in contatto con altri professionisti ed imparare quanto possa generare il professionale connubio tra natura e tecnologia. Si articola così un’offerta didattica ad impronta nazionale ed internazionale sulla trasformazione dell’alimento, in particolare sulla produzione e la stagionatura di salumi e la maturazione delle carni. Da tutti i continenti si muove l’interesse per questi corsi e per il Metodo Cuomo ® dedicato alla
Il dottor Alessandro Cuomo ed il prof. Mirco Marconi insieme ai corsisti dell’ultima edizione del master organizzato dall’Accademia Italiana Stagionello®.
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trasformazione degli alimenti. Un metodo professionale, brevettato a livello internazionale, che impatta in maniera positiva tutto il comparto scientifico del settore medico e veterinario. Il brevetto sui cui si basa l’applicazione del Metodo Cuomo®, infatti, è un’invenzione industriale estesa a livello europeo ed è nello specifico un “Dispositivo e metodo per il controllo e la gestione della conservazione e/o della trasformazione di alimenti in un ambiente chiuso, mobile o fisso”. Accade così che il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali (DMVPA) dell’Università Federico II di Napoli e il Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli incontrano ALESSANDRO CUOMO, proprietario del brevetto europeo EP2769276 (rilasciato dall’European Patent Office) basato sul Metodo Cuomo® e relativo al metodo e al dispositivo di maturazione delle carni, ed insieme si interrogano su cosa possono fare insieme. Impegnano tutte le loro risorse per approfondire la maturazione e la trasformazione delle carni bufaline con Maturmeat® ed il Ministero decide di investire su di loro, sul progetto RAZIONALE (miglioRAmento delle caratteristiche funZIOnali e della shelf-life degli alimeNti derivanti da tecniche innovAtive di alLEvamento della bufala), supportato dal Ministero dello Sviluppo economico nell’ambito del PON Imprese e Competitività 2014-2020. Dopo tre anni di lunghe ricerche arrivano le prime pubblicazioni della parte scientifica. Pubblicazioni che confermano il potenziale e la funzionalità del Metodo Cuomo® e del suo brevetto internazionale. «Abbiamo effettuato studi sulle carni maturate — dichiara la prof. ssa MARIA LUISA BALESTRIERI —, i cui risultati altamente innovativi sono stati accolti con fervore dalla comunità scientifica internazionale. Abbiamo potuto verificare che è possibile migliorare il profilo funzionale e nutraceutico dell’alimento carne, in particolare della carne di bufala, aumentando il contenuto di alcuni metaboliti.
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Alessandro Cuomo e Brian Polcyn, autore del libro “Charcuterie”. Entrambi gli alimenti (bufala e bovino) — continua la docente — sono stati sottoposti a maturazione con metodo Maturmeat®, quindi trattati con metodo e dispositivo brevettati, nonché in questo caso anche supportato da evidenze scientifiche, in grado di dimostrare come, durante il processo di maturazione fino a 90 giorni, non solo si ha un miglioramento del profilo nutrizionale del prodotto, ma si evita anche la perdita di metaboliti funzionali, che restano costantemente presenti lungo tutto il periodo di maturazione della carne». L’Accademia arricchisce così il suo lungo percorso di affiancamento alla scienza. Il Dipartimento di Ricerca & Sviluppo del Metodo Cuomo® si avvale della consulenza di docenti e ricercatori delle principali Università italiane ed estere e l’Accademia ospita master, meeting e conferenze docenti di fama internazionale, quali il prof. MIRCO MARCONI dell’Università di Scienze Gastronomiche, il prof. MARCO TASSINARI del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, il prof. CAMPANILE, il prof. ANASTASIO ed il dott. MARRONE del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, la PROF.SSA MARIA LUISA BALESTRIERI del Dipartimento di Medicina di precisione dell’Università degli Studi
della Campania, nonché lo stesso dott. Alessandro Cuomo, inventore del Metodo e consulente per diverse università italiane ed estere. Si realizza così la massima espressione dell’incontro tra innovazione e tradizione, l’opportunità di agire in maniera significativa sulla sicurezza dell’alimentazione umana. I sofisticati studi delle università si uniscono all’esperienza (definita dagli stessi partecipanti “spirituale”) dei master organizzati dall’accademia, che in pochi giorni riproducono e ripercorrono l’antico rituale mosso intorno alla produzione e trasformazione di alimenti di origine animale, convogliandolo verso l’utilizzo di attrezzature e metodologie altamente innovative. L’offerta didattica si concentra sulla formazione di esperti, professioni e manager di tutti i livelli che operano nel settore alimentare, garantendo una varietà di corsi ed una fitta calendarizzazione su tutto il territorio nazionale ed internazionale. Le cose quindi cambiano perché non restano meri convegni, seminari o belle pubblicazioni chiuse in un cassetto. Le cose cambiano perché le “scoperte” dell’università si concretizzano in impianti e macchinari che aiuteranno chiunque creda in tale metodo (il metodo di trasformazione delle carni noto come Metodo Cuomo® interviene unica-
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mente secondo principi fisici senza a aggiunta di additivi e conservanti nocivi alla salute), a cambiare a sua volta le cose, producendo alimenti sicuri, genuini, che garantiscono le proprietà nutraceutiche dell’alimento, valorizzandole e scaturendo benefici per la salute umana dall’assunzione di quel determinato alimento. «Il metodo Cuomo (e il relativo sistema brevettato) — afferma il prof. Marco Tassinari — consente oggi di parlare non più di frollatura, ma di “maturazione” della carne, un processo completamente diverso: si ha infatti un processo controllato dal punto di vista del pH, della temperatura e dell’umidità, che consente di determinare nella carne “maturata” quindi, non refrigerata, tutta una serie di cambiamenti enzimatici. Perciò, a differenza del maturatore Maturmeat®, non può assolutamente permettere una maturazione della carne ma solo una conservazione a temperatura di 2-4 gradi. Un frigorifero classico non può essere considerato un maturatore, in quanto il maturatore è un sistema brevettato, certificato e riconosciuto a livello europeo per
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tutto il processo che avviene all’interno, ovvero un metodo validato scientificamente. Naturalmente è molto importante anche l’eticità dell’operatore che si occupa di maturare le carni». L’Accademia propone dunque un percorso completo e strutturato, “scelto” dalle aziende e dai professionisti del comparto alimentare che investono in tecnologie che mettono al centro la valorizzazione di quanto già offre la natura, che investono nella sicurezza del proprio operato e nella sicurezza di ciò che producono. Conoscere le materie prime, trasformarle, valorizzarle, tracciarle e garantire al consumatore un prodotto finito buono e sicuro. Elaborare nuovi prodotti standard e personalizzati. Ecco come agisce l’Accademia. E da qui, dall’Accademia Italiana Stagionello®, che dal 2000 opera al fine di formare i grandi manager di settore, che nascono i professionisti della norcineria e della macelleria italiana ed estera. Tantissimi professionisti hanno approcciato il Metodo Cuomo® e grazie all’affiancamento dell’Accademia sono diventati esperti di rilevanza mondiale nel loro settore,
protagonisti a loro volta di eventi formativi, eventi e reportage su riviste di settore. Nell’Accademia Italiana Stagionello® vincono le buone pratiche, dettate dalle nostre Università, dai ricercatori ed i docenti che in maniera appassionata lavorano per garantire un prodotto alimentare migliore a tutti i consumatori.
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MERCATI
Report UE: previsioni per le esportazioni di carni suine nel 2019. Analisi dei flussi e prospettive
L
a diffusione della peste suina africana (PSA) in Cina ha creato un divario tra i livelli di produzione e di consumo che non possono essere compensati dalle importazioni a breve termine. Gli esperti stimano per il 2019 un calo del 20-35% della produzione cinese, che rappresenterebbe fino al doppio dell’attuale commercio globale di carne suina. La PSA si sta diffondendo anche in altri paesi asiatici, come Vietnam e Cambogia. Pertanto, i consumatori dovrebbero variare parte del loro consumo di carne spostandosi su altri prodotti. Ciò dovrebbe portare ad un aumento della domanda
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di altre proteine, in particolare di carne di pollame. Nei primi quattro mesi del 2019, le esportazioni di carne suina dalla UE alla Cina sono cresciute del 37% su base annua (43% delle esportazioni totali), trainate dall’aumento
delle esportazioni di carne (+60%). Allo stesso modo, le spedizioni in Vietnam sono quasi raddoppiate, fino ad una quota del 2%. Le esportazioni totali di carne suina dalla UE nel periodo sono aumentate del 17% (+6% per le frattaglie). Entro
Le esportazioni di carni suine, guidate soprattutto dalla domanda cinese, dovrebbero continuare a salire nel 2019, mentre la produzione si stabilizzerà. Nel 2020 la produzione della UE dovrebbe aumentare dell’1,4%.Queste sono alcune delle principali conclusioni dell’ultima Relazione sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli della UE
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la fine del 2019, le esportazioni di carne suina della UE dovrebbero essere superiori del 12% rispetto allo scorso anno, sostenute dalla domanda cinese ma limitate da un’offerta ridotta. La crescita delle esportazioni dovrebbe proseguire ad un ritmo analogo anche nel 2020. La domanda di esportazioni si rifletterà sulla crescita della produzione solo nel 2020 L’indagine sul patrimonio suinicolo nel dicembre 2018 ha mostrato una riduzione dei riproduttori della UE del 3%; riduzione che limita lo sviluppo della produzione della UE nonostante l’aumento della domanda globale e dei prezzi. Di conseguenza, nel primo trimestre del 2019, la produzione di carne suina della UE è diminuita dello 0,7% su base annua. Tra i principali produttori della UE, solo la Spagna ha aumentato la sua produzione, incoraggiata dall’aumento delle esportazioni. Al contrario, la produzione è diminuita significativamente in Germania, Paesi Bassi e Polonia. Entro la fine dell’anno si prevede che la fornitura di carni suine provenienti dalla UE rimarrà stabile. Entro il 2020, con il ripristino della capacità produttiva della UE, la produzione dovrebbe crescere moderatamente (circa 1,4%), nonostante i prezzi elevati, limitati da altri fattori, come le normative ambientali e le preoccupazioni sociali. I prezzi sono aumentati notevolmente dalla metà di marzo sia per la carne suina che per i suinetti; incremento guidato dalle esportazioni crescenti verso la Cina, che hanno raggiunto i livelli elevati del 2017. Si prevede comunque che il consumo pro capite diminuirà in modo di 0,5 kg nel 2019 (arrivando a 32,1 kg), poiché i prezzi elevati favoriranno altri tipi di carne, in particolare il pollo. (Fonti: www.3tre3.it DG Agriculture, Unione Europea ec.europa.eu) Nota A pagina 38, photo © ma-bo – stock. adobe.com
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SPECIALE CARNE BOVINA FRANCESE
Biodiversità e tradizione Inizia il nostro viaggio nella filiera delle carni bovine francesi. Si parte dagli allevamenti e dalla vocazione zootecnica della Francia di Elena Benedetti
L
a biodiversità è un concetto oggi parecchio ridondante sui media digitali e spesso associato alla narrazione di specie rare o in via di estinzione. Non dobbiamo però dimenticare la biodiversità più ordinaria che partecipa a tutte le funzioni essenziali, come quella della produzione alimentare, tessile o energetica. Si tratta di un tema complesso, che si sviluppa su più livelli e, volendo semplificare, potremmo definirne tre: la biodiversità
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degli ecosistemi (o gli habitat modellati dalla posizione geografica, dal paesaggio, tipo di terreno o clima); la biodiversità specifica (o diversità di specie); la biodiversità genetica che differenzia i soggetti all’interno della stessa specie. Oltre alla biodiversità ordinaria, la biodiversità domestica si riferisce a tutte le razze e varietà che sono state selezionate e attraversate da oltre 10.000 anni di agricoltura. Se la Francia vanta non meno di 22
razze bovine, delle quali 10 sono razze da carne, lo deve proprio all’incredibile diversità dei suoi territori. Prendiamo per esempio i verdi prati della Normandia, caratterizzati dalle abbondanti piogge, o gli altipiani ventosi dell’Aubrac, territorio di origine vulcanica con una storica vocazione all’artigianato e all’agricoltura di montagna. O i pascoli dei Pirenei, ricchi di erbe spontanee, al bocage del Limosino nella zona centro-sud della Fran-
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Limousine, Charolaise, Blonde d’Aquitaine, Salers, Gasconne, Rouge des Prés, tutte queste razze sono l’espressione naturale delle loro terre d’origine. Ognuna è peculiare ma l’elemento che le accomuna è quello di essere state selezionate nel corso del tempo per la qualità e la finezza della loro carne
rende la Francia il primo Paese per allevamento di razze nutrici in Europa, è anche e soprattutto l’impegno di tutta la filiera che contribuisce attivamente alla reputazione della produzione bovina francese. E qui l’Interprofessione francese gioca da sempre un ruolo strategico, nel saper bilanciare gli interessi dei tanti attori della sua filiera, capace di muoversi in modo unitario e compatto anche sul fronte della comunicazione. Quest’ultima è cosa di non poco conto e l’Italia ha ancora parecchio da imparare, data la sua scarsa propensione a creare un’unica voce del settore carne, frammentata altresì in più “parrocchie”.
cia. Tutte queste regioni a forte vocazione zootecnica si distinguono per avere un sottosuolo, un clima, o una conformazione geografica e ambientale unica che li definisce e personalizza. La ricchezza di questa biodiversità si ritrova in modo naturale nell’allevamento bovino francese. Dalla Limousine alla Charolaise, dalla Blonde d’Aquitaine alla Salers, dalla Gasconne alla Rouge des Prés, tutte queste razze non sono che l’e-
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spressione naturale delle loro terre d’origine. Ognuna è peculiare, ma l’elemento che le accomuna è di essere state selezionate nel corso del tempo per la qualità e la finezza della loro carne. Una carne unica nel sapore, tenerezza, succosità, che rispecchia le peculiarità ambientali e il know-how degli allevatori. Oltre ai vantaggi della conformazione geografica e ambientale, con una superficie di pascolo che
Francia, grandi numeri di carne bovina con piccoli allevamenti Con un patrimonio bovino che sfiora i 19 milioni di capi, la Francia è oggi a pieno titolo il primo produttore di carne di manzo in Europa. Questi numeri sono il risultato di un tessuto di allevamenti caratterizzato da dimensioni ridotte, che mediamente contano solo una sessantina di vacche nutrici. Si tratta quindi di aziende agricole a carattere famigliare, nelle quali il lavoro si è tramandato di generazione in generazione, in un ecosistema perfetto per allevamenti a reddito caratterizzato da piogge regolari che garantiscono erba e foraggio. Le buone pratiche di allevamento Ai fini di garantire la tracciabilità,
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Particolare di un tipico allevamento nella campagna francese (photo Š Interbev). 42
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Attingere da una tradizione secolare per affrontare al meglio le prerogative di un lavoro che guarda al futuro. Questa è la sfida dell’allevamento francese. Con un patrimonio bovino che sfiora i 19 milioni di capi, la Francia è oggi a pieno titolo il primo produttore di carne di manzo in Europa (photo © Interbev).
La campagna della carne bovina francese “La nostra passione, il nostro impegno”: questa è la firma della nuova campagna di comunicazione della carne bovina francese. Creata su iniziativa di Interbev, l’Interprofessione francese del bestiame e delle carni, la campagna valorizza l’immagine dell’intera filiera bovina francese attraverso la voce a tutti gli operatori che ne fanno parte. Perché sono proprio l’unione e l’impegno di tutti i soggetti coinvolti gli elementi che consentono alla Francia di offrire un prodotto di qualità, riconosciuta in tutto il mondo. Ma da dove nasce questa qualità? Dall’allevamento, dove il rispetto dell’animale e un’alimentazione naturale sono centrali, fino al processo di trasformazione, caratterizzato da una sicurezza irreprensibile e un know-how unico. Questo percorso di qualità, dal campo al piatto, fa si che la Francia sia da sempre leader europeo nel settore. Il nuovo progetto si articola così intorno a tre tematiche principali: la qualità dell’allevamento, della trasformazione e del prodotto finale. Esso si basa in particolare su una identità visiva dal carattere forte e distintivo, che rispecchia i valori comuni a tutta la filiera: la passione e l’impegno che ogni attore mette tutti i giorni nel proprio lavoro, dai quali ne deriva lo slogan. Lo stile e la forma che evocano un timbro — con al suo interno un bovino stilizzato con i colori della bandiera francese — veicola il valore di certificazione di origine e di qualità del prodotto stesso. >> Link: carnebovinafrancese.it
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Le 10 razze da carne pregiate francesi • Aubrac • Bazadaise • Blanc bleu • Blonde d’Aquitaine • Charolaise • Gasconne • Limousine • Parthenaise • Rouge des prés • Salers
al momento della nascita ad ogni vitello viene assegnato un codice a 10 cifre posto sul marchio auricolare e sul suo passaporto, che contiene il certificato sanitario rilasciato dai veterinari. Questi dati sono quindi elaborati a livello nazionale per monitorare a livello macro l’andamento della produzione zootecnica. Da parte sua, l’allevatore mantiene l’annotazione di tutte le informazioni sul registro di allevamento: dai movimenti degli animali, al suo stato di salute, dai trattamenti farmacologici alla tracciabilità dell’alimentazione, solo per citarne alcuni. A tutto ciò si aggiunge la Carta delle buone pratiche d’allevamento, alla quale aderiscono oggi i due terzi degli allevatori francesi. Istituita nel 1999 per soddisfare le aspettative dei partner commerciali e dei consumatori in materia di buone pratiche, questa Carta impegna ogni allevatore su sei punti essenziali: 1. assicurare la tracciabilità degli animali nella sua azienda; 2. assicurare la salute del suo bestiame; 3. fornire una dieta sana ed equilibrata ai propri animali; 4. garantire il loro benessere; 5. la sicurezza di coloro che lavorano in azienda; 6. non ultimo, contribuire alla protezione dell’ambiente. Un’alimentazione sicura, prodotta in azienda Dal 1990 ormoni e farine animali sono stati banditi. L’alimentazione
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In alto: la razza Limousine è originaria del Limousin, nella provincia di Limoges, a ovest del Massiccio Centrale, un territorio caratterizzato da un clima piuttosto duro, caratterizzato da estati calde, inverni rigidi e abbondanti piogge. Allevata soprattutto al pascolo questa razza produce un’ottima carne a grana fine (photo © Interbev). In basso: capi di Rouge des Prés al pascolo. In Francia la diversità di razze rispecchia quella dei territori di origine (photo © Interbev). dei bovini è composta esclusivamente da vegetali e integratori minerali. Inoltre, l’alimentazione del bestiame è a ciclo chiuso, dato che al 90% viene prodotta all’interno dell’azienda agricola. Essa consiste prevalentemente di erba fresca di pascolo oppure distribuita in forma conservata (fieno, insilato). Ma anche foraggi come l’insilato di mais raccolto con la pianta intera, l’erba medica, i cereali come il grano
o altre colture proteiche come la colza sono parte integrante della dieta degli animali allevati. Questa diversificazione è importante perché aiuta a bilanciare la razione, oltre che garantire scorte alimentari durante tutto l’anno. Elena Benedetti Nota Alle pagine 40 e 41, un allevamento di Charolaise (photo © Interbev).
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EVENTI
The Welsh Way All’edizione 2019 del Royal Welsh Show si è celebrata la cultura zootecnica e agricola del Galles in un contesto di pesante incertezza politica di Elena Benedetti
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iodiversità, tradizione, cultura zootecnica e passione allevatoriale. Questi sono gli ingredienti del Royal Welsh Show, l’evento unico nel suo genere che ogni anno in piena estate porta a Builth Wells, nel cuore del Galles, migliaia di allevatori e agricoltori, operatori del settore carne e zootecnia, buyer e stampa internazionale. L’edizione 2019, svoltasi dal 22 al 25 luglio, è stata un’occasione importante anche per fare il punto sugli scenari
politici che si prospettano all’orizzonte, tra Brexit, l’elezione del nuovo Prime Minister conservatore BORIS JOHNSON, avvenuta proprio nei giorni della manifestazione, la presenza del PRINCIPE CARLO D’INGHILTERRA, da sempre attento ai temi dell’agricoltura e della zootecnia. E così, tra gare di tosatura degli agnelli, concorsi di eleganza di splendidi capi allevati, il girovagare nelle stalle stracolme di capi di bestiame e allevatori che sonnec-
chiano, entrambi, tra una gara e l’altra, happening di grigliate, musica e mercati agricoli, si è parlato di politica e di futuro del Regno Unito. Incertezza politica e scenario disastroso in caso di No-Deal «Una nuova analisi ci dice che gli allevatori di agnello del Galles potrebbero dover far fronte a un calo del 24% dei prezzi di mercato provocato dal crollo dell’export qualora il Regno Unito perseguisse
Kevin Roberts, presidente dell’ente promotore della carne rossa Hybu Cig Cymru (HCC). A proposito di un No-Deal Brexit, Roberts ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di una soluzione stabile e continuativa. Con l’accordo giusto, HCC è pronto ad incrementare le esportazioni e aumentare la domanda interna».
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Bioalleva nasce da una vera vocazione per la genuinità del gusto, l’amore per il territorio e il rispetto verso i propri consumatori. Proprio per questo, a confronto di una semplice linea biologica, Bioalleva si distingue per essere “Biologica su tutta la linea”. La ricerca della naturalità Bioalleva inizia infatti dagli stessi pascoli: tutti biologici, rispettosi dell’etologia delle specie, della serenità degli animali e della loro libertà di movimento.
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Una giovane allevatrice con uno splendido capo di Aberdeen Angus (photo © Aberdeen Angus Cattle Society). una disastrosa politica di un No-Deal Brexit a fine ottobre, proprio al culmine della stagione dell’esportazione di Welsh Lamb» ha detto senza mezze misure il presidente dell’ente promotore della carne rossa Hybu
Cig Cymru (HCC) KEVIN ROBERTS nel corso della colazione inaugurale a base di costolette di agnello. Nel corso della passata edizione Roberts aveva avvisato gli operatori in merito ai potenziali effetti cata-
strofici in caso di un No-Deal e oggi la situazione non si è certo rasserenata. «HCC, insieme all’AHDB delle carni inglesi e alla scozzese QMS, ha commissionato uno studio all’Andersons Centre (si veda box sottostante). Il risultato è apocalittico: il centro di ricerche ha infatti stimato che le esportazioni di carne bovina e ovina verso l’UE potrebbero diminuire del 92,5%, con l’export di agnello “quasi completamente spazzato via”. Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che questa pericolosa proiezione diventi realtà» ha detto il presidente di HCC. «Abbiamo bisogno di una soluzione stabile e continuativa. Con l’accordo giusto, HCC è pronto ad incrementare le esportazioni e aumentare la domanda interna». Nel corso di questi anni, ha poi ricordato il capo di HCC-Hybu Cig Cymru, i referenti commerciali del Welsh Lamb sia a livello nazionale che sui mercati esteri hanno sempre di più apprezzato la cosiddetta Welsh Way, ovvero la tradizionale modalità di
Un nuovo studio sugli impatti della Brexit per i settori gallesi del bovino e dell’ovino Un nuovo rapporto pubblicato lo scorso 18 luglio mette in evidenza la piena portata delle potenziali implicazioni della Brexit per le filiere del manzo e agnello made in UK. Lo studio, commissionato da AHDB, QUALITY MEAT SCOTLAND (QMS) e HYBU CIG CYMRU – MEAT PROMOTION WALES (HCC), e sviluppato da THE ANDERSONS CENTER, analizza nel dettaglio l’impatto delle misure tariffarie e non tariffarie (NTM) nei potenziali scenari di trattativa e di libero scambio sul commercio di carni bovine e ovine, oltre che sui consumi interni, sull’equilibrio dei prezzi, sulla produzione e sulla redditività del comparto zootecnico. Si tratta di uno degli studi più dettagliati del loro genere, che comprende lo sviluppo di un nuovo modello per comprendere i costi del commercio con l’UE27 e che traccia 7 raccomandazioni per l’industria delle carni al fine di mitigare, per quanto possibile, le sfide poste dalla Brexit. Raccomandazioni che includono: • un auspicio affinché il Regno Unito e l’UE raggiungano un solido accordo di reciproco riconoscimento per ridurre la necessità di controlli ufficiali e minimizzare l’attrito commerciale; • un sistema Authorised Economic Operator (AEO) rapido o più snello per aiutare le imprese a superare alcune barriere doganali; • l’implementazione di un sistema di certificazione elettronica; • una migliore comunicazione tra le autorità di regolamentazione del Regno Unito e d’Oltremare • un processo di formazione per le imprese esportatrici per comprendere al meglio le procedure di regolamentazione; • dare priorità ai mercati esteri in via di sviluppo. «Questa analisi suggerisce che l’impatto di un No-Deal Brexit in ottobre sarebbe davvero un bel problema per gli allevatori di ovini e bovini in Galles dato che si stima un calo del 92%» ha dichiarato JOHN RICHARDS, Industry Development Manager di Hybu Cig Cymru. «Il rapporto stima un calo del 24% dei prezzi degli agnelli nel periodo di punta dell’anno, con un disastroso effetto sulla redditività degli allevatori». Per info: meatpromotion.wales/en/news-industry-info/policies-analysis/preparing-for-brexit
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PRESENTA IL SIGILLO ITALIANO I DISCIPLINARI DEL SISTEMA QUALITÀ NAZIONALE ZOOTECNIA (SQNZ) RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
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FORNITORE UFFICIALE
Gwyn Howells dà il benvenuto a Prince Charles nello spazio HCC L’edizione 2019 ha visto anche la presenza del PRINCIPE CARLO D’INGHILTERRA, che al Royal Welsh Show si è soffermato a lungo a parlare con gli allevatori e ad approfondire le tecniche di allevamento sostenibile della zootecnica gallese, la cosiddetta “Welsh Way”. GWYN HOWELLS, chief executive di HCC (in foto con Prince Charles), ha riassunto al Principe le più diffuse pratiche agricole sostenibili gallesi — messe in evidenza nella campagna di comunicazione istituzionale — incluso il fatto che il bestiame gallese sia allevato a erba, al pascolo, senza alcuna modalità di tipo intensivo. Uno degli agricoltori che compare nei video promozionali di HCC è RICHARD RODERICK, che nel Breconshire possiede un allevamento che conta 900 pecore da riproduzione e 90 capi di bovine da latte. Richard ha spiegato al Principe del Galles come nella sua Newton Farm riesca a minimizzare l’utilizzo di fertilizzanti grazie alla tecnologia di precisione GPS e abbattere le emissioni grazie ad una ventina di chilometri di area boschiva selvatica realizzata a tale fine. Prince Charles ha anche incontrato KATIE-ROSE DAVIES, che gestisce l’azienda di famiglia a Nantymoel, nel Glamorgan. Katie-Rose alleva un migliaio di ovini da riproduzione e una piccola mandria di bovini e gestisce le sue terre da pascolo in una modalità che sviluppa la fauna selvatica riducendo il rischio di inondazioni nelle vicine valli di Ogmore e Rhondda. «L’erba è la nostra risorsa più preziosa» ha detto Katie-Rose Davies. «Come la maggior parte degli allevatori gallesi cresciamo il nostro bestiame a erba, mantenendo al minimo i mangimi acquistati».
Foto di gruppo per gli operatori italiani in visita allo spazio delle carni gallesi del Royal Welsh Show 2019. Da sinistra, Paolo Fiorucci di PAC 2000A, Simone Franceschini e Giampiero Carozza di Amadori, Fabrizio Pavesi di Dawn Meats, Jeff Martin di HCC Italia, Fabio Cifariello di PAC 2000A e Giorgio Pellegrini della Macelleria Pellegrini di Milano. 50
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allevamento dei capi ovini a bassa intensità e i passi in avanti compiuti dagli agricoltori gallesi per ridurre le emissioni di carbonio. «La nostra tradizione allevatoriale è una delle più sostenibili al mondo ma, ciò nonostante, dobbiamo ancora combattere contro le notizie false che invadono i social network in materia di produzione alimentare e cambiamento climatico» ha detto Roberts, aggiungendo che «è giunta l’ora che la case history di successo dell’agricoltura gallese diventi tendenza». In proposito, HCC sta conducendo questa battaglia contro la disinformazione attraverso una comunicazione mirata, con video e contenuti multimediali ad hoc. Roberts ha poi ricordato che l’allevamento gallese di bovini, ovini e suini ha contribuito alla produzione zootecnica con 688 milioni di sterline, dando un enorme contributo di sviluppo alle comunità gallesi e allo stile di vita rurale. «Proprio ora, e in particolare per la carne, i prezzi non sono quelli che vorremmo. Oltre ai capricci dell’offerta e della
Un pluripremiato manzo di Longhorn. domanda, parte del problema è dato dall’incertezza economica e politica di Westminster». In altre parole, il Galles è una regione straordinaria nella sua vocazione zootecnica e agricola e nella ricchezza che può distribuire. «I nostri allevatori e le nostre
aziende agricole meritano molto più di un disastroso No-Deal», ha concluso Roberts. Elena Benedetti >> Link: www.rwas.wales/royal-welsh-show www.agnellogallese.eu
Concorso di eleganza dei bovini di razza Salers. Razza rustica originaria del Cantal, dipartimento francese della regione Alvernia- Rodano-Alpi, ha manto rosso ed è nota per il suo istinto materno estremamente sviluppato. Oggi è allevata principalmente come razza da carne (photo © salers-cattle-society.co.uk). Eurocarni, 9/19
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BUTCHERS FOR CHILDREN
Sabaudia chiama e i Butchers rispondono (con un sacco di ciccia)
L
a solidarietà è contagiosa e non conosce confini. Ma è anche un motore a pieni giri che genera lavoro, tantissimo lavoro, come quello che svolto da ORLANDO DI MARIO, MARA LABELLA e MANUELE AVAGLIANO, i tre super macellai che hanno portato per la prima volta i Butchers for Children a sud di Roma, tra la Capitale e Napoli, nell’Agro Pontino. La meta speciale ed esclusiva è stata Sabaudia (LT), che tra le sue famose dune di sab-
bia, il lago di Paola e il vicino Parco Nazionale del Circeo, è una delle destinazioni preferite da romani e napoletani. E così, lo scorso 14 luglio, il gruppo di maestri macellai provenienti da varie regioni d’Italia si è dato appuntamento al Belvedere di Sabaudia per un evento di 12 ore no-stop all’insegna della raccolta fondi e della celebrazione festosa delle carni di qualità. L’obiettivo era duplice: da una parte consolidare la voglia di trascorrere qualche ora
insieme ai colleghi macellai arrivati da tutta Italia coi loro preparati e, molto più importante, raccogliere fondi da destinare al Progetto Heal Onlus (www.progettoheal.com) per la cura e la ricerca nell’ambito della neuro-oncologia pediatrica, coordinato dalla dottoressa ANGELA MASTRONUZZI dell’ospedale Bambin Gesù di Roma. Madrina della giornata non poteva che essere ELENA SANTARELLI, amatissimo volto della TV, con alle spalle un’esperienza
Oltre 45 macellai hanno lavorato nel corso della giornata per cuocere e preparare piatti a base di carne, seguendo le specialità dei propri territori e offrendo una varietà di portate decisamente ricca a cui gli ospiti potevano accedere con un’offerta minima di 10 euro a persona. Da sinistra, Enrico Santarelli, padre di Elena, che è stata la madrina ufficiale dell’evento, con Roberto Papotti, Orlando Di Mario e Mara Labella. Il ricavato della giornata è stato devoluto al “Progetto Heal Onlus” per la cura e la ricerca nell’ambito della neuro-oncologia pediatrica, coordinato dalla dottoressa Angela Mastronuzzi dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.
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1) «Il successo della manifestazione nasce da un lavoro di squadra: instancabili abbiamo lavorato con grande entusiasmo» ha dichiarato Mara Labella. E instancabili lo sono stati davvero i macellai che hanno partecipato alla giornata di Sabaudia. Incuranti delle alte temperature, con un entusiasmo contagioso, uniti per una causa importante. 2) Manuele Avagliano, grande butcher e norcino di Sabaudia, co-organizzatore dell’evento insieme a Orlando Di Mario e a Mara Labella. 3) I tatuaggi di Andrea Laganga, amico dei Butchers for Children e presenza della Nazionale Italiana Macellai, nonché meat blogger col suo “Maremma che ciccia” e nostro prezioso collaboratore.
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1) Angelo Damasi della macelleria-norcineria Damasi di Ceccano (FR) con Francesco Gentili alias “Ciccio serial griller”. 2) Giuseppe e Margherita De Falco della Macelleria O’ Sistimato di Melito di Napoli. 3) Francesco ed Elisa Scoccia dell’omonima macelleria Scoccia di Piansano (VT). 4) Il butcher Eugenio Andrieri della Macelleria Salumeria Peluso-Andrieri di Montalto Uffugo (CS) con un collega.
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1) Pietro Pironti della Boutique delle Carni di Napoli. 2) Salvatore Di Fonzo di Gaeta e Martino Demita della Braceria Salumeria Tredicilettere di Martina Franca (TA). 3) Foto di gruppo della Nazionale Macellai Italiana con Livio Piffari di Coltellerie Sanelli, sponsor tecnico dellâ&#x20AC;&#x2122;evento. Da sinistra, Mara Labella, Livio Piffari, Davide Cecconi, Orlando Di Mario, Francesco Camassa, Roberto Passaretta e Andrea Laganga.
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In alto: i coltelli di Coltellerie Sanelli personalizzati per i Butchers for Children. In basso: le cotture sulle braci e al barbecue hanno acceso la serata.
Le macellerie e gli amici che hanno partecipato all’evento di Sabaudia 2019 Salvatore Di Fonzo (Gaeta, LT), O’ Sistimato (Melito di Napoli), Fleming 21 (Artena, RM), Mario Angelucci (Genazzano, RM), La Bottega delle carni dei F.lli Papalotti (Roma), Procarni (Genazzano, Roma), Macelleria Damasi (Ceccano, FR), Macelleria Scoccia (Piantano, VT), Macelleria Moretti (Ferrara), Macelleria Nuovi Sapori (Francavilla Fontana, BR), Antica Macelleria Cecchini (Panzano in Chianti, FI), Macelleria Papotti (Fossoli di Carpi, MO), Macelleria Laganga (Grosseto), Macelleria Maggio (Milano), Macelleria Pellegrini (Milano), Macelleria Favaretto (Mirano, VE), Macelleria Peluso (Montalto, CS), Macelleria Tredicilettere (Martina Franca, TA), La Bontà delle Carni (Rionero in Vulture, PZ), Boutique delle Carni di Pietro Pironti (Atripalda, AV), Gastronomia F.lli De Angelis dal 1870 (Sonnino, LT), Macelleria Pacilli (Sermoneta, LT), Punto Carni di Roberto Passaretta (Minturno, LT), Macelleria Camassa (Grottaglie, TA), Macelleria Norcineria Cecconi (Ceccano, FR), Macelleria Tolu (Roma), Macelleria Labella Mara (Sermoneta, LT), Macelleria Norcineria Avagliano (Sabaudia, LT), Macelleria Franco Petrillo (Fondi, LT), Macelleria Toson Elide (Latina).
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personale vissuta nel reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale romano, fortunatamente conclusasi positivamente. Circondata da amici, curiosi e maestri macellai, Elena ha ricordato con emozione la sua esperienza e l’impegno nel sostenere il Progetto Heal Onlus. «Sono tantissime le forme tumorali che possono colpire i bambini e per questo motivo servono fondi per lavorare sul fronte della ricerca, dare diagnosi esatte e terapie idonee ed efficaci». «Abbiamo portato a Sabaudia alcuni tra i macellai più famosi d’Italia e le carni più pregiate da degustare per una causa davvero lodevole» ha detto Orlando Di Mario, presidente della Nazionale Italiana Macellai. «È stata una festa bellissima che ci ha dato tanto entusiasmo» ha sottolineato MARA LABELLA dell’omonima macelleria di Sermoneta (LT), presidente FEDERCARNI LAZIO SUD e parte attiva del team della Nazionale Italiana Macellai. «Con Manuele Avagliano e con Orlando Di Mario sono stati mesi di intenso lavoro premiati dall’affetto dei partecipanti». «È stato tutto molto bello» ha dichiarato alla stampa locale ROBERTO PAPOTTI, macellaio a Fossoli di Carpi (MO), a cui fa capo l’associazione Butchers for Children. «Per la prima volta a Sabaudia, una nuova regione, un nuovo percorso avviato che ci riempie di orgoglio e gioia. Non nascondo che spesso mi chiedo perché facciamo tutto questo. Il sacrificio è grande. Dobbiamo conciliare le nostre attività con le iniziative che organizziamo in tutta Italia ma, come dice il nostro DARIO CECCHINI — che è stato l’incipit del movimento — dietro tutto questo c’è sempre il grande cuore dei macellai. Queste iniziative infatti ci arricchiscono sempre moltissimo perché ci permettono di conoscere persone che credono nel nostro progetto. Leggo negli occhi dei colleghi l’entusiasmo e la voglia di fare qualcosa di importante per chi soffre. Ne usciamo ogni volta rafforzati nel nostro intento, perché quando abbiamo davanti bambini in difficoltà sappiamo di fare qualcosa di importante».
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LA NOSTRA STORIA NASCE DA MANI ESPERTE Dal 1936 lavoriamo la carne con la volontà costante di offrire prodotti sani e di qualità, cercando di cogliere i processi di cambiamento del mercato e soddisfare le esigenze dei nostri clienti. Tutto ciò ha contribuito a rendere la nostra azienda una realtà capace, fondata su basi solide e sull’impegno quotidiano nella crescita e nello sviluppo dei reparti produttivi, nella cura delle spedizioni, nelle rigide applicazioni delle norme sanitarie.
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Distribuzione Moderna Organizzata: vizi e virtù Tacciata di essere un modello calato dall’alto e molto distante dalla nostra tradizione commerciale, è spesso additata come un soggetto che, per il suo strapotere, detta le regole nelle relazioni coi fornitori, talvolta decretandone la vita o la morte. Comunque la si pensi, è diventata protagonista dello sviluppo del Paese, con un ruolo anche sociale tutt’altro che secondario di Sebastiano Corona
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Accusate di detenere un potere spropositato su intere filiere, GDO e DO non godono di grande stima da parte del mondo produttivo. Ma come spesso accade, sono anche partner di cui non si può fare a meno (photo © Ljupco Smokovski – stock. adobe.com).
on è sempre tutto rose e fiori tra fornitori e distribuzione. Anzi, non lo è quasi mai. Non a caso, a più riprese, il tema è stato oggetto di dibattito e da tempo è all’attenzione del legislatore. Prima fu il famigerato articolo 62 del cosiddetto Decreto Liberalizzazioni, che, nel tentativo di riequilibrare i rapporti di forza nelle contrattazioni commerciali e, soprattutto, nel voler limitare il potere della GDO nei confronti dei più piccoli esercizi, introdusse tempi rigidi di pagamento e il divieto di pratiche ritenute sleali. Poi la questione è entrata nell’agenda europea, proprio al fine di tutelare i soggetti più deboli, che quasi sempre sono i fornitori delle grandi insegne della distribuzione moderna, molte di queste multinazionali. Accusate di detenere un potere spropositato su intere filiere, GDO e DO non godono di grande stima da parte del mondo produttivo. Ma, come spesso accade, sono anche partner di cui non si può fare a meno. In mezzo secolo è mutato radicalmente il tessuto commerciale del Paese Gli esercenti italiani, capaci e infaticabili, si sono via via ridotti per lasciare spazio a grandi imprese, talvolta multinazionali che hanno fagocitato tutto o quasi. Negli accorpamenti, i piccoli che non sono stati capaci di agganciare il cambiamento e di adeguarvisi, entrando a farne parte, sono stati spazzati via. Laddove quel processo di affiliazione non c’è stato — sempre che fosse possibile — la grande insegna ha ovviamente avuto la meglio sul piccolo e anonimo negozio di quartiere. La DMO ha quindi cambiato profondamente lo scenario sotto il profilo commerciale, economico, sociale e del lavoro. Una narrazione dei soli aspetti di forza che la Distribuzione Moderna Organizzata è in grado di mettere in campo sarebbe però parziale e poco realistica. Piaccia o no, al di là della retorica negativa che la accompagna, la DMO ha grandi meriti in ambito commerciale e non solo.
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L’accusa che più frequentemente le viene mossa è di essere un sistema di completa importazione, interamente calato e imposto dall’alto, che poco ha o aveva a che fare con i costumi e le prassi del Belpaese. Condiviso o meno questo assunto, resta il fatto che il futuro non si può fermare. Seppure non fosse stata nella nostra tradizione commerciale, prima o poi l’Italia avrebbe subito un fenomeno che riguarda tutti i Paesi occidentali. La storia della DMO — raccontano però i suoi sostenitori — sfata anche l’idea che sia stato un mutamento che gli Italiani, negli scorsi decenni, hanno supinamente subito. Già alla fine degli anni ‘50, infatti, sorgevano nella penisola i primi supermercati dove i consumatori potevano servirsi personalmente dagli scaffali. In alcune aree del Paese più che in altre, imprese già significative in ambito locale si sono unite per dare vita a strutture sempre più ampie e organizzate. Strutture che non hanno mai completamente perso i contatti con il mondo produttivo nel quale insistevano e che quindi, ora come allora, erano capaci di portare nello scaffale le peculiarità dei territori, anche in termini di prodotti. Diverse Italie, insegne diverse La DMO italiana è sempre stata caratterizzata da un’attenzione particolare per il territorio. Soprattutto nell’agroalimentare — essendoci una varietà infinita di produzioni locali — le insegne nazionali, accanto all’offerta estera, ne propongono un’altra che strizza l’occhio agli usi e alle tradizioni del posto, anche a tavola. La sovrarappresentazione delle catene italiane che detengono oltre l’80% del fatturato nel Belpaese è dovuta anche a questo: alla capacità di leggere e servire i territori, soddisfacendo esigenze locali senza dimenticare logiche innovative sul piano dell’offerta e del servizio. Non a caso diverse Italie, nei decenni, hanno trovato sintesi anche nei consumi, in un processo di unificazione del Paese nelle oppor-
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La DMO italiana è sempre stata caratterizzata da un’attenzione particolare per il territorio. Soprattutto nell’agroalimentare le insegne nazionali, accanto all’offerta estera, ne propongono un’altra che strizza l’occhio agli usi e alle tradizioni del posto, anche a tavola (photo © Joshhh – stock.adobe.com). tunità di scelta e di acquisto, senza trascurare un’identità legata al cibo che è forse unica al mondo per la sua varietà e ampiezza. In parte anche per questa ragione, per l’attenzione necessaria a esigenze così diverse tra loro, da Nord a Sud, le insegne nazionali si sono concentrate principalmente sul territorio italiano, o addirittura unicamente in specifiche aree anziché spingersi oltremare o oltralpe. E proprio per la difficoltà ad entrare in sintonia con le innumerevoli richieste locali, le multinazionali stanno tirando i remi in barca, per andare a investire in contesti meno impegnativi in termini di gestione. I consumatori amano la DMO L’essere allineata con la società italiana, un po’ condizionandone
le scelte, un po’ lasciandosi condizionare, è senz’altro un elemento che depone a favore della DMO. Una proposta di qualità discreta a prezzi praticabili non solo ha dato possibilità a tutti — soprattutto in periodi di crisi — di soddisfare esigenze primarie a costi accessibili, ma è stato anche uno strumento di welfare che ha contribuito a non inasprire, in un momento delicato, le disuguaglianze sociali e reddituali. Negli anni dal 2008 ad oggi, la DMO ha effettivamente contribuito a tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, forse più di quanto abbiano fatto le istituzioni. A fronte di un aumento di tariffe e servizi pari al 30% e di un’inflazione cresciuta del 18,7% negli ultimi dieci anni, i prezzi del largo consumo confezionato sono aumentati solo del 10,3%.
La DMO dovrà intensificare in futuro i rapporti con gli operatori locali, coinvolgendo un numero di soggetti sempre più vasto, se intende rispondere all’esigenza di offrire un prodotto del territorio sempre maggiore in quantità e qualità
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Ciò che forse non emerge — e che certamente non è sufficientemente chiaro al consumatore medio — è che, seppure la distribuzione ha fatto uno sforzo nella limitazione dei propri margini, chi ha dato il maggiore contributo sotto questo profilo sono i produttori, soprattutto quelli che, per dimensioni e appeal, non hanno peso nelle relazioni commerciali. Promozioni e offerte, nella prassi, non sono infatti a carico dell’insegna, ma del fornitore. Non a caso, in una ricerca del CENSIS del 2017, commissionata dall’Associazione Distribuzione Moderna, emerge che, negli anni della crisi, la possibilità di effettuare acquisti presso i punti vendita della DMO è stata molto o abbastanza importante per l’80,4% degli intervistati, per preservare il proprio tenore di vita. Al 54,5% ha consentito di ammortizzare le difficoltà di reddito, mentre il 25,9% ha dichiarato che, in assenza di offerte, promozioni e sconti, avrebbe subito un crollo del tenore di vita. Insomma, i consumatori amano la DMO. Nell’offerta vincente della Distribuzione Moderna emergono anche
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altri due fattori importanti. Il primo è la multicanalità, la capacità di proporre diversi livelli di prodotto con altrettante fasce di prezzo, consentendo così una composizione del carrello completa e sufficiente, senza dover rinunciare all’essenziale in condizioni di scarsa disponibilità finanziaria. Il secondo è quello della formula dell’affiliazione che, sebbene generi oneri importanti per gli affiliati e porti ad una sorta di omologazione generale, è anche un sistema che offre grandi opportunità a chi vi aderisce e sta alla base di numerose esperienze imprenditoriali di successo. Ci sono poi aspetti sociali, oltre che economici. La DMO è composta da aziende e, in quanto tali, generatrici di reddito, investimenti, occupazione e indotto. Negli anni della crisi, la distribuzione ha mantenuto livelli occupazionali stabili e, in certi casi, ha continuato ad assumere, garantendo alla maggior parte dei dipendenti del settore (il 91,0%) un contratto a tempo indeterminato. Si tratta di un contesto lavorativo che non solo da sempre garantisce un coinvolgimento femminile importante (il 59% del totale dei dipendenti), ma ingloba sempre maggiori percentuali di addetti con elevato titolo di studio: i laureati sono infatti passati, dal 2007 al 2017, dal 4% al 9%. Sono altresì aumentate le risorse destinate alla formazione del personale, soprattutto esterna. Nel complesso, la DMO offre un ventaglio professionale ampio, sia nella tipologia, sia nelle possibilità di carriera. Il 72% del valore aggiunto generato dalla distribuzione è destinato alla remunerazione del personale. DMO e le sfide del futuro Bisogna riconoscere alla DMO di aver raccolto a pieno, anche negli anni più bui della crisi finanziaria, la sfida del digitale, senza perdere di vista la sua funzione inclusiva. Basti pensare a quanti sistemi di spesa fai da te, cassa compresa, sono stati introdotti negli ultimi anni, offrendo soluzioni alla portata di tutti per essere informati sui prezzi e le offerte e acquistare e pagare in maniera più semplice. A questo si affianca la grande capacità di farsi portavoce di temi importanti come quello del rispetto dei lavoratori e delle regole fiscali. Le politiche ambientali — in certo qual modo imposte anche ai fornitori — e quelle di riduzione dei consumi energetici stanno assumendo sempre maggiore importanza per la DMO, non solo perché consentono sensibili risparmi, ma anche per una questione di immagine. E i fornitori? Il nervo scoperto resta quello dei rapporti con i fornitori, per i quali la DMO è talvolta partner prezioso, talaltro un nemico da fronteggiare. In questo scenario difficile da leggere va però dato atto alla DMO di aver aumentato negli anni lo spazio alle piccole e medie imprese italiane con cui le insegne tendono ad instaurare rapporti solidi e di lunga durata, non fosse altro che l’inserimento di un prodotto a scaffale implica comunque uno sforzo importante, anche da parte
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del distributore, che richiede di essere ricompensato sul medio e lungo termine. È sensibilmente aumentata l’offerta di cibi nazionali e locali, sia nel caso dei prodotti a marchio che in quello del private label. Questi ultimi rappresentano per oltre il 90% aziende italiane e di queste circa il 77% sono di micro, piccole e/o medie dimensioni. È altresì significativo che, nel settore alimentare, il peso dei prodotti made in Italy sul totale dei beni in vendita sia elevatissimo, con quote ancora più significative per produzioni che in Italia sono punte di eccellenza, come i salumi, i prodotti da forno, i formaggi. In questo rapporto di amore e odio tra fornitori e distribuzione, va dato merito ai secondi di aver complessivamente elevato la professionalità e l’organizzazione delle micro e piccole imprese, seppure a spese dei primi. Operare con la Distribuzione Moderna implica infatti, necessariamente, una migliore organizzazione interna, un’attenzione alla sicurezza, all’igiene e alla qualità del prodotto e del servizio, e chi ha intrapreso rapporti di fornitura con grandi insegne si è dovuto giocoforza adeguare, migliorando il proprio modo di operare, soprattutto in termini di servizio. La DMO dovrà intensificare, negli anni a venire, i rapporti con gli operatori locali, coinvolgendo un numero di soggetti sempre più vasto, se intende rispondere all’esigenza di offrire un prodotto del territorio sempre maggiore in quantità e qualità. L’augurio è che nascano così nuove e soddisfacenti sinergie che facciano crescere assieme imprese fornitrici e insegne. Sebastiano Corona
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RETAIL NEWS
Italiani sempre meno fedeli ai brand
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l 35% degli Italiani ama provare nuovi prodotti e brand contro il 42% dei consumatori globali. Il 57% dichiara inoltre di essere disposto a provare novità, contro il 49% su scala globale. I livelli di “infedeltà” sono in aumento tra i consumatori di tutto il mondo, con solo l’8% delle persone che preferisce rimanere sul sicuro, provando raramente nuovi brand/prodotti. Il dato emerge dal recente studio Disloyalty condotto da NIELSEN su un campione di oltre 30.000 consumatori connessi a internet in 64 Paesi del mondo. Lo studio dimostra che i consumatori globali sono attivamente alla ricerca di novità, grazie anche all’aumento del reddito pro capite nei mercati in via di sviluppo, che ha come conseguenza la riduzione dei rischi correlati all’acquisto di prodotti “nuovi”. Un significativo 42% afferma infatti di provare nuovi prodotti/brand molto volentieri e quasi la metà (49%) — pur preferendo comprare ciò che conosce 62
già — ogni tanto è disposta a sperimentare novità. Anche le percentuali italiane sono indicative di una rinnovata voglia di novità: il 35% dei consumatori ama provare nuovi prodotti e brand e il 57% è disposto a provarli ogni tanto. In generale, i consumatori delle regioni asiatiche e del Pacifico hanno una maggiore propensione a questa “infedeltà”, il concetto che dà il titolo allo studio NIELSEN: il 47% di loro dichiara infatti di provare volentieri nuovi prodotti e brand. I consumatori del Nord America e dell’Europa sono invece i meno propensi ad abbandonare i propri brand preferiti (36% e 33% rispettivamente). «L’aumento dell’infedeltà nei consumi crea nuovi rischi, ma anche opportunità di diversificazione dell’offerta» dichiara CHRISTIAN CENTONZE, Food Industry Director di NIELSEN in Italia. «Parte di questa infedeltà è riconducibile al cosiddetto effetto Amazon, che
ha espanso le possibilità di scelta e creato una maggiore consapevolezza sui prezzi. Ma non solo. Anche la sempre maggiore convergenza tra on-line e off-line cambia le logiche di relazione con i clienti. Marche e insegne devono lavorare sulla customer retention dando sempre maggiore rilevanza ai servizi correlati al prodotto, sempre più parte integrante di una relazione capace di sfuggire a una logica puramente price-based». A livello globale, il 39% dei consumatori indica il rapporto qualità/prezzo come fattore chiave nella scelta di un nuovo brand/ prodotto, seguito da una qualità superiore (34%), dal mero prezzo (32%) e dalla convenience (31%). Al contempo, solo il 28% dei consumatori è influenzato dalla notorietà e affidabilità di un brand. Ovviamente queste percentuali fluttuano a seconda delle diverse categorie merceologiche (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © pkanchana – stock.adobe.com). Eurocarni, 9/19
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COMUNICARE LA CARNE
Fake news su carne di maiale e salumi: 10 falsi miti
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he sia per ragioni culturali, economiche o sociali, le fake news — notizie prive di fondamento messe in circolazione nel web — sono sempre più diffuse, specie nel settore agroalimentare. Carni e salumi sono tra i bersagli preferiti, spesso oggetto di luoghi comuni e informazioni distorte che attingono ad un immaginario collettivo infondato e non corredato di puntuali prove scientifiche. In occasione del 2 aprile, Giornata internazionale dedicata alla sensibilizzazione contro la disinformazione, l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI) ha stilato un decalogo dei più
celebri falsi miti sui salumi che per anni hanno veicolato nozioni errate, condizionando le scelte alimentari dei consumatori. 1. I salumi fanno venire i brufoli Con grande sollievo per gli amanti di mortadella e salame, possiamo affermare che i salumi, parlando di acne e impurità della pelle, sono innocenti, contrariamente a quanto hanno sostenuto per decenni le dicerie popolari. Le ricerche hanno infatti quasi del tutto escluso il fattore cibo e scagionato gli affettati, in quanto alla base ci sarebbero sostanze ormonali prodotte direttamente
dalla cute dei soggetti predisposti, magari sotto stimolo di uno stress o un disagio psicologico. 2. Mortadella, insaccato degli scarti La Mortadella Bologna IGP è fatta esclusivamente con carne suina accuratamente selezionata e poi triturata: per la parte magra si utilizzano carni a muscolatura striata, mentre per i lardelli, di colore bianco, si ricorre al grasso della gola del maiale che regala al prodotto dolcezza e morbida consistenza. Sono assolutamente vietate dal disciplinare le carni separate
Zampone e cotechino di Modena sono due insaccati da sempre associati al periodo natalizio ma numerosi ricettari di recente pubblicazione e le preparazioni di molti chef dimostrano oggi il contrario, proponendo dei piatti sfiziosi a base di zampone e cotechino buoni per ogni stagione, come questa insalata di quinoa con verdure, legumi e cotechino di Modena Igp (photo © www.modenaigp.it).
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meccanicamente, tecnica attraverso cui si rimuovono i residui di polpa dalle ossa rischiando di modificare la struttura fibrosa del muscolo. 3. Salveremo il pianeta non mangiando carne La zootecnia non è la principale causa di emissioni di gas serra nell’atmosfera e ad esempio un solo volo a/r da Roma a Bruxelles genera emissioni maggiori rispetto al consumo annuo di carne e salumi di un solo individuo che si alimenta secondo le indicazioni dei nutrizionisti (500 kg vs 400 kg di CO2 equivalente). A tal proposito, è importante sottolineare che l’Italia vanta uno dei modelli zootecnici più sostenibili del pianeta, anche grazie all’impegno nel promuovere buone pratiche e filosofie volte al benessere globale: produrre di più con meno risorse. 4. Nitriti e nitrati dei salumi pericolosi per la salute I nitriti e nitrati sono sostanze saline composte da azoto, ossigeno, sodio o potassio normalmente presenti in natura, necessari per la crescita dei vegetali e impiegati anche nel settore alimentare per preservare le caratteristiche di alcuni prodotti e aumentarne il livello di conservabilità grazie alle fondamentali proprietà antibatterica e antiossidante. Da qui il loro utilizzo nei salumi, al fine di garantirne la sicurezza alimentare e il mantenimento del colore e delle caratteristiche organolettiche. Le quantità usate nei salumi sono in costante riduzione rispetto al passato e i livelli presenti nei prodotti finiti — ampiamente al di sotto dei limiti ammessi dalla normativa — sono di gran lunga inferiori rispetto a molti alimenti di origine vegetale. L’utilizzo di nitriti e nitrati non è necessario e quindi non è contemplato nelle carni fresche e nelle preparazioni di carne, come hamburger e spiedini. 5. I salumi fanno ingrassare e sono avversari dello sport La salumeria italiana sta da anni lavorando in una direzione di miglioramento nutrizionale e riduzione di
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Una merenda semplice a base di pane e prosciutto per i nostri bambini è sicuramente preferibile a tanti prodotti confezionati che contengono zuccheri in eccesso (photo © fabiomax — stock.adobe.com). grassi e sale, in primis del cloruro di sodio, raggiungendo ottimi risultati. A livello di macronutrienti, la composizione dei salumi è fortemente proteica e variabilmente lipidica, a seconda della materia prima costituente. Vista la ricca presenza di minerali (ferro, zinco, potassio, selenio) e vitamine del gruppo B, una giusta dose di salumi di qualità è consigliata anche in caso di attività sportive, specie se svolte all’aperto con temperature rigide o se si ha l’abitudine di camminare o usare la bicicletta per gli spostamenti abituali: in questo caso il freddo aumenterà il dispendio energetico e sarà quindi indicato un surplus nutrizionale, anche derivato dagli stessi grassi presenti nei salumi. Il bisogno di proteine sarà ugualmente forte nella fase di recupero, quindi dopo l’esercizio fisico, in cui è importante che vi sia un adeguato apporto di nutrienti così da stimolare la sintesi proteica muscolare e provvedere al buon mantenimento di tessuti e muscoli. 6. Zampone e cotechino solo a Natale I due insaccati modenesi sono da sempre associati al periodo natalizio ma numerosi ricettari e le preparazioni di molti chef dimostrano il contrario, proponendo dei piatti
sfiziosi a base di zampone e cotechino buoni per ogni stagione. Che siano ravioli di farro e cotechino o lo zamburger con crema di zucca e maionese al rosmarino, sono infinite le chiavi di “ricettabilità” di questi due prodotti, protagonisti d’eccezione del Capodanno ma ideali anche per una tovaglia svolazzante davanti al mare, perché “la gente non si accorge se è estate o inverno quando è felice”, come diceva il celebre scrittore russo CECHOV. 7. La carne di maiale è bianca Grande confusione su questo punto, in quanto la carne suina, pur presentandosi rosata da cruda e bianca post cottura, presenta un profilo nutrizionale tipico della carne rossa, vista l’elevata quantità di ferro e mioglobina, proteina che conferisce il colore rosso alla carne. 8. Il salame vegano può sostituire quello classico Il “salame vegano” — come tutti i prodotti di origine vegetale che fanno parte della famiglia del meat sounding — ha caratteristiche nutrizionali, metodi di produzione e provenienza localizzata completamente differenti e non ha quindi alcun senso associare i due alimenti. Un salame che imita la carne, ma è composto di proteine
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e fibre vegetali, non ha lo stesso profilo di un salame di suino ed è costituito da materie prime ben diverse da quelle contemplate dai disciplinari e normative europee, nonché da quelle immaginate dal consumatore! 9. Pane e prosciutto, merenda bandita per i nostri bambini Se parliamo di nutrizione infantile, le proteine animali sono alimenti molto importanti e un corretto apporto di vitamine B è essenziale per lo sviluppo neurologico e la crescita cellulare. La mancanza di ferro nell’infanzia peggiora le facoltà cognitive e la carne è da sempre una fonte primaria, motivo per cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’assunzione di alimenti di origine animale a partire dai sei mesi di età. Nel mondo infantile l’associazione fra la vitamina B12 (presente esclusivamente negli alimenti di origine animale) e lo sviluppo cognitivo è stata osservata soprattutto nei figli di madri vegetariane o vegane o che seguivano una dieta macrobiotica. Le prime conseguenze riscontrate sono state muscoli ipotonici, apatia, crescita ridotta delle cellule nervose, mentre dopo un trattamento di B12 si verificava un rapido miglioramento dei sintomi neurologici. 10. Per la terza età solo brodini Dopo i 70 anni di età il bisogno di calorie certamente si riduce, in quanto diminuisce l’attività fisica e il metabolismo rallenta. L’organismo, tuttavia, per mantenersi in salute,
«Nella cosiddetta terza età i salumi, primo fra tutti quello crudo, costituiscono una fonte di nutrimento molto importante perché facilmente masticabili» ricorda Elisabetta Bernardi, nutrizionista e biologa, docente di Nutrizione sport e salute alla Scuola di specializzazione in medicina dello sport all’Università La Sapienza di Roma. «Un aspetto poi che non va sottovalutato riguarda la digeribilità. Cento grammi di prosciutto crudo, ad esempio, richiedono per questo processo circa un’ora e quaranta minuti. Molto meno di una fetta di tacchino (3 ore e mezzo) o di pollo (3 ore e un quarto) di peso equivalente» (photo © WavebreakmediaMicro – stock.adobe.com). richiede ancora le stesse quantità di nutrienti, alcuni dei quali, come le proteine contenute nei salumi e in generale negli alimenti di origine animale, anche a livelli superiori. Col passare degli anni, infatti, si perde progressivamente la percezione della sensazione di fame e di sete e anche il gusto si affievolisce. Sono
allora consigliati alimenti saporiti, ideali per combattere l’inappetenza, facilmente masticabili e ad alto valore proteico. I salumi sono la soluzione perfetta per contrastare la perdita di massa muscolare e i deficit delle funzioni immunitarie. Fonte: Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI)
L’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani è un consorzio volontario senza fini di lucro, nato nel 1985 per diffondere la conoscenza degli aspetti produttivi, economici, nutrizionali e culturali dei salumi promuovendo un patrimonio alimentare unico al mondo. Tante le iniziative realizzate da IVSI in Italia: ricerche di mercato, analisi sui prodotti, seminari, degustazioni, eventi, pubblicazioni. Numerosi i programmi promozionali sviluppati all’estero: Germania, Francia, Inghilterra, Svezia, Finlandia, Belgio, Russia, Brasile, USA, Canada, Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Giappone. Nel 2005 IVSI ha ideato il concept SalumiAmo®, un nuovo modo di intendere l’aperitivo che diventa un’esperienza sensoriale e culturale. Oltre al momento conviviale, infatti, centrali sono le informazioni sui salumi italiani, che vengono così degustati in modo piacevole e consapevole. L’IVSI ha creato anche il Manifesto IVSI che raccoglie i valori identificativi delle aziende produttrici di salumi, sintetizzati in: storia e tradizione, informazione e cultura, qualità e sostenibilità, legame con il territorio, stile di vita italiano, gioco di squadra e orientamento al futuro. 7 valori che testimoniano l’impegno delle aziende a favore dei consumatori. >> Link: www.salumi-italiani.it
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Crescere e migliorare, questo è l’obiettivo. Nata nel 1950 da una tradizione famigliare, oggi la Bervini Primo srl è presente sul mercato nazionale ed internazionale come azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni. BERVINI PRIMO S.R.L. via Colonie, 13 42013 Salvaterra di Casalgrande Reggio Emilia · Italia
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ANALISI DI SETTORE
Ismea: tendenze e dinamiche del settore suinicolo Incertezze sul mercato suinicolo internazionale ad inizio 2019 urante i primi mesi del 2019 prosegue l’incertezza sulle dinamiche del mercato suinicolo europeo, che risulta fortemente condizionato dalle dinamiche della domanda cinese di carne suina. Dopo un biennio caratterizzato dalla forte crescita delle importazioni da parte della Cina, nel 2018 si è registrato un rallentamento di queste importazioni, soprattutto a seguito di una maggiore organizzazione del comparto suinicolo cinese, ristrutturato in modo da riuscire a rispondere (almeno in parte) alle esigenze della domanda interna. Questo rallentamento della domanda estera ha comportato un adeguamento dell’offerta europea, come viene rilevato nel report
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Short-term Outlook for EU agricultural markets1. Infatti, dopo il periodo di espansione osservato nel 2017, il numero di capi da riproduzione della UE è tornato a calare durante il 2018 (–3% rispetto all’anno precedente). Questa riduzione dei riproduttori è stata particolarmente evidente in Portogallo (–18%), in Olanda (–9%), in Romania (–9%) e in Germania (–4%), a causa dei prezzi molto bassi, del rischio della PSA, Peste Suina Africana (ASF, African Swine Fever) e/o di restrizioni ambientali. Al contrario, la Spagna persegue l’espansione della produzione nazionale, trainata dalla crescita delle esportazioni extra-UE: il numero delle scrofe è aumentato del 2% e la produzione è cresciuta del 5%. Tuttavia, la produzione della
UE dovrebbe rimanere stabile nel 2019 grazie all’aumento della produttività e alla domanda estera prevista in crescita nei prossimi mesi. In particolare, in base alla ripresa della domanda cinese, condizionata dalla diffusione della peste suina, la produzione suinicola della UE potrebbe essere spinta verso una dinamica positiva. Produzione UE in crescita nel 2018, timida ripresa dei prezzi ad inizio 2019 La crescita della produzione suinicola europea registrata nel 2018 (+2%) ha determinato un calo significativo dei prezzi, fino a scendere sotto la media degli ultimi 5 anni. Inoltre il leggero aumento dei prezzi degli alimenti zootecnici ha contribuito ad aumentare la pressione sui
La Peste Suina Africana nel 2018 ha colpito gravemente anche la Cina, il Paese che produce e consuma più carne suina al mondo, e, nel 2019, il Vietnam e la Cambogia. Con la recente conferma della malattia in Tibet, l’unica zona libera dalla malattia in Cina è l’isola di Hainan.
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Tabella 1 – Bilancio del settore suinicolo UE-28 (migliaia di tonnellate peso equivalente)
* in peso edibile (il coefficiente per trasformare il peso carcassa in peso edibile per la carne suina è pari a 0,78). Fonte: DG Agriculture and Rural Development (Short-term Outlook http://ec.europa.eu/agriculture/ markets-and-prices/short-term-outlook/index_en.htm).
Grafico 1 – Macellazioni nei principali Paesi UE
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT (2018).
Grafico 2 – Quote di produzione dei Paesi UE (n. di capi)
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT (2018).
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margini degli allevatori europei. Anche il 2019 è iniziato con quotazioni basse, ma la tendenza risulta in crescita, con prezzi in aumento a seguito della contrazione dell’offerta e delle previsioni di ripresa delle esportazioni, soprattutto verso il mercato cinese. Il consumo pro capite apparente è cresciuto di circa 0,5 kg, sostenuto dall’elevata disponibilità del prodotto, e nel 2018 ha raggiunto quota 36,6 kg. Nel 2019 si dovrebbe riassestare ad un valore intorno ai 32,2 kg, a seguito dei nuovi equilibri di mercato. Per quanto riguarda gli scambi internazionali, le esportazioni di carne suina della UE sono cresciute del 4% nel 2018, ma sono calati i flussi verso le principali destinazioni come Cina (–8%) e Hong Kong (–43%). Tuttavia, per il 2019 si prevede un’ulteriore crescita dell’export della UE, data la ripresa della domanda cinese. Le esportazioni di frattaglie di carne suina sono calate del 6% nel 2018, a seguito del crollo della domanda da parte di Hong Kong (–38%). Nel complesso, le esportazioni di carne e frattaglie sono cresciute in volume (+1%), ma diminuite in valore (–7%) rispetto al 2017. La domanda della Cina, il principale driver del mercato suinicolo mondiale, ha fatto registrare una flessione del 13% nel 2018, tuttavia, tra i fornitori, la UE mantiene comunque una quota del 60%. Inoltre, va messo in evidenza come la diffusione della PSA in Cina possa rappresentare un’importante opportunità per i fornitori di carne suina del gigante asiatico. Infatti, a seguito delle pesanti perdite di capi colpiti dalla PSA, la Cina dovrà necessariamente ricorrere al mercato internazionale per far fronte alla domanda interna e per avvantaggiarsi della solidità sanitaria che il suino straniero garantisce. La chiusura del mercato russo nel 2018 ha spinto il Brasile a cercare nuovi sbocchi per le sue esportazioni di carne suina, con un conseguente rapido aumento della quota di mercato in Cina. Allo stesso tempo la quota degli Stati
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Grafico 3 – Evoluzione dei prezzi medi UE (suini pesanti, €/100 kg peso morto)
Fonte: DG Agri (2018).
Grafico 4 – Italia: indice dei prezzi all’origine (2010 = 100)
Fonte: ISMEA.
Grafico 5 – Prezzi all’origine dei suini da macello e d’allevamento
Fonte: ISMEA.
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Uniti si è dimezzata, a causa delle tensioni commerciali; la situazione si potrebbe recuperare se la Cina facesse cessare le tariffe imposte come controffensiva. Appare comunque evidente che, per il settore suinicolo, la crescita del commercio globale nel 2019 dipenderà dal livello della domanda cinese. Macellazioni UE Nel 2018, le macellazioni UE hanno registrato un incremento pari a +1,8%, a carico soprattutto della Spagna (secondo maggiore produttore suinicolo in UE) e dell’Olanda, che fanno registrare un aumento della loro produzione di carne suina pari rispettivamente a +5,5% e +4,9%. Tra i principali produttori della UE, l’Italia mostra una riduzione del numero di capi macellati dell’1,1% nel 2018, confermando l’andamento negativo già registrato nel 2017. Stesso fenomeno si osserva in Germania, principale produttore di suini in UE con il 22% dei capi macellati, che nel 2018 riduce del 2,2% la produzione suinicola nazionale, dopo un calo del 2,6% registrato nel 2017. Nei primi mesi del 2019 i prezzi della carne suina UE hanno registrato un miglioramento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, fino a raggiungere a maggio un valore medio di 1,71 €/kg per le principali tipologie produttive, superiore del 21,2% rispetto alla quotazione del 2018. Anche per i suinetti i prezzi hanno ripreso a salire nel 2019, con un aumento pari al 19% rispetto al valore registrato a maggio 2018. A fronte del crollo delle quotazioni osservato a fine 2018, gli allevatori hanno ridotto il numero delle scrofe per arginare l’offerta e già nei primi mesi dell’anno il mercato ha iniziato a reagire in maniere positiva, complice anche la ripresa delle esportazioni verso il mercato cinese. Italia: calo delle quotazioni all’origine. Timida ripresa nel 2019 Nel 2018, in Italia, l’andamento delle quotazioni all’origine è stato
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Grafico 6 – Prezzi all’ingrosso dei principali tagli di carne (€/kg)
PROGETTAZIONE E FORNITURE PER INDUSTRIE ALIMENTARI
Fonte: ISMEA.
Grafico 7 – Macellazioni di suini
Fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT.
caratterizzato da un andamento decisamente negativo, a causa dell’offerta eccessiva rispetto ad una domanda stagnante, poco stimolata dalle esportazioni e dai consumi interni. Per la categoria dei suini da allevamento si è registrato un incremento dei prezzi durante la prima parte del 2018; tuttavia, a partire da maggio anche queste quotazioni sono calate nettamente. A dicembre 2018 il valore dell’indice ISMEA dei prezzi all’origine (base 2010) dei suini si attesta ad un –18% rispetto a dicembre 2017, calo dovuto alle flessioni delle quotazioni sia dei suini da allevamento che dei suini da macello osservato durante l’anno. In particolare, la
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categoria che mostra il decremento più rilevante rispetto al 2017 è quella dei suini da macello, per cui il valore medio dell’indice del 2018 perde 14,9 punti percentuali rispetto a quello del 2017. Per quando riguarda l’indice dei prezzi dei suini da allevamento, si rilevano perdite del 7,2% rispetto all’anno precedente. La prima parte del 2019 è caratterizzata ancora da una forte debolezza dei mercati suinicoli, in continuità con la tendenza negativa dei prezzi che ha dominato tutto il 2018. Dopo il biennio positivo 20162017, in cui il settore suinicolo italiano ha goduto di importanti fattori di positività (come la forte
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Grafico 8 – Bilancia commerciale 2018
Fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT.
spinta all’export), nel 2018 le quotazioni all’origine sia dei capi che dei tagli di carne fresca hanno iniziato a calare, fino a raggiungere, a marzo 2019, valori estremamente bassi, paragonabili a quelli registrati nel 2013. Questo crollo delle quotazioni ha coinvolto tutte le principali categorie di prodotto. Nel 2018, il prezzo medio del suino pesante (156-176 kg) — principale specializzazione produttiva italiana, destinato principalmente all’industria di trasformazione di alta qualità (DOP) — è risultato pari a 1,44 €/ kg, registrando un calo del 13,4% rispetto al 2017. Tuttavia la tendenza nella prima parte del 2019 è stata positiva: ad aprile la quotazione ha raggiunto un valore pari 1,24 €/kg, in calo del 16% su base tendenziale, ma in aumento del 5% rispetto a marzo 2019. Si rileva un andamento simile anche per il prezzo del suino leggero (90-115 kg), destinato alla produzione di carni fresche, che nel 2018 ha assunto un valore medio di 1,47 €/kg (–17% rispetto al prezzo medio registrato nel 2017). Anche per i suinetti (30 kg) si osserva un brusco calo dei prezzi nella seconda parte del 2018, che ha portato ad un calo del prezzo medio annuale del 7% rispetto al valore del 2017. In ripresa le quotazioni nel primo trimestre del 2019: ad aprile si è registrato un aumento del 2,4% rispetto al valore del mese precedente.
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I prezzi all’ingrosso Per quanto riguarda i prezzi all’ingrosso dei tagli di carne suina industriale2, l’andamento si è mantenuto flessivo durante tutto il 2018 e questa tendenza negativa si sta confermando anche nei primi mesi del 2019. In particolare, ad aprile 2019 i prosciutti freschi destinati alle produzioni tipiche hanno registrato un calo delle quotazioni, sia su base tendenziale che su base congiunturale. Per le cosce pesanti (13-16 kg) il prezzo si è ridotto del 27,6% su base tendenziale e dell’1,5% su base congiunturale; stessa dinamica per le cosce leggere (11-13 kg), le cui quotazioni hanno subito una caduta pari al –1,5% rispetto a marzo 2019 e pari al –25,5% rispetto ad aprile 2018. Nel 2018 il prezzo medio rispetto al 2017 è calato del 12% circa sia per le cosce pesanti che per quelle leggere. Tuttavia, a dicembre 2018 si è registrato il picco negativo delle quotazioni sia per i prosciutti freschi per DOP da 11-13 kg che per quelli da 13-16 kg, che hanno perso più di 20 punti percentuali rispetto ai prezzi del dicembre 2018 (rispettivamente –26,1% e 24,3%). Dopo una flessione che ha interessato l’ultima parte del 2018, le quotazioni del lombo taglio Padova hanno fatto registrare una ripresa nella prima parte del 2019: ad aprile 2019 si osserva una variazione del +5% rispetto allo stesso periodo del 2018 e del +13% rispetto a marzo 2019.
I costi di produzione Nel 2018, l’indice ISMEA dei mezzi correnti di produzione (base 2010) per i suini da macello ha presentato la stessa dinamica osservata durante il 2017: la voce di costo dei suini da allevamento ha mostrato un andamento decrescente nella seconda parte dell’anno, dopo essere stata caratterizzata da un trend positivo per tutta la prima parte dell’anno. La voce animali di allevamento, a fine 2018, ha assunto il valore di 109,6, in calo del 16% rispetto al valore di dicembre 2017. Macellazioni Italia Nel 2018 le macellazioni suine in Italia hanno mostrato un rallentamento nella prima parte dell’anno, dovuto alle quotazioni deludenti che hanno portato gli allevatori a cercare di ridurre la disponibilità di prodotto sul mercato. Nel corso del 2018 sono stati macellati 11,2 milioni di suini, con un calo dell’1,2% rispetto ai capi macellati durante il 2017. Nel dettaglio, dai dati ISTAT si può osservare che la categoria di prodotto maggiormente interessata da questo calo delle macellazioni è quella del suino leggero (magrone), per cui si è registrato un calo del 9% dei capi rispetto al 2017. Nei primi mesi del 2019 si osserva una ripresa delle macellazioni, con un lieve aumento dei capi macellati tra gennaio-febbraio 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+3%). Si riduce il deficit della bilancia commerciale a causa del calo dell’import Nel 2018 migliora il deficit che caratterizza la bilancia commerciale del settore suinicolo italiano, determinato dalla strutturale dipendenza dall’estero sia di carni fresche che di animali da ristallo. Infatti, sebbene la bilancia si confermi negativa (–55 milioni di euro), il valore del disavanzo si è ridotto di 101 milioni di euro. Questa riduzione è dovuta essenzialmente ad un sensibile calo delle importazioni del settore, che nel 2018 si sono attestate ad un valore inferiore di 8 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Inoltre, si osserva un calo nelle espor-
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I consumi interni di carni suine fresche nel 2018 si sono mantenuti stabili in valore, mentre si è registrata una lieve flessione in volume rispetto al 2017. La spesa destinata all’acquisto di salumi si è mantenuta stabile, con variazioni poco consistenti per i consumi di tutte le principali categorie di prodotto
tazioni totali del settore suinicolo, che rispetto al 2017 perdono il 2,7% in valore, pur mantenendosi sostanzialmente stabili in volume (–0,7%). Nel 2018, al contrario, le esportazioni delle preparazioni e conserve suine hanno fatto registrare un aumento dell’1,2% in valore, tendenza positiva proseguita anche nei primi due mesi del 2019 (+3,8% rispetto a gennaio-febbraio 2018). Si mantengono stabili gli scambi con l’estero dei prosciutti disossati, speck e culatelli, che da soli rappresentano circa il 43% in valore (23% in volume) delle esportazioni del settore suinicolo italiano. Nel 2018 sono cresciute in maniera notevole le esportazioni in volume dei prosciutti con osso, stagionati (+57,9% rispetto all’anno precedente) a fronte di un aumento più contenuto in valore (+4,9%), ma nei primi mesi del 2019 si è registrato, per questa tipologia produttiva, un crollo delle esportazioni sia in valore che in volume (rispettivamente –32,9% e –27,3%). Anche il segmento dei prosciutti cotti ha mostrato nel 2018 un forte calo dell’export, mentre si evidenzia un leggero recupero in valore a febbraio 2019. I mercati di destinazione dei principali prodotti I principali mercati di sbocco per la categoria di prodotto prosciutti disossati, speck e culatelli sono Francia e Germania, che insieme assorbono circa il 40% delle esportazioni italia-
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ne (in valore). Tuttavia il mercato tedesco mostra qualche segnale di cedimento, visto che nel 2018 le importazioni di questi prodotti trasformati dall’Italia sono calate sia in valore che in volume rispetto al 2017 (rispettivamente –6,4% e –7,3%). Invece, per quanto riguarda salsicce e salumi stagionati, la Germania si conferma il primo Paese di destinazione delle esportazioni italiane, anche se nel 2018 non si è registrata una crescita in valore, ma solo un debole aumento dei volumi (1,9%). Risalta il crollo delle esportazioni destinate al mercato austriaco, verso cui i flussi dei prodotti della salumeria italiana sono diminuiti in valore del 21,4% rispetto al 2017. Tra i principali paesi partner per lo scambio di questi prodotti, il Belgio continua ad essere il mercato che cresce maggiormente (+13% in valore tra il 2017 e il 2018). In calo le quantità importate Nel 2018 si osserva una contrazione del valore delle importazioni di tutte le principali categorie di prodotto che l’Italia acquista all’estero; si sono contratti in minor misura (o addirittura sono cresciuti) i volumi in ingresso nel mercato domestico. Per i suini vivi, si è registrato un calo del 15% in valore rispetto al 2017, ma il calo più sostanziale è quello che ha interessato le importazioni di prosciutti freschi (che rappresentano più del 50% in valore dei prodotti suinicoli importati) che hanno perso in valore l’8,1%. Tuttavia, tra gennaio-febbraio 2019, sono ripartite proprio le importazioni di prosciutti freschi, cresciute sia in valore che in volume (rispettivamente +5% e +1,7%) rispetto allo stesso periodo del 2018, determinando la ripresa delle importazioni totali del settore suinicolo italiano nei primi mesi del 2019 (+1,2% in valore rispetto gennaio-febbraio 2018). Dall’analisi però emerge che la dinamica dell’import risulta ancora negativa per la maggior parte delle tipologie produttive del segmento carne suina fresca, refrigerata e congelata. Anche le importazioni dei suini vivi continuano a far registrare un
segno negativo, sia in valore (–15%) che in volume (–5%). Per quanto riguarda i Paesi di provenienza dei suini vivi, la Spagna e i Paesi Bassi si confermano, anche nel 2018, i principali fornitori di suinetti degli allevamenti italiani, in termini di volumi. Si osserva un calo del valore delle importazioni totali di suini vivi, pari a circa il 17% rispetto al 2017, mentre i volumi scambiati si sono ridotti del 4,1%. Nel caso delle carni fresche, Germania e Spagna restano i principali fornitori del mercato italiano, ma nel 2018, per entrambi i Paesi, l’Italia ha registrato un importante calo delle importazioni in valore (–7,7% per la Germania e –10,4% per la Spagna). Dinamica dei consumi domestici I consumi interni di carni suine fresche nel 2018 si sono mantenuti stabili in valore, mentre si è registrata una lieve flessione in volume (–1,3%) rispetto al 2017. La spesa destinata all’acquisto di salumi si è mantenuta stabile, con variazioni poco consistenti per i consumi di tutte le principali categorie di prodotto. Buona la performance dello speck, i cui consumi, nel 2018, sono aumentati sia in valore (+2,3%) che in volume (+2,6%) rispetto al 2017. Nel primo trimestre del 2019 si è registrato un leggero aumento dei consumi dei salumi sia in valore che in volume (+1,4% e +2,1%), mentre per il segmento delle carni fresche totali la spesa si è mantenuta stabile rispetto al primo trimestre 2018. Anche per le carni suine fresche si osserva una certa stabilità, garantita dalla buona tenuta del segmento “carne suina fresca elaborata” che mostra segnali di crescita rispetto al periodo gennaio-marzo 2018. (Fonte: Ismea, Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale www.ismeamercati.it www.ismea.it) Note 1. Pubblicato ad aprile 2018 e disponibile al link: ec.europa. eu/agriculture/markets-andprices/short-term-outlook 2. Fonte quotazioni CUN.
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Proposte dal convegno “La verità scientifica e il futuro della selezione
Per il rilancio della Romagnola servono strategie commerciali più efficaci
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ue euro. È questa la differenza di prezzo tra un chilo di carne bovina di Chianina e uno di Romagnola. Sette per la prima, cinque per la seconda. Ma la differenza in termini di qualità non esiste, perché i livelli sono elevati per entrambe, ed entrambe sono inserite, insieme alla Marchigiana, nel Consorzio del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale che per tutte prevede un identico Disciplinare di produzione. Come si spiega allora la disparità di prezzo? A questa
domanda ha cercato di rispondere il convegno organizzato a Riolo Terme (RA) dall’Associazione regionale allevatori dell’Emilia-Romagna (ARAER) in collaborazione con ANABIC (Associazione nazionale allevatori bovini da carne) dal titolo “La verità scientifica e il futuro della selezione” e finalizzato a trovare strategie per il rilancio della carne bovina di razza Romagnola. «Conosco l’allevamento dei bovini di razza Romagnola fin da bambina, da quando iniziò ad
allevarle mio papà» ha spiegato LAURA CENNI, che ha coordinato i lavori della giornata. «Per me è naturale proseguire in questa attività e, nonostante le grandi difficoltà che si sono manifestate soprattutto in questi ultimi anni, continuo a essere fiduciosa sul futuro della Romagnola, anche perché diversi giovani allevatori, sulle colline della Romagna, stanno rilevando le aziende zootecniche famigliari animati da una passione che deve essere premiata».
Capi di razza Romagnola (photo © trattoriadalloste.com).
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È stato proprio grazie alla passione della Cenni che SEBASTIANA FAILLA, ricercatrice dell’ente Crea, tra i relatori al convegno, ha condotto recentemente uno studio sulle qualità della Romagnola, arrivando alla conclusione che rispetto alla più blasonata Chianina, la Romagnola non ha nulla da invidiare. Prendiamo esempio dalla Toscana E allora a cosa va imputata la difficoltà di commercializzazione che la affligge compromettendone necessariamente la valorizzazione? «È presto detto» afferma Laura Cenni. «I toscani sono più bravi di noi, dobbiamo riconoscerlo. Hanno saputo adottare politiche di promozione della Chianina efficaci e vincenti. Penso francamente che dovremmo imitarli a cominciare da iniziative che sappiano unire in un unico grande contenitore tutte le tipicità del nostro territorio, che sono parecchie, in cui la Romagnola rivesta un ruolo preponderante. Non dobbiamo poi dimenticare che purtroppo, a
differenza di quanto avviene in Toscana soprattutto nei piccoli centri, da noi stanno via via scomparendo i negozi di macelleria a favore dei grandi centri della GDO, un aspetto non secondario che non deve essere sottovalutato ma che non può penalizzare la promozione della Romagnola. Al di là della passione, quindi, quello che dobbiamo saper trasmettere al consumatore è il valore intrinseco della qualità della Romagnola, fatto di impegno, utilizzo di materie prime eccellenti, costi di produzione superiori rispetto ad altre produzioni più standardizzate. Un dato che non può essere disatteso ma va anzi valorizzato». Una specificità territoriale che va comunicata Secondo LUCA PANICHI, presidente di ANABIC, la migliore e maggiore valorizzazione della Romagnola richiede una gestione più mirata che ne caratterizzi la specificità. «Questa carne ha in sé dei valori
materiali e immateriali che meritano una valorizzazione ben diversa da quanto purtroppo è avvenuto finora» afferma. «C’è un forte legame con il territorio, esistono caratteristiche genetiche che affondano le loro radici in un passato molto remoto e che ancora oggi dimostrano tutto il loro valore, tant’è vero che la selezione naturale avvenuta nel corso dei secoli lega indissolubilmente la Romagnola alla specificità dei luoghi dove continua a essere allevata. La grande sfida è allora quella di saper veicolare al mercato tutte queste informazioni, che peraltro racchiudono anche aspetti sanitari e di sicurezza alimentare a cui il consumatore guarda con sempre maggiore attenzione. La differenza di prezzo tra la Chianina e la Romagnola non è legata alla qualità della carne ma all’approccio commerciale. Una strategia e una capacità diverse, più mirate e premianti sapranno invertire questa tendenza».
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World Steak Challenge 2019. And the winner is… di Elena Benedetti
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hi non conosce il World Steak Challenge? È la competizione organizzata da GLOBAL MEAT NEWS e lanciata nel 2015 per offrire un marchio riconosciuto di qualità e per sostenere l’industria mondiale delle carni più pregiate. Una sorta di Oscar delle carni che ogni anno, attraverso una giuria altamente qualificata, celebra i migliori tagli. Le categorie premiate quest’anno sono state World’s Best Sirloin (controfiletto), World’s Best Rib Eye (costata di manzo) e World’s Best Fillet (filetto). Sono stati assegnati premi anche per le migliori carni
I vincitori per questa edizione sono stati annunciati lo scorso 10 luglio a Dublino, davanti ad un pubblico di oltre 200 invitati, dopo un’intensa giornata di lavoro da parte dei giudici che hanno valutato alla cieca oltre 300 bistecche, filetti, controfiletti e costate, arrivate in Irlanda da 25 Paesi e quattro continenti
da allevamento Grass-fed, Grain-fed e Best Grass-fed. L’evento offre un palcoscenico unico per valutare la qualità delle carni mondiali, dall’Uruguay all’Argentina, passando attraverso
Quest’anno il World Steak Challenge ha raggiunto la quinta edizione e si è svolto lo scorso luglio a Dublino, Irlanda (photo © The Irish Times).
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Canada, Europa, Australia e Nuova Zelanda. I vincitori per l’edizione 2019 sono stati annunciati lo scorso 10 luglio a Dublino, davanti ad un pubblico di oltre 200 invitati, dopo un’intensa giornata di lavoro da parte dei giudici organizzatisi presso il Fire Restaurant and Lounge e nel corso della quale sono state valutate alla cieca oltre 300 bistecche di controfiletto, filetto e costata di manzo provenienti da 25 Paesi e quattro continenti. Sono state assegnate 255 medaglie in totale, tra cui 106 ori, 90 argenti e 59 bronzi. Ogni tipologia di carne in gara è stata valutata sia cruda che cotta, con l’assegnazione di un punteggio sulla base di aroma, colore, sapore e marmorizzazione. Per il secondo anno consecutivo la danese JN MEAT INTERNATIONAL è stata premiata per la migliore steak al mondo con una costata di manzo di razza Ayrshire, allevato a erba in Finlandia. Sul podio anche JACK’S CREEK, Australia, per il miglior controfiletto, mentre l’irlandese ABP CAHIR ha vinto per il filetto migliore. Tra i 38 giudici dell’edizione 2019 c’era anche il nostro italiano GIORGIO PELLEGRINI, della Macelleria Pellegrini di via Spallanzani a Milano, professionista delle carni con una maturata esperienza anche a livello internazionale.
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Carne bovina e ovina di Alta QualitĂ ottenuta da risorse sostenibili Dawn Meats, fondata nel 1980 a Waterford nel sud dellâ&#x20AC;&#x2122;Irlanda, è cresciuta in modo costante ďŹ no a diventare oggi una delle principali realtĂ produttive irlandesi, con stabilimenti anche in Inghilterra, Scozia e Galles. Dawn Meats è rimasta fedele ai principi dellâ&#x20AC;&#x2122;impresa familiare ed al suo radicamento agricolo, con una forte attenzione allâ&#x20AC;&#x2122;innovazione ed alla sostenibilitĂ , ponendo un
Dawn Meats fornisce carne bovina in osso di scottona e vitellone e carne ovina in osso, nonchĂŠ la gamma completa dei tagli anatomici sottovuoto. Produce inoltre hamburger congelati da carni di razze pregiate e piatti pronti slow cooked, disponibili sia in formato retail che food service.
costante impegno nel miglioramento della qualitĂ e del servizio al cliente. Dawn Meats considera il mercato italiano uno dei piĂš importanti ed è un fornitore di riferimento per gli acquirenti di carne bovina ed ovina. Lâ&#x20AC;&#x2122;uďŹ&#x192;cio commerciale di Parma è stato creato appositamente per essere vicino alle esigenze dei clienti e consolidare partnership solide e durature.
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In alto: i vincitori del World Steak Challenge 2019. Da sinistra, Eddie Quilty, di ABP Cahir Ireland, John Sashi-Nielsen, direttore di JN Meat International, e Aaron Hofman di Jack’s Creek, Australia (photo © Global Meat News). In basso: Eoin Ryan di ABP Cahir Ireland con il super butcher Giorgio Pellegrini e Sara Conforti, chef italiana di CIBC, Chefs’ Irish Beef Club, il Club fondato da Bord Bia che raccoglie l’eccellenza della ristorazione a livello internazionale. Pellegrini e Conforti hanno preso parte al panel dei giurati in quel di Dublino (photo © Global Meat News).
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Chi può partecipare al World Steak Challenge? La competizione è aperta a tutte le aziende di macellazione e trasformazione delle carni a livello in-
ternazionale, tra cui produttori di carni bovine, allevatori e ranchers, trasformatori di carni bovine, marchi di carne, grossisti di carne. Elena Benedetti
• www.worldsteakchallenge.com • www.facebook.com/WorldSt akChallenge • www.instagram.com/wsteakchal lenge
Anche le carni canadesi di Beretta Farms hanno gareggiato nell’edizione 2019 del World Steak Challenge, conquistando l’argento per il Grass-Fed Rib-Eye (photo © Beretta Farms).
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Le aziende con medaglia d’oro ABP, ABP CAHIR, ABP FOOD GROUP, ABP IRELAND, JOHN STONE/ALBERS GMBH, ALLIANCE GROUP, ANZCO FOODS UK, ASHBOURNE MEATS, AUSTRALIAN AGRICULTURAL COMPANY (AUSTRALIA), BJURSUNDS SLAKTERI AB, CARNIMEX, DONAUMOOS ANGUS, DUNBIA UK, FIRSTLIGHT FOODS UK (NUOVA ZELANDA), FN GLOBAL MEAT BV, FOYLE FOOD GROUP, FX BUCKLEY STEAKHOUSES, GIRAUDI MEATS, GUTREI GALICIA, HANNAN MEATS, HILTON FOOD GROUP, JACK’S CREEK, JAMES WHELAN BUTCHERS, JN MEAT INTERNATIONAL, KEPAK, KETTYLE IRISH FOODS, LIFFEY MEATS, MARTIN JENNINGS WHOLESALE, MARTINS MEATS, MORT & CO, SUPERVALU SIGNATURE TASTE/KEPAK, CENTRA INSPIRED/KEPAK, OSI EUROPE FOODWORKS GMBH, PICKSTOCK TELFORD, PUJOL’S, ROSEDALE RUBY, RUNGIS EXPRESS GMBH, SCOTBEEF, TENDERMEATS, VION FOOD GROUP, WOODHEAD BROTHERS.
Uno scatto durante la sessione di valutazione dei tagli di carne da parte della giuria (photo © instagram.com/ wsteakchallenge).
Grande performance di Vion al World Steak Challenge 2019: 5 GOLDBEEF steaks ricevono l’oro e l’argento Vion ha portato a casa un ottimo risultato al World Steak Challenge 2019, con un totale di 5 medaglie, tre ori e due argenti, per le bistecche del marchio premium di carni bovine tedesche e olandesi GOLDBEEF. Vion ha partecipato alla gara con la carne delle razze Simmental e Holstein Friesian, sei bistecche in totale. Due entrecôte e il roast beef hanno ricevuto la medaglia d’oro, mentre i filetti hanno ricevuto l’argento. «Abbiamo dimostrato ancora una volta che i nostri tagli di manzo sono in grado di sfidare i più alti standard internazionali tenendo il passo della competizione globale» ha detto con soddisfazione WILHELM HABRES, sales director Beef di Vion Food Group. «Quest’anno ci siamo davvero superati e siamo andati a medaglia con 5 delle 6 bistecche presentate» ha sottolineato Habres, ricordando che questo è un riconoscimento per il lavoro fatto da tutto lo staff di Vion e per tutte le sedi del il Gruppo olandesetedesco leader nella produzione di carne.
Marina Rogg e Wilhelm Habres, rispettivamente Sales & Trade Marketing e Director Sales & Trade Marketing Beef Vion Food Group (photo © Vion Food Group).
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Vanlommel fornisce carne di vitello su misura: tagliata e confezionata come pi vi piace. In quanto regista di una Þliera chiusa, Vanlommel si occupa in proprio dellÕintero processo, dallÕacquisto e dallÕevoluzione dei vitelli da ingrassare, Þno alla tracciabilit completa a livello del singolo pezzo porzionato. Professionalit con totale Þducia.
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WORLD BUTCHERS’ CHALLENGE
Notizie dal WBC 2020 Galles Il Galles è l’ultima nazione ad unirsi alla competizione The World Butchers’ Challenge 2020 con la squadra Craft Butchery Team Wales, che si è iscritta per competere a Sacramento, in California, il prossimo settembre. Il capitano della squadra, PETER RUSHFORTH, ex vincitore delle competizioni Butchery – WorldSkills UK e Welsh Butcher of the Year, è entusiasta. «Siamo una squadra giovane che partecipa alla competizione per la prima volta — ha detto Peter — ma ciò nonostante siamo stati selezionati in base alle nostre prestazioni nel corso delle competizioni qui in Galles. Siamo motivati e preparati e andremo a Sacramento per vincere! Basta ricordare l’Irlanda che lo scorso anno partecipava per la prima volta ed è tornata a casa col titolo mondiale!» (photo © The World Butchers’ Challenge).
Italia Novità anche nel team della Nazionale Italiana Macellai, con l’ingresso di GIUSEPPE DE FALCO della Macelleria O’ Sistimato di Melito di Napoli. Massima cura nella selezione delle carni pregiate, tanta tecnica ed entusiasmo sono gli ingredienti chiave della professionalità di Giuseppe che, insieme alla moglie Margherita, gestisce da 23 anni la sua attività. Il suo punto di forza? La sua grande passione? Sicuramente i pronto cuoci, che la sua clientela richiede per la praticità e comodità che consentono di preparare velocemente i pasti. L’impegno di Giuseppe e Margherita è quello di presentare sempre idee nuove, capaci di stuzzicare la curiosità e appagare il palato. Siamo sicuri che a Sacramento Giuseppe De Falco ci stupirà! (photo © facebook.com/sistimato).
WBC – World Butchers’ Challenge 4–5 settembre 2020 Golden 1 Centre, Sacramento (California) Web: worldbutcherschallenge.com
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MACELLERIE D’ITALIA
L’apertura di un nuovo punto vendita e una nuova comunicazione
Magnani: l’abito fa il monaco, se la carne c’è
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a ragazzino, per caso, LORIS FERRARI iniziò a lavorare in macelleria. Qualche anno dopo NATALE MAGNANI, un’istituzione in Alto Adige, lo assunse. «Fare il macellaio? È successo. Ma sono stato io a decidere di usare questo lavoro per esprimere la mia intraprendenza e creatività» racconta spesso Loris.«Ero un ragazzino quando iniziai. Mi avvicinai per caso al mestiere di macellaio e all’arte della norcineria. Qualche anno dopo Natale Magnani mi chiese di lavorare per lui. Mi fece crescere, fino a scegliermi come successore. Nel mentre, scoprii che lavorando
potevo contribuire alla bellezza e alla generosità del mondo, stuzzicare la mia fantasia e quella altrui con sempre nuove prelibatezze e, divenuto imprenditore, continuare a migliorare l’attività. Da mio padre ho imparato il valore del lavoro duro e dell’onestà, da Magnani la passione per la norcineria. Di mio, ci metto la ricerca continua». Crescendo, l’arte della norcineria si fece via per mettere alla prova intraprendenza e creatività. Per i palati dei suoi clienti si impegnò a soddisfare il gusto e le curiosità gastronomiche con specialità a base di carne di qualità, appetitosa e
La Macelleria Magnani si è rifatta il look con il completo rinnovamento della comunicazione e l’inaugurazione di un punto vendita a Salorno (BZ) su progetto dello studio MAMA. Ma dietro l’immagine c’è tanta, tanta sostanza!
genuina. Apprese la ricetta segreta dei sapori di Natale Magnani per trasformare cosce trentine, rifilate
Il bancone del nuovo punto vendita Magnani a Salorno (BZ).
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con cura, affumicate con faggio e ginepro, cotte a lungo in forno, raffreddate ad arte e lasciate riposare fino a farsi Prosciutto di Pasqua Magnani. Ereditò l’attività e divenne maestro macellaio, autore di uno Speck Riserva sopraffino, dolce ma affumicato con faggio e ginepro. Loris Ferrari fa ingrassare i maiali con calma e cura e riposare le cosce pesanti per 12 mesi nella “cucina delle spezie” di un maso del 1500, così hanno il tempo di normalizzarsi e bilanciare parti grasse e magre. Negli anni, dunque, le sue scelte di prodotto si sono dimostrate degne di Magnani, ma Ferrari era proteso oltre: «Se il prodotto c’è, ed è innegabile — dice — bisogna spingere sulla confezione.
Nel nuovo locale impreziosisce il bancone una rete metallica nera, alla quale sono appesi gli Speck Riserva. La rete giunge poi fino all’area frollatura, messa in risalto da un piano in rovere con frontale in porfido.
MaMaODA Officina d’Architettura Via Stadio 2 36043 Camisano Vicentino (VI) Telefono: 0444 023252 Web: www.mamaoda.com
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Macelleria Magnani di Ferrari Loris Piazza Cesare Battisti 9 39040 Salorno (BZ) Telefono: 0471 884536 Web: www.macelleriamagnani.com
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Con i consigli e la ricetta segreta appresi da Natale Magnani, Loris Ferrari produce uno Speck Riserva sopraffino, affumicato con faggio e ginepro. Per questo ho inaugurato un nuovo punto vendita e dopo pochi mesi molti aspetti sono cambiati. Primo: l’afflusso di clienti». A marzo ha infatti aperto in centro a Salorno (BZ) con un progetto di interior design e comunicazione di MAMA, studio di architettura di Camisano Vicentino (VI). Entran-
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do, c’è l’esposizione dei prodotti gastronomici di eccellente qualità da lui selezionati. Colpisce il bancone per la vendita della carne, attore principale, e di fronte la vetrina frigo degli insaccati Magnani. Lo impreziosisce una rete metallica nera, a cui sono appesi gli Speck Riserva. Giunge
fino all’area frollatura, messa in risalto da un piano in rovere con frontale in porfido. Lo studio MAMA così pone proprio in vetrina e a contatto diretto con la gente il macellaio, assaggi compresi, come non permetterebbe la profondità del bancone principale. Acquisti, fiducia ed esperienza vissuta dal cliente ne beneficiano. Lato comunicazione: è stata rivoluzionata l’immagine coordinata sin dal logo, che troneggia fra punto vendita e brochure, un omaggio a Salorno e al suo castello per enfatizzare l’importanza del territorio di appartenenza. Il nuovo abito e la posizione in centro della macelleria attraggono più clienti, più attenti a cercare carne di qualità. Fra loro, vari ristoratori che sollevano Loris Ferrari dalla ricerca di queste sempre gradite collaborazioni. «L’abito fa il monaco in questo caso — sorride Ferrari — ma perché sotto c’è sostanza». Nota Photo © Tiziano Scaffai (per la comunicazione); foto interior, Marco Brusarosco.
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Cambio di look per la macelleria “Non solo carne” a Gioiosa Ionica
Famiglia Magnoli, macellai per vocazione di Federica Cornia
«M
io nonno me lo diceva spesso che la nostra famiglia ha sempre fatto questo mestiere». A parlare è COSIMO MAGNOLI, macellaio di quinta generazione, che dal 2000 gestisce col fratello Antonio la macelleria “Non solo carne” in via delle Rimembranze 74 a Gioiosa Ionica, in provincia di Reggio Calabria. «Mio bisnonno DIEGO, classe 1895, faceva il macellaio. È riportato nella sua carta d’identità. Del padre, NICOLA, il mio trisavolo, nato intorno alla metà dell’800, sappiamo che era un allevatore e ne stiamo cercando i documenti in Archivio Storico».
Ci tiene particolarmente Cosimo a ripercorrere l’albero genealogico della sua famiglia, a risalire al punto d’origine di un’attività che ne ha disegnato e accompagnato la storia in modo tanto importante fino ad oggi. «Voglio valorizzare questo mestiere» dice, quasi fosse l’atto necessario per ripagare un debito di gratitudine nei confronti degli avi, rinsaldare le proprie radici per poi poter proseguire, con passo certo, lungo il proprio cammino e continuare a crescere. Ad aprire la prima macelleria a Gioiosa Ionica è stato proprio il nonno Antonio, nel 1943. L’usanza
del posto, quella di trasmettere e tramandare di padre in figlio un mestiere, ha fatto il resto: dei tre figli di Antonio tutti hanno scelto la professione del macellaio. Ognuno aveva una sua macelleria in paese ma solo S AL VATORE , il padre di Cosimo, ha continuato l’attività, grazie anche alla discendenza maschile. «Uno dei miei zii non è sposato e l’altro ha due figlie femmine, che entrambe si sono dedicate agli studi. Quindi col passare del tempo mio zio decise di non esercitare più il mestiere di macellaio cedendo l’attività.
Cosimo e Antonio Magnoli posano davanti alla loro macelleria “Non solo carne” di Gioiosa Ionica (RC), oggetto di recente di un rinnovo dei locali.
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L’album dei ricordi dei Magnoli racconta di una famiglia dedita all’arte della macelleria da generazioni. A sinistra: in alto, foto di gruppo di tutti i macellai di Gioiosa Ionica. Vicino al veterinario, sulla destra, il giovane Salvatore Magnoli posa a braccia incrociate. Sulla destra, chiude la fila Antonio Magnoli. Al centro: Rocco Magnoli. In basso: Giuseppe Magnoli.
A destra: in alto, Antonio Magnoli coi figli Salvatore e Giuseppe. Al centro: Salvatore Magnoli coi figli Antonio e Cosimo. In basso: la carta d’identità di Diego Magnoli, classe 1895, professione macellaio.
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Cosimo Magnoli con i figli Cristian e Salvatore e il fratello Antonio poco prima del taglio della torta realizzata in occasione della festa che si è svolta lo scorso giugno per l’inaugurazione dei nuovi locali della macelleria “Non solo carne”. Mio padre, invece, di figli ne ha fatti cinque, anche perché cercava il figlio maschio che portasse avanti il cognome della famiglia e ne continuasse l’attività. Dopo le prime tre femmine siamo arrivati io e mio fratello gemello». Oggi Cosimo e Antonio conducono la macelleria aperta dal padre nel 1967 e ne hanno appena rinnovato locali e concept, con l’allestimento dell’angolo salumeria che comprende gli affettati, la ricca proposta di pronti a cuocere e l’angolo per le degustazioni destinato all’assaggio di vini e formaggi del posto. Alla base c’è una nuova idea di servizio al cliente con declinazioni gourmand che, al passo coi tempi, delinea il volto moderno di “Non solo carne”, gastromacelleria che risponde ai desiderata della clientela contemporanea, la quale, come sottolinea Cosimo, richiede sempre meno il taglio di carne fresca e sempre più prodotti semplici e veloci da cucinare.
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Attuale, moderna, ad effetto: gioca sul contrasto bianco e nero l’ambientazione curata dal geometra SALVATORE ANGILLETTA e tanto voluta da Cosimo, contrasto che ritorna anche nel logo. «La gente si deve fermare quando passa davanti alla vetrina. Deve stupirsi, pensare che una cosa così non l’ha mai vista». Lungo il banco in acciaio corre una fascia nera e una celletta pensile contiene la carne frollata che su richiesta si può degustare al piano di sotto, alla Cantina del macellaio. «Non è facile portare le persone più anziane verso il consumo della carne frollata — dice Cosimo — perché sono state abituate dai macellai della generazione di mio padre alla carne macellata e subito venduta». Questo per Cosimo significa agire su pregiudizi e preconcetti, fare informazione ed educare al consumo della carne frollata: «parlo coi clienti, spiego i modi e i tempi di frollatura anche in base ai tagli; che la carne minimo va lasciata in cella una settimana e che i pezzi più
pregiati, entrecôte, lombata, filetto e scamone, li lasciamo invece almeno 30 giorni, fino ad un massimo di 90. Raccomando poi la media cottura per gustarla al meglio». Nel 2001 era stata di Cosimo l’idea di produrre i salumi artigianali che oggi dagli inferi profumati della Cantina del macellaio salgono alla luce dei locali della macelleria per essere affettati a banco. Da qui il nome “Non solo carne”. Prima, ci dice, si chiamava solo “macelleria”. Di novità in novità Cosimo procede nel far evolvere secondo i tempi l’arte di un mestiere che accompagna la famiglia Magnoli fin dall’Ottocento. E, per chi si chiede, tra sé e sé, dove stia il segreto di tale continuità tra generazioni, Cosimo risponde che familiarizzare sin da bambino con l’ambiente della macelleria e il mestiere del macellaio per lui è stato fondamentale per sviluppare la sua passione per questo lavoro. Passione che adesso spera di trasmettere ai figli. Federica Cornia
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Da iMEAT a iMEAT Farm, nel 2020 la rassegna delle carni di altissima qualità La carne è tornata ad avere un ruolo protagonista sulle tavole italiane, purché sia carne di elevata qualità. Dai dati del “Rapporto sui consumi di carni di qualità in Italia”, elaborato da ISMEA, nel 2018 in Italia la spesa per la carne sarebbe cresciuta di oltre il 5%. In particolare, i consumi di pollame e di carne suina sarebbero aumentati del 4% e quelli di bovina del 5%. Ciò che diversifica il consumo odierno rispetto al passato è l’informazione richiesta dal consumatore: carni di altissima qualità provenienti da una filiera tracciata, dall’allevamento sostenibile, dove il benessere del bestiame è garantito e la sua alimentazione controllata, al luogo di macellazione effettuata in assenza di pratiche stressanti per l’animale fino al banco di macelleria o del ristorante dove sintetizzare tutte queste informazioni. Da questi dati che testimoniano una netta inversione di tendenza, è nata l’idea di creare iMEAT Farm, mettendo in contatto i produttori di carni di altissima qualità con le macellerie, i ristoratori e tutti gli operatori interessati. La prima edizione si svolgerà a ModenaFiere domenica 22 e lunedì 23 marzo 2020. iMEAT Farm sarà un evento espositivo unico nel suo genere che si rivolgerà alle aziende agricole, ai consorzi e a tutti i produttori di carne che hanno deciso di puntare sull’altissima qualità del loro prodotto, ottenuta grazie al benessere animale ed al controllo accurato dell’alimentazione. Ad iMEAT Farm avranno la possibilità di farsi conoscere e, soprattutto, far degustare il prodotto nel proprio stand o attraverso degustazioni guidate in spazi dedicati. iMEAT Farm è e sarà anche cultura: infatti non mancheranno incontri organizzati con esperti del settore, convegni e seminari dedicati alla carne e alle sue qualità, nonché corsi di marketing per scoprire come promuovere al meglio il prodotto carne nella propria attività». >> Link: www.ecod.it/eventi/imeatfarm
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Roberto Passaretta, l’orgoglio di una professione e l’evoluzione della macelleria di Gaia Borghi
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el 1976 mio padre Andrea apriva la sua prima macelleria nel comune di Minturno, arrivando, nel giro di qualche anno, a gestirne ben tre insieme ai suoi fratelli. In macelleria ci sono cresciuto, era il lavoro dei fine settimana quando frequentavo la scuola. I miei primi strumenti in negozio sono stati scopa e paletta, perché, come mi ha insegnato mio papà, in macelleria la pulizia è la prima cosa». Chi mi parla sotto il sole cocente di Sabaudia, impegnato insieme ad una quarantina di macellai a partecipare all’evento benefico organizzato dall’associazione Butchers for Children di cui fa parte (si veda il servizio a pagina 52), è ROBERTO PASSARETTA, giovane ma già molto esperto macellaio che questa professione l’ha scelta seguendo le orme paterne o, per dirla meglio, quella di un’intera famiglia, impegnata da sempre nel mondo della carne a 360 gradi, essendo i nonni proprietari di un’azienda agricola e di un piccolo allevamento da animali da reddito. «In passato i nonni possedevano animali da lavoro, oggi solo bovini da carne, di razza Piemontese per la precisione. Da loro mi rifornisco per le Scottone» mi racconta Roberto. «Crescendo tra la macelleria e l’azienda agricola ho imparato a conoscere da subito il vero valore della carne, un bene prezioso, che si ottiene dal sacrificio di un animale e quindi non va sprecato bensì valorizzato, utilizzando tutti i tagli anatomici a nostra disposizione. Così come ho potuto conoscere il senso di sacrificio che sottende il
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Roberto Passaretta, titolare a Minturno (LT) della macelleria di famiglia Punto Carni di un laboratorio un laboratorio per la lavorazione delle carni e dei salumi con bollo CE, è membro della Nazionale Italiana Macellai, con cui ha partecipato al World Butchers’ Challenge 2018 in Irlanda e con cui volerà il prossimo anno a sacramento, in California, per l’edizione 2020 della competizione. Inoltre, Roberto fa parte dell’associazione dei Butchers For Children e di AIMA – Associazione Italiana Macellerie Artigiane (photo © Marcello Serra).
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Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Piano di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Toscana sottomisura 3.2
mestiere di allevatore, che non conosce feste o vacanze, e la passione che distingue il lavoro del macellaio. Sono questi gli aspetti della professione che mi interessano, gli stessi che non mi fanno sentire la fatica quotidiana: non potrei mai lavorare diversamente». Dopo la scomparsa del padre avvenuta tre anni fa, quella stessa macelleria, la Punto Carni, situata nel centro storico del piccolo paese in provincia di Latina, Roberto la gestisce insieme alla madre DORA. «La quota maggiore di vendita la facciamo con il bovino, di provenienza italiana (Nord Italia, Veneto e Emilia-Romagna in particolare), ma anche estera, Polonia, USA, Australia. Vendiamo soprattutto lombi frollati 30/40 giorni, ma proponiamo anche i tagli poveri ricchi di sapore: il ruolo del macellaio secondo me deve essere quello di valorizzare come già detto ogni parte dell’animale ma, soprattutto, guidare la propria clientela nella scelta, consigliarla al meglio, tenendo sempre in considerazione le diverse esigenze di ognuno. Chiunque sia la persona che si rivolge a me, ad esempio,
dalla casalinga al ristoratore, sa che potrà contare sulla mia competenza e i miei consigli: quello amo fare è diventare per il mio cliente una sorta di consulente. Anche per questo motivo, per la fiducia che si è venuta a creare nel corso degli anni, oltre che per la qualità del prodotto che trovano in macelleria, ci sono famiglie che fanno un sacco di chilometri ogni settimana per raggiungerci. Il servizio che offro è superiore alla comodità e questo è un grande motivo di orgoglio». Roberto è proprietario sempre a Minturno di un laboratorio per la lavorazione delle carni fresche e degli insaccati con bollo CE (Roberto Passaretta Srl Lavorazione e Distribuzione Carni). Con all’attivo otto dipendenti, il laboratorio lavora per la ristorazione, le gastronomie e i piccoli supermercati, sezionando i tagli freschi e producendo i preparati pronto-cucoci e gli insaccati. Salumi stagionati e cotti vengono invece prodotti nella macelleria. «Quella dei salumi è una produzione limitata, fatta soprattutto di preparazioni tipiche della regione, come la salsiccia aurunca aromatiz-
zata con il coriandolo e i salamini di piccolo calibro con solo sale e pepe. Da oltre sei anni tutti i nostri insaccati non contengono glutine e pochissimi additivi o conservanti, anzi, quando mi è possibile cerco di non usarne affatto». Presenza fissa tra i cotti fin dal suo primo ingresso è il pulled pork, amatissimo dai clienti di Roberto, che lo propone in una versione italianizzata, con peperoni e verdure locali, oppure al naturale, perfetto anche per insaporire la pasta, le frittate… «Il pulled pork nasce dalla mia ultima passione in ordine di tempo, il barbecue, che mi ha fatto fare un ulteriore passo in avanti in macelleria, insegnandomi ad utilizzare in maniera creativa parti dell’animale, come l’anteriore, che ancora non riuscivo a valorizzare come volevo». Se il punto di forza dell’essere macellaio di Roberto resta comunque il servizio curato e una consulenza personalizzata, a Scauri, una frazione di Minturno che si affaccia sul mare, è presente un ulteriore punto vendita a libero servizio. «Qui si reca una clientela diversa,
La macelleria Punto Carni propone ai propri clienti una ricca selezione di carni di prima scelta, nazionale e estera (photo © Marcello Serra). 100
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Nellâ&#x20AC;&#x2122;offerta della macelleria anche suino nazionale, pollo, salumi di propria produzione, preparati e pronti a cuocere (photo Š Marcello Serra). Eurocarni, 9/19
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Una delle vaschette per il libero servizio preparate nel laboratorio di Roberto Passaretta. che necessita di portare in tavola delle preparazioni semplici e veloci» mi dice Roberto. «Anche nelle vaschette, però, le proposte sono studiate appositamente, scegliendo il taglio anatomico più adatto e il giusto accompagnamento di verdure, erbe e spezie. Una proposta differente insomma, più immediata, che consente di non rinunciare comunque alla qualità, alla genuinità e al gusto». L’importanza della formazione e del fare rete Incredibile a dirsi, e ancor più incredibile a farsi direi, Roberto fa anche molto, molto altro! Papà di due bambini, SOFIA e ANDREA, che ha solo pochi mesi — «ma mia moglie MARIALUISA è una figura fondamentale anche in azienda, che si divide tra il ruolo di madre, moglie e imprenditrice!» —, Roberto è membro della Nazionale Italiana Macellai, con cui ha partecipato al World Butchers’ Challenge 2018 in Irlanda e con cui volerà il prossimo anno a Sacramento, in California, per l’edizione 2020 della competizione. Inoltre, è tra i soci fondatori del network Passione Preparati Planet di FRANCESCA SANTIN, «tra i pionieri del concetto di evoluzione in ma102
celleria, anche grazie all’utilizzo dei social network» sottolinea. Nel 2016, insieme ad una decina di altri macellai professionisti, fonda AIMA – Associazione Italiana Macellerie Artigiane (www.aimameat.com). «Credo moltissimo nell’importanza della formazione nella nostra professione» ribadisce Roberto. «Io e i colleghi con cui ho fondato AIMA, ad esempio, siamo letteralmente “affamati” di nuove conoscenze, perché pensiamo che sia l’unico modo per crescere e far crescere di conseguenza il mondo della macelleria tutto. Altrettanto importante in questo senso è il fare rete: gli incontri con gli altri macellai mi arricchiscono sempre tantissimo e in questo senso, come sta succedendo proprio oggi, è sempre una gioia partecipare alle giornate di solidarietà organizzate insieme agli altri Butchers for Children, oltre natu-
ralmente allo scopo finale di raccogliere denaro per progetti che hanno a cuore la salute dei bambini». La storia della macelleria che si adegua ai tempi moderni Che cos’è quindi il macellaio secondo Roberto Passaretta? «Il macellaio, con la sua professionalità, è il custode o, meglio, uno dei custodi, insieme al panetterie, al pizzaiolo, al pasticcere…, della cultura alimentare italiana» risponde. «Un artigiano che possiede un sapere e un saper fare preziosi ma che deve evolversi, abbracciare la modernità, senza abbandonare la tradizione. Ricordiamoci che la carne, nelle sue mille sfumature, nelle mille preparazioni tradizionali, nei piatti tipici, così diversi da regione a regione, accompagna la storia dell’Italia, ne è parte integrante». Una parte buona. Gaia Borghi
Roberto Passaretta Srl Sede operativa: via A. Sebastiani 160 04026 Minturno (LT) Punti vendita: via Appia 961 – 04028 Scauri (LT) Via Principe di Piemonte 20 – 04026 Minturno (LT) Telefono: 0771 613502 – 0771 614853 – 0771 65717
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Dove il bardiccio e i fegatelli raccontano la storia
Il sapore senza tempo della macelleria Francini di Riccardo Lagorio
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o il macellaio, ma c’è rimasto ben poco del lavoro a cui ero abituato negli anni passati». GIANCARLO FRANCINI ruota gli indici verso l’alto e disegna degli stretti cerchi indicando il paranco. «La macelleria che ha resistito alle macerie del 1944 nulla ha potuto di fronte alle regole di Bruxelles». Notizie già ascoltate e puntualmente riportate: certe scelte fatte in nome della salubrità, della trasparenza verso il consumatore o della razionalizzazione delle spese sanitarie o di altre amenità ancora hanno di fatto provocato qualcosa di simile a una guerra, lasciando sul terreno macerie umane e saperi. Così oggi i casari, i panettieri, finanche i macellai (quelli che hanno nel sangue l’arte di interpretare, intuire e sezionare le carni per trarne il meglio da ogni taglio) sono merce rara. «Per non perdere l’abitudine, talvolta, mi esercito nella macellazione presso l’azienda agricola dei miei cugini». Nel banco, spoglio di preparazioni e piatti pronti per essere semplicemente cotti, i tagli raccontano di mamme che entrano nella bottega per la carne macinata al momento «perché i figli poi se ne accorgono», di groppa (lo scamone) che diventerà fettina, di lombate con una frollatura di due settimane e il grande osso per delle bistecche alla fiorentina che profumano di rosmarino. L’unica preparazione, quasi un obbligo, sono i fegatelli, tagli di fegato di maiale insaporiti da finocchietto e foglie d’alloro rivestiti dall’omento.
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Cucinati alla brace, sono una delle bandiere gastronomiche di questa parte di Toscana. «Le mie clienti chiedono ciascuna un tipo diverso di rifilatura, una carne affettata in un certo modo.
Sono abitudini e rapporti di fiducia reciproci che si sono cementati in cinquant’anni di lavoro. Scelgono di venire in questa macelleria perché il contatto umano è importante, ma conta soprattutto il
Giancarlo Francini al banco della sua macelleria in piazza della Repubblica a Dicomano, in provincia di Firenze.
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La salsiccia e il bardiccio, l’insaccato tradizionale di queste zone. servizio su misura, che difficilmente si trova nei grandi centri commerciali» commenta Francini. Nel banco si trovano anche due insaccati che si preparano nel retrobottega, la salsiccia e il bardiccio. «La salsiccia si prepara con carne di spalla, pancettone, sale e pepe», spiega. Durante l’inverno si mantiene per una settimana o dieci giorni, ma è possibile lasciarla essiccare. È una gustosa merenda che si accompagna con un bicchiere di Chianti Rufina. Ma l’insaccato tradizionale di questi luoghi è il bardiccio. «Si preparava con tutte le parti del suino e del bovino che non trovavano utilizzo in altri salumi: polmone, cuore, milza. Ora il polmone non viene inserito nella macinatura». Un salume di recupero, insomma, in cui il bovino partecipa per un terzo con lo spolpo di testa, il pancettone e i ritagli provenienti da altri salumi di
Tipico insaccato toscano, il bardiccio si preparava coi tagli suini e bovini che non trovavano utilizzo in altri salumi. Ad insaporire le carni, pepe, chiodi di garofano, finocchietto e aglio in quantità generosa
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suino per un terzo e per il restante le parti anatomiche che ha raccontato Francini. La macinatura risulta grossolana. Come spezie si usano il pepe, il finocchietto e il chiodo di garofano. Una generosa quantità d’aglio completa la mistura. «Sino agli anni Settanta si dava forma al bardiccio strozzandolo, facendo quindi girare su se stesso il salume e ottenendo la misura di 25 o 30 cm. La vendita avveniva in coppie. Ora il singolo salume si ottiene con una legatura di spago, poco più lunga dei 30 cm, e la vendita può avvenire per una sola unità». Il consumo avviene per lo più da fresco, sulla gratella, o cotto con i fagioli come parte di una minestra. Oppure stufato, con i fagioli all’uccelletto. Ma c’è ancora chi lo stagiona per impiegarlo nel corso dell’anno come ripieno o come ingrediente per insaporire le zuppe vegetali. In effetti, se stagionato, sostituisce bene la salsiccia, assecondando coloro che amano gusti più marcati e robusti. «Ci sono affezionato a tal punto che quando terminerò di fare bardicci non mangerò più carne» dice scherzando il vecchio macellaio… Riccardo Lagorio Macelleria Francini Piazza della Repubblica 17 50062 Dicomano (FI) Telefono: 333 6572328
INSTITUTE OF MASTERS OF MEAT
Ritorno alle origini La storia di Hendrik Dierendonck, il macellaio belga che fa della moderna artigianalità delle carni la sua vita professionale di Elena Benedetti
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are rete, creare connessioni, dar vita ad un sistema integrato tra soggetti accomunati dalla stessa visione. È un po’ il mantra dei nostri tempi, la filosofia che
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sta alla base delle organizzazioni efficienti e moderne. Ed è effettivamente così. Fare rete crea sinergie, amplifica scambi e conoscenze, alimenta
stimoli e amplia l’orizzonte del proprio lavoro. Anche quando si tratta di lavorare carne, organizzare un business nel mondo delle proteine animali, fare l’allevatore e
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il macellaio, il ristoratore, il rivenditore di carne. Lo scorso maggio a Panzano in Chianti, a casa di DARIO CECCHINI, sotto la regia magistrale di FRANCK RIBIÈRE, è stato fondato l’Institute of Masters of Meat, al quale aderiscono personaggi unici, ciascuno con la propria storia ed esperienza, ma tutti accomunati dalla stessa visione: dare valore alla carne di qualità per ciò che rappresenta e per ciò che è. Ovvero il risultato di un complesso lavoro di filiera che coinvolge allevatori, veterinari, macellatori e trasformatori, in un contesto ambientale che non è più estraneo alla discussione ma parte integrante.
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Inizia così, da questo numero, il nostro viaggio alla scoperta dei protagonisti dell’Institute of Masters of Meat. Ogni mese vi racconteremo la storia personale di uno dei protagonisti di questo gruppo destinato ad allargarsi sempre più, a contaminare altre storie, ad accogliere nuovi racconti. Partiamo da HENDRIK DIERENDONCK, belga, 45 anni, una macelleria a Nieuwpoort, un ristorante, Carcasse (che vanta 1 stella Michelin) a Koksijde, un altro, Le Boucher Rouge Carreaux, a Bruxelles, e un laboratorio di lavorazione delle carni a Sint-Idesbald (Saint-Idesbald). «Essere un macellaio è un po’ come essere un artigiano che mette insieme le abilità
Inizia con questo articolo il viaggio di Eurocarni alla scoperta dei Masters of Meat, personaggi unici, ognuno con la propria storia ed esperienza, ma accomunati dalla stessa visione: dare valore alla carne di qualità per ciò che rappresenta e ciò che è
In basso: Hendrik Dierendonck e il suo negozio, una meravigliosa boutique delle carni.
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Hendrik Dierendonck e il padre Raymond nel loro allevamento di proprietà con i capi bovini di razza West Flanders. di oggi con la qualità del passato» dice spesso Hendrik. C’è una certa ispirazione all’artigianalità di un tempo nella filosofia di Dierendonck, ma anche la consapevolezza che si stia vivendo una nuova fase nel settore delle macellerie, fatta di animali selezionati personalmente negli allevamenti — nel caso suo in Belgio e in diverse parti d’Europa —, poi un grosso lavoro sulla maturazione delle carni e infine la produzione di salumi. Quali sono i suoi clienti? I ristoranti, i consumatori finali, il retail e i mercati dell’export. La bistecca perfetta di Hendrik Dierendonck Franck Ribière nel suo film Steak (R) evolution andava alla ricerca della bistecca perfetta. Ecco che il nostro viaggio alla scoperta dei Masters of Meat inizia proprio dal Belgio con Hendrik Dierendonck, che nel 2001 rilevò insieme alla moglie EVELYNE la macelleria del padre RAYMOND a Sint-Idesbald. La sua idea di bistecca perfetta parte dalla lavorazione delle carni locali, in particolare la
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carne rossa West Flanders (rosso belga), oltre all’uso di tutte le parti dell’animale per un consumo equilibrato e sostenibile. Nel 2011, la coppia apre una seconda macelleria a Nieuwpoort e, nel 2015, è la volta del ristorante Carcasse a Sint-Idesbald, con lo chef MICHAEL YATES. La rossa belga lavorata da Hendrik Dierendonck proviene da un allevamento di proprietà. Si tratta di una razza estremamente rara di bovini, allevati con una dieta prettamente a erba, da cui si ricava carne di altissima qualità. Hendrik, qual è la tua visione personale di questo lavoro? «Ho imparato l’artigianalità di questo mestiere da mio padre, un modo di concepire il lavoro con alla base il rispetto dell’animale e l’idea di utilizzare ogni sua parte. Avevamo una piccola macelleria sulla costa del Belgio e dovevamo offrire la migliore qualità ai nostri clienti. Quando ho preso in mano il timone dell’attività paterna, ho fatto
una promessa a me stesso: è vero, sono ambizioso, ma voglio lavorare con quattro valori ben saldi. Il primo è l’artigianalità. Essere macellaio vuol dire essere un autentico artigiano. Anche se investiamo tanto in innovazione, nel nostro modo di lavorare applichiamo i valori della nostra tradizione e facciamo tutto con rispetto, sia per l’animale che per l’allevatore. Poi c’è il territorio: la natura e la provenienza degli animali hanno un grande impatto sul sapore, sulla texture e sulla marezzatura delle carni. Noi selezioniamo solo animali allevati in un ambiente sano e trattati con cura. Il benessere degli animali è al centro della nostra filosofia e questo ci consente di garantire la maggior qualità e il massimo del sapore delle nostre carni. Terzo elemento permeante del nostro lavoro è la passione che mettiamo in ciò che facciamo, restando coerenti con i nostri valori. Non ultimo c’è l’innovazione, una ricerca continua per migliorare le tecniche di lavorazione ma anche il
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MEATY. store
Orgoglio Carnivoro, T-shirts etc.
non avrebbero modo fisicamente di entrare in negozio. Ritengo comunque che le persone vorranno sempre vivere l’esperienza dell’acquisto diretto in macelleria, anche se l’acquisto on-line continuerà a crescere e sarà un’opportunità per le piccole macellerie di nicchia». Hendrik, fai parte a pieno titolo dell’Institute of Masters of Meat. Cosa pensi di questa nuova avventura? «È fantastico conoscere tutti questi appassionati colleghi macellai, condividere idee ed esperienze. Da un certo punto di vista siamo tutti impegnati a fronteggiare gli stessi problemi, anche la comunicazione negativa verso il prodotto carne che si muove a livello mondiale, le bufale, le fake news. Dobbiamo ricominciare ad educare noi stessi e per questo abbiamo formato un team che promuove la carne e i suoi benefici».
Controllo della frollatura delle carni per il ristorante Carcasse. modo di crescere gli animali in un contesto di sostenibilità». Qual è il futuro della macelleria alla luce della tua esperienza e del fatto che hai l’opportunità di viaggiare molto in Europa e in giro per il mondo? «I macellai artigiani diventeranno merce rara. Sono convinto che la specializzazione sia la chiave del nostro successo e quando incontro colleghi appassionati in giro per il mondo penso sia importantissimo condividere con loro le conoscenze e la passione, anche con i butchers più giovani. Oggi i consumatori mangiamo meno carne, ma di migliore qualità. I giovani che vengono a fare spesa nelle mie macellerie sono alla
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ricerca dell’artigianalità e dei valori che stanno alla base del mio lavoro, così come ricercano le razze locali della nostra regione. Basti pensare al fatto che la pura razza West Flanders (West-Vlaamse Rood Ras), un tempo quasi estinta, e i suini Menapii, sono stati tra i primi ad essere esportati e oggi ne preserviamo la loro presenza negli allevamenti locali». Pensi che il trend in crescita dell’ecommerce impatterà sul futuro delle macellerie? Se sì, in che modo? «La vendita on-line oggi in Belgio nella mia attività è marginale ma in crescita e mi consente di vendere i miei prodotti a clienti che
A cosa stai lavorando in questo momento? Hai qualche novità da anticiparci? «Per il 2020 voglio realizzare un nuovo centro di Ricerca & Sviluppo nello stabilimento in cui ho il bollo per l’export e fare formazione per il mio staff. Mi voglio poi dedicare allo sviluppo di nuovi prodotti e mi piacerebbe invitare da tutto il mondo salumieri, macellai artigianali, chef che fanno sperimentazione. Ho già stagisti che arrivano da Francia, Spagna, Giappone e Canada, che hanno la nostra stessa passione. La mia ambizione è quella di condividere i nostri prodotti e la nostra visione nel mondo, anche con le nostre razze locali. Perché una cosa è certa: l’autenticità è e sarà sempre la nostra carta vincente». Elena Benedetti >> Link: www.dierendonck.be www.dierendonck.shop www.carcasse.be Nota Alle pagine 106 e 107, Dierendonck nella cella per il dry aged, un vero e proprio caveau che custodisce carni incredibili sia per provenienza che per frollatura; per tutte le immagini, photo © Hendrik Dierendonck.
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LA CARNE IN TAVOLA
Due forme per una ricetta
Une très chic bourguignonne di Giorgia Fieni
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on potevo non dare a questo articolo una connotazione francese (anche se in realtà pare che questa ricetta sia nata in Svizzera), proprio non potevo. Perché la bourguignonne è una delle salse più classiche tra quelle preparate Oltralpe, nata dalla necessità di ammorbidire carni poco malleabili. Per cucinarla ci vogliono un minimo di manualità e di attenzione. Su fuoco vivo bisogna aromatizzare (con scalogno, prezzemolo, timo e alloro) una riduzione di vino rosso corposo (il che significa
che burro, farina, vino e brodo devono assumere un aspetto cremoso) e passare tutto al colino, terminando con molto burro e, qualche volta, funghi. È una ricetta che prevede un controllo costante per ottenere un risultato finale perfetto. Ma anche una dose di fantasia per caratterizzarla con varianti ad hoc, tra cui la più comune è sostituire la riduzione al vino rosso con acciughe e salsa di pomodoro (o anche il solo pesce), che la rende più simile a una piemontesissima bagna cauda, oppure l’aggiunta di pancetta (che
Il manzo alla borgognona è un classico della cucina francese, ricco e prelibato stufato cotto con verdure, odori e vino rosso.
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a noi ricorda una gustosa, e laziale, amatriciana). Il sapore pieno e la consistenza corposa la rendono perfetta per le carni rosse (ma niente vieta di abbinarla agli straccetti di pollo: semplicemente coprirà il già delicato sapore di questa carne), quindi il suo nome è spesso associato al manzo o alle lumache, nella quale sono cotti o semplicemente intinte. Questo nel caso di una cena importante ed elegante, ed essendo sostanzialmente uno stufato, esso richiede tempo e dedizione. Ce lo testimonia JULIA CHILD nel suo famoso Mastering the art of French cooking: “Come la maggior parte dei piatti famosi, ci sono più modi per arrivare ad un buon manzo borgognone. Fatto con cura e perfettamente aromatizzato, è sicuramente uno dei piatti di carne più prelibati inventati dall’uomo e può essere il piatto principale sia di una cena che per un buffet. Si può preparare il giorno prima e a riscaldarlo: ci guadagna solo nel sapore”. Una delle più celebri cuoche al mondo ci suggerisce, quindi, sia possibile, per una tale raffinatezza, presentarla in tavola come pietanza riscaldata. Io vi consiglio invece, il giorno successivo, di trasformarla in polpette, servite nei cuori di lattuga e nappate col fondo di cottura. La fonduta con gli amici La bourguignonne però è nota anche in un’altra forma. Quella, prettamente conviviale di fonduta: in questo caso si tratta di olio (extravergine d’oliva o di semi o brodo aromatizzato) portato in tavola e lasciato al caldo su un fornelletto grazie al caquelon, in cui i commensali immergono bocconcini di carne fino al livello di cottura desiderato per poi passarli velocemente in una
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salsa (maionese semplice o arricchita con capperi, rafano, capperi, cetriolini… anche salsa rubra alla vodka!) prima di metterli in bocca direttamente dallo spiedino (anzi, dalla forchetta, dotata di un pallino in plastica colorata alla fine del manico, così da distinguere la propria da quella degli altri commensali). La carne può essere di innumerevoli varietà: dal manzo e maiale al vitello e pollo, per arrivare fino al cervo e ad altre specie più rinomate (ovviamente sottoposte a frollatura corretta, se occorre). I cubettini devono essere tutti della stessa dimensione, in genere non superiore a 3x3 cm, per garantirne una buona cottura e presentazione. Attenzione alla scelta del liquido della fonduta: di ottima qualità, ma non troppo saporito perché non arrivi a coprire il gusto naturale della carne. O del pesce, se volete: i più adatti sono tonno, salmone, pesce spada, ma anche seppie, totani, crostacei, aragoste e gamberoni. La difficoltà finale consiste nello scegliere le salse, che devono sotto-
La fondue bourguignonne è una specialità della Svizzera, perfetta per un pranzo o una cena conviviale (photo © foodandmore/123RF). stare all’esaltare la materia prima. Come contorno, insalata o patate. Una volta curati tutti i dettagli, rendere la bourguignonne chic spetta a voi: che si tratti di stufato o fonduta, apparecchiate con cura,
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e panadas sono un prodotto tradizionale della Sardegna, tuttora molto diffuso e richiesto. Si tratta di involtini impanati, come rivela il nome il cui sinonimo infatti è empanada, ripieni di carne e poi cotti in forno. Appartengono quindi alla categoria delle paste fresche e dei prodotti della panetteria, anche se possono benissimo costituire un secondo piatto completo e molto nutriente nonché un eccellente “cibo di strada” secondo le più moderne consuetudini. Molti bar propongono la panada come break o pratico e veloce spuntino. E davvero è piuttosto sostanzioso perché la panada si presenta di forma circolare alta ben 4 o 5 centimetri, dal raggio di circa 5 cm, ornata da un “cordoncino” sul disco superiore e dal peso non indifferente di circa 150 grammi, equamente diviso tra pasta e carne. Poi, naturalmente, di solito se ne mangia più di una. Compare di frequente anche nei banchetti nuziali e nelle proposte dei menù agrituristici dove viene presentata sia come antipasto che come secondo. Le panadas sono reperibili in tutta la Sardegna, ma la zona maggiormente interessata è quella dei comuni di Oschiri, Berchidda e Pattada, in provincia di Sassari. Da più di venticinque anni viene monitorato dagli appositi enti di controllo il metodo di produzione. Questo lasso di tempo è fondamentale poiché con il termine “prodotti tradizionali” si intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo e omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore appunto ai venticinque anni. Nel caso delle panadas, tuttavia, la ricetta è antica di secoli e si ricollega alla più remota tradizione gastronomica pastorale confermata dalla presenza, innanzitutto, della carne di agnello. Agnello, seguito da vitella e maiale, quest’ultimo pure sotto forma di salsiccia. L’ERSAT — Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica in Agricoltura della Regione autonoma Sardegna
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— ne dà una descrizione molto precisa a partire dalla preparazione della pasta che racchiude il ripieno e che per 1 kg di semola rimacinata di grano deve avere 250 grammi di strutto animale, con aggiunta di acqua e un pizzico di sale. L’impasto va lavorato finché non diventa liscio. Viene allora lasciato riposare per circa due ore. Nel frattempo, si prepara il ripieno che, come già detto, al posto di ingrediente principale vede la carne di agnello (in proporzione di 1 kg rispetto all’impasto di 1 kg appena descritto) seguita da quella di vitella o di maiale (500 grammi per ciascun tipo). La carne viene tagliata a dadini e ad essa si aggiungono 400 grammi di lardo macinato e pulito dal sale, un pizzico di pepe (la tradizione di Oschiri vuole che sia preso con tre dita, indice pollice e anulare, per indicare che deve essere abbondante), prezzemolo a piacere e un particolare composto costituito dall’acqua (due dita in un bicchiere) nella quale vengono fatti macerare per 30 minuti 27 g di sale e uno spicchio d’aglio tagliato finissimo. Queste dosi consentono di ottenere circa 20 panadas. Dopo aver amalgamato per bene il ripieno, si passa alla pasta, che viene stesa e ritagliata in tanti “dischi” di due differenti dimensioni: grande per la “base” e piccola per il “coperchio”. Il disco grande viene lavorato in forma di tazza e nella sua cavità si aggiunge il ripieno di carne chiudendo col coperchio, ossia il disco di pasta più piccolo. La pasta è lavorata, secondo l’antica tradizione, “sul legno”, così come il ripieno di carne, preparato in un recipiente in legno chiamato sa conca oppure su conculu (quest’ultimo tipico delle campagne di Oschiri). La chiusura costituisce un’operazione particolarmente delicata oltre che la prova della bravura di chi sta lavorando e che di solito era una donna, poiché bisogna unire con l’indice e il pollice i bordi della pasta in modo funzionale e decorativo al tempo stesso a forma di cordoncino. Una panada ben chiusa non si aprirà in fase di cottura è manterrà un aspetto quasi
S’Abe Sardinian Street Food è l’Apecar con cui Martina e Valentina Meloni hanno portato le panadas dell’azienda di famiglia nelle zone frequentate dai turisti, in particolare Olbia e la Costa Smeralda. Le due sorelle, figlie di Laura Achenza, fondatrice di “Sa Panada”, nata nel 1989 da un piccolo laboratorio, oggi dirigono l’azienda che lo scorso settembre ha festeggiato la vendita di un milione di panadas sulle tavole di tutto il mondo (photo © www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com). di dolce. Gli ingredienti vengono inseriti crudi e si cuociono col vapore generato durante la successiva cottura in forno elettrico che avviene alla temperatura di 200º per circa 20 minuti. Il prodotto va consumato caldo o tiepido ed è commercializzato in confezioni (generalmente da due panadas in vaschette coperte da cellophane), precotto, da riscaldare a cura del consumatore. La sicurezza alimentare dell’intero processo produttivo e dei materiali di contatto è la medesima prevista dalla normativa per i laboratori di pasta fresca, quindi non presenta rischi sanitari anche perché la cottura ad alta temperatura garantisce dai rischi legati alla fase di manipolazione e forgiatura. Fino a poco tempo fa, l’esportazione del prodotto presentava alcune problematiche legate alla durata limitata, non essendo stata applicata nessuna efficace tecnologia conservativa. Ma adesso c’è chi ha trovato la soluzione e le panadas
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possono essere finalmente spedite in ogni parte d’Italia e del mondo in tutta tranquillità, passando così dalla produzione artigianale a quella semi-industriale. Il pastificio Sa Panada di Oschiri (OT), nato a conduzione familiare e tuttora condotto dalla signora Laura Achenza e dalle sue due figlie, con l’introduzione dapprima del confezionamento in atmosfera modificata e poi del gelo all’interno del processo produttivo, riesce a garantire una durata di ben 30 giorni ad una produzione di 3.000 panadas quotidiane che è anche in grado di consegnare ormai in tutti i continenti, compresi in un prossimo futuro pure i Paesi arabi per i quali sta mettendo a punto una ricetta senza strutto né carne di maiale. Per ottenere questi risultati è stato premiante anche l’aver differenziato la tipologia delle panadas affiancando al tipo tradizionale quelle con ripieni di vario genere, dai gamberi e zucchine al tacchino
e peperoni o anche del tutto vegetariane o vegane con verdure miste o carciofi e patate. In Sardegna è possibile trovare anche ricette tradizionali a base di fave, melanzane e piselli e, nel condimento, pomodori secchi, prezzemolo o, nella versione campidanese, aglio. In alcune zone è piuttosto diffusa la preparazione di panade molto piccole da buffet (le panadine o, in sardo, panareddas) per occasioni ed eventi festivi, da servire in accompagnamento ad insalate, dolci sardi o stuzzichini salati anch’essi provenienti dalla tradizione. Nelle versioni più moderne le panadine presentano un contenuto a base di macinati di carne (o würstel) e patate, funghi, melanzane. Spesso, inoltre, vengono fritte anziché cotte in forno. Nunzia Manicardi Nota A pagina 116 photo © www.veraincucina.com
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RISTORANTI CARNIVORI
Taki, non solo sushi Alla scoperta del manzo Hida-Wagyu con Yukari Vitti di Taki Japan International, unico importatore ufficiale per l’Italia
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uando si parla di cucina giapponese, le prime cose che vengono in mente sono il sushi, di salmone o tonno, e il ramen, che riempiono le tavole dei ristoranti orientali presenti in Italia. In realtà, la vera tradizione culinaria nipponica va ben oltre il semplice riso con pesce crudo, è piuttosto una filosofia, che presta enorme attenzione alla preparazione estetica, ma anche al bilanciamento dei macronutrienti, secondo i dettami della cucina macrobiotica sviluppata per la prima volta agli inizi del XIX secolo in Giappone, che rappresenta ancora oggi uno dei fondamenti della moderna e tradizionale cucina giapponese. L’attenzione nella ricerca degli ingredienti trova la massima espressione nelle tipiche carni giapponesi,
di cui il manzo Hida-Wagyu, nuova stella del mercato nipponico, è considerato tra le più pregiate al mondo. Taki, nel quartiere romano di Prati, tra i primi ristoranti giapponesi ad aver aperto in Italia, nonché fedele ambasciatore della tradizione giapponese, svolge un ruolo da protagonista essendo unico importatore ufficiale per l’Italia di carni certificate Hida-Wagyu. Per ottenere tale certificazione, gli allevatori devo rispettare delle regole molto rigide e restrittive, che regolano ogni aspetto, dall’allevamento alla preparazione per la vendita della carne ottenuta. «Abbiamo notato che in Italia molte persone conoscono la carne Kobe, anche se spesso non hanno mai avuto l’occasione di assaggiarla,
ma quasi nessuno sa cosa sia il manzo Hida-Wagyu, che, invece, è considerata dai giapponesi come una delle migliori carni del loro paese» ha detto YUKARI VITTI, giapponese di nascita e italiana di adozione, restaurant manager di Taki. Il manzo Hida-Wagyu nasce, è allevato e viene preparato alla vendita nel suo stesso Paese di origine, Hida, immerso nel verde delle Alpi giapponesi, dove la natura è ancora incontaminata e le fattorie sono in prevalenza a conduzione famigliare. Il processo di produzione di questo tipo di carne pone le sue fondamenta su una meticolosa ricerca e selezione dei migliori bovini. Essa si presenta intensamente marmorizzata, caratterizzata cioè da venature simili a quelle del marmo, rappresentate dai grassi insaturi di
A Roma Taki riproduce in ogni suo elemento l’atmosfera giapponese. Il manzo Wagyu è protagonista del menu.
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cui è ricca, che si distribuiscono in modo uniforme anche a livello muscolare, anziché restare soltanto nello strato peri-muscolare e sottocutaneo, come in tutte le altre. «Già nel nome questa carne ha un forte ed immediato richiamo al Paese del Sol levante, poiché Wa significa Giappone e Gyu significa manzo. Nel nostro menù la proponiamo in alcuni dei suoi piatti tipici, come il Nigiri Wagyu, riso con sopra sottili striscioline di manzo leggermente scottato, ma anche le classiche Wagyu Steak su piastra o spiedini su brace» prosegue Yukari. «Ma ciò che maggiormente ci differenzia è lo Shabu-Shabu, un piatto caratteristico della mai terra che ricorda una modalità di cottura svizzera in brodo vegetale, ed il Sukiyaki, stufato in salsa di soia e verdure. Piatti eccezionali che mi ricordano l’infanzia e l’adolescenza in Giappone e che sono veri e propri ambasciatori della cucina giapponese».
In alto: i Nigiri Wagyu. In basso: la Wagyu Steak.
Taki Via Marianna Dionigi 56/60 00193 Roma Telefono: 06 3201750 Web: taki.it
Taki Japan International è l’unico importatore in Italia di Hida-Wagyu, pregiatissimo manzo giapponese da cui si ottiene probabilmente una delle carni più buone al mondo e sicuramente tra le più costose, fino a 1.000 dollari al chilo! Hida-Wagyu si ottenuto da bovini di razze selezionate geneticamente circa un secolo fa dagli allevatori giapponesi e poi regolamentata da rigide direttive emanate dal Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca del Paese. Nei primi mesi di vita i bovini sono alimentati a erba, allo stato semi-brado, per poi passare al fieno di riso e ad altri mangimi rigorosamente vegetali e autoctoni. L’alimentazione degli animali è determinante per far sì che la carne assuma qualità molto particolari, non riscontrabili in nessun altro taglio o animale. La sua principale caratteristica, riscontrabile anche a occhio nudo sui tagli crudi, è la percentuale e distribuzione di grasso interno alle fibre. Taki Japan International importa carne di qualità A5, la Hida-Wagyu, attraverso un canale diretto di importazione dalle fattorie di Hida, a nord della prefettura di Gifu. A tutti gli effetti si tratta di carne “rurale” comprata dagli allevatori, impossibile da trovare nei canali della Grande Distribuzione. Ogni taglio di carne arriva accompagnato da un certificato di autenticità rilasciato dal Ministero dell’Agricoltura e da un attestato di DNA – Proof, per ogni singolo animale, con tanto di impronta 3D del muso sul certificato. Le carni sono distribuite a macellerie e ristoranti di alto livello in grado di valorizzarne le caratteristiche uniche. >> Link: wagyuitaly.com
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ASSEMBLEE
Vent’anni di Unicarve L’assemblea dei delegati ha riconfermato all’unanimità alla presidenza dell’associazione per il quadriennio 2019-2023 Fabiano Barbisan. A seguire, un meeting sul tema della “Sostenibilità ambientale, sociale ed economica della zootecnia bovina da carne prodotta in Italia”, organizzato per celebrare i vent’anni dalla fondazione di Unicarve di Gian Omar Bison
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ncora FABIANO BARBISAN. Ancora presidente di UNICARVE, associazione di rappresentanza di 870 aziende trivenete (90% Veneto) per i prossimi quattro anni. A sancirlo l’assemblea dei soci riunita a Padova il 19 luglio e il nuovo direttivo che per bocca del consigliere anziano IGNAZIO SCAPIN ha proposto la conferma del
presidente uscente rinnovandolo nel suo incarico. «Ho preso per mano Unicarve nel 1999 a seguito della fusione di tre Associazioni produttori (ACARVE, VERCAB e CARNI TRIVENETE)» ha sottolineato Barbisan. «Eravamo in piena mucca pazza ed abbiamo iniziato il percorso della tracciabilità obbligatoria e dell’etichettatura facoltativa per informare
i consumatori sulla provenienza della carne. Oggi siamo ad una svolta e, grazie ad un lavoro costante, abbiamo ottenuto un Sistema di Qualità Nazionale Zootecnia ed il riconoscimento del marchio Consorzio Sigillo Italiano, che sta muovendo i primi passi per coronare il sogno di sempre, ovvero dare un nome alla carne bovina prodotta in Italia
Fabiano Barbisan, riconfermato alla presidenza per il quadriennio 2019-2023.
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per renderla riconoscibile ai consumatori. Sembra paradossale ma se il nostro marchio fosse a regime — continua Barbisan — con la necessaria dotazione finanziaria per divulgarlo ai consumatori italiani, il MERCOSUR ci preoccuperebbe molto meno rendendo più distinguibili le nostre produzioni che assommano qualità, attenzione alla sicurezza alimentare e al benessere animale. Purtroppo, invece, c’è ancora da soffrire, poiché non abbiamo l’Interprofessione della carne bovina a regime, che ci permetterebbe di finanziare la pubblicità nazionale del nostro marchio, di rendere distinguibile sui banconi il Vitellone e la Scottona ai cereali, il Fassone di razza piemontese, il Bovino Podolico al Pascolo che, assieme alle “Ferrari” della zootecnia italiana (le IGP di Chianina, Marchigiana, Romagnola, Piemontese), ci farebbero conquistare quote di mercato importanti, considerato che le importazioni di carne bovina dall’estero sono oggi a circa il 47%». Un messaggio importante che l’associazione ha inteso lanciare a tutte le categorie e alla politica nazionale in materia di zootecnia, «cercando di anticipare — ha sottolineato il presidente Barbisan — quello che già la GDO sta iniziando a chiedere, ovvero la sostenibilità da vendere ai consumatori, sempre solo ed unicamente a carico degli allevatori». Sostenibilità ambientale, sociale ed economica della zootecnia bovina da carne prodotta in Italia: gli interventi Dopo i saluti inviati dal Ministro GIAN MARCO CENTINAIO e dal presidente della giunta regionale del Veneto LUCA ZAIA, e l’intervento dell’assessore regionale ROBERTO MARCATO in sua rappresentanza, sono intervenuti KEES DE ROEST del CRPA di Reggio Emilia, il quale ha mostrato l’andamento di mercato nazionale ed internazionale della carne bovina, ponendo in rilievo una ripresa dei consumi di carne a livello europeo di circa il 2%. De Roest ha poi presentato il progetto
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L’assemblea dei delegati Unicarve, riunitasi lo scorso 20 luglio al Crowne Plaza di Padova, è stata seguita da un meeting sul tema della “Sostenibilità ambientale, sociale ed economica della zootecnia bovina da carne prodotta in Italia”, organizzato per celebrare i vent’anni dalla fondazione dell’associazione (1999-2019), partecipato da oltre 200 allevatori ed ospiti. Unicarve per una APP da utilizzare su smartphone per calcolare i costi di produzione dei bovini da carne, realizzata in collaborazione con TROUW NUTRITION ITALIA, che sarà operativa da ottobre 2019 e a disposizione di tutti. Si è poi parlato di blockchain con GIAN LUCA MASCELLINO, co-fondatore con DARIO DONGO di WIISE CHAIN, che ha posto le basi per un sistema di tracciabilità delle produzioni “semplificato”, per non creare costi
inutili ai produttori e per fornire informazioni utili ed immediate ai consumatori lungo tutta la filiera. Per il CRA, ente di ricerca di Lodi, è intervenuto LUCIANO MIGLIORATI, che ha mostrato l’andamento del progetto Life Beef Carbon, partecipato a livello internazionale da Unicarve, coi risultati della ricerca che dimostrano la bontà delle pratiche agricole poste in essere dagli allevatori per ridurre le emissioni in atmosfera.
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Il presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini. Sul tema della biosicurezza, benessere animale e uso del farmaco negli allevamenti, è intervenuta F RANCESCA C ALVETTI , veterinario dirigente del Ministero della Salute, che ha illustrato nei particolari l’andamento del progetto CLASSYFARM, in fase avanzata di
realizzazione per classificare le aziende di allevamento in base a parametri oggettivi rilevati da veterinari aziendale e controllati da veterinari pubblici. A chiudere il convegno il presidente nazionale della COLDIRETTI ETTORE PRANDINI. Nel suo intervento,
Tra i presenti all’evento padovano, oltre ai rappresentanti delle Organizzazioni Produttori associate all’AOP Italia Zootecnica, il direttore commerciale di INALCA SERAFINO CREMONINI, il direttore generale di ASSOCARNI, FRANÇOIS TOMEI, il direttore di Parmafrance EGIDIO SAVI, il presidente della COLDIRETTI del Veneto DANIELE SALVAGNO col direttore regionale PIETRO PICCIONI, il direttore Avepa, Fabrizio Stella, il presidente del CSQA, CARLO PERINI, i consiglieri regionali, SERGIO BERLATO, LUCIANO SANDONÀ, NAZZARENO GEROLIMETTO, GABRIELE MICHIELETTO, FABRIZIO BORON, SIMONE SCARABEL, l’europarlamentare ROSANNA CONTE, il responsabile nazionale zootecnia della COLDIRETTI, GIORGIO APOSTOLI, il presidente dell’IZS Brescia ANTONIO VARISCO, il presidente ARAV FLORIANO DE FRANCESCHI, VASCO BOATTO e FLAVIANA GOTTARDO dell’Università di Padova.
dopo aver annunciato con soddisfazione che da una ricerca COLDIRETTI è emerso un +6% di spesa da parte degli Italiani sugli acquisti di carne, ha spaziato sui vari fronti aperti della zootecnia, iniziando dal problema Blue Tongue che sta creando difficoltà alla movimentazione dei bovini, a differenza di quanto accade nei Paesi concorrenti che applicano le normative europee interpretandole a favore dei propri produttori. Stesso discorso per quanto riguarda la condizionalità e la gestione delle deiezioni animali. Prandini è poi entrato poi nel merito della Politica Agricola Comunitaria, criticando le posizioni della Commissione europea riguardo il bilancio finanziario dell’agricoltura, per l’insostituibile ruolo della zootecnia per il sistema Italia e del rapporto dei titoli PAC e dei costi di produzione tra i vari Paesi europei. Infine, è intervenuto sulle difficoltà create al comparto dall’embargo alla Russia e sui recenti accordi MERCOSUR. Riprendendo anche alcuni temi toccati da Barbisan, il presidente Prandini ha concluso i lavori del meeting confermando la disponibilità di COLDIRETTI a sostenere la progettualità di UNICARVE e invitandola ai Villaggi di Coldiretti per dare visibilità al marchio del Consorzio Sigillo Italiano. In conclusione, i festeggiamenti per i vent’anni dalla fondazione. «Abbiamo raggiunto una serie di obiettivi molto importanti — ha sottolineato Barbisan — ed anche se non c’è da festeggiare per la situazione in cui versa il comparto, con prezzi di mercato non remunerativi, credo che ricordare da dove siamo partiti e come siamo messi oggi, aiuti a richiamare l’attenzione verso il nostro settore, sempre trascurato a livello di politica nazionale ed europea, perché oggetto di scambio, come dimostra il recente accordo MERCOSUR che l’Europa vorrebbe propinarci, illudendo l’agricoltura che si tratti di un buon affare». Gian Omar Bison >> Link: www.unicarve.it
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FIERE
Anuga Frozen Food punta i riflettori sugli alimenti surgelati
I consumatori amano i prodotti che vengono dal freddo
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o sapevate che, tra tutte le giornate dedicate ad un prodotto o una ricorrenza, ne esiste una che è dedicata ai surgelati? Ha cadenza ogni 6 marzo ed è una curiosa “festività culinaria” introdotta nel 1984 dal presidente americano RONALD REAGAN con il nome di Frozen Food Day per celebrare appunto i successi dell’industria dei surgelati
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negli USA. Ogni due anni Anuga Frozen Food presenta le maggiori novità del settore in seno ad Anuga, il salone più grande al mondo per il food & beverage in programma dal 5 al 9 ottobre prossimi a Colonia, Germania. Il segmento dei surgelati è e sarà uno dei principali driver di innovazione sia per la distribuzione che per il mercato del fuori casa.
Prodotti surgelati col segno +++ Un confronto del consumo pro capite in Germania ha decretato la marcia trionfale dei prodotti surgelati. Trentacinque anni fa questo dato si attestava a soli 17,2 kg, mentre nel 2018 aveva già raggiunto i 47 kg per ogni cittadino tedesco, con una tendenza in aumento. Con una quota di fatturato del 12% l’industria dei
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Anuga è la più grande fiera al mondo dedicata al food & beverage. Con dieci sotto-fiere, un importante programma di eventi collaterali e la più grande partecipazione di espositori mai registrata, dal 5 al 9 ottobre prossimi non potrà che confermarsi nuovamente evento imperdibile per gli operatori di questo settore (photo © Koelnmesse GmbH, Harald Fleissner e Sven Otte). ultimi trend verso una maggiore convenience alimentare.
surgelati è uno dei cinque maggiori segmenti dell’industria alimentare tedesca (fonte: DTI Deutsches Tiefkühlinstitut e.V.). Oggigiorno la conquista in campo tecnologico nella conservazione degli alimenti solo grazie alle basse temperature, senza l’aggiunta di conservanti, è ormai irrinunciabile ed è ulteriormente sostenuta dagli
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Anuga Frozen Food Nello spazio di Anuga Frozen Food, all’interno della prossima edizione di Anuga, oltre 500 espositori di provenienza internazionale presenteranno una vasta gamma di prodotti, applicazioni e servizi. L’offerta spazia da pesce e carne a frutta e verdura, passando per piatti pronti in porzioni di varie dimensioni. Il salone coniuga il settore dei surgelati alla distribuzione e al mercato dell’out of home, in quanto il segmento surgelati è uno dei principali trendsetter in materia. In quasi nessun segmento le aziende riescono a sviluppare con pari successo nuovi prodotti e soluzioni migliori e sempre più semplici per i consumatori. Ad Anuga l’industria internazionale propone regolarmente le ultime novità per entrambi i canali della distribuzione dei prodotti alimentari e del mercato dell’out of home. Anche l’Istituto tedesco per gli alimenti surgelati (DTI Deutsches
Tiefkühlinstitut), partner esclusivo di Anuga Frozen Food dal 2013, sarà come sempre a disposizione in fiera con informazioni, dati e cifre interessanti sul mercato dei surgelati. Koelnmesse: global competence in food and foodtec Koelnmesse è leader internazionale nell’organizzazione di fiere del food e manifestazioni sulla lavorazione di bevande e prodotti alimentari. Fiere come Anuga, ISM e Anuga FoodTec sono eventi mondiali consolidati. Koelnmesse organizza fiere del food non solo a Colonia, ma anche in molti altri mercati emergenti di tutto il mondo, come ad esempio in Brasile, Cina, Colombia, Giappone, India, Italia, Tailandia, Stati Uniti e negli Emirati Arabi Uniti, dedicate a varie tematiche e contenuti. Con queste attività a livello globale Koelnmesse offre ai propri clienti eventi su misura in diversi mercati, a garanzia di un business sostenibile e di carattere internazionale. >> Link: www.anuga.com
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IPACK-IMA prepara l’edizione 2021 puntando su digitalizzazione, economia circolare e ricerca Tecnologie di ultima generazione, macchine sempre più connesse e fattore umano. Soluzioni attente al risparmio energetico, progettate per realizzare con la massima efficienza prodotti confezionati dal design originale, coniugando praticità, sostenibilità e convenienza. Nuovi trend che si impongono con lo sviluppo di nuovi canali distributivi. Questo e tanto altro ancora sarà IPACK-IMA 2021 che, dal 4 al 7 maggio, porterà in scena a Milano il futuro in ambito processing e packaging. Una proposta tecnologica internazionale d'eccellenza, frutto della collaborazione strategica tra UCIMA e Fiera Milano ed in grado di anticipare le tendenze del mercato in tutti i comparti produttivi, alimentare e non, grazie ad un’offerta completa, trasversale e dalle forti sinergie tra le singole componenti espositive. Una manifestazione che mette le idee al centro, offrendo ad imprenditori, manager e tecnici specializzati le più innovative soluzioni per la produzione ed il confezionamento, ma anche etichettatura, tracciabilità e fine-linea, favorendo il trasferimento tecnologico con applicazioni flessibili e sempre più personalizzate. In questo quadro la sinergia con MEAT-TECH, la manifestazione di Ipack-Ima focalizzata sulle soluzioni ed ingredienti per l’industria dei salumi, della carne e derivati, ha consolidato nel 2018 la presenza di 1.503 espositori totali, più di 62.000 m2 netti di area espositiva distribuita in 9 padiglioni che hanno accolto oltre 74.000 visitatori, il 25% dei quali provenienti da 146 paesi esteri. Un punto di partenza significativo per lo sviluppo di un progetto fieristico che guarda sempre più all’internazionalizzazione come propria priorità. In tale direzione si rivolge l’impegno organizzativo di Ipack-Ima, con una serie di iniziative di avvicinamento alle fiere del 2021 che prevedono l’interazione tra espositori e buyer con l’obiettivo di consolidare IPACK-IMA e MEAT-TECH come piattaforma attiva 365 giorni all’anno e a disposizione dell’industria manifatturiera. Tra le attività già calendarizzate in chiave internazionale, E-PACK TECH Shanghai, il nuovo evento di Ipack-Ima dedicato alle soluzioni di packaging specificamente progettate per il canale e-commerce. La prima edizione si svolgerà in Cina dal 23 al 26 ottobre 2019, nel contesto di CeMAT Asia, la più grande manifestazione in Asia per le soluzioni avanzate di gestione della supply chain. Le offerte di IPACK-IMA e di MEAT-TECH si integrano perfettamente, in una logica di filiera allargata, nel progetto The Innovation Alliance che, grazie allo svolgimento in contemporanea di altre tre manifestazioni fieristiche — Plast, Intralogistica Italia e Print4All —, offrirà a tutti gli operatori in visita una proposta unica ed articolata in ben 17 padiglioni di Fiera Milano, Rho. >> Link: www.ipackima.it
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TECNOLOGIE
L’intervista per IFFA a Richard Clemens sul tema della food safety
Priorità numero uno: sicurezza alimentare
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n occasione della scorsa edizione di IFFA (Messe Frankfurt, 4-9 maggio 2019), la fiera internazionale dell’industria della carne di Francoforte, le aziende leader del settore hanno presentato le nuove tecnologie relative alle ultime tendenze dell’universo carne. L’attenzione è stata riposta soprattutto sulle soluzioni atte a garantire una maggior sicurezza alimentare. Ecco alcune domande poste a RICHARD CLEMENS, presidente della VDMA Fachverband Nahrungsmittelmaschinen und Verpackungsmaschinen (Associazione
di macchinari e confezionatrici per prodotti alimentari), sul tema della food safety. Lavorare i prodotti in condizioni perfette dal punto di vista dell’igiene e della sicurezza ha la massima priorità nell’industria delle carni. Anche in questo settore, tuttavia, aumentano di anno in anno i richiami di prodotti alimentari. Da dove proviene la maggior parte dei pericoli? «La contaminazione microbica, i corpi estranei, la mancanza di etichette e il superamento dei valori soglia di ingredienti vietati sono le cause più frequenti dei reclami,
L’industria della lavorazione della carne è ancora fortemente orientata al lavoro manuale: pertanto, l’uomo continua ad essere il maggior fattore di rischio igienico per ciò che riguarda la trasmissione di microbi lungo l’intera catena del valore, sottolinea il presidente della VDMA
La salubrità e la sicurezza sono prioritarie in ogni fase della filiera delle carni.
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secondo quanto riportato dall’Ufficio federale tedesco per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare. Dalle indagini che si effettuano in seguito a questo genere di segnalazioni, emerge quasi sempre che le cause sono da ricondurre in prevalenza ad errori umani e raramente a guasti tecnici. Purtroppo in ogni settore ci sono le “pecore nere” che, con intenzione criminale, si sottraggono deliberatamente alle norme giuridiche per procurarsi dei vantaggi economici. In concreto, sto parlando delle truffe alimentari». Com’è possibile eliminare, o per lo meno ridurre, i rischi di contaminazione microbica? «L’industria della lavorazione della carne è ancora fortemente orientata al lavoro manuale. Pertanto l’uomo continua ad essere il maggiore fattore di rischio igienico per ciò che riguarda la trasmissione di microbi lungo l’intera catena del valore e, in particolare, nei settori che prevedono un contatto diretto tra lavoratore e prodotto. Per compiere un importante passo avanti verso una maggiore sicurezza alimentare bisognerebbe sostituire il più possibile le attività manuali con processi automatizzati. Esempi a tal proposito sono la porzionatura e il posizionamento nelle confezioni di filetti, bistecche o salumi tagliati a fette in maniera completamente automatica mediante posizionatori o robot industriali». Ridurre l’intervento umano nei processi di lavorazione è importante. Oltre a ciò, quali misure tecnologiche esistono per evitare che carni e insaccati vengano contaminati da germi microbici? «In termini di igiene è fondamentale che dispositivi, apparecchi, macchinari e impianti siano costruiti sistematicamente in linea con i principi dell’hygienic design. A dettare le condizioni in questo ambito sono le disposizioni legislative, come la Direttiva Macchine e il Regolamento tedesco sull’igiene alimentare, così come le raccomandazioni contenute nelle direttive dell’EHEDG (European Hygienic Engineering &
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Design Group). Queste prescrizioni fanno riferimento, ad esempio, alle misure costruttive da adottare. È importante evitare spazi vuoti, sottosquadri, incavi e crepe dove potrebbero depositarsi facilmente residui di prodotti creando così terreno fertile per l’insorgere di microbi. L’hygienic design prevede però anche che macchinari e impianti siano configurati così da poter essere puliti in modo più semplice, accurato, veloce e con un minore impatto ambientale. Ciò significa anche che i detergenti e i disinfettanti possano defluire senza impedimenti». Anche la presenza di corpi estranei è una causa frequente dei ritiri di prodotti alimentari dal commercio. In quale misura le tecnologie oggi disponibili consentono di evitare ciò? «L’introduzione di corpi estranei nella carne e negli insaccati può verificarsi pressoché in ogni fase della catena del valore. Ad esempio, la rottura della lama del coltello dell’impianto di trinciatura oppure viti e guarnizioni dimenticate durante interventi di manutenzione e riparazione fuori programma. Altre possibili cause sono la rottura o il distacco di parti di macchine e impianti dovuti all’usura. La presenza di corpi estranei può essere rilevata mediante sistemi di ispezione come i metal detector e gli apparecchi a raggi X. I metal detector sono un metodo efficace ed economico per rilevare eventuali metalli ferrosi e non ferrosi, così come materiali plastici o pellicole plastiche contenenti polveri metalliche all’interno degli alimenti e degli imballaggi. Molto più che i corpi estranei metallici, nei prodotti si rinvengono pietre, vetro, ossa o plastica. In questi casi bisogna ricorrere alla tecnologia a raggi X perché è in grado di offrire un ampio spettro di analisi su quasi tutti i corpi estranei. Utilizzata in combinazione con le selezionatrici ponderali, la tecnologia a raggi X consente la verifica simultanea di più criteri negli alimenti preconfezionati e non. Oltre alle contaminazioni dovute
Per compiere un passo avanti importante verso una maggiore sicurezza alimentare bisognerebbe sostituire il più possibile le attività manuali con processi automatizzati, come la porzionatura e il posizionamento nelle confezioni di bistecche o salumi affettati mediante robot industriali
L’introduzione di corpi estranei nella carne e negli insaccati può verificarsi pressoché in ogni fase della catena del valore. Nei prodotti si rinvengono pietre, vetro, ossa o plastica… in questi casi bisogna ricorrere alla tecnologia a raggi X perché è in grado di offrire un ampio spettro di analisi su quasi tutti i corpi estranei. alla presenza di particelle di vetro, pietra, ceramica o metallo, in questo modo è possibile controllare anche eventuali incongruenze a livello di completezza, peso, così come capacità e forma. Nella pratica, entrambi i sistemi di controllo vengono abbinati a dispositivi di espulsione per eliminare automaticamente i prodotti contaminati o difettosi dalle fasi successive del processo di lavorazione. La continua documentazione dei dati di controllo e di misurazione rappresenta un importante passo
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verso la tracciabilità del prodotto e un aiuto prezioso per individuare fonti di errore nella produzione e introdurre misure mirate per migliorare i processi». Le misure sopra citate non tutelano però dalle frodi alimentari. Cosa possono fare al riguardo i produttori per garantire una maggiore sicurezza alimentare e autenticità? «Ci vuole un corposo pacchetto di misure che, oltre agli standard di autocontrollo finora richiesti, definisca un sistema per la tracciabilità
che sia completamente digitalizzato e a prova di manipolazioni. Inoltre, è necessario effettuare regolarmente valutazioni dei punti critici e analisi dei rischi in relazione al pericolo di frodi alimentari lungo l’intera catena del valore, dalle materie prime al prodotto finale, produrre la relativa documentazione e mettere in pratica i principi del sistema HACCP. Tutto ciò comporta anche una stretta collaborazione e un rapporto di fiducia con le autorità competenti, gli enti di controllo e certificazione e gli istituti di ricerca. Un’altra componente essenziale per garantire una maggiore sicurezza alimentare e protezione dalle frodi alimentari è la tecnica analitica. Le procedure di analisi tradizionali sono troppo complesse, laboriose e soprattutto richiedono tanto tempo, motivo per cui permettono di effettuare solo controlli a campione. La lotta alle frodi alimentari necessita invece di metodi di controllo flessibili, sufficientemente precisi e soprattutto rapidi, per l’utilizzo durante i processi produttivi da mobile ma anche in continuo. Un esempio a tal proposito è un’analisi non invasiva come la spettroscopia NIR, che permette di verificare in pochi secondi la qualità e l’identità delle merci in entrata, anche nel caso di prodotti confezionati in vetro o in vaschetta». Fonte: www.iffa.com >> Link: iffa.messefrankfurt.com
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Sostenibilità e ampio servizio ai clienti nella sede ristrutturata
MULTIVAC Italia presenta la nuova sede
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ll’inizio del mese di giugno MULTIVAC ITALIA ha concluso il processo di ristrutturazione e rinnovamento della sua sede di Corsico, sia in termini strutturali che di personale, per offrire nuove attività di assistenza tecnica e soddisfare in modo sempre più puntuale e completo le esigenze dei clienti. Nella palazzina dedicata ai servizi tecnici ora sono disponibili, oltre a nuovi uffici per il personale tecnico e back office, uno showroom attrezzato, con le macchine più rappresentative a completa disposizione per eventi, dimostrazioni, test di confezionamento (anche di materiali) e porzionatura e corsi di
addestramento per i clienti (operatori e manutentori) e il personale interno, una sala revisioni moderna e attrezzata per revisioni macchine, modifiche, allungamenti e retrofit, e un reparto per la revisione e riteflonatura delle piastre di formatura e saldatura per termoformatrici e termosaldatrici. Grazie alla presenza di una porzionatrice TVI e di un abbattitore per la corretta regolazione della temperatura dei prodotti prima della porzionatura, presso la sede di Corsico attualmente possono essere riprodotte le condizioni ottimali per effettuare test di porzionatura e confezionamento alle medesime
MULTIVAC, gruppo leader di mercato per soluzioni di confezionamento integrate, offre oggi ai propri clienti un servizio sempre più ampio e su misura nell’ampliata sede di Corsico, garantendo una competenza e un servizio eccellenti, grazie all’esperienza pluriennale nelle soluzioni e nei sistemi di confezionamento
La sede di MULTIVAC Italia a Corsico (MI).
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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
spa
41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 www.haripro.it e-mail info@haripro.it
condizioni riscontrabili nei reparti produttivi. I clienti potranno quindi portare i loro prodotti e testarli direttamente. «Abbiamo realizzato anche una moderna e completa cucina dove i clienti potranno addirittura assaggiare i prodotti appena confezionati in sottovuoto con particolari film realizzati per la cottura in forno tradizionale o microonde» ci dicono alla MULTIVAC Italia.
«Nel nuovo edificio è stata allestita anche un’area moderna ed equipaggiata per le revisioni, le modifiche, gli allungamenti e i retrofit delle macchine ed è in funzione anche un reparto per la teflonatura delle piastre di saldatura e formatura delle confezionatrici, anche di altri costruttori. Questo servizio è particolarmente apprezzato dai clienti per la sua qualità e
per i rapidi tempi di consegna». La ristrutturazione ha coinvolto anche il personale dedicato all’assistenza tecnica: una nuova squadra formata da esperti, di cui ben la metà provenienti da aziende produttrici del settore alimentare, manutentori interni, specialisti di macchine confezionatrici, ma anche di processo (porzionatrici ed affettatrici), caratterizza in modo sostanziale la vici-
Chi è MULTIVAC MULTIVAC è uno dei produttori leader a livello mondiale di soluzioni di confezionamento per prodotti alimentari di ogni tipo, prodotti del settore Lifescience, Healthcare e prodotti industriali. La gamma di prodotti MULTIVAC soddisfa le più svariate esigenze dei clienti in termini di forma delle confezioni, rendimento ed efficienza delle risorse e comprende un’ampia gamma di tecnologie di confezionamento, soluzioni di automazione, etichettatrici e sistemi per il controllo della qualità. La gamma dei prodotti è completata da soluzioni per la porzionatura e il processing a monte del confezionamento. Grazie all’ampia esperienza in linee di confezionamento, tutti i moduli possono essere integrati in linee complete. MULTIVAC garantisce così un elevato grado di operatività, affidabilità ed efficienza. Il gruppo MULTIVAC conta circa 5.900 collaboratori in tutto il mondo, 2.200 dei quali nella sede principale di Wolfertschwenden. Con più di 80 filiali, l’azienda è rappresentata in tutti i continenti. Oltre 1.000 consulenti di vendita e tecnici per l’assistenza tecnica in tutto il mondo mettono il loro know-how e la loro esperienza al servizio del cliente e assicurano la massima disponibilità di tutte le macchine MULTIVAC installate (in foto, il Service Team di MULTIVAC Italia). >> Link: www.multivac.com
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nanza di MULTIVAC Italia al cliente e alle sue esigenze. «La nostra rete assistenza è dislocata sul territorio per offrire un servizio sempre più vicino al cliente e quindi tempi di reazione e intervento ancora più rapidi ed efficienti». Il processo di ristrutturazione è stato realizzato con un’attenzione speciale alla sostenibilità, per quanto riguarda la scelta sia dei materiali che dell’utilizzo delle risorse: ne è un esempio tangibile il nuovo impianto fotovoltaico e l’impegno del gruppo MULTIVAC rivolto all’utilizzo di materiali realizzati con fibre naturali e completamente riciclabili come MULTIVAC PaperBoard, una gamma di materiali di confezionamento studiati e realizzati in collaborazione con i principali produttori leader di mercato utilizzabili su termoformatrici e termosaldatrici. «L’alta qualità e l’ampia gamma dei nostri prodotti e servizi, unitamente alla competenza ed esperienza nella progettazione non solo delle confezionatrici ma anche dei processi e dei sistemi a monte e a valle del confezionamento, costituiscono per i nostri clienti un valore aggiunto chiaro e tangibile».
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All’interno di una nuova palazzina dedicata all’assistenza tecnica, è oggi disponibile uno showroom con le macchine più rappresentative a completa disposizione per eventi, dimostrazioni, test di confezionamento (anche di materiali) e porzionatura e corsi di addestramento per i clienti (operatori e manutentori) e il personale interno. MULTIVAC Italia Srl a socio unico Via Leonardo da Vinci, 27 20094 Corsico (MI) Telefono: 02 4503208 E-mail: muit@it.multivac.com Web: www.multivac.com
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Le soluzioni del gruppo CSB-System
Tre elementi rilevanti per una maggiore automazione della produzione di carne
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el settore della carne l’automazione ha soprattutto un obiettivo: consentire tempi di consegna più rapidi. Più velocemente i prodotti raggiungono gli scaffali di vendita, meglio è, sia per la freschezza degli stessi sia per l’incidenza dei costi fissi di produzione. Alle aziende che intendono percorrere questa strada, il gruppo CSB-System suggerisce tre soluzioni per l’automazione, che già prese singolarmente sono in grado di proiettare l’azienda verso l’Industria 4.0.
1. Sistemi di evasione ordini senza supporto cartaceo Il picking è l’attività centrale nella logistica del magazzino ed è ancora troppo costosa per molti produttori di carne. L’automazione può consentire notevoli risparmi perché aumenta sensibilmente le prestazioni. Il CSB-System supporta molteplici procedure di evasione ordini che rendono l’intero processo impeccabile ed estremamente veloce, quali: • Pick-by-Scan: i dati degli ordini del sistema ERP vengono inviati
ad apparecchi mobili per la rilevazione dati con funzione di lettura tramite scanner. I dipendenti scannerizzano il codice a barre dell’articolo da evadere, prelevano la quantità indicata sull’apparecchio PMD e confermano il processo premendo un tasto; • Pick-by-Light : all’interno del magazzino a scaffali ai dipendenti viene segnalato con luci lampeggianti dove si trova l’articolo da prelevare per l’or-
A destra: impiego della tecnologia robotica. A sinistra: CSB-Image-Meater.
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dine. L’operatore ne conferma l’avvenuto prelievo (tramite tasto sullo scomparto o mediante inserimento in un apposito dispositivo) e ne invia comunicazione al software; • Pick-to-Light: questo metodo è particolarmente interessante per le aziende con molte filiali. Tutti gli ordini che arrivano nel sistema ERP vengono trasmessi ai display nell’area preparazione ordini; ogni display è associato a una filiale. I dipendenti visualizzano in colori differenti gli articoli da evadere e, tramite display, collegano gli articoli alle varie filiali; • Pick-by-Voice: il gestionale converte in voce gli ordini presenti nel sistema e li trasmette agli auricolari dei dipendenti. Grazie a questi auricolari gli operatori hanno le mani libere per le attività essenziali e possono agire in modo più rapido e flessibile. Anche la conferma del processo di picking avviene verbalmente; • Picking con Sorter: in questo caso vengono impiegati impianti sorter innovativi come quelli della CSB-Automation. Grazie alla loro struttura compatta, i CSB-Sorter, sia nelle varianti semiautomatiche che in quelle totalmente automatiche, realizzano una soluzione intralogistica efficiente perfino nello spazio più ristretto. Sono adatti soprattutto per la preparazione ordini e smistamento di casse multiprodotto. 2. Tecnologia robotica Gli esperti del settore sostengono che nei prossimi anni il mercato globale dei robot industriali nell’industria alimentare crescerà a un ritmo annuale del 13% circa. In combinazione con la tecnologia robotica anche le soluzioni di automazione classiche stanno vivendo progressi significativi. Il software CSB-System è in grado di gestire e controllare l’intera intralogistica, incluso magazzini automatici per vuoti, per grandi e piccoli quantitativi, linee di peso-prezzatura e sorter per l’evasione ordini, magazzini automatici e tecnologie per la
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Il gruppo aziendale CSB-System offre da 40 anni soluzioni IT specifiche per il settore Alimenti & Bevande, in grado di gestire l’azienda a 360° ed anche nell’era dell’Industria 4.0, il sistema ERP mantiene il suo ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda. Già nella versione standard “chiavi in mano” il CSB-System soddisfa tutte le esigenze del settore e grazie alla totale integrazione dei suoi moduli operativi Acquisti, Magazzino, Produzione, Vendite, Logistica, Controllo Qualità, Contabilità generale e industriale, Cespiti, Archiviazione documentale, Rilevazione presenze, Business Intelligence, i clienti CSB-System hanno raggiunto notevoli effetti di razionalizzazione dei processi, drastici tagli dei costi e veloci tempi di implementazione. Il gruppo CSB-System offre soluzioni ERP per aziende di ogni dimensione e tipo. Le tipologie di software proposte possono essere così riassunte: il CSB Industry ERP è l’ERP per le aziende del settore Alimenti & Bevande alla ricerca di una soluzione completa per l’azienda, CSB Factory ERP è tagliato su misura per l’ottimizzazione dei processi produttivi ed è quindi perfetto per la gestione degli stabilimenti produttivi di multinazionali e gruppi aziendali che impiegano già un ERP di gruppo. Mentre per piccole e medie aziende è consigliato il CSB Basic ERP che già nella sua versione standard contiene le best practice aziendali per coprire le richieste di settore e del mercato.
movimentazione del magazzino. Molti clienti CSB-System utilizzano queste soluzioni con successo. 3. Elaborazione industriale di immagini Nell’era dell’Industria 4.0 non è più sufficiente registrare ed elaborare i dati in modo efficiente. Solo quando questi vengono valutati direttamente nel processo, il loro potenziale può essere realmente sfruttato in produzione. A tale proposito una tecnologia chiave è l’elaborazione industriale di immagini. Già da parecchi anni, ormai, il CSB Unit Recognition, il CSB-Image Meater e il CSB-Eyedentifier svolgono proprio questa funzione. Il CSB Unit Recognition può per esempio rilevare contenitori a rendere e codici a barre in modo rapido ed efficace. Con CSB-Eyedentifi er è possibile automatizzare le fasi di inserimento, identificazione, smistamento e destinazione degli articoli. Tramite analisi per immagini, ha luogo un riconoscimento articoli totalmente automatico e quello che prima veniva svolto dall’operatore, ora viene eseguito dalle macchine. Il sistema rileva le immagini, identi-
fica le caratteristiche del prodotto e le memorizza, poi controlla automaticamente il contenuto delle casse, delle vaschette o dei cartoni; riconosce i corpi estranei visibili e si occupa dello smistamento e della destinazione dei prodotti. Col CSB-Image-Meater, invece, il gruppo CSB-System offre un metodo innovativo per una classificazione commerciale obiettiva e trasparente delle carcasse suine con automatizzazione completa del processo di classificazione senza contatto diretto. Con una procedura convalidata, il CSB-ImageMeater determina, grazie a specifici algoritmi di misurazione, oltre al valore commerciale anche la resa ottimale della carcassa suina nella proiezione dei tagli nobili da essa ricavabili (coscia, spalla, pancetta e carré). Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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Una separazione “di fatto” di grande qualità!
Il sistema a bassa pressione LIMA per il recupero meccanico di carne da carcasse intere o singole parti permette di ottenere carne di ottima qualità a bassissimo costo. Le macchine LIMA sono robuste, facili da usare e igienizzare,consumano poca energia e garantiscono un rapido ritorno dell’investimento. Nell’ampia gamma LIMA potrete trovare la macchina adatta alle vostre specifiche esigenze, sia di produttività che di applicazione: dalla separatrice meccanica alla disossatrice, scotennatrice o snervatrice.
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Economica e dalle molteplici possibilità di utilizzo grazie ai macchinari prodotti da Lima, distribuiti in Italia da Lazzari Equipment
Sì alla carne recuperata meccanicamente
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uesto prodotto, risultante da una particolare lavorazione di cui l’azienda francese Lima è leader mondiale, si ricava da rifilature varie di carni suine così come da ali e carcasse di pollo. In poche parole, si sfruttano fino in fondo alcuni scarti di lavorazione che, diversamente, finirebbero all’inceneritore, ottenendone un’economica materia prima dalle molteplici possibilità di utilizzo. Il procedimento è semplice: si introducono le parti da lavorare nella zona di carico. Queste cadono sulla coclea, che le sospinge verso la testata filtro dove si effettua il recupero, separando la carne rimanente dallo scarto definitivo. Il prodotto esce dai fori o dalle apposite feritoie presenti sulla testata, mentre lo scarto passa attraverso il centro
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della testata stessa e viene scaricato. Le testate filtro, in dipendenza dal prodotto che si lavora, si possono avere con fori da 3 a 4 mm, oppure con feritoie orbitali di spessore da 2 a 3 mm e lunghe sino a 25 mm. La resa produttiva si determina regolando la pressione di spinta della coclea: a bassa pressione (sotto 100 bar) si ha una resa del 23% circa, ad alta (sino a 400 bar) si raggiunge il 77% circa. La famiglia di macchine Lima si suddivide in versioni adatte ad ogni possibile esigenza: • separatrici per recupero carne e per recupero polpa di pesce; • disossatrici per eliminare piccoli frammenti ossei; scotennatrici per separare parti di cotenna dal grasso; • snervatrici per eliminare nervi, tendini e cartilagini.
La carne di manzo CSM è vietata in Europa, tuttavia ne è permessa l’eliminazione meccanica di tendini, nervi e cartilagini; per questo impiego Lima propone specifiche macchine, usabili anche per il suino (ad esempio per pulire i geretti). Tutta la gamma viene proposta in una tipologia tale da essere alla portata di ogni azienda: si parte da modelli con lavorazioni orarie da 100 a 300 kg/h per arrivare sino ai 20.000 kg/h. La carne appena recuperata, se destinata a prodotti da cuocere, va congelata subito. Il contenuto residuo di calcio è minimo: 21 milligrammi su 100 grammi (la FAO consiglia da 4 a 500 mg al giorno), decisamente più basso di quello del prodotto ottenuto da macchine a cinghia con tamburo rotante,
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così come la resa, che raggiunge il 70% con Lima contro il 30% raggiunto con quelle a cinghia. Le carni CSM trovano già buona applicazione sul nostro mercato, ad esempio nei würstel: in certi tipi alcuni produttori ne aggiungono dal 40 al 70% agli impasti. Ogni macchina Lima, dalla più piccola alla più grande: • viene costruita con i migliori materiali e componenti; • l’impianto elettrico è racchiuso in una scatola a doppia protezione, ha piedini regolabili, più basi fisse per facilitare la pulizia; • consuma pochissima energia (1 kW per 180 kg di prodotto); • è facile sia da usare che da lavare; • infine, prima della consegna, viene sottoposta a scrupolosi controlli e ad ore di funzionamento.
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1) Carcasse di pollo. 2) Carne da carcasse lamellata. 3) Carré di maiale disossato. 4) Polpa di recupero a 3 mm.
Ecco alcuni impieghi di carni CSM, oltre ai würstel: mortadella, patè, ripieni per tortellini, polpette impanate, palline di carne aromatizzate, macinati misti, salsicce da grill, sughi, surimi nel caso di pesce… E poi largo spazio alla fantasia tutta italiana dell’utilizzatore! Come sempre Lazzari Equipment è a disposizione per ogni informazione, preventivo e richieste di dimostrazioni.
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Antibiotici: possibili rischi commerciali di Giulia Mauri
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a diffusione dell’antibioticoresistenza nei microrganismi è un pericolo di grande rilievo per l’umanità, al pari dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità. Ma, a differenza dell’inazione e dell’immobilismo che favoriscono il surriscaldamento e la riduzione delle forme di vita, la lotta per mantenere efficaci gli antibiotici procede spedita, di pari passo con la sua presa di coscienza da parte della comunità scientifica e politica. Le ricadute economiche e commerciali, però, potrebbero essere poco controllabili, soprattutto se non si giocherà d’anticipo sulla percezione del problema da parte dei consumatori: l’agroalimentare italiano allora potrebbe essere posto di fronte a una sfida importante molto presto. Costi dell’antibioticoresistenza Secondo l’ECDC (il centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), il carico delle in-
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Cresce la preoccupazione fra i consumatori nonostante le azioni messe in atto. L’agroalimentare italiano potrebbe essere posto di fronte a una sfida importante molto presto. La diffusione del fenomeno della resistenza deve quindi essere controllata con una nuova consapevolezza
fezioni dovute a batteri resistenti agli antibiotici sulla popolazione europea è paragonabile a quello dell’influenza, della tubercolosi e dell’HIV/AIDS messe insieme. Oggi, ogni anno, 33.000 persone muoiono a causa di un’infezione dovuta a batteri resistenti agli antibiotici. Questo numero è paragonabile al totale di passeggeri di oltre 100 aeroplani di media dimensione. Ma non è niente a confronto delle proiezioni future. L’Italia è in una posizione piuttosto sgradevole: quasi 11.000 persone muoiono ogni anno a causa di un’infezione causata da
uno degli otto principali batteri antibioticoresistenti. Siamo fra i peggiori in Europa, assieme a Grecia e Portogallo. Questa situazione avrà un costo stimato di 13 miliardi da qui al 2050. Nel febbraio scorso, MASSIMO SCACCABAROZZI, presidente di Farmindustria, citando l’esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità RANIERI GUERRA, prevedeva che, se non verranno attivate presto contromisure efficaci, entro il 2050 ci saranno 2,4 milioni di morti per la resistenza agli antibiotici nel mondo. Le ripercussioni economiche saranno più pesanti di quelle legate
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CERTIFICATO
MISURAZIONE DI POTENZA STORDITORI ,O SUHVHQWH FHUWLÀFDWR FRQIHUPD FKH OR VWUXPHQWR VRWWRLQGLFDWR q VWDWR WHVWDWR HG q FRQIRUPH DOOH VSHFLÀFKH WHFQLFKH ULFKLHVWH Modello: Numero di Serie: Testato da: Firma: Data: Valido con decorrenza dalla data di emissione. Lo strumento richiederà un nuovo test entro la data sottoindicata. Test Successivo (Data):
Mentre la scienza indaga su quali siano i sistemi più efficaci e gestibili di monitoraggio e contrasto alla diffusione dell’antibioticoresistenza, i consumatori si preoccupano e la distribuzione alimentare prende iniziative. I Paesi del Nord Europa hanno una particolare sensibilità al problema dell’antibioticoresistenza. Da loro, per diverse ragioni, i consumi di antibiotici in allevamento sono estremamente più bassi dei nostri. alla crisi finanziaria del 2008-2009. Solo per la gestione delle complicanze si stimano costi annui aggiuntivi che raggiungeranno i 3,5 miliardi. Sempre secondo dati dell’ECDC, il 75% delle infezioni dovute a batteri resistenti agli antibiotici in Europa è rappresentato da infezioni correlate all’assistenza sanitaria. In base a studi condotti nel 2016 e 2017, l’ECDC stima che ogni anno negli ospedali e nelle strutture di lungodegenza europei vi sia un totale di 8,8 milioni di infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA). Questo significa che un paziente su 15 di quelli ricoverati in ospedale — pari a 98.000 persone — e un paziente su 24 ricoverato in strutture di lungodegenza — pari a 124.000 individui — ha almeno un’infezione di tipo ICA. In circa un terzo dei casi si tratta di infezioni con batteri resistenti (o multiresistenti) agli antibiotici. Fra le buone pratiche individuate per ridurre il fenomeno a livello ospedaliero si annoverano il lavaggio accurato delle mani, la prescrizione e assunzione corretta degli antibiotici, la formazione del personale sanita-
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rio e l’informazione di degenti e parenti. Certamente la sanità umana ha un ruolo di primo piano nella battaglia, come anche nella creazione del problema. Ma la zootecnia non può tirarsi indietro, visto che anch’essa utilizza gli antibiotici e visto che i prodotti alimentari di origine animale raggiungono quasi l’intera popolazione dei cittadini europei. Gli interventi messi in campo Da anni si sta cercando di intervenire su questo fenomeno: il divieto di utilizzare antibiotici auxinici, promotori di crescita in Europa, risale al 1o gennaio 2006 (con l’entrata in vigore del Reg. CE 1831/2003, del DLgs n. 193 del 6 aprile 2006 e del DLgs n. 14 del 24 luglio 2007); negli anni si sono aggiunti diversi strumenti per monitorare la presenza delle molecole antibiotiche nella filiera alimentare. Con il Piano di azione contro la crescente minaccia dell’antibioticoresistenza (European Commission, IP/11/1359, 17-11-2011) la UE ha invitato i Paesi Membri a istituire Piani Strategici Nazionali che permettessero di
confrontare situazioni e progressi di tutti gli Stati nel contrasto all’antibioticoresistenza. In Italia, il Piano Nazionale Residui per la ricerca di residui antibiotici nei prodotti di origine animale, il Piano di farmacosorveglianza per monitorare le prescrizioni di antibiotici in zootecnia grazie anche all’introduzione della ricetta elettronica, l’attivazione del sistema informatico Classyfarm, l’attenzione alla riduzione dell’uso in deroga, il Piano benessere e le pratiche di autocontrollo da parte dell’operatore alimentare sono alcune delle misure messe in atto. Da diversi anni, però, i superamenti dei limiti previsti nei prodotti di origine animale sono davvero pochissimi: raggiungono percentuali risibili sul totale di campioni analizzati. ANTONIO VITALI, veterinario della Regione Lombardia, ha riportato in alcune recenti occasioni i risultati del Piano nazionale residui del 2017: su 40.108 campioni analizzati, 40 sono risultati non conformi. Nel 2018, in Lombardia, su 5.850 controlli, sono state spiccate 92 sanzioni inerenti la farmacovigilanza. Bazzecole. Eppure…
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L’informazione ai consumatori Eppure i consumatori non si sentono tutelati e le ricadute commerciali sono dietro l’angolo. Dopotutto, in Italia quasi il 70% degli antibiotici prescritti è destinato agli animali zootecnici e, anche se i residui delle molecole sono monitorati e risultano molto bassi, è possibile che le resistenze vengano acquisite dai microrganismi che vivono in ambiente zootecnico e da lì si diffondano. Potrebbero farlo anche attraverso i prodotti derivati. Strutture sanitarie, allevamenti e centri di traffico umano potrebbero essere i grandi centri di diffusione delle resistenze nell’ambiente. Si sa ancora troppo poco sulla circolazione delle resistenze. Forse la ricerca delle molecole dovrebbe essere affiancata dalla ricerca delle resistenze nei microrganismi. Mentre la scienza indaga su quali siano i sistemi più efficaci e gestibili di monitoraggio e contrasto alla diffusione dell’antibioticoresistenza, i consumatori si preoccupano e la distribuzione alimentare prende iniziative. I Paesi del Nord Europa hanno una particolare sensibilità al problema dell’antibioticoresistenza. Da loro, per diverse ragioni, i consumi di antibiotici in allevamento sono estremamente più bassi dei nostri. Presto l’idea che i prodotti alimentari italiani siano forieri di microrganismi che trasportano l’antibioticoresistenza potrebbe diffondersi fra questi consumatori,
Certamente la sanità umana ha un ruolo di primo piano nella battaglia, come anche nella creazione del problema. Ma la zootecnia non può tirarsi indietro, visto che anch’essa utilizza gli antibiotici e visto che i prodotti alimentari di origine animale raggiungono quasi l’intera popolazione dei cittadini europei
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con effetti catastrofici sul nostro export. Per questo, dice Antonio Vitali, dobbiamo muoverci molto rapidamente per riuscire ad abbassare i consumi di antibiotico in allevamento. Per una questione commerciale, oltre che sanitaria e normativa: è probabile che la richiesta dei consumatori dei Paesi del Nord di intervenire con norme sempre più restrittive venga accolta dal legislatore europeo. E i tempi a disposizione della zootecnia italiana potrebbero essere molto stretti, perché i cambiamenti di abitudine fra i consumatori possono essere molto repentini e agire sul mercato con incisività e rapidità superiori rispetto alle tempistiche adottate nelle norme. La scelta antibiotic free Le preoccupazioni cominciano a serpeggiare anche fra i consumatori italiani e diversi grandi marchi della distribuzione si sono adeguati proponendo filiere a marchio aziendale di prodotti animali che assicurano l’assenza di trattamenti antibiotici. Tuttavia, non va dimenticato che le cure antibiotiche, quando opportune e gestite correttamente, sono una garanzia di salute e benessere degli animali, di tutela della salubrità dei prodotti. Tanto che la onlus che si occupa di benessere degli animali da reddito, CIWF, ha emesso recentemente un comunicato in cui dichiara che “l’antibiotic free è un’operazione di marketing: attraverso claim fuorvianti si inducono i consumatori a spendere di più per prodotti che nella stragrande maggioranza dei casi non garantiscono maggiore benessere o animali più sani. Pertanto, invitiamo i consumatori a non acquistare prodotti antibiotic free e produttori e supermercati a investire in programmi concreti di miglioramento del benessere degli animali, a garanzia della salute pubblica e delle richieste dei consumatori”. Ciononostante, finché il monitoraggio del consumo di antibiotici rimane solo quantitativo, la proposta di esclusione tout court di queste molecole dalla filiera acquista un grande valore di richiamo.
Solo utilizzo corretto Per contrastare il fenomeno della resistenza, l’uso di antibiotici non deve essere ridotto solo quantitativamente, ma va anche effettuato con maggior oculatezza! Questo è stato riportato anche nella Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2018 su un piano d’azione europeo One Health contro la resistenza antimicrobica (2017/2254(INI)), in cui si nota che gli indicatori della UE recentemente adottati, che consentono agli Stati Membri di monitorare i loro progressi nella lotta contro la resistenza antimicrobica, si concentrano solo sul consumo di antibiotici, ma non rispecchiano la
correttezza dell’uso: l’ECDC invita a modificare di conseguenza gli indicatori della UE. L’importanza di una diagnosi precisa — da riportare anche nella ricetta elettronica — e la fedeltà a Linee guida sull’uso corretto degli antibiotici in allevamento, come quelle pubblicate dalla Regione Emilia-Romagna, sono due tasselli fondamentali del contrasto all’antibioticoresistenza. Anche GIUSEPPE DIEGOLI, della Regione Emilia-Romagna, ha recentemente fatto notare che i controlli della sanità pubblica devono cominciare a valutare anche la correttezza di utilizzo degli anti-
biotici negli allevamenti. Inoltre, tutte le iniziative che favoriscono la riduzione del consumo di antibiotici, dall’implementazione del benessere alla biosicurezza, devono essere messe in atto. In conclusione, le conseguenze sanitarie, economiche e commerciali dell’antibioticoresistenza sulla filiera agroalimentare sono tali che tutte le figure coinvolte (ministeri, amministrazioni regionali, servizi sanitari, produttori e trasformatori) devono intervenire sul problema coordinandosi e promuovendo una gestione sempre più oculata degli antibiotici. Giulia Mauri
L’antibioticoresistenza viaggia sul fiume L’AMR Industry Alliance (www.amrindustryalliance.org) si definisce una delle coalizioni più ampie del settore privato ed è stata istituita con lo scopo di individuare soluzioni sostenibili per frenare la diffusione dell’antibioticoresistenza. Vi partecipano oltre cento aziende del settore farmaceutico, diagnostico, di ricerca e di farmaci generici, compresi alcuni colossi mondiali, e ha sede a Ginevra, in Svizzera. L’Alliance ha commissionato all’Università di York uno studio sulla presenza degli antibiotici nelle acque fluviali. I risultati sono stati illustrati al meeting della SETAC, la Società internazionale di chimica e tossicologia ambientale (27-28 maggio, Helsinki, Finlandia). Il lavoro è stato riportato da EurekAlert! (www.eurekalert.org). Sono stati ricercati 14 antibiotici di uso comune in 72 Paesi sparsi su 6 continenti. I campioni di acqua congelata sono stati tutti analizzati dallo stesso laboratorio, quello dell’università. Dalle analisi è emerso che il 65% dei siti era contaminato. L’AMR Industry Alliance ha definito la soglia di sicurezza per la presenza di molecole di antibiotici nelle acque a 20-32,000 ng/l. Si sono così potuti definire dei non invidiabili ma notevoli record: ad esempio, il metronidazolo in Bangladesh è risultato essere 300 volte oltre i limiti di sicurezza. Nelle acque bengalesi questa molecola si trova ad una concentrazione che è 170 volte quella presente nel Tamigi. Ma neppure i londinesi hanno di che gioire: nel loro fiume gli antibiotici raggiungono complessivamente una quota di 233 ng/l. Nella classifica degli antibiotici più presenti sul pianeta Terra fuori dal controllo diretto dei medici e dei veterinari c’è il trimethoprim: questa molecola è la più frequente, è stata rilevata in 307 siti su 711. Dal canto suo, però, il ciprofloxacin è quello che più spesso ha superato le soglie di sicurezza (in 51 siti). Guardando la distribuzione geografica delle molecole si giunge facilmente alla conclusione che Asia ed Africa siano i continenti più problematici. Qui infatti sono stati superati più frequentemente i livelli di sicurezza. Ma i campioni raccolti in Europa e Nord e Sud America rivelano come la questione sia un problema su scala globale. I Paesi più critici sono Bangladesh, Kenya, Ghana, Pakistan e Nigeria, mentre l’Austria è il più virtuoso. I siti fluviali di prelievo più critici sono stati quelli nelle vicinanze di acque di scarico, di discariche e di reflui di liquami. Ma anche alcune aree politicamente instabili, come la frontiera israelopalestinese, si sono distinte per rilevanza. Secondo il coordinatore dei campionamenti, il dottor JOHN WILKINSON, del Dipartimento di Ambiente e Geografia, la diffusione e dimensione del fenomeno dell’antibioticoresistenza a livello planetario è tutt’oggi molto poco nota. Questo è il primo studio per dimensioni e vastità dei territori indagati. Esistono ricerche precedenti, ma coprivano soprattutto Europa, Nord America e Cina, e comunque non era così ampia la rosa di antibiotici ricercata. Ecco perché, come ha invece affermato il professor ALISTAIR BOXALL, che guida l’Istituto per la Sostenibilità Ambientale di York, «questa ricerca ci ha aperto gli occhi. Ora iniziamo a comprendere il ruolo dell’ambiente naturale nello sviluppo dell’antibioticoresistenza. Per risolvere il problema servirà un cambio di approccio all’utilizzo degli antibiotici globale ed epocale, con alti investimenti in strutture di trattamento dei rifiuti e delle acque reflue e in decontaminazione dei siti interessati. E sarà indispensabile un irrigidimento delle norme relative all’utilizzo e al commercio di queste molecole». Norme inevitabilmente riconosciute e accettate a livello mondiale, perché è sempre più chiaro che i batteri antibioticoresistenti non si fermano alle frontiere (da: www.eurekalert.org/pub_releases/2019-05/uoy-afi052419.php).
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CONSUMI
“Senza” e il “ricco di”, la salute nel carrello della spesa Molte abitudini di consumo sono dettate da convinzioni su ciò che è meglio consumare o meno. Convinzioni che molto spesso hanno presupposti sbagliati o discutibili, ma che contribuiscono comunque a generare una tendenza di Sebastiano Corona
S
embrano non conoscere crisi i prodotti del largo consumo confezionato che riportano claim su abbondanza o assenza completa di determinate sostanze. Tutto si fa per stare bene, ma non sempre c’entrano le malattie vere e proprie. Il consumatore di oggi è molto più
attento di una volta alla qualità del prodotto alimentare e, soprattutto, è consapevole dello stretto legame tra ciò che mangia e la propria salute. In tanti utilizzano il cibo come una vera e propria cura, un modo per garantirsi un benessere psicofisico o prevenire patologie. Cucina e buon
vivere diventano dunque un connubio indissolubile, che si traduce in comportamenti al supermercato. Molte abitudini di consumo sono dettate da convinzioni su ciò che è meglio consumare o meno. Convinzioni che molto spesso hanno presupposti sbagliati o discutibili,
Il 18,6% dei prodotti alimentari, esclusi acqua e alcolici, e il 27,6% delle vendite a valore, nel periodo giugno 2017-giugno 2018 (fonte dati: Osservatorio Immagino), era rappresentato dal “free from”, che si conferma tra i fenomeni recenti più importanti nel largo consumo confezionato in Italia (photo © lado2016 – stock.adobe.com).
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ma che contribuiscono comunque a generare una tendenza. Abbiamo più volte, negli anni, assistito alla demonizzazione di cibi o sostanze che solo in seguito sono stati riabilitati agli occhi dell’opinione pubblica. C’è poi un fronte che ogni giorno incrementa purtroppo le sue fila, quello delle intolleranze alimentari, delle allergie o di altre patologie legate al cibo. Secondo l’ISTAT, le persone affette da malattie allergiche croniche in Italia nel 2016 erano il 10,7% della popolazione, con un andamento pressoché regolare di anno in anno e un trend in leggera ma costante crescita. L’incidenza appare maggiore nel Nord Italia e in particolare tra le donne. È inoltre curioso rilevare che sarebbero soprattutto coloro che occupano posizioni direttive, di quadro e impiegatizie (il 14,6% della popolazione) a guidare la triste classifica, immediatamente preceduti dagli studenti. Le forme allergiche sono però tante e solo alcune — sebbene tra
le più diffuse e fastidiose — legate al cibo. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute e la NIELSEN, in Italia ci sarebbero 1.800.000 allergici alimentari, 305.000 dei quali allergici al latte e 600.000 al glutine. Facendo una disamina invece nelle intolleranze — che ricordiamo non essere malattie allergiche — in Italia ci sarebbero 1.100.000 intolleranti al lattosio e 3.000.000 intolleranti al glutine. Vuoi perché le diagnosi sono oggi molto più precise e frequenti. Vuoi perché oggettivamente alcune malattie si sono inspiegabilmente diffuse, ma spesso l’unico modo per curarle è evitare determinati cibi. Ed ecco che il mercato prontamente risponde ad una domanda che anni fa non avremmo nemmeno potuto ipotizzare. Persone affette da disturbi intestinali più o meno marcati si vedono costrette ad eliminare dalla propria dieta latticini, glutine, frutta secca, solo per fare alcuni esempi. E gli scaffali dei supermercati pullulano di alimenti gluten free o senza
lattosio, in un’offerta che va moltiplicandosi giorno dopo giorno. Quanti claim hai? I claim sono innumerevoli e, solo per citarne alcuni, si annoverano: il sempreverde e tra i più datati ormai senza conservanti, ma anche pochi grassi, il più recente senza olio di palma, senza coloranti, pochi zuccheri, senza additivi, senza lattosio, senza glutine, senza grassi idrogenati, senza OGM, senza/a ridotto contenuto di grassi saturi, senza glutammato, senza zuccheri aggiunti, a ridotto contenuto o senza sale e molto altro ancora, in un elenco indicativo e non esaustivo a cui periodicamente si aggiungono voci nuove. Un’attenzione all’offerta, questa, che il consumatore sembra gradire: il 18,6% dei prodotti alimentari (esclusi acqua e alcolici) e il 27,6% delle vendite a valore, secondo l’Osservatorio Immagino, nel periodo giugno 2017-giugno 2018, è rappresentato dal free from, che si conferma tra i fenomeni recenti
Il “rich-in”, dal “con vitamine” al “ricco di fibre”, al “con Omega-3”, “ricco di ferro”, “fonte di calcio”, si ritaglia oggi il suo 9,6% del largo consumo alimentare confezionato e il 9,0% all’assortimento (photo © airborne77 – stock.adobe.com). più importanti, nel largo consumo confezionato, in Italia. In realtà, analizzando i trend di medio periodo, si rileva un leggero rallentamento rispetto al +3,1% del periodo giugno 2016-giugno 2017, benché l’offerta sia aumentata, crescendo del 3,9%. Complessivamente il free from è infatti arrivato a contare 11.345 prodotti, per un giro d’affari di 6,8 miliardi di euro. Tra i 13 differenti claim analizzati dall’Osservatorio, quello più diffuso e comunicato in etichetta — sebbene non si tratti certo di una novità — resta senza conservanti, che rappresenta il 10,9% delle vendite complessive del confezionato. Eppure, benché molto più rilevante degli altri claim del free from, perde smalto e, nell’ultimo anno, cede un 2,4% di vendite, contro un –1,0% dell’anno precedente, a seguito di un’equivalente riduzione del numero di prodotti che utilizzano il claim. Per il resto delle indicazioni, si verificano situazioni differenti tra loro. Arretra del 2,0% il giro d’affari dei prodotti con pochi grassi, a causa del calo della domanda di
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latte UHT ad alta digeribilità e di biscotti. Sono le merendine, invece, a dare il maggior contributo alla flessione del 3,8% del giro d’affari dei prodotti presentati come senza grassi idrogenati. Continua il calo delle vendite di prodotti proposti senza coloranti, che, nel periodo considerato, hanno perso il 2,5% del giro d’affari rispetto all’anno precedente. Per alcuni claim che cedono quote, ce ne sono altri che vantano performance di tutto rispetto. Il più dinamico, da ogni punto di vista, è il senza olio di palma, anche se nel periodo considerato si mostra meno positivo rispetto al passato recente. Tra giugno 2017 e giugno 2018, trainato dai prodotti da forno dolci, il mondo dei prodotti senza olio di palma, pari al 3,7% dell’assortimento numerico, ha visto salire del 7,4% il valore delle vendite. Facendo una disamina dell’interesse territoriale, si nota che è l’Italia meridionale a mostrare la maggior attenzione alla presenza di olio di palma. In particolare sono Sicilia, Campania e Calabria a guidare la classifica, registrando la maggior
quota di spesa. Secondo l’Osservatorio Immagino, in Sicilia i prodotti che riportano questo claim determinano il 33% di vendite in più rispetto alla quota del food in generale. In Campania si fermano invece al 29% e in Calabria al 26. L’incidenza va scemando man mano che si procede verso il Nord del Paese. Le tre aree geografiche dove i prodotti senza olio di palma hanno una quota sulla spesa inferiore alla media nazionale sono Toscana (–5%), Lombardia (–14%) e Trentino-Alto Adige (–19%). Proseguendo nella disamina generale, si mostra positivo anche l’andamento di pochi zuccheri, pari al +5,2%, in crescita non solo nelle bevande a base cola, ma anche in yogurt greco, confetture e bevande a base di frutta. Il senza additivi registra un +4,5% grazie soprattutto ai primi piatti pronti e alle mozzarelle. Ottima l’avanzata dei prodotti senza zuccheri aggiunti e senza o a ridotto contenuto di sale (con mozzarelle e crescenze che guidano il trend) e il senza glutammato, che con un +4,7% deve il suo successo soprattutto ai piatti pronti e ai preparati per brodo.
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Tutti i tipi di carne (freschi o congelati) non miscelati con altri ingredienti sono gluten free e possono essere consumati da chi è affetto da celiachia (photo © bit24 – stock.adobe.com). Ma in questo scenario, i claim che più di tutti riscuotono successo di mercato sono il senza lattosio e — ancor di più — il senza glutine. Diciture, queste, che tra l’altro, vanno spesso di pari passo e si trovano in contemporanea nella stessa confezione di prodotto. È inoltre straordinariamente diffuso un equivalente del gluten free che è la spiga sbarrata dell’Associazione Italiana Celiachia. In totale, sono infatti il 14,4% dei prodotti rilevati, di gran lunga superiori al senza glutine, che registra il 11,7%. Dai prodotti col semplice claim senza glutine arriva l’11,4% del giro d’affari totale del food, mentre è solo il 2,1% la quota appannaggio della spiga sbarrata. Il senza lattosio chiude un’altra performance positiva, anche se con un trend ridimensionato rispetto ai 12 mesi precedenti, in cui le vendite sono cresciute del 4,6%. Aspetto singolare, in una disamina territoriale del fenomeno, è che, al contrario di altri claim, l’interesse nei confronti
del senza lattosio investe trasversalmente tutto il Paese, senza differenze importanti tra Nord e Sud, come accade invece, per altre sostanze, come l’olio di palma, per esempio. L’elemento che più di altri accomuna le migliori performance è la richiesta nelle aree ad alta densità di popolazione. Meno coinvolte invece sono regioni come Umbria, Liguria e Trentino-Alto Adige. In un mercato che nel cibo ricerca salute e benessere non è però solo il senza ad attrarre il consumatore. L’altra faccia della medaglia è il rich-in, quell’insieme di prodotti che presentano in etichetta un claim che enfatizza la presenza in misura importante o superiore alla media di una precisa sostanza considerata benefica. Ed ecco allora spuntare una serie di altre indicazioni dal con vitamine, al ricco di fibre. E ancora: con Omega-3, integrale, ricco di ferro, fonte di calcio. Anche qui riportati in un elenco indicativo ma non esaustivo, poiché ogni giorno più lungo e complesso.
Quello che potrebbe essere definito il carrello della “salute” è cresciuto nel complesso del 2,3%. La tendenza a portare a casa prodotti che fanno bene si conferma e si espande, seppur in misura minore rispetto a qualche tempo fa
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Il rich-in si ritaglia oggi il suo 9,6% del largo consumo alimentare confezionato e il 9,0% all’assortimento. Anche qui, come per il senza, si rileva una sempre crescente selettività degli Italiani di fronte alle proposte a scaffale, sebbene per il rich-in l’atteggiamento sia ancora più marcato e significativo. Le motivazioni sono certamente legate anche al fatto che mentre il senza è spesso legato a vere proprie patologie e a questo proposito è quasi impossibile sottrarsi all’acquisto, nel rich-in, si tratta invece di una scelta non obbligata. Tra i claim più apprezzati vi sono quelli che riguardano le fibre, normalmente presentati con la dicitura con fibre tout court oppure come integrali. Il 6,5% degli oltre 60.000 prodotti alimentari analizzati dall’Osservatorio Immagino nel periodo citato e il 6,1% del giro d’affari complessivo del food confezionato presenta in etichetta un riferimento al suo apporto di fibre. I tassi di crescita sono pari al 10,3% per il claim integrali e del 6,2% per il con fibre, con un’accelerazione rispetto al dato dell’anno precedente che era già di per sé più che lusinghiero. L’Italia delle fibre sembra nettamente divisa in tre parti, che corrispondono (con poche eccezioni) alle tre aree geografiche del Paese, dove il Sud mostra un interesse
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marcato. Regioni come la Puglia, la Sicilia e la Campania registrano un interesse ben al di sopra della media, mentre man mano che si risale lo Stivale la richiesta di integrale sulla spesa alimentare va sempre più ridimensionandosi. Nel periodo considerato è anche aumentata la crescita dei prodotti ricchi di calcio. L’anno si è chiuso con un +6,5%. Ad aver trainato le vendite è stata soprattutto la maggiore domanda di mozzarelle. È altresì aumentata l’espansione dei prodotti con Omega-3, dove è stata determinante la performance del salmone e l’olio di semi di mais. È andato bene anche il fonte di ferro, grazie a biscotti per l’infanzia, cereali per la prima colazione e biscotti frollini. L’unico claim che sembra perdere terreno nel rich-in è quello delle vitamine, che segnano “solo” il 2,7% in numero di prodotti e un andamento poco brillante, che registra un calo dello 0,8% nel periodo considerato.
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Analisi & Report Coldstore 2
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Crescita costante ma più lenta È una tendenza nel complesso più che soddisfacente quella del senza o del ricco di. Eppure, per la prima volta da molto tempo, il 2018 fa segnare un rallentamento dei ritmi di crescita di questo filone di consumo. Non una vera e propria inversione di tendenza, sia chiaro, ma piuttosto un assestamento, in parte fisiologico e prevedibile, per un mercato che potrebbe avere raggiunto una fase di maturità. Sempre più l’approccio si mostra scostante, con una ricerca smodata, da parte degli Italiani, ad acquistare uno o più prodotti solo per decidere quale scegliere in via definitiva. Esiste un marcato nomadismo da un prodotto all’altro, così come nella lunga fase di crisi finanziaria abbiamo assistito al nomadismo da un punto vendita ad un altro alla smodata ricerca di risparmio. In generale, quello che potrebbe essere definito il carrello della “salute” è cresciuto nel complesso del 2,3%. La tendenza a portare a casa prodotti che fanno bene si conferma e si espande, seppur in misura minore rispetto a qualche tempo fa. Sebastiano Corona
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SICUREZZA ALIMENTARE
L’allerta a tavola La gestione operativa di ritiri e richiami, tra timori delle imprese, il rischio di eccessivi allarmismi e la necessità di tutelare il consumatore. La trasparenza viene prima di tutto, ma sul piano normativo e operativo c’è ancora molto da fare di Sebastiano Corona
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ultima in ordine temporale — e di particolare gravità — è quella di un formaggio francese contaminato da Escherichia coli. L’allerta è stata diramata in quasi trenta Paesi, Unione Europea e Stati Uniti compresi. Poiché il microrganismo interessato può generare problemi serissimi, con conseguenze drammatiche, oltre alla segnalazione nel sistema di allerta europeo RASFF, il prodotto è stato ritirato dagli scaffali. La materia delle segnalazioni dei prodotti
a rischio è una questione molto complessa, frutto di una normativa ampia, che ancora non viene applicata in maniera uniforme e secondo lo spirito che ha animato il legislatore. Il meccanismo di segnalazione è disciplinato in Europa dal Regolamento CE 178/2002. È l’art. 19 a stabilire che, nel caso in cui l’operatore ritenga che un alimento entrato nella sua disponibilità perché da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito, ma che non
sia più sotto il suo controllo immediato, non sia conforme ai requisiti di sicurezza, deve immediatamente avviare le procedure per il suo ritiro e informare le autorità competenti. Se il prodotto non conforme può essere già nelle mani del consumatore, lo stesso operatore che ha avviato le procedure di allerta ha l’ulteriore obbligo di informare il mercato e richiamare il prodotto. I capisaldi della normativa sono tre: il ritiro, il richiamo e l’avviso di sicurezza. Il primo ha luogo quan-
La materia delle segnalazioni dei prodotti a rischio è una questione molto complessa, frutto di una normativa ampia, che ancora non viene applicata in maniera uniforme e secondo lo spirito che ha animato il legislatore. Il meccanismo di segnalazione è disciplinato in Europa dal Regolamento CE 178/2002.
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do i lotti non conformi non sono stati ancora esposti al pubblico. Il secondo quando un alimento che può rappresentare un pericolo per la salute si trova già sugli scaffali del punto vendita o è stato in parte acquistato. L’avviso di sicurezza è invece una forma di comunicazione introdotta dal Ministero della Salute, che lo stesso dicastero utilizza per riferire via web, in merito a rapporti o informazioni provenienti da fonti ufficiali preposte al controllo. Il produttore, quando dà notizia del ritiro, deve riportare nella comunicazione elementi che facilitino l’identificazione esatta del prodotto, quali la denominazione di vendita, il suo marchio, il nome o la ragione sociale dell’azienda, il lotto incriminato, la sede dello stabilimento, la data di scadenza o TMC, il peso e il motivo del richiamo, con la descrizione precisa del problema sorto. Sono altresì necessarie le fotografie del prodotto, le istruzioni sulle modalità di consegna e quelle per contattare l’assistenza clienti. I punti vendita, nel ricevere la nota del produttore, sono a loro volta tenuti a informare i clienti cercando di dare la massima visibilità alla notizia attraverso avvisi da esporre in loco, nel sito o nelle pagine dei social network. In capo agli OSA esiste un obbligo di ritiro o richiamo e di pari passo l’obbligo di informare le autorità competenti, che a loro volta — senza creare inutili situazioni di panico — adotteranno i provvedimenti opportuni per informare i consumatori, qualora ci siano rischi per la salute umana e/o animale. Semplice? Non proprio… Apparentemente il sistema sembra lineare e di semplice applicazione, ma nella realtà non è così e lo è ancor meno in un Paese come l’Italia dove l’approccio culturale al cibo è davvero cosa singolare. Il richiamo di un prodotto non conforme, per qualunque motivo, in un settore diverso da quello agroalimentare, è infatti da tempo prassi consolidata e di cui — giustamente — nessuno si scandalizza. Anzi, è universalmente visto come
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un segnale di attenzione e cura verso il cliente. Le imprese dell’industria automobilistica o della meccanica, solo per fare un esempio, acquistano pagine di quotidiani per comunicare un ritiro o anche solo per far sapere che è necessario effettuare un intervento. Non c’è nulla di disdicevole in tutto questo. Ma quando si tratta di cibo, la faccenda è vista diversamente e la prima reazione del mercato è quella di prendere le distanze dall’azienda e dalla tipologia di prodotto interessata. Eppure è risaputo tra addetti ai lavori e imprese — e certamente anche da buona parte dei consumatori — che il processo produttivo e quello di distribuzione di un cibo sono fasi estremamente delicate, a cui concorrono innumerevoli fattori. Sebbene si adottino tutti gli accorgimenti del caso per evitare incidenti, contaminazioni o problemi di altra natura, non si può mai garantire sicurezza assoluta. Richiamo non significa, dunque, che non siano state intraprese tutte le procedure di prevenzione necessarie. Di questo concetto, che dovrebbe diventare scontato anche per l’opinione pubblica, non sembrano però pienamente convinte né le imprese, né lo stesso Ministero, che di fronte alla necessità di comunicare un’allerta intraprendono talvolta comportamenti incoerenti. Lo evidenzia anche IL FATTO ALIMENTARE, primo sito di segnalazione di allerte nel nostro Paese, che ha altresì il merito di aver redatto, grazie all’impegno di ROBERTO LA PIRA, un volume completamente dedicato al tema, che porta il nome di Scaffali in allerta. Il primo problema che La Pira denuncia è la mancanza di stime attendibili sul numero di prodotti che ogni anno vengono ritirati in Italia, ma che, secondo IL FATTO ALIMENTARE, sarebbero un migliaio circa, di cui il 20% rappresentato da casi che possono nuocere alla salute dei consumatori. L’assenza di una cabina di regia unica, in grado di gestire efficacemente e celermente i vari casi, il timore di conseguenze nefaste in termini di immagine, le
L’opinione pubblica ha spesso difficoltà a distinguere un prodotto non nocivo, che ha semplicemente un problema di natura formale, da quello che invece rappresenta un pericolo vero e proprio. In tutti questi casi, molto spesso segnalare con enfasi il richiamo può essere un’arma in grado di produrre effetti nefasti e sproporzionati. Per questo la comunicazione in quest’ambito è cosa delicatissima, da fare con la massima attenzione! difficoltà oggettive a gestire l’allerta, una normativa lacunosa e per certi aspetti poco chiara, disorientano gli operatori e comportano confusione sul da farsi, impedendo un flusso di informazioni fluido. Infine, a fronte di innumerevoli casi segnalati, sono decine quelli di richiami che si sgonfiano in poco tempo o che si concludono con la revoca del provvedimento o con un ridimensionamento del problema, non prima che si sia compromessa la reputazione di un’azienda, si siano depauperati interi lotti di cibo e che si sia avviata una macchina legale a suon di migliaia e migliaia di euro. Sempre che nel frattempo non sia intervenuta certa stampa che, in assenza di notizie migliori, abbia deciso di prendersi a cuore il problema, paventando inesistenti pandemie. Creando così il panico, magari senza motivo alcuno. La letteratura recente è ricca di eccessivi allarmismi che hanno messo in ginocchio un intero comparto produttivo. E, viceversa, annovera anche casi seri e non segnalati, con
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il risultato che il problema si è perpetuato per mesi, talvolta per anni, continuando a mietere vittime. C’è poi un’ulteriore questione: l’opinione pubblica ha spesso difficoltà a distinguere un prodotto non nocivo, che ha semplicemente un problema di natura formale, da quello che invece rappresenta un pericolo vero e proprio. In tutti questi casi, molto spesso segnalare con enfasi il richiamo può essere un’arma in grado di produrre effetti nefasti e sproporzionati. Per questo la comunicazione in quest’ambito è cosa delicatissima, da fare con la massima attenzione. Ogni volta che un’impresa ha necessità di aprire un procedimento di allerta deve contattare i clienti affinché ritirino le confezioni dagli scaffali ed espongano cartelli di avviso nei punti vendita. Ma questa procedura, non codificata dal Regolamento europeo, è descritta in Linee guida ministeriali non completamente esaustive. Si assiste pertanto a prese di posizione differenti da territorio a territorio o ad interpretazioni soggettive.
I risultati sono i più disparati: annunci di ritiro nel sito dell’insegna della GDO ma non in quello del produttore o viceversa. E ancora: la presenza dell’avviso nel sito del Ministero ma non in quello della distribuzione o dell’azienda; supermercati che segnalano l’allerta in maniera evidente, magari negli spazi normalmente dedicati a quel prodotto, oppure con un semplice avviso, che nessuno legge, in prossimità delle casse; altri che fanno una segnalazione sul sito internet, ma con una tempistica inadeguata. Molto raramente, in Italia, vengono acquistati spazi sulla stampa per comunicare un richiamo. C’è poi il caso della vendita nei negozi tradizionali o da parte di ambulanti particolarmente attivi nell’ortofrutta: in una rete simile, dove la presenza degli intermediari è forte, raggiungere il penultimo anello della catena o il cliente finale è difficilissimo. Si tratta tuttavia di un campo minato, tanto più che l’aspetto discrezionale, in capo ad aziende, distributori e istituzioni, è ampio.
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Solo il Risk Communication Guidelines, pubblicato dall’EFSA nel 2012, detta alcuni criteri. Il primo è che la tipologia di messaggio e il mezzo di comunicazione impiegato devono essere correlati al livello di rischio. La nota va poi inviata in maniera quanto più celere possibile all'autorità sanitaria locale, alle insegne della distribuzione e/o ai dettaglianti che hanno ricevuto il prodotto. Sarà cura del soggetto che ha rapporti con il cliente finale mantenere la comunicazione per un tempo ragionevole, considerata la shelf life dei lotti interessati. Compito delle autorità sanitarie sarà invece di verificare che il richiamo sia portato avanti nel modo corretto. Ma quello che accade in realtà è che, soprattutto quando il prodotto è stato distribuito in centinaia di punti vendita, magari anche in più regioni o più Stati, quella del controllo diventa un’operazione tutt’altro che semplice. Nel caso in cui l’OSA non abbia messo in piedi ogni azione necessaria a tutelare la
salute pubblica e scongiurare un pericolo per il consumatore, la ASL può disporre un’attività sostitutiva — come per esempio il sequestro cautelativo — addebitando le spese all’OSA e procedendo all’irrogazione delle sanzioni e, se necessario, inviando un’informativa all’autorità giudiziaria. C’è poi una norma che più di qualunque altra disposizione genera timori e reticenze. Gli obblighi di informazione dei produttori sono disciplinati dal richiamato Regolamento CE 178/2002 all’articolo 19 e dalla Legge 283/1962, che prevede che la produzione, la commercializzazione e la somministrazione di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione o invasi da parassiti o potenzialmente in grado di provocare danni alla salute del consumatore siano un reato e quindi perseguibili penalmente. A questa norma si aggiunge il Codice di procedura penale, che all’articolo 331 stabilisce che gli incaricati di un pubblico servizio,
che nell’esercizio delle loro funzioni hanno notizia di reato, devono farne denuncia. Pertanto, l’autorità di controllo che riceve un documento che accerta il cattivo stato di conservazione di un cibo o infrazioni similari deve — oltre che provvedere al richiamo — segnalare la notizia di reato alla Procura. Un obbligo, quest’ultimo, che anziché agevolare il passaggio di informazioni, genera problemi enormi ai produttori e li mette di fronte alla difficile scelta: tutelare i propri clienti o autodenunciarsi? Non c’è solo paura di ripercussioni in termini di immagine, di problemi legali e di perdita del prodotto. La nostra normativa è ricca di meandri che la rendono insidiosa e di difficile applicazione. Deve essere la tutela del consumatore il faro che segna la strada in questo delicato ambito, ma il sistema dovrebbe avere un’impronta meno punitiva e più premiante verso chi intende usare trasparenza e dialogo con il mercato. Sebastiano Corona
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Articoli detectable
L’istituzione da parte della UE di un’Unità di crisi ad hoc
Sicurezza alimentare e comunicazione di Giovanni Ballarini
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el 1986, nel Regno Unito, venne scoperta la BSE, una malattia mortale che distrugge il cervello delle mucche e che si temeva potesse colpire anche l’uomo. Nell’Unione Europea, dove vigeva (e vige) la libera circolazione delle merci (quindi anche quella delle carni bovine), scoppiò la grande paura delle encefalopatie spongiformi, che terminò soltanto l’11 settembre 2001, quando subentrò la grande paura del terrorismo, secondo il principio del chiodo-scaccia-chiodo. La cosiddetta mucca pazza faceva paura perché è una malattia mortale (allora sconosciuta) che colpisce il cervello e per la quale cominciarono a circolare previsioni incontrollate catastrofiche, con la morte di oltre un milione di europei, in una grande confusione di notizie e interpretazioni. Ogni
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paese dava una sua versione degli avvenimenti, spesso sovranista, cioè privilegiando la sovranità nazionale in contrapposizione ad una comunicazione comunitaria, quale avrebbe dovuto essere per un problema sovranazionale come quello della mucca pazza. Gravi furono le conseguenze sull’economia, dovute non solo alle misure messe in atto per controllare la crisi, quanto, molto di più, alla paura che scatenò crisi di fiducia fino a casi di psicosi, portando ad immotivati cambiamenti dei consumi alimentari. In conseguenza della crisi della mucca pazza, l’Unione Europea, nel 2002, istituì l’EFSA, l’agenzia sovranazionale che ha il compito di fornire pareri scientifici e informazioni sui rischi esistenti ed emergenti connessi alla catena alimentare (www.efsa.europa.eu).
Nel 2017, in diversi paesi della UE, nelle uova di gallina, loro derivati e alimenti all’uovo (biscotti, paste, ecc…), ci si accorse della presenza di Fipronil, una molecola vietata per i suoi effetti negativi sulla salute umana. Con opportune indagini che durarono alcuni mesi si scoprì che in allevamenti di galline del Belgio e dei Paesi Bassi aveva grande successo un insetticida presentato come un prodotto costituito da vegetali (quindi naturale o biologico), nel quale però era stato fraudolentemente inserito questo particolare insetticida destinato solo ad alcune specie di animali d’affezione. Anche in questo caso molti furono i danni conseguenti sia agli interventi di controllo che alla paura scatenatasi in modo incontrollato. Nei due episodi indicati, come in molti altri casi analoghi, risulta evi-
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dente che, nei problemi riguardanti la sicurezza alimentare, vi sono molti fattori tra loro concatenati che hanno necessità di una gestione unitaria e coerente e di una comunicazione sicura ed efficace, anche per evitare o per lo meno contrastare le comunicazioni distorte e tendenziose e le fake news. Corretta comunicazione nelle crisi Nel quadro della grande trasformazione nei sistemi di comunicazione e d’informazione avvenuta negli ultimi due decenni, con una sempre più larga diffusione di notizie anche false, distorte o utilizzate per fini impropri, alla luce dell’esperienza acquisita in merito, la Commissione europea, con la Decisione di esecuzione 300 (UE) del 19 febbraio 2019 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 21 febbraio 2019, ha istituito un piano generale per la gestione delle crisi riguardanti la sicurezza degli alimenti e dei mangimi, nel quale la Commissione europea assume un ruolo più incisivo in termini di comunicazione e di coordinamento generale degli Stati Membri per evitare le crisi. La Decisione, oggetto di consultazioni con l’EFSA e discussa con gli Stati Membri, rivede i meccanismi di gestione delle crisi nel settore degli alimenti e dei mangimi, a livello nazionale e dell’Unione, per evitare o ridurre al minimo gli effetti sulla salute pubblica e per ridurre, in misura sostanziale, anche l’impatto economico connesso alle restrizioni commerciali. Essa prevede un approccio graduale ai tipi di situazioni da trattare come crisi, in base alla gravità e alla portata dell’incidente in termini di effetti sulla salute pubblica, considerando la percezione da parte dei consumatori e la sensibilità politica, in particolare quando la fonte è ancora incerta, l’eventuale carattere intenzionale dell’incidente (bioterrorismo o effetto collaterale di una frode) e la volontà di creare una crisi (bioterrorismo), come pure il ripetersi di incidenti già avvenuti in precedenza per la possibile mancanza di interventi sufficienti.
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Per raggiungere gli obiettivi prefissati, la Commissione ritiene necessario un coordinamento tra le diverse autorità a livello nazionale e dell’Unione, tra i sistemi di allarme e informazione e i laboratori per condividere le informazioni e adottare le misure atte a gestire una crisi, rafforzando l’approccio One Health: per questo istituisce una Unità di crisi. Nell’Unità di crisi ciascuno Stato Membro, l’EFSA e la Commissione designano un coordinatore che, nell’ambito delle proprie competenze, è incaricato di coordinare, a livello nazionale e dell’Unione, la comunicazione. Compiti di comunicazione dell’Unità sono: • garantire a livello nazionale il rispetto dei principi di trasparenza e della strategia di comunicazione; • contribuire alla definizione di una strategia di comunicazione globale per la gestione degli incidenti o delle crisi derivanti da alimenti o mangimi; • fornire ai responsabili politici consulenze e orientamenti in materia di comunicazione, ad esempio sulle modalità per presentare al pubblico le misure sanitarie adottate; • elaborare messaggi chiave o linee da adottare tra i partner, in caso di incidente o crisi, tramite le reti dedicate o audioconferenze; • diffondere i messaggi chiave sui social media o utilizzando altri strumenti (ad esempio una pagina web specifica), tra i quali la rete di esperti di comunicazione dell’EFSA; • monitorare le reazioni dei media e dell’opinione pubblica (ad esempio sui social media) durante un incidente o una crisi e riferire in merito alla rete; • coordinare gli strumenti di comunicazione basati sulla domanda (ad esempio FAQ, linee di assistenza telefonica, ecc…); garantire la coerenza con le valutazioni del rischio effettuate dall’EFSA e dall’ECDC. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
Belle & Sebastian, Tigermilk
60’s pop butcher di Giovanni Papalato
O
K, va bene. Ho capito che Tigermilk sta per latte di tigre ma è un succo di pesce crudo marinato (ceviche) e che l’immagine in copertina dell’omonimo album di BELLE & SEBASTIAN, in cui un ragazza allatta un tigrotto di peluche comunque non c’entra nulla con carne e affini, oltre ad essere piuttosto provocatoria o naïf, a seconda delle intenzioni, visto il supposto potere afrodisiaco della bevanda in oggetto. Però in questo disco c’è un brano, tra i preferiti per chi scrive tra tutti i lavori della band scozzese, in cui compare la figura di un macellaio in un delirio onirico a tinte 60’s pop. Quindi eccomi a raccontarvi come un disco originariamente stampato nel 1996 in 1.000 copie dalla Electric Honey e successivamente ristampato, tre anni dopo, dalla JEEPSTER sia diventato il primo di una serie di album che hanno creato uno stile e influenzato in maniera indelebile un genere chiamato indie pop. Quello che rende tutto un po’ più speciale, per lo meno bizzarro se siete meno romantici, è il modo in cui tutto è cominciato. STUART MURDOCH, principale autore della band, maratoneta amatore, verso la fine degli anni ‘80 viene colpito dalla Sindrome da Fatica Cronica che lo costringe a cure e riposo per sette anni. In questo lungo periodo, quando è in grado di potersi muovere con una certa autonomia, trova spesso rifugio nel pianoforte e nel suo girovagare sugli autobus di Glasgow, osservando con curiosità e meraviglia ciò che non ha: una vita regolare, addirittura ordinaria, come le persone che si muovono al di là del vetro. Tutto questo finirà nei testi di Tigermilk, come un diario
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intimo e personale che necessita di essere condiviso. Così ci troviamo tra le mani un disco che rinnova una domanda che non ha età, cioè se la narrativa è funzionale alla musica o se è vero il contrario. Una volta guarito, Stuart inizia ad esibirsi in estemporanei piccoli
concerti condivisi, in cui un solo microfono è a disposizione di diversi artisti in ambienti circoscritti e a cercare qualcuno che lo aiuti a realizzare quello che fino ad ora ha solo abbozzato. Si dice addirittura che Murdoch fermasse la gente per strada chiedendo se voleva entrare
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nella sua band. In maniera sicuramente meno estrema, grazie ad un corso professionale per tecnici del suono, conosce STUART DAVID, il suo principale sodale per i successivi 15 anni e quattro meravigliosi album. Tra loro, il batterista RICHARD COLBURN, studente di Economia con specializzazione in Musica, gli permette di venire a conoscenza del fatto che, come lavoro di fine corso, l’etichetta discografica interna all’università, la Electric Honey di cui sopra, avrebbe prodotto e commercializzato un singolo di una band locale. Il singolo Dog On Wheels dei nostri piace così tanto allo Stow College che invece di un 45 giri viene prodotto un intero album in tempi estremi: tre giorni per registrarlo, due per il missaggio. È un successo e iniziano ad arrivare le etichette pronte a volerlo. La scelta di ripubblicarlo con la Jeepster è legato alla totale libertà artistica che Murdoch mantiene. Quello che successe poi è la totale empatia con una parte di generazione sensibile, romantica e perdente che ha trovato nei dischi di BELLE & SEBASTIAN i racconti e le melodie che cercava e non immaginava di trovare. Il brano che apre Tigermilk ha la forza e la gentilezza di un classico. The State that I am in ha una struttura che ricorrerà continuamente nella prima traccia degli album a venire: la sola voce in principio, poi armonicamente si aggiungono i vari strumenti, in un crescendo a cui non si può rimanere indifferenti. Gli archi sanno di tempo che passa e nostalgie, di ineluttabilità, con la tromba che sottolinea ed enfatizza confessioni intime venate di ironia, come quella di un fratello che decide di confessare alla famiglia la sua omosessualità presentandosi il giorno delle nozze della sorella insieme al suo amico marinaio. Il rumore subito dopo l’inizio di Expectations è la zip del maglione abbassata da MURDOCH, che poi più tardi si alza dallo sgabello per ballare. Sono tutti rumori di fondo figli di un’attitudine lo-fi estrema e bellissima.
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La canzone ha echi Smithsiani, soprattutto Headmasters Ritual ed ha tutti i crismi della canzone in cui ci si può ritrovare anche dopo anni: studenti disadattati in cerca e in fuga da un posto, fisico e ideale. Chitarre acustiche si lasciano avvolgere da una tromba lussureggiante e Murdoch, che rassicura il protagonista, non deve farsi trascinare dalle critiche e dalle incomprensioni You’re Cool and You Know. She’s losing it sa di anni ‘20, evocativa e allo stesso tempo presente, grazie a soffici chitarre che reggono tutta la struttura e in cui fiati e archi si alzano su cori armonici. È invece rock and roll la serenata con tanto di handclappping e riff jingle jangle, ad una ragazza che si muove tra sguardi e parole non dette “You’re Just a Baby”. Arriva come un elemento alieno, almeno nei suoni Electronic Renaissance: su questo estremo outrun sonico, Murdoch lascia da parte la chitarra e si infila in Cubase, il primitivo software di musica digitale che lo incuriosiva in quegli anni. Programming e distorsioni parlano di una rivoluzione elettro-pop in corso, in periferia. Voci distorte ci raccontano come la musica techno si inserisca in una città di campanili in pietra, di contrasti e alternative. È la canzone manifesto di chi non si è mai trovato a proprio agio in un certo contesto: You go disco and I’ll go my way. I Could Be Dreaming si apre con un fantastico riverbero increspato che libera un sogno autoindotto, come tanti prima di addormentarci. Il brano cresce in un finale esasperato ed è in questo brano che incontriamo la figura del macellaio di cui parlavamo in principio, fuori dalla bottega, con un coltello fra le mani e una catena, in un delirio onirico in cui tutte le figure e le persone che Murdoch osservava dal bus assumono ruoli diversi a secondo del suo desiderio. In un verso, Murdoch fantastica ancora di salvare una ragazza, questa volta uccidendo il suo amante violento. “Se tu avessi un sogno del genere, ti alzeresti e farei le cose in cui credi?” canta, mentre il vivace la canzone
si mischia alla voce della violoncellista ISOBEL CAMPBELL che recita W ASHINGTON I RVING . È il brano centrale del disco. Non l’autocommiserazione di rinchiudersi tra le pareti della propria camera, ma l’aspirazione ad una dimensione che abbia l’ampiezza dei propri desideri. L’album riprende con un brano carico di orgoglio che racconta di ragazzi che crescono, della loro sensibilità. Chiaramente influenzato da NICK DRAKE, tra suggestioni crepuscolari si emancipano prima un violino e, nel finale, un flauto. Si dice che la luminosa ballata My Wondering Days Are Over sia stata scritta dopo aver conosciuto la bella Campbell, violoncellista e seconda voce. Chissà se è vero o meno, certo ha un respiro ampio e si muove leggera. Il riferimento principale di Murdoch si palesa invece nelle chitarre e nella melodia di I Don’t Love Anyone, quei Felt il cui leader Lawrence era stato addirittura obiettivo di un viaggio a Londra tempo prima. La chiusura spetta a Mary Jo, ad una fantasia nata osservando una ragazza dall’altra parte della strada. Alla sua solitudine, scelta e non imposta, che l’ha resa forte e libera. Che sia reale o immaginaria, la sua storia ha una capacità empatica di rara intensità. Pianoforte e flauto sono ad introdurre un brano che è come un abbraccio. Tigermilk è un disco che porta con sé storie che raccontano STUART MURDOCH e noi stessi. Lo fa con uno stile che mischia folk e indie, estremamente retro e assolutamente slegato da quello che andava nella seconda metà degli anni ‘90 in UK. Coraggioso più che ingenuo, senza virtuosismi, ma assolutamente inedito e in un certo senso rivoluzionario nella semplicità delle sue intuizioni melodiche. Così le fisiologiche ingenuità di un saggio di fine corso sono state vinte dalla bellezza di guardare alla vita e sentirsi forti nella propria sensibilità. Giovanni Papalato Nota A pag. 166, photo © Lucio Pellacani.
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Come scegliere, lavorare e cucinare la carne bovina
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cco un testo che insegna ai ristoratori ad acquistare bene la carne, lavorarla altrettanto bene e cuocerla ancora meglio, dal momento che ogni taglio, in funzione di tante cose, soprattutto quanti grassi e quanti tessuti connettivali, ha tecniche di cottura che lo esaltano e altre che lo penalizzano. Ma con un occhio più che attento al food cost. Un libro decisamente utile, tecnico, ma anche di facile consultazione, frutto dell’esperienza dello chef ALBERTO CITTERIO, maturata in vent’anni di professione nelle migliori cucine della grande ristorazione italiana e internazionale. L’introduzione di Allan Bay “La tendenza della ristorazione contemporanea è la specializzazione, a discapito — lasciatemi dire, giustamente — di ristoranti senza un’anima e un’identità precise. Facciamo un esempio, uno fra i tanti possibili: un ristorante decide di comunicare l’idea di carne, ovvero che propone ad alto livello una buona selezione di carni. Una cosa giusta oggi, dato che nei consumatori seri di carne è sempre più diffusa la voglia di consumarne meno, ma più buona, non certo la mitica fettina di fesa… E questo dà spazio ai ristoranti che la propongono. La carne che un ristorante acquista però troppo spesso, per comodità e pigrizia, è a base di tagli conosciuti, pratici, di facile gestione e soprattutto di facile vendita. Un esempio? Il filetto. Bene. In questo libro di filetto non si parlerà proprio, o quasi… Per un motivo, soprattutto. Il classico filetto, soprattutto se acquistato già porzionato e sottovuoto, aperto dal sacchetto e messo in padella, ha costi alti che incideranno sul food cost, minando la redditività della cucina e obbligando a vendere a prezzi alti, quindi meno. Questo testo insegna invece ad acquistare bene la carne, lavorarla altrettanto bene e cuocerla ancora più bene; che ogni taglio, in funzione di tante cose, soprattutto quanti grassi e quanti tessuti connettivali, ha tecniche di cottura che lo esaltano e altre che lo penalizzano. Ma con un occhio più che attento al food cost. Questo troverete in questo libro. È frutto delle esperienze e della competenza di Alberto Citterio, che conosco e stimo da una vita, eterogenee e maturate in ben 20 anni e più di vita in cucina, dalle top cucine gourmet a quelle che producono con numeri interessanti. Quindi, riassumendo, questo libro ha due scopi. Primo: far aprire gli occhi su tutti i tagli di carne che — con un giusto approccio tecnico — possono migliorare le proprie caratteristiche e che verranno utili per confezionare piatti di qualità; anche con quelle che sono considerate carni meno nobili (ma per me altrettanto nobili) perché, a patto di conoscere le procedure corrette, nobilitano le loro caratteristiche e di conseguenza il lavoro del cuoco. Secondo, anche più importante, anzi è una vera mania di Alberto e mia: avvicinarsi con il giusto approccio all’acquistare in grosse parti anatomiche, da sezionare poi
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ALBERTO CITTERIO, a cura di ALLAN BAY W la ciccia. Come scegliere, lavorare e cucinare la carne bovina. 196 ricette, 22 tecniche da applicare Editrice italiangourmet (shop.italiangourmet.it) 256 pp – € 72,00 al ristorante. O nel peggiore dei casi — soprattutto per chi si ostina a comprare i pezzi già sezionati — per capire che cosa il nostro fornitore ci sta portando: siamo sempre certi di capire che ci hanno veramente consegnato ciò che avevamo ordinato? E se non avete lo spazio per lavorare un’intera mezzena, c’è una soluzione facile: comprarla e chiedere al macellaio di porzionarla come volete voi. Poi vi manderà i vari tagli nel classico sottovuoto. Un buon compromesso, direi. Lo so, a comprare una mezzena costa una doppia fatica: saperla lavorare, questo il libro racconta, e poi saper proporre ai clienti tagli senza dubbio meno conosciuti, che facile non è, ma è compito di cucina e sala saperlo fare. Però si guadagna bene, il che non è poco, e si fa anche “bella figura”, che proporre piatti meno scontati alza la visibilità. Senza dimenticare che conoscere queste procedure male non fa alla crescita professionale di un cuoco, che più sa, più vale… Fidatevi, è una cosa e furba e intelligente. Via con la mezzena!”.
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