Premiata Salumeria Italiana 2-2020

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXII N. 2 Marzo-Aprile 2020

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N. 2

€ 6,70 Anno XXXII Marzo-Aprile 2020

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura

Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin EURO ANNUARIO CARNE 2020

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2020 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com —Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Premiata Salumeria Italiana, 2/20

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

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N. 2

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

In questo numero:

Tendenze

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Salumi & Co.

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Fotografati e mangiati

14

Calendario fiere

Fiere, eventi, convegni 2020

Attualità

Covid-19, tra paura e speranza

16 Sebastiano Corona

22

Se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo

Carlo Petrini

28

La rima baciata tra ecosistema e mercato

Sebastiano Corona

30

Salumeria 4.0 ai tempi del Covid-19

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A pagina 60.

Premiata Salumeria Italiana, 2/20

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Salumi in copertina

La Mortadella di cinghiale Fattoria Zivieri

34

Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

36

Aziende

Maison Bertolin, la magia del Lardo d’Arnad Dop e dei salumi valdostani

Massimiliano Rella

40

Sapori d’Ampezzo, dove la qualità incontra le tradizioni della Carnia

44

I suoi primi 60 anni

48

Il sale non fa i miracoli

Indagini

Elena Benedetti

52

La passione nel mondo del prosciutto

Elena Benedetti

60

Fiego-Fattoria Brigantesca, salumificio rurale artigiano sulla Sila Piccola

Massimiliano Rella

64

Dove va il consumatore di salumi?

70

Monoporzioni, dimmi come compri e ti dirò chi sei

Sebastiano Corona

Mercati

Salame Felino Igp: 75 milioni di euro di fatturato per il comparto nel 2019

Prodotti tipici

Salumificio Santa Barbara: piccanti bontà della norcineria di Calabria

Week-end

Da Langhirano a Felino: le terre del Prosciutto

Belle Botteghe

Le Botteghe Storiche di Genova, scrigno di cultura e tipicità

Massimiliano Rella

Locali di gusto

Una carta dei salumi

Gaia Borghi

Fiere

Aspettando Cibus 2020

76 82

Massimiliano Rella

86 90 96 100 104

Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXXII N. 2 Marzo-Aprile 2020

S T O P € 6,70

A pagina 70.

In copertina: primavera green con la Mortadella di cinghiale di Fattoria Zivieri (photo Luca Monaco).

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Formaggio

La Musulupa

Riccardo Lagorio

106

Vino

Cagnulari, tesoro ritrovato di Sardegna

Riccardo Lagorio

108

Il vino ancestrale di TerraQuilia

Federica Cornia

112

L’artefice del risveglio enologico romagnolo

116

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Colomba

Laura Franchini

Dolci

I dolci della Risurrezione

Sebastiano Corona 122

Tecnologie

Le soluzioni IT per la pianificazione della produzione portano maggiore flessibilitĂ e riducono i costi

Sono 180 grammi, lascio? Tra sacro e profano Libri

Tre libri

118

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A pagina 40. A pagina 122.

A pagina 108.

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Premiata Salumeria Italiana, 2/20


Salumi artigianali e di filiera

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TENDENZE Il Gorgonzola Dop è il cibo più cercato dai food traveller internazionali

Lo dice il “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2020”, che fotografa le dinamiche per cui i turisti internazionali arrivano nel nostro Paese. Dal rapporto redatto da ROBERTA GARIBALDI, in collaborazione con la World Food Travel Association e l’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, il Gorgonzola DOP risulta infatti il prodotto italiano più ricercato sul web in base ai dati raccolti da SEMrush: al comando della classifica da tre anni, è seguito dalla pizza napoletana e dal Parmigiano Reggiano. La parola d’ordine sembra essere l’autenticità del prodotto: la possibilità per i food traveller di fare un’esperienza culinaria memorabile in cui gustare cibi tipici rappresenta il 71% delle motivazioni di scelta nelle destinazioni. «Considerando che le visite ai caseifici sono risultate essere tra le esperienze con il più alto gap tra fruizione effettiva e desiderio — commenta la Garibaldi — è chiaro come queste siano proposte da valorizzare e implementare» (fonte: ufficio stampa Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola).

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Strada Comunale del Cristo, 12/14 41014 Solignano di Castelvetro - MO - Italy Tel. +39 059 532007 - Fax +39 059 532038 www.bpprosciutti.it - www.suincom.it


SALUMI & CO.

PASSIONE

per la carta Sacchetti, contenitori, borse “per vivere ogni giorno con rispetto verso le persone, la bellezza, la cultura e la natura”. Ci piace la filosofia alla base della produzione di ESSENT’IAL, azienda carpigiana che crea prodotti resistenti, lavabili, utili e, perché no, anche molto belli (instagram.com/essential_italy). www.essent-ial.com

Salumi d’arte CONTEMPORANEA MANUEL FRANQUELO GINER (www.manuelfranqueloginer.com) è un giovane artista spagnolo che in una serie di installazioni ha realizzato opere in silicone che rappresentano fette di salumi, da appendere a parete. La mortadella è tra le nostre preferite (photo © instagram.com/mfranqueloginer).

Poster

VINTAGE Sono quel mix perfetto tra modernità e passato che cattura l’attenzione e ci rimanda a quei sapori dal gusto un po’ retrò che sembrano sempre più autentici. Anche per decorare l’interno della propria bottega! Sul web c’è un’ampia offerta. Questo poster è di vintagewallgraphics.patternbyetsy.com

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


FOTOGRAFATI E MANGIATI

COGLIONI DI MULO o mortadella di Camposanto Produttore: Peppone Salumi (Salumificio Peppone Srl).

www.salumificiopeppone.com

Regione: Abruzzo. Ingredienti: carne di suino, sale, pepe, aglio. Senza: glutine. Descrizione: è un salume che si ottiene dalla lavorazione di carne scelta di prosciutto macinata finemente, arricchita da un cuore di lardello. Si procede poi a legatura a mano con il caratteristico tralcetto di olmo che viene stretto con il procedere della stagionatura. In abbinamento a: pizza scima, una croccante focaccia tipica della cucina abruzzese.

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Produttore: Levoni Spa. Regione: Sicilia. Ingredienti: carne di suino, sale marino, pepe, spezie. Senza: glutine. Descrizione: è un salume che si ottiene dalla lavorazione di carni selezionate tagliate a coltello e cubetti di pancetta, poi aromatizzati con sale marino, pepe frantumato e una selezione di spezie. Oggi è il salame siciliano per eccellenza, nato intorno agli anni ‘50 e di esclusiva ricetta Levoni, a marchio registrato.

www.levoni.it

In abbinamento a: pane mafalda, molto diffuso nella provincia catanese, viene realizzato con semola di grano duro e la superficie è ricoperta da semi di sesamo.

PAISANELLA siciliana

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CALENDARIO FIERE

Fiere, eventi, convegni

2020

I

n considerazione della situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo a livello nazionale e internazionale e delle misure preventive prese dal Governo per contrastare la diffusione del virus Covid-19, riteniamo opportuno ripubblicare l’elenco di fiere, eventi e convegni per l’anno in corso aggiornato al momento della messa in stampa della rivista (marzo 2020). Resta, comunque, l’incognita di ulteriori possibili spostamenti e cancellazioni che vi comunicheremo di volta in volta sulla rivista, sia nella versione cartacea che on-line.

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ITALIA TASTE E FUORI DI TASTE Salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle Firenze, Stazione Leopolda 5-7 giugno Organizzazione: Pitti Immagine info@pittimmagine.com pittimmagine.com/corporate/fairs/ taste.html iMEAT FARM – Convegno esposizione dedicato alle carni d’eccellenza, dall’allevamento alla vendita, alla ristorazione Modena, 8 giugno Organizzazione: Ecod Srl info@imeat.it www.imeat.it VINITALY – Salone internazionale dei vini e distillati SOL & AGRIFOOD Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità Verona, Veronafiere 14-17 giugno Organizzazione: Veronafiere www.vinitaly.com www.solagrifood.com B/OPEN – Bio foods & natural self-care trade show Verona, Veronafiere 22-24 giugno Organizzazione: Veronafiere info@b-opentrade.com www.b-opentrade.com

Premiata Salumeria Italiana, 2/20

MEATY – Innovazione per l’industria delle carni Bologna, Bologna Fiere 26-27 giugno Organizzazione: Ecod Srl www.ecod.it IDENTITÀ GOLOSE Milano, MiCo – Milano Congressi 3-5 luglio Organizzazione: Magenta Bureau info@magentabureau.it www.identitagolose.it CIBUS – Salone Internazionale dell’Alimentazione Parma, Fiere di Parma 1-4 settembre Organizzazione: Fiere di Parma Spa cibus@fiereparma.it www.cibus.it SANA – Salone internazionale del Biologico e del Naturale Bologna, Bologna Fiere 11-14 settembre Organizzazione: BolognaFiere Spa sana@bolognafiere.it www.sana.it GOURMANDIA Treviso, OpenDream Ex Area Pagnossin 12-14 settembre Organizzazione: Gastronauta® info@gastronauta.it gourmandia.gastronauta.it

SALUMI DA RE Polesine Zibello (PR), Antica Corte Pallavicina 26-28 settembre Organizzazione: Gambero Rosso gambero@gamberorosso.it segreteria@salumidare.it www.salumidare.it FLAVOR – The premium Ho.re.ca. trade event Firenze, Fortezza da Basso 4-6 ottobre Organizzazione: Pitti Immagine Fiere di Parma exhibitor@flavorfirenze.com www.flavorfirenze.com TERRA MADRE SALONE DEL GUSTO Torino, Lingotto Fiere 8-12 ottobre Organizzazione: Slow Food info.eventi@slowfood.it salonedelgusto.com – www.slowfood.it ROMA CHAMPAGNE EXPERIENCE Roma, Fiera Roma 18-19 ottobre Organizzazione: Club Excellence info@champagneexperience.it champagneexperience.it GOLOSARIA Milano, MiCo – Milano Congressi 31 ottobre-2 novembre Organizzazione: Comunica Srl info@comunicaedizioni.it www.golosaria.it

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ESTERO SUMMER FANCY FOOD SHOW New York (USA) 28-30 giugno Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 www.specialtyfood.com

ALIMENTARIA – INTERCARN HOSTELCO Barcellona (Spagna) 14-17 settembre Organizzazione: Alimentaria Exhib. www.alimentaria.com www.hostelco.com

ANUGAFOOD CHINA Shenzhen (Cina) 8-10 luglio Organizzazione: Koelnmesse Srl www.koelnmesse.it www.anufoodchina.com

SIAL INDIA Nuova Delhi (India) 17-19 settembre Organizzazione: Promosalons Inter Ads Exhibitions www.sial-network.com

SIAL MONTRÉAL Montréal (Canada) 5-7 agosto Organizzazione: Expo Canada-France www.sial-network.com www.sialcanada.com MEATOPIA Londra (Regno Unito) 4-6 settembre Organizzazione: Meatopia UK meatopia.co.uk

THAIFEX ANUGA ASIA Bangkok (Tailandia) 22-26 settembre Organizzazione: Koelnmesse Srl Tel. 02 8696131 www.koelnmesse.it – www.thaifex-anuga.com SIAL CHINA Shanghai (Cina) 28-30 settembre Organizzazione: Comexposium Paris Tel. + 33 1 7677 1333 exhibit.sialchina@sial-network.com www.sialchina.com

FOODTECH BARCELONA Barcellona (Spagna) 6-9 ottobre Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentariafoodtech.com SIAL PARIS – Salone Internazionale dell’Alimentazione Parigi (Francia) 18-22 ottobre Organizzazione: Comexposium www.sialparis.com PLMA INTERNATIONAL Amsterdam (Olanda) 2-3 dicembre Organizzazione: Private Label Manufacturers Association Tel. +31 20 5753032 www.plmainternational.com INTERPACK Processing & Packaging Düsseldorf (Germania) 25 febbraio-3 marzo 2021 Organizzazione: Messe Düsseldorf www.interpack.com

Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.

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Il settore delle carni suine e dei salumi non si ferma ed è al fianco dei consumatori e dei lavoratori «Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutte le aziende e ai lavoratori che con grande senso di responsabilità e profondo spirito di servizio stanno portando avanti il loro lavoro». Lo ha dichiarato Davide Calderone, direttore di ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi. «Ai cittadini garantiamo il massimo impegno, non solo per assicurare loro i prodotti di cui hanno bisogno ma anche per rafforzare e consolidare misure di tutela del personale affinché nessuno corra inutili rischi». Il decreto del Presidente del Consiglio, emanato l’11 marzo scorso, garantisce la prosecuzione dell’attività produttiva della filiera delle carni e, nel rispetto delle rigorose indicazioni igienico-sanitarie che prevede, le aziende hanno adottato tutti i necessari protocolli di sicurezza, promosso nuove misure di prevenzione, dotato il personale di ulteriori dispositivi di protezione individuale. «È fondamentale in questo frangente assicurare alle aziende che restano operative la disponibilità di materiale di protezione individuale che inizia purtroppo a scarseggiare. Anche su questo siamo pronti a coordinarci col Governo per individuare le migliori soluzioni per il Paese. L’obiettivo dell’intera filiera, di tutto il settore, è assicurare la continuità della produzione e la salute di tutti i lavoratori in un momento in cui l’approvvigionamento alimentare è fondamentale per tutta la popolazione. Al nostro fianco ci sono sempre i servizi veterinari, che continuano a svolgere con grande dedizione tutte le attività finalizzate a garantire la sicurezza alimentare e la sanità e il benessere animale» (fonte: ufficio stampa ASS.I.CA.).


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ATTUALITĂ€

Covid-19, tra paura e speranza Il Belpaese in piena pandemia, incerto sui passi da fare, con il desiderio di guardare avanti e la preoccupazione che niente torni piĂš come prima di Sebastiano Corona

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È La malattia provocata dal nuovo coronavirus ha un nome: “Covid-19”, dove “Co” sta per corona, “Vi” per virus, “D” per disease e “19” l’anno in cui si è manifestata.

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successo l’imprevedibile. Quello che non ci saremmo mai aspettati. Quello che si sente nei racconti del passato, ma che pensiamo non possa più capitare. Non a noi. E invece eccoci a parlare di un virus che sta piegando un’intera nazione e i cui effetti, al momento in cui scriviamo, non si sono probabilmente del tutto manifestati. Non sappiamo, infatti, se siamo agli albori, nel mezzo o alla fine di un fenomeno che ha effetti sulla vita del nostro Paese, da ogni punto di vista. Certo è che, seppur riuscissimo d’ora in poi ad arginare il virus e a contenerlo, i danni sarebbero comunque incalcolabili, l’economia in ginocchio, la sanità al collasso, l’immagine del Paese compromessa sul lungo termine. A ripercorrere l’evolversi del problema negli ultimi mesi in Italia, è impressionante osservare l’approccio nel tempo. Dopo una prima fase di reazione del mondo economico, con un’alzata di scudi perché la vita continuasse nel solito modo, si è assistito ad una graduale presa di coscienza del fatto che non si potesse gestire come ordinaria una situazione completamente nuova e assolutamente preoccupante. Dopo un tentativo diffuso di andare avanti senza grandi variazioni di programma nell’agenda del Paese, ci si è dovuti purtroppo rassegnare al fatto che niente, in questa prima parte del 2020, potesse continuare come se nulla fosse. Stessa cosa è accaduta ad altri Paesi a noi vicini. Il dubbio tra la sottovalutazione del pericolo e la sua reale portata; l’incertezza sul da farsi; la percezione, almeno iniziale, di una scarsa capacità del Governo di gestire fatti così gravi; la mancanza di una linea comune tra enti e soggetti a vario titolo preposti; i pareri di virologi ed esperti, spesso molto discordanti tra loro e per pertanto fortemente fuorvianti: tutto questo e molto altro hanno contribuito nella prima fase a complicare una situazione già di per sé grave, da diversi punti di vista. Che poi è sfuggita di mano. L’assenza di una voce autorevole e ufficiale, di un soggetto istituzionale che parlasse in maniera realistica al Paese, dando la portata del fenomeno senza sottovalutarlo, né creare allarmismi, ha

dato spazio ad un rincorrersi di notizie infondate o incerte, speculazioni, bufale, ipotesi e molto altro ancora, che non ha fatto che generare confusione, paura, talvolta cattiveria gratuita a danno di persone o imprese. A tutto questo, si è aggiunta la continua fuga di notizie dalle istituzioni, su questioni tutte da confermare, un rincorrersi di fake news, spauracchi, di commenti anche di addetti ai lavori, uguali e contrari tra loro, con la diretta conseguenza che non si sapesse bene cosa fare per molto tempo. Un capitolo a parte meriterebbe l’assordante silenzio dell’Europa e la presa di distanza, la mancanza di supporto, anche solo simbolico, dei Paesi a noi più vicini, prima che la situazione precipitasse anche in casa loro. Ma questo è un altro discorso e non mancheranno le occasioni per affrontarlo. Una parte dell’opinione pubblica ha ritenuto per lungo tempo e tuttora crede sia stata la stampa a dare un’eccessiva enfasi ad un fenomeno che non aveva invece un impatto così disastroso. È difficile dare un giudizio, infatti, quando i precedenti dimostrano proprio questo. Negli ultimi decenni hanno fatto scuola la Sars e l’Aviaria: un clamore mediatico spropositato per delle patologie che ci hanno riguardato solo parzialmente e che, pur non avendo avuto grande impatto in Italia, hanno comunque generato danni economici ingentissimi. Gli esempi, fortunatamente meno gravi, si sprecano e sono tutti relativi a vicende che dimostrano che le bufale, l’eccessivo allarmismo e un’enfasi inopportuna — rivolta, tra l’altro, verso i non addetti ai lavori, verso chi si ferma a leggere i titoli, verso chi non è in grado di comprendere adeguatamente certi fatti — possono avere conseguenze nefaste, per interi territori o per interi settori. Insomma, a gridare a lupo al lupo si possono fare danni e qui è forse successo proprio questo: che quando il lupo è arrivato davvero, non c’era nessuno a proteggere gli agnelli. Non sappiamo come andrà da oggi in poi, seppur le notizie siano allarmanti e l’evoluzione molto rapida, sinora sempre in negativo. Al netto della sanità al collasso, si può fare una prima conta dei danni

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Le nuove tecnologie ci permettono di fare tanto a distanza, ma nel nostro Paese sono ancora sottoutilizzate. Eppure, laddove possibile, sarebbero un toccasana per ambiente, economia e società (photo © BullRun – stock.adobe.com). economici sinora registrati: divieto di circolazione in intere aree del Paese, centinaia di migliaia aziende chiuse, per decreto o per scelta; divieto di svolgimento di assembramenti e di qualunque attività sociale; la logistica ingessata, migliaia di eventi annullati o rinviati, iniziative pubbliche e private cancellate definitivamente, centinaia di fiere posticipate, molte delle quali internazionali, alcune tra le più quotate al mondo per i settori di riferimento, non ultime Vinitaly, Cibus e Salone del Mobile, che per il made in Italy sono appuntamenti imperdibili e di grandissimo impatto per tutta la nazione. Un disastro immane per un Paese, il nostro, che ha come principale motore il

turismo. L’evoluzione di tutto questo è un drastico calo delle prenotazioni, il rinvio dell’apertura delle strutture ricettive per la Pasqua e l’inizio ritardato di una stagione estiva che si preannuncia a dir poco nefasta. Un’ecatombe economica che non avremmo mai potuto immaginare così vasta, a cui non eravamo preparati, che non sappiamo quando e come finirà. Al mancato arrivo dei consueti flussi turistici dall’estero, si affiancherà, nei prossimi tempi, l’impossibilità di contare su spostamenti interni al Paese, la paura di frequentare locali pubblici e contesti con assembramenti di persone. Nella fase iniziale, quando l’unico Paese interessato nell’Europa occiden-

È il momento per costruire un grande piano di rilancio degli investimenti, forse con ritardo rispetto alle necessità che già il Paese avvertiva prima della catastrofe. Ora questa esigenza richiede risposte e le richiede in maniera improcrastinabile

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tale era il nostro, al timore o all’impossibilità vera e propria di raggiungere e poi lasciare l’Italia, si è aggiunta la diffidenza, dentro e fuori dai confini. Ci è, infatti, voluto un decreto per introdurre sanzioni a carico di chi, approfittando di situazioni di allarme sociale, mette in piedi pratiche commerciali scorrette, non ultime quelle che riguardano la richiesta di certificazioni in merito al coronavirus per i prodotti agricoli italiani destinati all’export e non solo. Ignoranza, speculazione, paura, sono infatti tutti elementi che, oltre a gettare un velo di diffidenza verso i nostri territori, hanno fatto prendere le distanze dalle produzioni locali. Quelle alimentari in testa. Alcuni Paesi, tra l’altro ignorando completamente i trattati europei sulla libera circolazione delle merci, hanno iniziato a chiedere la certificazione su alcuni alimenti nostrani tra i più rinomati e controllati. Così come era evidente sin da subito, una malcelata diffidenza della Grande Distribuzione internazionale verso il made in Italy. Persino la Bellanova ha sottolineato che la presa di posizione di alcune catene della Grande Distribuzione europea e non solo, che chiedevano garanzie sulla sicurezza degli alimenti provenienti dall’Italia, ancorché illegittima e ingiustificata, avrebbe potuto causare il blocco delle esportazioni di prodotti italiani. Ma in una situazione simile, mai vista nella storia recente, a cui non siamo oggettivamente impreparati né come istituzioni, né come privati, quale può essere la speranza per il futuro? Quale può essere il nostro piano b, ma, soprattutto, cosa possiamo imparare da questa vicenda che non sappiamo come, quando e se verrà meno nel medio periodo? Un nuovo modo di pensare, agire, lavorare Di fronte ad una condizione che non abbiamo mai affrontato, dobbiamo considerare l’idea di fare cose che non abbiamo mai fatto. Anzi, forse paradossalmente questa è l’occasione per fare di vizio, virtù, e provare a considerare attività, comportamenti o azioni nuove. Frastornati da un fenomeno che ogni giorno si mostra più grave ed

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aggressivo, dovremmo forse ragionare su azioni per noi insolite o ancora poco frequenti. Il Paese non si può e non si deve fermare e, al modo di lavorare di una volta, dobbiamo iniziare ad affiancare ipotesi nuove. Le attività che non richiedono la presenza fisica del lavoratore in azienda, anche per evitare inutili contatti interpersonali che possono ulteriormente diffondere il virus, devono potenziare lo smart working o il lavoro in remoto. La sua disciplina, operativa da qualche anno, lo qualifica come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, in cui la prestazione viene eseguita senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ma oggi in Italia è ancora molto poco praticata. Se venisse estesa in ogni luogo in cui è possibile, consentirebbe di continuare il proprio operato senza fermare l’azienda. Sarebbe, inoltre, un modo per evitare spostamenti di lavoratori che comportano altresì costi e un certo impatto per l’ambiente. Stessa cosa dicasi per tutte le occasioni di incontro aziendale interne, che possono essere realizzate anche in futuro, in modalità digitali. Questa potrebbe paradossalmente essere l’occasione, per l’Italia, per incentivare modelli di lavoro che sono anche una grande opportunità di conciliazione, per esempio, della vita professionale con quella familiare. Le nuove tecnologie ci permettono di fare tanto a distanza, ma nel nostro Paese sono sinora sottoutilizzate. Allo stesso modo, andrà forse rimesso in discussione il modello turistico sinora applicato, soprattutto in certe regioni d’Italia, dove il fenomeno ha più una dimensione di massa e di quantità di presenze che di qualità di servizio e di target. Abbiamo un patrimonio enorme, da ogni punto di vista, che tuttavia è soggetto ad un carico, soprattutto stagionale per alcune regioni, che l’ambiente, l’organizzazione interna, il territorio nel suo complesso, non saranno in grado reggere sul lungo periodo, a prescindere dalla pandemia. Questa è l’occasione per rivederne l’impatto e pensare ad una nuova idea di Italia del turismo. La ristorazione ha dovuto chiudere i

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Già lo scorso anno, il food delivery si confermava un comparto vincente, con 566 milioni di euro e una crescita del +56% sul 2018 (fonte: Osservatorio eCommerce B2c). battenti, ma questo non significa che non se ne senta più la necessità. La domanda, già da tempo, si sta spostando sempre più sull’asporto. Chi opera nel campo deve mostrare la flessibilità necessaria per attivare un servizio che magari prima non garantiva, ma che può essere ciò che salva i bilanci in un inizio anno così nefasto. D’altronde il delivery sta dando grandi soddisfazioni, a prescindere da questo momento storico senza precedenti. Stessa cosa dicasi per le attività commerciali di alimentari che non avevano il servizio di consegna a domicilio. Questa è l’occasione per attivarlo, in un Paese dove l’età media è talmente alta che se ne sente la necessità in maniera permanente. È il momento per costruire un grande piano di rilancio degli investimenti, forse con ritardo rispetto alle necessità che già il Paese avvertiva prima della catastrofe. Ora questa esigenza richiede risposte e le richiede in maniera improcrastinabile. Chissà che questa pandemia, che ci ha colto con il nervo scoperto di chi non produce più molte cose, non ci riconduca finalmente all’economia reale,

quella da cui nessun Paese dovrebbe allontanarsi mai. Nessuno ha ricette valide per una situazione straordinaria e mai vista nella storia recente, che di ora in ora si fa sempre più grave, sotto ogni profilo. Si apprezza tuttavia la decisione di alcuni di rilanciare il “mangia italiano”. Un’azione che non dovrebbe riguardare solo il cibo, ma anche le vacanze, le abitudini di consumo a 360 gradi, tutto ciò che produciamo e che dobbiamo tornare ad acquistare, per quanto possibile, in casa. Stiamo vedendo tempi bui e non sappiamo come saranno i prossimi giorni, le prossime settimane, i prossimi mesi. Quello che sta accadendo è una novità nella storia recente, ma conforta il fatto che come anche dopo la Sars e il terrorismo la ripresa è stata sempre rapidissima. Ci auguriamo che accada anche stavolta, complice, la nostra voglia di ricominciare e voltare pagina. Non abbiamo idee chiare su ciò che faremo domani. Ma non ci abbatteremo, questo è certo! Suvvia, siamo Italiani. Sebastiano Corona

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Salumeria 4.0 AI TEMPI DEL COVID-19

L’

emergenza sanitaria che stiamo vivendo in queste settimane ha modificato profondamente le nostre abitudini. È in corso un’accelerazione dei mutamenti di comportamento presso i consumatori, che si trovano a dover affrontare limitazioni negli spostamenti e nelle modalità d’acquisto. La tecnologia è dalla nostra parte, gli strumenti per offrire un’esperienza di spesa alternativa anche. Ecco qualche idea per rendere la propria bottega sempre più aperta e interconnessa con la community di clienti.

Distributori e dispenser Ecco una soluzione per fare la spesa in autonomia dentro o fuori dall’esercizio commerciale. Le vending machine di DF Italia (www.dfitalia.com) distribuiscono un’ampia gamma di prodotti alimentari, tra cui carne, salumi, vino, olio, acqua, pesce, bibite, snack, latte, yogurt, formaggi, frutta, verdura, dessert e surgelati. L’offerta di distributori comprende la gestione di prodotti freschi a temperatura 12/15 °C, refrigerati a 0/4 °C e surgelati a –18/–24 °C. I distributori di DF Italia sono caratterizzati da un elevato isolamento termico. Grande capienza di prodotti, un ampio sportello di prelievo, un multisistema di pagamento, GSM/e-mail e telemetria e un ascensore salva-prodotto.

Shop on-line Vendere on-line è molto più semplice di quanto si creda. Oggi esistono tante piattaforme che in pochi passaggi consentono di caricare i prodotti, le quantità e di essere on-line velocemente. Un esempio su tutti è Shopify (it.shopify.com), il più avanzato sistema di e-commerce oggi in circolazione, che permette di creare il proprio negozio on-line in modo semplice ed efficace e di iniziare subito a vendere on-line, anche con poche competenze tecniche (photo © Rawf8 – stock.adobe.com).

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Celle refrigerate per il ritiro spesa Le comode cassette refrigerate ubicate fuori dal negozio ospitano la spesa fatta precedentemente al telefono e recuperabile a qualsiasi orario. E il pagamento? Avviene nel momento del ritiro tramite il terminale di pagamento elettronico (in foto a lato, le celle di Meatery a Valdaora, in provincia di Bolzano; photo © Meatery).

Vendi su Instagram Perché non utilizzare il canale social di Instagram che oggi è quello in maggior trend di crescita? Abilitando i cosiddetti shoppable post di Instagram, i tuoi clienti possono acquistare in pochi click i tuoi prodotti. Per farlo apri un account business. Come si legge sul sito di Salvatore Aranzulla, www.aranzulla.it, “gli account business si distinguono da quelli standard (che sono destinati solo ai fini personali) per svariate funzioni aggiuntive: gli insight, per scoprire di più sui propri followers e sulle prestazioni dei propri post, la possibilità di creare promozioni e aggiungere informazioni ad hoc sulla propria attività (come il numero di telefono, l’e-mail e il luogo in cui ci si trova) e altro ancora” (photo © Aleksei – stock.adobe.com).

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Se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo di Carlo Petrini

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asseggiando per la mia piccola città nei giorni precedenti il Natale saltavano agli occhi negozi, solitamente presi d’assalto per gli ultimi regali, molto più vuoti, e il consueto brulicare dei ritardatari del dono un po’ meno intenso. Per contro, a dominare strade e marciapiedi erano i furgoni dei corrieri, trafelati nel distribuire a domicilio pacchi e pacchetti. Il segno dei tempi. Ciò che sta cambiando è l’aspetto stesso delle nostre città e della nostra socialità. Se con l’epopea dei supermercati e degli ipermercati abbiamo svuotato i nostri centri storici per riversarci in capannoni periferici pieni di ogni ben di dio, oggi, trent’anni dopo, assistiamo a una nuova trasformazione epocale. Il consumo abbandona la dimensione della relazione diretta tra chi compra e chi vende per diventare una pratica

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eterea, che annulla la distanza tra un clic sulla tastiera di un PC o di uno smartphone e la materializzazione dell’oggetto fisico. Eppure, dietro la facilità di acquisto e la consegna immediata esiste un mondo a tinte fosche. Da una parte sorgono magazzini centralizzati giganteschi per soddisfare necessità di stoccaggio e di “prossimità” alla consegna sempre più impellenti. Un sistema di distribuzione ad alto impatto ambientale per le migliaia di

chilometri imposti da consegne polverizzate e aggravato dall’incidenza dei resi gratuiti. Dall’altra, nasce un nuovo sottoproletariato delle consegne, un esercito di facchini e corrieri impiccati da tempi di delivery stabiliti da algoritmi infallibili e costretti a ritmi di lavoro impressionanti. Sempre più diffusi sono i servizi di consegna a domicilio dei pasti, che utilizzano squadroni di ragazzi in bicicletta che con qualunque meteo non possono sgarrare di un minuto sulla loro

Dobbiamo pensare e realizzare una nuova economia, fondata sui beni comuni e relazionali. In questo le botteghe di prossimità sono un baluardo che non dobbiamo e non possiamo perdere

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Fratelli Ciapponi, negozio storico situato nel cuore della città del Bitto, Morbegno (SO). Una bottega d’altri tempi dove perdersi tra spezie, formaggi e vini di qualità (photo © Massimiliano Rella). serratissima tabella per poter portare a casa, a fine giornata, 6 euro all’ora. Infine, il convitato di pietra al pranzo del consumo on-line: i servizi sono concentrati in pochissime mani che si spartiscono guadagni enormi con minime ricadute su chi sta alla base della piramide. Multinazionali tassate meno dell’edicolante sotto casa o, addirittura, fiscalmente domiciliate all’estero per limitare al minimo il prelievo fiscale. A farne le spese sono le nostre città. Siamo di fronte a un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano: librerie, alimentari, tabaccherie, edicole. L’elenco delle attività che ogni giorno chiudono o vedono scricchiolare la propria stabilità è lungo e in continua crescita. Le stesse organizzazioni di categoria che rappresentano i commercianti non sempre hanno saputo cogliere la portata di questo processo e agire di conseguenza. Eppure, ci rendiamo conto di che cosa sta succedendo? Siamo consapevo-

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li, noi e le nostre istituzioni, che il nostro paesaggio urbano si sta sgretolando in una maniera senza precedenti? Se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo. Se le nostre città perdono i centri storici, non restano che enormi sobborghi residenziali. Se noi perdiamo le nostre relazioni di vicinato, non restiamo che individui consumatori. Per fortuna, un ruolo da giocare ci resta, e può essere quello di protagonisti. Non per arrestare un processo che è storico e probabilmente ineluttabile, ma per dirigerlo e ripensarlo affinché sia positivo e promettente per tutti. Dobbiamo pensare e realizzare una nuova economia, fondata sui beni comuni e relazionali. In questo le botteghe di prossimità sono un baluardo che non dobbiamo e non possiamo perdere. Non solo nei centri urbani, ma anche e soprattutto nelle aree marginali che insieme ai negozietti vedono sparire un pezzo di quella civiltà artigiana che è l’identità del nostro Paese. Un esempio

di successo sono i mercati dei contadini, che fioriscono perché offrono un bene insostituibile: la relazione diretta tra chi produce il cibo e chi lo consuma. E questo non impedisce ai contadini di vendere anche on-line. Forse è davvero il momento di immaginare uno “slow shopping”, un modo nuovo di approcciare il consumo che sia rispettoso dell’ambiente e delle persone che di commercio vivono. Una mobilitazione che guardi al futuro e non al passato, che veda la bottega come paradigma di una multifunzionalità che solo gli strumenti propri della contemporaneità possono offrire e di cui i giovani sono interpreti principali e privilegiati. La modernità risiede nella capacità di usare la tecnologia per vivere meglio, non per abdicare al nostro essere cittadini e ridurci a consumatori senza volto né voce. Carlo Petrini Fonte: Slow Food Italia www.slowfood.it

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La rima baciata tra ecosistema e mercato La sostenibilità ambientale è diventato uno dei valori del Terzo Millennio. È quell’elemento su cui in tanti vorrebbero forgiare la propria quotidianità, nelle abitudini di vita, ma anche nei consumi, non ultimi quelli alimentari di Sebastiano Corona 30

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Non è chiaro se sia paura, pragmatismo, moda o adesione ad un’ideale di vita, ma è evidente che tutte le voci di spesa associate alla sostenibilità crescono. E lo fanno molto velocemente! Allo stesso tempo, la sostenibilità diventa una componente della reputazione d’impresa e un alleato di marketing. I nuovi trend del cibo sono infatti questi: veloce, proteico, sostenibile

Quella dell’ambiente non è solo una battaglia giusta e ormai non più procrastinabile. È anche un’opportunità sul piano commerciale, che tutte le imprese moderne hanno il dovere, oltre che il diritto, di cogliere. Per la propria sopravvivenza e per quella del pianeta

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el termometro delle preoccupazioni degli Italiani il degrado ambientale supera le minacce economiche che pendono sul nostro Paese, che non sono poche. I nostri connazionali, non meno degli europei, sono fortemente turbati per l’inquinamento dell’aria, per il cambiamento climatico, per la carenza e l’inquinamento dell’acqua, l’uso di pesticidi, lo spreco di cibo e l’eccessivo utilizzo di packaging. Gli Italiani si dicono pronti a scelte diverse rispetto al passato, se questo può servire a ridurre l’impatto di certe produzioni sugli ecosistemi. Lo sono di sicuro a parole, visto che numerosi sondaggi sul tema registrano una tendenza forte a modificare abitudini di acquisto e consumo a favore dell’ambiente. Un orientamento riscontrabile soprattutto tra le nuove leve. Il Rapporto Coop 2019, sempre puntuale nel fare un fermo immagine del nostro Paese, segnala l’avanzare della cosiddetta Generazione Greta, rappresentata da quei giovani che — agli antipodi rispetto ai Neet — sono consapevoli dei rischi climatici e per questo votati alla salvaguardia del pianeta. L’82% — sempre secondo Coop — sarebbe disposto a limitare gli sprechi come primo segnale di attenzione. Ma la nuova coscienza collettiva porta anche in tanti a sognare un’abitazione ecosostenibile, automobili ibride o elettriche, persino una cosmesi green. Il paventato aumento della temperatura terrestre, prevista per fine secolo, è una delle spade di Damocle che pendono sulla testa degli Italiani e che crea angoscia, tanto più che si prevede che 143 milioni di profughi cosiddetti “ambientali” giungeranno nei Paesi europei entro il 2050 dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina e si dirigeranno verso Nord. In questo scenario è facile intuire che l’Italia sarà tra i 5 Paesi più vulnerabili del Vecchio Continente. Non è chiaro se sia paura, pragmatismo, moda del momento o adesione ad un’ideale di vita, ma è evidente che tutte le voci di spesa associate direttamente o indirettamente alla sostenibilità crescono. E lo fanno in maniera repentina. Ne sono prova le certificazioni sul

tema che, secondo Coop, registrano nei primi sei mesi dell’anno 2019 una significativa variazione in termini di prodotti venduti. Tra questi la certificazione UTZ, relativa ad una produzione agricola responsabile per l’approvvigionamento di caffè, cacao e tè (+21,5%), il Friend of the Sea (+2,8%) e il BIO, che continua la sua inarrestabile ascesa con un +4,6%. Gli Italiani tentano di dare il proprio contributo alla causa anche in altri modi: l’88% fa la raccolta differenziata in modo meticoloso e il 77% utilizza elettrodomestici a basso consumo energetico. Nel contempo, la sostenibilità diventa una componente fondamentale della reputazione d’impresa e, se saputa comunicare, un ottimo alleato di marketing. I nuovi trend del cibo sono infatti questi: veloce, proteico, ma anche sostenibile. Tra i consumatori di oggi, non manca un folto gruppo — il 68% per l’esattezza — di ecologisti convinti, che si dichiarano favorevoli al pagamento di un supplemento per i prodotti in plastica monouso, in modo che ne venga disincentivato l’acquisto. In nome dell’ambiente i consumatori italiani si rendono disponibili ad essere meno esigenti sul fronte del design e della tipologia di packaging, del brand e della dimensione della confezione, spesso eccessiva e ridondante. In merito al cibo vero e proprio, le rinunce dichiarate sono dirette invece alla varietà di prodotto, al gusto e alla texture. Ma su questi ultimi aspetti la disponibilità a delle rinunce appare decisamente più misurata. In sostanza, l’intenzione a fare dei sacrifici in nome dell’ambiente ci sarebbe — almeno a parole — ma purché il prodotto risponda già a delle caratteristiche precise. Sulle quali in pochissimi sono disposti a soprassedere. Aumenta la richiesta di prodotti locali La distanza tra la zona di produzione e quella di consumo è infatti un elemento che esprime sostenibilità. E che ci siano delle diverse prese di posizione sul tema è dato anche dal fatto che oggi, dopo anni di riduzione dei consumi della carne — tra l’altro da tempo ingiustamente accusata di essere la causa dei peggiori mali che minano l’ecologia del

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Per quanto i connazionali siano coscienti, l’indagine mostra che a tale consapevolezza non si accompagna sempre una reale volontà di agire. Secondo il sondaggio, infatti, l’86% degli intervistati ammette di buttare via del cibo, più o meno regolarmente. Una cosa è inoltre evidente: per 7 Italiani su 10 lo spreco è soprattutto alimentare. Su questo fronte i nostri connazionali si dichiarano infatti per buona parte incapaci di acquistare unicamente o prevalentemente il necessario e spesso gli acquisti finiscono nella pattumiera. Tra questi, soprattutto pane, verdura e frutta e, a seguire, latte e derivati, pasta e carne. Stessa cosa accade al ristorante, dove il 56% di coloro che non consumano quanto ordinato dichiara di vergognarsi a chiedere la doggy bag al momento di lasciare il locale.

Distributori automatici in un negozio di alimentari plastic free (photo © Monkey Business — stock.adobe.com). pianeta! — si registra un +3,5% delle vendite nel 2019, ma tutte concentrate su quella locale. L’italianità è l’altro tema chiave del mercato in questo momento e arriva a contare di più, persino nel confronto sul sapore o il prezzo. Il 78% dei consumatori è rassicurato dall’origine 100% italiana, il cui claim, infatti, segna un +4,8%. L’amore per l’Italia non va inteso tanto o solo come desiderio di contribuire all’economia di questa nazione. È più una questione di sicurezza, nella corretta convinzione che qui vigano regole ferree in materia igienico sanitaria. C’è inoltre un elemento di vicinanza della produzione che significa meno CO2. Se un pesce, proveniente dai mari del Giappone, è stato confezionato in Scozia e poi distribuito in Italia, è evidente che il suo impatto sull’ambiente sia maggiore di quello pescato nel Tirreno, solo per fare un esempio. Fino a qualche decennio fa, il territorio di provenienza di un cibo e quello del suo consumo tendevano a coincidere. Oggi il processo di produ-

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zione è spesso dislocato in vari Paesi del mondo, con conseguenze che non si esprimono solo in termini di costi ed energie per il trasporto, ma anche nello sfruttamento eccessivo di determinate risorse, la tendenza alla destagionalizzazione e l’attivazione di modalità che non sono sempre consone a determinati equilibri naturali. Desideri e realtà: non diminuisce lo spreco alimentare Al di là delle cifre esposte sopra, si rileva un desiderio forte di una quotidianità che rispetti l’ambiente sotto tutti i profili, dall’altra non è scontato che un consumatore sappia davvero regolarsi di fronte allo scaffale. I comportamenti in ambito alimentare che possono essere importanti per limitare l’impatto ambientale non sono così scontati. Che lo spreco di cibo sia un problema che influisce negativamente sull’ambiente è evidente per il 90% degli Italiani secondo il 10 Osservatorio social sugli sprechi alimentari, realizzato dalle app antispreco Too Good To Go e Al.ta Cucina.

Una questione d’orientamento Che non sia così facile orientarsi di fronte allo scaffale quando si vuole fare una spesa che tuteli l’ambiente è dato dal fatto che solo il 41% dei consumatori sostiene di trovare facilmente prodotti green al supermercato. È, infatti, ancora contenuta (16%) la percentuale di aziende che propongono ecosostenibilità in etichetta. Ma come fa il consumatore — che tra l’altro ha talvolta pochissimi elementi a sua disposizione — a valutare se un cibo abbia davvero un basso impatto ambientale? Cosa racconta il packaging, in merito alla sostenibilità di un prodotto? Come riesce il produttore rispettoso dell’ambiente, a far sapere ai suoi clienti che lo è davvero? Dovrebbe essere il produttore o il distributore a dare all’acquirente quanti più elementi possibile. Le modalità sono diverse: l’evidenza dell’utilizzo di materiale riciclato, del Co2 consumato, di sostenibilità in generale. Ancora: le diciture ecolabel, senza fosfati, vegetale, biodegradabile, senza antibiotici, 100% naturale, biologico, ecocert, senza OGM, certificazione di responsabilità sociale, cruelty free. Elementi che hanno un significato importante che va valorizzato di fronte al mercato.

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Questo sì, quello no Rispetto per l’ambiente può tradursi anche in una scelta di campo molto più a monte, come quella di non consumare determinati prodotti. Si pensi alla campagna contro l’olio di palma che — fondata o meno, da certi punti di vista — ha costretto molte imprese a rinunciare a questo ingrediente, segnalandolo orgogliosamente nelle confezioni. Un altro esempio è quello di alcuni prodotti ittici, uno per tutti i ricci di mare. In molte regioni italiane sono pressoché scomparsi dai fondali. In Sardegna sono a forte rischio di estinzione per un prelievo smisurato e continuativo negli anni. La campagna mediatica per scoraggiarne il consumo ha sinora dato risultati discreti, al punto che molti ristoratori si rifiutano di servirli, i consumatori di chiederli e qualche catena distributiva di proporli al cliente, dando una valida alternativa, spiegandone le motivazioni e offrendo così un’immagine della propria insegna, rispettosa degli ecosistemi e dei territori.

Stessa cosa accade quando le maggiori catene della Distribuzione Moderna Organizzata decidono di investire nel prodotto locale, proponendo una o più linee di specialità regionali. Non è tanto o solo una scelta di campo dovuta alla vicinanza al territorio, quanto forse l’aver compreso che chi acquista è sempre più indirizzato verso alimenti prodotti dietro casa. Guerra alla plastica La riciclabilità del packaging è un elemento importante. Lo è per chi acquista, come lo è per chi vende. L’auspicio è che sia sempre riciclabile al 100%, ma solo una percentuale (il 42%) delle confezioni di alimenti vendute, la segnala. Un altro elemento fortemente discusso, soprattutto di recente, è quello della plastica. A questo proposito le attese degli europei sono elevate, così come lo è l’attenzione sul prodotto confezionato con questo materiale. Prendono infatti quota, per i consumatori, anche lo sfuso e il vuoto a rendere. Ma, soprattutto, gli Italiani si aspettano che siano le

aziende ad aumentare notevolmente l’utilizzo di bioplastiche, facendo investimenti nel settore, in ricerca e produzione. La plastica, infatti, nonostante sia un materiale altamente riciclabile, è pur sempre una sostanza che dura secoli, non completamente priva di effetti tossici né in fase produttiva né di smaltimento, ma soprattutto, viene spesso abbandonata nell'ambiente e in quel caso genera danni irreparabili. Ridurre la plastica è dunque un traguardo importante a cui tutte le imprese dovrebbero puntare, sia per una questione di marketing, sia per coscienza e senso di responsabilità. In sintesi quella dell’ambiente non è solo una battaglia giusta e ormai non più procrastinabile. È anche un’opportunità sul piano commerciale, che tutte le imprese moderne hanno il dovere, oltre che il diritto, di cogliere. Per la propria sopravvivenza e per quella del pianeta. Sebastiano Corona Nota A pagina 30, photo © calypso77 – stock.adobe.com


SALUMI IN COPERTINA

La Mortadella di cinghiale

FATTORIA ZIVIERI I

l salume di copertina di questo numero è una mortadella che unisce l’arte salumiera emiliana ad una materia prima che è il prodotto di un territorio incontaminato. Si tratta della Mortadella di cinghiale di Fattoria Zivieri, ramo dell’omonima macelleria, con sede a Zola Predosa (BO), realizzata dalla lavorazione delle carni di cinghiali nati e cresciuti in libertà sull’Appennino tosco-emiliano. Gli alimenti di cui questi animali si nutrono nel corso della loro vita in natura conferiscono al salume un sapore deciso, la cui intensità, in fase di lavorazione, viene enfatizzata ancora di più dalla sola aggiunta delle parti grasse

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dei suini degli allevamenti Zivieri, del pepe nero macinato, del sale di Cervia e dell’aglio di Voghiera DOP. Ad un anno di distanza dalla sua “nascita”, proprio sulla sua mortadella di cinghiale Fattoria Zivieri ha ottenuto il suo primo riconoscimento, aggiudicandosi il primo premio nella categoria “Innovazione nella Tradizione” del Concorso nazionale del Salume d’eccellenza “Pepe e Sale”. La famiglia Zivieri, dal 2013, su input e con il sostegno dell’AUSL di Bologna, della Città Metropolitana di Bologna, dell’Università di Bologna e di Confcommercio Ascom, sta portando avanti — primo caso in Italia — la Filie-

ra di selvaggina cacciata in selezione all’interno dei piani di contenimento faunistico della regione Emilia-Romagna, commercializzando quelle carni che altrimenti sarebbero solo “patrimonio indisponibile dello Stato”. La creazione di questa filiera ha reso possibile, invece, la conoscenza e la diffusione di carni che, provenendo da capi cresciuti in totale libertà, godono di proprietà e valori nutrizionali molto importanti. Le mortadelle di cinghiale prodotte da Fattoria Zivieri hanno tre pezzature: 1,2 kg, 2,5 kg e 6 kg. >> Link: www.macelleriazivieri.it www.fattoriazivieri.it

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena

1. Gabriele Bonci, ci piace pure su Instagram I suoi spunti sono sempre interessanti, così la sua visione della professione a 360°, dalla ricerca delle materie prime migliori, partendo dall’agricoltura, alla lavorazione del prodotto. GABRIELE BONCI, re della panificazione, chef romano e personaggio televisivo, è anche su instagram.com/boncipane con il racconto personale del suo mondo e del suo instancabile lavoro (photo © instagram.com/boncipane).

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2. Retevino Dop-Igp La crescente attenzione che il mondo vinicolo sta ponendo sulla qualità è stata tradotta da ISMEA in una sezione dedicata del suo portale, accessibile al link www.ismeamercati.it/ retevino-dop-igp. L’obiettivo? Essere un punto di riferimento per dati e analisi di un patrimonio vitivinicolo italiano che oggi ha all’attivo 523 DOP e IGP. Bello!

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FOOD Benedetti

3. Canale diretto con i produttori FOODSCOVERY (www.foodscovery.it) è un mercato on-line che consente di ordinare prodotti della gastronomia regionale direttamente dal produttore, sia esso contadino, pescatore, allevatore, trasformatore. In questo modo si saltano i passaggi della distribuzione tradizionale e la compravendita è diretta. Noi li seguiamo su www.instagram.com/foodscovery (photo © instagram.com/foodscovery).

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4. Coppa di Parma Igp, feed perfetto Si dice che il feed di Instagram debba essere un equilibrio bilanciato tra trend di colori, mood fotografico e accenni curiosi. Ecco, il profilo del Consorzio di Tutela della Coppa di Parma IGP è un bell’esempio di comunicazione: l’account instagram.com/coppadiparma è davvero molto bello, tra immagini stilose ma non scontate, il prodotto declinato in tante situazioni di consumo e un comun denominatore che rende questo salume moderno e perfetto per ogni occasione (photo © instagram.com/coppadiparma).

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PREMIATA SALUMERIA ITALIANA, siamo fluidi! La nostra testata PREMIATA SALUMERIA ITALIANA è bimestrale, con i suoi bei 6 numeri all’anno che arrivano a 18.000 operatori del mondo delle salumerie, gastronomie e dell’agroalimentare italiano. Ma forse non tutti sanno che è anche un quotidiano on-line che si può consultare facilmente e liberamente (senza password) al link www.pubblicitaitalia.com/news/food/ Prendendo in prestito dal filosofo Zygmunt Bauman il concetto di società liquida, rinnoviamo il nostro impegno quotidiano a darvi aggiornamenti in tempo reale sul nostro mondo salumiero e carnivoro (photo © Pixel-Shot – stock.adobe.com).

Food delivery, boom per Winelivery Winelivery, l’App per bere!, potenzia il proprio servizio garantendo consegne in 30 minuti e alla temperatura ideale. A partire da Milano, Bologna, Torino ma anche Napoli, Roma, Catania, Firenze, Prato, Bergamo e Rimini, Winelivery supporta chi in questi giorni sta a casa ma non rinuncia ad una buona bevuta. Queste ultime settimane hanno fatto registrare un +25% generale nelle vendite con un +50% nelle città del nord. Le abitudini di consumo dei clienti di Winelivery sono repentinamente cambiate: da un lato è aumentata la frequenza degli ordini; dall’altro, il carrello medio ha avuto un rialzo. In questo momento, approfittando del servizio di consegna a domicilio al piano, i clienti scelgono Winelivery non solo per i consumi dell’ultimo minuto ma anche per fare delle piccole scorte o la spesa settimanale di bevande. Per rispondere alle nuove esigenze del mercato Winelivery ha scelto, quindi, di continuare le consegne, allargando l’offerta specialmente nella sezione snack e aperitivi, offrendo quindi nuove opportunità di aperitivo da fare a casa. «Abbiamo potenziato il servizio di consegna, mantenendo i nostri alti standard e implementando misure di sicurezza più elevate sia per i nostri clienti che per il nostro personale» spiega Andrea Antinori, fondatrice, insieme a Francesco Magro, di Winelivery. In questa fase si stanno adottando ulteriori misure di sicurezza. «Per la tutela di chi ordina e per quella dei ragazzi che effettuano migliaia di consegne ogni giorno: dalla sanificazione continua delle bag per la delivery alla disinfezione sia pre che post consegna e dotando tutti i fattorini di soluzioni alcoliche, mascherine e guanti monouso», sottolinea Antinori (fonte: EFA News – European Food Agency Srl).

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AZIENDE

Maison Bertolin,

la magia del Lardo d’Arnad DOP e dei salumi valdostani di Massimiliano Rella

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rnad è un piccolo comune della Val d’Aosta noto nel settore per la tradizione e la bontà del suo prodotto principe, il lardo. Non un lardo qualsiasi, ma un prodotto a denominazione d’origine

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protetta, il Lardo di Arnad DOP. Questa specialità dalla storia secolare deve le sue caratteristiche a diversi fattori: la qualità delle carni suine, il processo di salamoia in particolari contenitori chiamati doïl (un tempo di castagno)

e l’uso misurato e sapiente di un mix d’aromi di montagna, rosmarino, lauro, salvia e tante erbe coltivate e/o raccolte in bassa valle. Un vero rito è ancora oggi l’uccisione del maiale, vivace tradizione che impe-

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A sinistra e in alto: lavorazione del Lardo di Arnad DOP e salamoia nei doĂŻl di legno al salumificio Maison Bertolin ad Arnad (AO).

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IL GIORNO PRIMA DELL’UCCISIONE DEL MAIALE VENGONO PREPARATE LE SPEZIE E PULITI I TIPICI DOÏL. NELL’OCCASIONE SONO BOLLITE ANCHE PATATE E BARBABIETOLE, CHE CON LA CARNE SUINA COMPONGONO IL BOUDIN, SALUME VALDOSTANO A FORTE CONTENUTO VEGETALE

I boudin, salumi tipici valdostani con patate e barbabietola rossa. gna tante persone con una consolidata divisione del lavoro: la macellazione, il sezionamento, la separazione dei tagli, la preparazione della stagionatura fino alla conservazione del prodotto. Per tradizione la comunità di Arnad si è sempre riunita per l’uccisione del maiale tra Natale e Sant’Antonio abate, il 17 gennaio, in pieno inverno quando la temperatura è ottimale. Il giorno prima della macellazione vengono preparate le spezie e puliti i contenitori di legno detti doïl. Per l’occasione sono bollite anche barbabietole e patate, ingredienti che con la carne suina compongono un altro originale prodotto, esclusivo della Val d’Aosta, il boudin, un salume a forte contenuto vegetale. Il giorno successivo si macella e si preparano i tagli, a seconda del prodotto da ottenere. Il Lardo di Arnad, ad esempio, viene fatto con lo spallotto, ripulito dalle setole e sgrassato. Il lardo è quindi aromatizzato nei doïl. Per essere DOP devono obbligatoriamente essere presenti nel mix aromatico sale, erbe fresche del territorio (alloro, rosmarino, salvia) e aglio. Il resto (cannella, pepe, chiodi

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di garofano, bacche di ginepro, ecc…) è facoltativo. L’aromatizzazione e la salamoia sono importanti, perché conferiscono al lardo una texture morbida e compatta e sentori erbacei e speziati. La DOP e l’utilizzo degli aromi ha così incentivato la ripresa sul territorio della produzione di erbe spontanee e aromatiche. I tesori di Maison Bertolin Un’importante azienda di salumeria di Arnad è quella della famiglia Bertolin (www.bertolin.com), il cui portafoglio prodotti include tutte le specialità del territorio: le carni secche e salate di bovino, equino e selvaggina; prosciutti e salami cotti e teteun valdostano (ottenuto dalla salmistrazione delle mammelle bovine); ma anche affumicati e insaccati, l’imperdibile motzetta o mocetta (un insaccato da carni bovine), i salamini e naturalmente il Lardo di Arnad DOP e il boudin, il salame “vegano” della Val d’Aosta, ripieno di patate e barbabietola rossa, con pancetta e grasso, con o senza sangue di maiale, da mangiare caldo o freddo.

Bertolin lavora carni bovine, suine, ovine, equine e selvaggina (capriolo, cinghiale, cervo, camoscio). I maiali utilizzati per le varie preparazioni arrivano da quattro regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto ed EmiliaRomagna. Parliamo di un’azienda di 2.500 m2, nata nel 1957 come macelleria, con 31 dipendenti, un fatturato di 6 milioni di euro l’anno, di cui il lardo rappresenta il 40%, la mocetta il 20%, la coppa al ginepro un altro 20%. Riguardo al canale di distribuzione soltanto la GDO vale il 50% del fatturato, il resto arriva da piccoli negozi e gastronomie. Circa la metà della produzione è venduta in Val d’Aosta. L’azienda organizza anche visite e degustazioni guidate dei suoi prodotti in una bella sala dedicata. E ha un grande punto vendita. Massimiliano Rella >> Link: www.bertolin.com Nota Photo © Massimiliano Rella.

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SAPORI D’AMPEZZO, DOVE LA QUALITÀ INCONTRA LE TRADIZIONI DELLA CARNIA

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pochi chilometri di distanza dalla celebre Cortina d’Ampezzo, regina delle Dolomiti, considerata un vero e proprio paradiso per gli amanti degli sport invernali e non solo, sorge Ampezzo, un piccolo paese nel cuore della Carnia, una regione storico-geografica prevalentemente montana, situata nella parte nord-occidentale del Friuli Venezia Giulia. Qui ampi spazi naturali, vette mozzafiato e valli spettacolari si uniscono alle antiche tradizioni e ad un patrimonio culturale che si è conservato nel tempo. In questo paesaggio idilliaco,

a farla da padrona è certamente la foresta di Ampezzo, elemento fondamentale per l’economia della comunità ampezzana con una storia secolare. Dalla sponda meridionale del lago di Sauris sino al Passo del Pura, una fitta distesa di boschi di faggio testimonia la naturalezza di questo paesaggio incontaminato. Ed è proprio nel cuore della foresta di Ampezzo che si trova l’ultimo nato in casa San Dan Prosciutti, uno stabilimento produttivo che ha ispirato l’idea di arricchire la gamma di prodotti San Dan con alcune specialità legate alle tradizioni del territorio, dal gusto

Lo stabilimento di Ampezzo nel cuore delle Alpi Carniche.

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intenso ed armonioso. Si tratta di una struttura moderna, che conferma ancora una volta la capacità della famiglia Aimaretti di saper unire una gloriosa tradizione locale con l’efficienza dei più moderni impianti produttivi. Lo stabilimento di Ampezzo si estende su una superficie di 3.500 m2 e, ogni anno, sapienti mani artigiane, realizzano oltre 220.000 pezzi; qui, infatti, San Dan si occupa con passione della produzione delle prelibate specialità ampezzane tra cui lo speck affumicato, il fiocco di prosciutto Dolce Ampezzo e Dolce Carnia, l’Ampezzano con zampino e il guanciale nazionale, oltre agli ormai celebri Gran Crudo delle Alpi e Riserva dei Monti d’Ampezzo che arricchiscono e completano l’intera gamma delle specialità a marchio “Sapori d’Ampezzo”. Speck d’Ampezzo: l’arte dell’affumicatura Uno dei protagonisti della linea “Sapori d’Ampezzo” è certamente lo speck affumicato, che deve la sua unicità a due ingredienti fondamentali: il sale e l’affumicatura. Il termine deriva dal tedesco “spec” (spesso, grasso) e le sue origini risalgono al 1200, quando i contadini conservavano le carni anche per lunghi periodi. Numerosi fattori rendono lo speck una vera eccellenza, a partire dalla selezione della materia prima. Le cosce vengono infatti selezionate in base a rigorosi criteri di qualità e lavorate manualmente seguendo i metodi tradizionali che vantano secoli di storia e ed artigianalità. La lavorazione dello speck parte esclusivamente da una coscia di suino disossata che viene salata ed aromatizzata con varie spezie fra cui soprattutto il

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Speck affumicato Alto di fesa “Speck d’Ampezzo”.

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un mix di aromi che portano alla mente le botteghe di un tempo e richiamano l’antica arte del salumiere.

Il lento processo di affumicatura con legno di faggio e bacche di ginepro. pepe. La tipica crosta speziata conferisce infatti allo speck il suo aroma inconfondibile. Alla speziatura segue una fase fondamentale ma allo stesso tempo molto delicata: l’affumicatura. È qui che il prodotto acquisisce il sapore e la delicatezza che lo contraddistinguono. Il

lento processo di affumicatura rispetta la tradizionale ricetta antica: lo speck viene infatti lasciato riposare all’interno di camini alimentati esclusivamente con legno di faggio e bacche di ginepro, che diffondono nell’aria i profumi della valle. Chiudendo gli occhi, si viene travolti da

Sua Maestà Alto di fesa Ultimata la fase di affumicatura, il prodotto viene fatto stagionare per circa sei mesi. Al termine della lavorazione, il risultato è un’esplosione di colori e profumi: lo speck affumicato “Sapori d’Ampezzo”, così come il Dolce Ampezzo e Dolce Carnia, fiocco di prosciutto crudo sempre della gamma San Dan, presenta infatti una caratteristica unica ed inimitabile, la fesa alta. Rispetto ai classici speck, il prodotto d’Ampezzo presenta una forma meno appiattita ma più alta, con una giusta quantità di grasso pregiato. Il colore rosato e il profumo delicatamente speziato poi rendono ogni fetta un piacevole viaggio nel gusto. Inconfondibile!

>> Link: www.sandanprosciutti.com

D’Ampezzo con zampino, il prosciutto della Carnia Il prosciutto d’Ampezzo è un prodotto di salumeria, crudo e stagionato, realizzato seguendo le antiche tradizioni locali, e presenta un forte legame con il territorio. Gli antichi salumieri di Ampezzo custodiscono i segreti di questa lavorazione secolare che si basa su due semplici ingredienti: coscia di suino e sale. Solamente un’attenta selezione iniziale delle materie prime consente infatti di ottenere un prodotto di elevata qualità. Il passaggio successivo è la salagione, rigorosamente a mano e con sale marino macinato a secco. Ogni prosciutto riposa sotto sale per un numero di giorni pari ai chilogrammi di peso, garantendo al prodotto una naturale conservazione. Stagionatura Ultimata la stuccatura, il prodotto viene trasferito negli ambienti di stagionatura, dove viene conservato in una condizione ottimale di umidità, ventilazione ed esposizione alla luce. Il microclima della zona è una determinante incisiva in questa fase: la brezza della valle e i profumi dei boschi di faggio, donano al prosciutto d’Ampezzo un aroma inconfondibile. Il prodotto stagiona quindi in queste condizioni per un periodo di tempo variabile, da un minimo di 14 mesi sino a 18 mesi e raggiunge un peso finale di circa 11 chili. Marchiatura a fuoco Il legame con il territorio è infine evidente con il marchio a fuoco. Al termine della stagionatura, viene infatti impresso sulla cotenna il marchio raffigurante i monti di Ampezzo: un sigillo che racchiude al suo interno la storia di un regione con origini antiche che danno vita ad un prosciutto delicato e fragrante.

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I SUOI PRIMI 60 ANNI Il Gruppo Martelli di Dosolo (MN), punto di riferimento per la macellazione italiana, è cresciuto insieme ai propri consumatori, seguendone le esigenze. E per festeggiare i suoi primi 60 anni di attività si è fatto un regalo e ha rinnovato la propria immagine

I

l GRUPPO MARTELLI si sviluppa da una piccola azienda a conduzione famigliare nel Mantovano e oggi conta 7 unità produttive, 700.000 capi suini lavorati all’anno e una gamma prodotto che spazia dai salumi (cotti e stagionati) alle carni

fresche a libero servizio e preparati. Fin dalla loro nascita, i Martelli si sono sempre focalizzati sulle richieste dei consumatori e sulla selezione della materia prima. Un’attenzione che fa sì che oggi i lori prodotti trovino l’inserimento nel Prontuario dell’Associazione Italiana

Celiachia e che garantisce l’assenza di glutine, polifosfati e derivati del latte. Per andare incontro al meglio alle nuove tendenze anche l’immagine del Gruppo si è rinnovata e lo scorso fine gennaio, a Milano, è stata presentata per la prima volta davanti ai clienti

Sette stabilimenti, 700.000 capi l’anno… ma la forza del gruppo Martelli non è solo questione di numeri: è soprattutto cultura della macellazione, tradizione e sicurezza alimentare (photo © Roberto Rapetti). 48

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In alto: la quarta generazione della famiglia Martelli (photo © Roberto Rapetti). In basso: finger food alla conferenza stampa di presentazione della nuova immagine del Gruppo (photo © Roberto Rapetti). e alla stampa. «Per la creazione del nuovo brand — ha spiegato ANNA BUZZI

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di The Brand Company — abbiamo unito le due anime dell’azienda. Se il

blu rispecchia l’anima corporate che un gruppo industriale come Martelli è stato capace di costruire nel corso di quattro diverse generazioni, il rosso intenso è il volto dell’artigiano contemporaneo che, attraverso il saper fare del passato, esprime ancora oggi il profondo legame con il prodotto e la materia prima». Ha accompagnato l’incontro ISIDORO TROVATO, giornalista economico del CORRIERE DELLA SERA, che ha esaltato la capacità delle aziende italiane a conduzione famigliare di fare impresa. A raccontare l’impegno e la dedizione che in questi 60 anni hanno portato l’azienda a diventare un’impresa capace di controllare l’intera filiera c’era la quarta generazione della famiglia Martelli. «Oggi celebriamo la tradizione di famiglia nata 60 anni fa dal lavoro del nostro bisnonno GEMINIANO» hanno sottolineato NICOLA e MARCO MARTELLI. «È importante ricordarsi della propria storia, senza perdere di vista il presente. Ecco perché abbiamo pensato che fosse

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necessario festeggiare il nostro passato legandolo al presente e al futuro che ci attende. Siamo pertanto orgogliosi di presentare la nostra immagine, giovane e fresca e che rispecchia la nostra vicinanza alle esigenze dei consumatori moderni». Anche la scelta della location per celebrare il sessantesimo del Gruppo non è stata lasciata al caso: l’Antica Fonderia Napoleonica Eugenia, un luogo storico nel cuore del quartiere Isola di Milano che conserva il fascino del passato. Fondata nel periodo napoleonico, la Fonderia nella quale è stato fuso il Vittorio Emanuele II di piazza Duomo e che negli anni si specializzò nella realizzazione di campane in bronzo, è dal 1830 nelle mani della FAMIGLIA BARIGOZZI. Cessata l’attività fusoria, oggi è luogo di lavoro, arte e cultura, la cui gestione è affidata alle nuove generazioni della stessa famiglia. Gruppo Martelli Nasce nel 1959 da un’attività familiare ed è oggi è composto da 7 unità produttive che afferiscono a due diverse società: MARTELLI FRATELLI SPA e MARTELLI SALUMI SPA. Il gruppo nasce a Mantova come industria di macellazione, si sviluppa a Padova per la produzione del prosciutto cotto e si espande a Parma per il prosciutto di Parma, arrivando fino a San Daniele, per la produzione del tipico prosciutto DOP. Il Gruppo Martelli controlla l’intera filiera produttiva, dalla macellazione di oltre 700.000 suini all’anno fino alla lavorazione delle carni. I salumi sono privi di glutine, glutammato e lattosio (ad eccezione del Prosciutto cotto con crema al Parmigiano Reggiano). La loro completa tracciabilità li rende una garanzia per il mercato e per il consumatore finale, così come i ripetuti controlli a cui le carni Martelli sono soggette costantemente, al fine di portare sulle tavole la migliore materia prima possibile. Nel 2018 il fatturato del Gruppo si è attestato intorno ai 270 milioni con una percentuale di export sui salumi pari al 18%. Tra le destinazioni principali USA, Francia, Australia e Giappone. >> Link: www.martelli.com

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IL SALE NON FA I MIRACOLI Perché è la qualità del pesce che conta e lo sa bene un’azienda siciliana che ha fatto dell’industria conserviera la propria ragion d’essere di Elena Benedetti

Aspra (Palermo).

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“Tanti e tanti anni fa, così tanti che non potete immaginare quanti, splendeva nel cielo una numerosa famiglia di stelle, stelle piccine piccine, ma luminosissime, forse le stelle più luminose di tutto l’universo celeste. Si chiamavano Engrauline ed erano molto, molto vanitose” MITÌ VIGLIERO LAMI

U

na leggenda narra che le Engrauline furono punite da Dio per la loro ostinata vanità e dal cielo gettate in mare. Si chiamarono, “da allora e per sempre, semplicemente acciughe o alici”. Siamo alle porte di Palermo e più precisamente ad Aspra, un bel borgo marinaro che è frazione di Bagheria. Da qui, originariamente, già nel periodo della dominazione araba, si scavavano le pietre di tufo che venivano impiegate per l’edificazione di Palermo, mentre il mare dava sostentamento e nutrimento attraverso la sua comunità di pescatori. Quegli stessi pescatori che un giovanissimo RENATO GUTTUSO, nativo di Bagheria, un giorno raffigurò sui muri della chiesa del paese. E proprio qui, tra distese di limoneti, cave e pescherecci, a metà ‘900 inizia la storia dell’azienda Balistreri Girolamo & C.; una storia tutta siciliana, profondamente radicata nella cultura di un territorio intriso di tradizione, riti, gestualità, consuetudini e dedizione. La stessa dedizione che, nel 1947, animò BATTISTA BALISTRERI, di professione pescatore di acciughe e sarde, nella decisione di avviare un piccolo laboratorio di salatura nel suo magazzino, vendendo il prodotto ai mercatari della zona. «L’azienda nasce da una famiglia di pescatori, profondi conoscitori e amanti del pesce in questo borgo marinaro» mi dice GIROLAMO BALISTRERI, primogenito di Battista, oggi a capo dell’omonima azienda insieme al fratello MICHELANGELO e ai figli.

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L’azienda Balistreri Girolamo & C. ha sede ad Aspra (PA) e dal 1947 opera nel ramo della conservazione dell’acciuga. Determinante è stato il contributo del capostipite della famiglia, u Zù Battista Balistreri “il fondatore” (nella foto) che, nato pescatore e quindi profondo conoscitore dei segreti del mare, è riuscito — con il trascorrere degli anni — ad avviare una grande azienda di conserve ittiche oggi gestita dalla terza generazione.

Nella fabbrica di Aspra, sviluppata su una superficie di 4.000 metri quadrati, opera esclusivamente manodopera altamente qualificata.

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Prima lavorazione in assoluto Cuor D’Alice. Filetti di alici in olio di oliva del Mar Cantabrico, commercializzati con un packaging originale che al suo interno contiene il prodotto in vaschetta, un tovagliolo e stuzzicadenti in legno. Il peso netto della confezione è di 48 grammi (photo © Luca Monaco).

«Questo era ed è un mestiere antico. Allora c’erano i limoni e c’era il mare, una delle pochissime opportunità di questa zona. Poi, gradualmente, nel corso del tempo ci siamo evoluti e oggi siamo a capo di un’azienda conserviera che dà lavoro a 50 famiglie, che conta

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certificazioni e brevetti e una distribuzione capillare sul territorio nazionale e in diversi mercati esteri» sottolinea Balistreri con pacata soddisfazione mista ad un senso di profonda responsabilità. Balistreri Girolamo & C. è una vera e propria industria, con certificati

di qualità come BRC, IFS, MSC per la sostenibilità del pescato e certificazione Kosher, ma pur sempre artigianale poiché la lavorazione e la trasformazione sono per lo più manuali, affidate a personale altamente qualificato. Nonostante l’ausilio di tecnologie e

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Nel locale di sfilettatura il personale specializzato sfiletta manualmente il pesce, rimuove la lisca e ulteriori spine. Segue poi la lavorazione dei filetti che vengono riposti sempre manualmente in lattine, vasi o vaschette in plastica alimentare e riempiti di olio, per essere poi etichettati e imballati.

A sinistra: due confezioni della linea “Le dolci acciughe del Mar Cantabrico� con filetti di acciughe in olio di oliva confezionati nella pratica vaschetta richiudibile dopo ogni utilizzo. In basso: i vasetti di filetti di acciughe spagnole in olio di oliva della linea “Mar Cantabrico�, disponibili al naturale e anche con condimento al prezzemolo ed aglio e al peperoncino.

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Il Museo dell’acciuga e delle arti marinare, patrimonio dell’identità siciliana A pochi passi dalla sede della Girolamo Balistreri & C. c’è il Museo dell’acciuga e delle arti marinare di Aspra, un luogo unico in tutto il Mediterraneo che i fratelli Girolamo e Michelangelo Balistreri hanno realizzato con passione e tantissima ricerca. «Si tratta di un museo emozionale» mi dice Michelangelo, mentre mi accompagna a visitarlo nell’attesa che arrivi un numeroso gruppo di professori ed educatori provenienti da tutta Europa che sta facendo un tour in Sicilia tra le realtà che si sono più spese per portare avanti un discorso di tradizione della cultura isolana e della legalità. «Mentre tutti buttavano via oggetti, materiali, reperti del passato noi ci siamo ostinati a raccoglierli, a dare loro un giusto spazio e riconoscimento e l’abbiamo fatto in questa sede che fino a cinque anni fa ospitava l’azienda». Camminando attraverso le varie sale attraverso le quali si sviluppa il museo — a ingresso libero — si vive un viaggio unico, personale ed emozionante tra cimeli, documenti e attrezzi che raccontano secoli di pesca e procedimenti della salagione di acciughe in Sicilia. Numerosi sono gli attrezzi da pesca, insieme a modelli di imbarcazioni per la pesca artigianale. Ci sono le pietre, un tempo usate per la pressatura, reti e indumenti, le sporte e le caredde, contenitori originariamente utilizzati per riporre le acciughe pescate; ci sono gli ex voto che le donne dei pescatori scampati a brutte avventure in mare realizzavano sulle scatole aperte di banda stagnata litografata, ovvero le prime latte che avevano sostituito i barili di legno. Ci sono leggende, poesie e canzoni e anche cultura cinematografica, con proiezioni di scene dei film di Giuseppe Tornatore, nato a Bagheria, come Nuovo Cinema Paradiso e Baarìa. “Un autentico scrigno di tesori della Sicilia e del mare fuori dal tempo che racconta la storia, di uomini che hanno trattato e saputo interpretare il lavoro della pesca e delle sue molteplici lavorazioni e trasformazioni”. «Il Museo — mi spiega Michelangelo — è stato concepito come un luogo vivo e funzionale per i visitatori che arrivano da tutto il mondo ma anche, e soprattutto, per la comunità di Aspra, con laboratori con le scuole, spettacoli e mostre. Sono state raccolte cose materiali e immateriali, che raccontano storie di gente di mare, testimonianze che senza il museo non avrebbero avuto voce. Per questo le barche, gli oggetti, i documenti conservati sono stati l’occasione per valorizzare i borghi di mare e creare nuove attività». Nell’annesso Fish Shop – A Putiari Pisci Salati c’è il negozio dei Balistreri con un’ampia offerta di prodotti dell’azienda, oltre a linee speciali. Qui si organizzano degustazioni guidate: un vero viaggio per mare tra cultura, tradizioni e sapori. Nelle foto a destra: alcuni scatti all’interno del Museo dell’acciuga e delle arti marinare di Aspra (in foto, a destra, un’immagine stilizzata di Battista Balistreri, fondatore dell’industria conserviera nel lontano 1947). >> Link: www.museodellacciuga.it — www.facebook.com/museo.acciuga.aspra — www.fishshopbalistreri.it

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attrezzature all’avanguardia presenti in questo nuovo stabilimento di 4.000 m2 inaugurato cinque anni fa nella zona artigianale di Aspra, la delicatezza estrema del prodotto — ovvero il filetto dell’acciuga — richiede mani virtuose, soprattutto femminili per delicatezza e precisione. Gesti che spesso si passano da generazione in generazione e che col tempo acquisiscono velocità e cura, caratteristiche tali che fanno sì che una squadra di dipendenti da aprile a giugno venga trasferita in Spagna per la lavorazione del pescato. Perché la Spagna? «Abbiamo una sede al Nord della Spagna (Getaria), sul Mar Cantabrico, una delle zone da cui provengono le acciughe più pregiate del mondo presenti solo nel Mar Cantabrico e nel Mar Mediterraneo per questa specie ittica (Engraulis encrasicolus), che beneficia della bassa temperatura delle acque e delle forti correnti. Nella stagione di pesca, entro la giornata dalla cattura, le acciughe del Cantabrico sono da noi lavorate per conservare il sapore e il gusto delle carni». Solo l’acciuga, freschissima, nessun altro segreto Che cosa fa la differenza nella lavorazione? «Sicuramente i tempi: il pesce viene pescato all’alba e lavorato fresco, anzi, freschissimo, sempre in giornata, perché il sale non fa miracoli» mi spiega Girolamo Balistreri. «Il sale ha il solo

Girolamo e Michelangelo Balistreri.

Il periodo di cattura delle acciughe è tradizionalmente da aprile a luglio. Prima della guerra si usavano reti da posta in cotone, le cosiddette “menaiche”, calate dai pescatori nelle ore serali e ritirate all’alba. Queste negli anni sono state sostituite da reti in nylon con sistemi di pesca a circuito, i “ciancioli”, con l’aiuto delle lampare usate per attirare i pesci in superficie

Due delle tradizionali confezioni in latta, contenenti i triangoli sigillati di filetti di acciughe, disponibili con i vari condimenti. A sinistra, le acciughe salate siciliane di Marca Vaticano.

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I pionieri delle acciughe sono stati i Siciliani e furono proprio loro, alla fine dell’Ottocento, a spostarsi nei Paesi Baschi, nel Nord della Spagna, dove il mare era stracolmo di acciughe ma non c’erano la cultura e la tradizione della salagione. I Siciliani emigrarono col loro sapere, l’abilità della giusta salagione e una resa qualitativa decisamente migliore Pasta di acciughe. compito di mantenere il prodotto e non quello di trasformarlo. Questo punto, vede, è molto importante: solo se il pesce è freschissimo si otterrà un prodotto di qualità, stabile e costante e il sale lo conserverà così come è. Se il pesce è già stanco anche il prodotto ne risentirà, con una consistenza diversa, un colore più spento e un sapore più anonimo». Insomma, tutto parte dalla qualità della materia prima, l’acciuga. Non ci sono segreti. L’acciuga, nonostante la linea di prodotto con provenienza dal Mar Cantabrico, è e resta un prodotto tradizionalmente siciliano. «Già nell’Ottocento la salagione dell’acciuga in Sicilia era un’attività fiorente, con spedizioni nei porti più importanti, tra cui Napoli, Livorno, Genova, ecc… e già a quei tempi era commercializzata nelle zone interne del Paese». Le coste della Sicilia sono da sempre state vocate alla cattura di acciughe: «non c’era paese di mare che non avesse fabbriche di salagione e in tutta la Sicilia esistevano centinaia di piccole aziende a carattere familiare che, con l’aiuto di manodopera locale, salavano in giornata il pesce catturato durante le ore notturne. I pionieri delle acciughe sono stati i Siciliani e furono proprio loro, alla fine dell’Ottocento, a spostarsi nei Paesi Baschi, nel Nord della Spagna, più precisamente nelle province di Bilbao e San Sebastián, dove il mare era stracolmo di acciughe ma non c’era la cultura e la tradizione della salagione. I Siciliani emigrarono con il loro sapere, con l’abilità della giusta salagione — si usa meno sale rispetto agli Spagnoli — e una resa qualitativa decisamente migliore». Questo fu il legame tra i due mari, quello di Sicilia, nel quale risiedeva la

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tradizione della pesca e della lavorazione di questo prodotto ittico, e quello del Cantabrico, straordinario per il pescato ma carente nelle tecniche. L’azienda attualmente è una tra le poche in Sicilia e sul mercato italiano a curare direttamente tutte le fasi della produzione di pesce salato, dei filetti sottolio, della pasta di acciughe fino alla colatura di acciughe. Balistreri Girolamo & C. ha uno stock attivo che oscilla tra i 500.000 e i 700.000 chilogrammi di prodotto con qualità costante. «Facciamo stoccaggio e magazzino di merce di acciughe salate per garantire la fornitura di prodotto ai nostri clienti italiani ed esteri con la piena responsabilità della sicurezza alimentare». Il catalogo comprende acciughe salate siciliane, filetti di acciuga siciliani e del Cantabrico, pezzetti di acciuga, acciughe al banco in un pack innovativo a forma triangolare (nelle varianti al naturale, al peperoncino, al prezzemolo e aglio e ai capperi), varie tipologie di confezioni del Cantabrico, pasta di acciuga e garum. Il tutto è sviluppato attraverso numerose linee di prodotto, espositori e con pack diversi, brevettati e disponibili anche in latta. «Siamo cresciuti professionalmente con un forte attaccamento alle nostre radici e alla nostra terra e con l’idea che ciò che facciamo debba essere giudicato solo dal consumatore» mi dice Girolamo Balistreri. «È il consumatore che decide, è lui che col passaparola ci ha portati a crescere e ad essere ciò che siamo oggi». Il suo sogno più grande? «Dare continuità all’azienda di mio padre Battista coi miei figli; la terza generazione oggi già operativa nello stabilimento e con i miei nipoti che stanno crescendo in un

tessuto di affetti, di valori e di lavoro che mi auguro sarà il loro futuro». Elena Benedetti

Balistreri Girolamo & C. Snc Via Cotogni 64 90011 Aspra (PA) Web: www.balistrerigirolamo.it

Nota Fonti: • VIGLIERO LAMI M. (1998), L’alice delle meraviglie, Ed. Marsilio; • BALISTRERI G. (2018), La storia di un pesce, Ed. Quartana.

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Acciughe salate

Patè di acciughe

Pasta di acciughe Autentico estratto di acciughe

Filetti di acciughe Balistreri Girolamo & C. S.n.c Conserve Ittiche | Via Cotogni , 64 – 90011 – Aspra (PA) – Sicilia – Italia Tel. +39 091 955612 – Fax +39 091 955511 | www.balistrerigirolamo.it – balistrerisnc@balistrerigirolamo.it N.IT 454 CE P.IVA 04731610822


Salumificio Trascinelli Pietro: la storia e i progetti, a cominciare dalla Prosciutteria

La passione nel mondo del prosciutto di Elena Benedetti

P

IETRO TRASCINELLI ha una stretta di mano vigorosa, un sorriso contagioso e quel modo di fare tutto emiliano, tipico di quegli imprenditori che stanno facendo cinque cose contemporaneamente ma che all’arrivo di una ospite — che sarei poi io — mollano tutto e ti danno un benvenuto caloroso nella loro azienda. Quell’azienda che rappresenta fedel-

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mente il modello emiliano-romagnolo tipico di tante piccole e medie imprese, protagoniste di uno sviluppo socioeconomico costruito giorno dopo giorno con oculatezza e rigore, con una profonda conoscenza del mercato e dei suoi attori. Siamo a Basilicanova, a pochi chilometri da Parma Capitale della Cultura 2020 e nel bel mezzo della Food Valley,

un territorio che è da sempre la culla di una tradizione gastronomica che fa della lavorazione delle carni di maiale la sua massima espressione. Qui ha sede il Salumificio Trascinelli Pietro, gestito dall’omonimo fondatore che oggi si avvale dell’aiuto delle figlie VALENTINA e MARTINA, e di una trentina di collaboratori. L’azienda intraprende l’attività nel

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A sinistra: Pietro Trascinelli, la moglie Rita e le figlie Valentina e Martina (photo © Salumificio Trascinelli Pietro). In alto: la sala di stagionatura dei prosciutti di Parma (photo © Salumificio Trascinelli Pietro). A destra: Trascinelli lavora le rifilature e i fondelli che non sono più affettabili, utilizzati poi dall’industria alimentare per i ripieni delle paste fresche.

1975 con la salatura dei prosciutti, in una bella cascina della provincia parmense. «Quella però non era la mia strada» mi dice subito Pietro. «A me piaceva il commercio, la produzione non mi attirava e forse è andata meglio così». Per questo motivo, dopo qualche anno, Pietro Trascinelli decide di fondare l’azienda accanto alla vecchia casa di famiglia, convinto delle potenzialità

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del suo prodotto e, soprattutto, dell’esperienza maturata nel settore sin da giovanissimo. Oggi il suo salumificio si dedica alla “lunga” stagionatura e al commercio di prosciutti Parma e alla selezione e confezionamento di salumi per l’industria alimentare, in particolare rifili di prosciutto crudo e altri salumi. «Con la diffusione dell’affettamento a livello in-

dustriale di prosciutti, salumi e formaggi per il confezionamento in vaschetta — mi spiega Trascinelli — raccogliamo da vari operatori le rifilature e i fondelli che non sono più affettabili, li selezioniamo e vendiamo all’industria alimentare per i ripieni delle paste fresche. Un’attività che mancava sul mercato e di cui ci siamo fatti interpreti cogliendone le opportunità».

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Dal maggio 2009 l’attività è operativa qui, a Piazza di Basilicanova, in un moderno stabilimento pieno di luce naturale e rivestimenti bianchissimi, dove vengono svolte le attività di commercializzazione all’ingrosso del prosciutto di Parma e del nazionale, oltre alla lavorazione di un’ampia gamma di salumi destinati all’industria di trasformazione. «Da dieci anni a questa parte il mercato è cambiato tanto» sottolinea Pietro Trascinelli, mentre insieme alla figlia Valentina mi accompagna a vedere i Parma a riposo nella sala di stagionatura. Le oscillazioni di prezzo delle carni di maiale, gli scenari mondiali che influenzano le compravendite anche in queste terre in aperta campagna, lontani dalle grandi metropoli e dai grandi business, richiedono ancor di più accortezza e i giusti passi in un mercato che ha comunque ancora tanto da dare per chi, come Trascinelli, conosce tutto e tutti e ha fama di essere un esperto selezionatore di prodotti di salumeria. Salumi da consumare con un buon calice di vino ma anche semilavorati per l’industria alimentare. Nasce la Prosciutteria, punto vendita e degustazione Dallo scorso ottobre lo stabilimento ospita anche una bella Prosciutteria aperta al pubblico dal lunedì al sabato. Il locale caldo ed accogliente offre taglieri di salumi e formaggi, primi e secondi tipici, un'ampia selezione di vini e una vasta gamma di prodotti del territorio e specialità regionali, oltre alla caffetteria per chi va di fretta. Come i Trascinelli, sempre su e giù tra celle frigorifere, sale di lavorazione, uffici, cucine e sale di stagionatura. Elena Benedetti Salumificio Trascinelli Pietro Srl Via Traversetolo 13bis 43030 Basilicanova (PR) Telefono: +39 0521 681339 – 653210 Web: www.salumificiotrascinelli.com

Alcuni scatti nella Prosciutteria inaugurata lo scorso ottobre.

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Prosciutteria Trascinelli Via Traversetolo 13bis 43030 Basilicanova (PR) Telefono: +39 391 1880054 Web: www.prosciutteriatrascinelli.it facebook.com/ProsciutteriaTrascinelli Orari: Lun.-Gio.: 10:00-20:30 Ven.-Sab.: 10:00-21:30

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Fiego-Fattoria Brigantesca, salumificio rurale artigiano sulla Sila Piccola di Massimiliano Rella

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Rosaria Talarico, produttrice di salumi con Fiego – Fattoria Brigantesca, azienda di Panettieri (CS) sulla Sila Piccola.

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onosco ROSARIA TALARICO da qualche anno. Come me è — anche — giornalista e insieme a un gruppo di colleghi tempo fa siamo stati in viaggio stampa in Cina. Così, quando scopro che ora si è messa a fare salumi nella sua bella Calabria decido di andare a trovarla, sfidando le curve e le salite a tratti ghiacciate in una fredda giornata invernale, quassù in Sila Piccola, fino al paesino di Panettieri, 300 anime in provincia di Cosenza. A un certo punto il telefono non prende, ma le indicazioni che mi aveva dato sono chiare e finalmente arrivo a destinazione dopo un “ultimo miglio” di strada sterrata a tratti fangosa. Il cantiere del nuovo salumificio Fiego – Fattoria Brigantesca è ancora in essere, ma verrà completato entro il 2020. Dopo i saluti raccolgo le informazioni del caso. Scopro così che dopo il suo recente matrimonio, divisa tra il lavoro di Roma e il nuovo progetto calabrese, ha cominciato a prendere forma un sogno che aveva nel cassetto: avviare un’azienda agricola e di salumeria sui terreni di famiglia, una proprietà di 20 ettari sulla Sila Piccola, in una natura quasi incontaminata, a bassa antropizzazione, oltre i mille metri sul livello del mare, in un territorio isolato, lontano dalle grandi città e dagli inverni rigidi. Fiego – Fattoria Brigantesca si trova proprio in contrada Fiego, tra i 1.000 e i 1.200 metri slm, vicino a un paese — Panettieri — che rende omaggio alla sua storia e alle sue attività tradizionali con un Museo del Pane e con il Museo del Brigante, in onore alla figura di GIOSAFATTE TALARICO.

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Soppressata, salsiccia piccante e guanciale di Fiego – Fattoria Brigantesca. L’azienda nasce nel 2016, anche se la sua storia è più che centenaria. Era infatti il 1901 quando il sacerdote MICHELE TALARICO comprò per i fratelli ANNIBALE e GIOVANNI 100 ettari di terra ciascuno. I due fratelli capostipiti sposarono due sorelle, TOMMASINA e MARIA RIZZUTI, e la terra divenne la loro dote. Dal matrimonio di Giovanni nacquero EMANUELE ed ERCOLINO, che ereditarono il Fiego (“hjegu”, secondo la pronuncia locale), il cui nome non esiste sulle mappe ufficiali, che riportano invece il termine Fego, la cui etimologia è probabilmente da ricondurre a una variante dialettale della parola feudo. Anche il fiume che scorre nella proprietà si chiama Fego, le cui acque ancora oggi regalano piccole e saporite trote che assaggio a tavola insieme a Rosaria, nella casa di una sua dipendente e del marito di lei, accompagnata da ottime patate della Sila e ai primi salumi, frutto di una sperimentazione preliminare all’attività produttiva vera e propria.

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Un’impresa di 20 ettari, tra boschi di castagni, querce, ontani e noci, ma anche un antico frutteto di mele e ciliegie autoctone. Oltre alla parte dell’allevamento di suini Neri calabresi e ai locali di trasformazione e conservazione, questi appunto in corso d’opera. Nelle successive divisioni dei terreni tra gli eredi, il fondo originario perse la sua estensione e venne frammentato in appezzamenti più piccoli. Attraverso Giovanni, figlio di Ercolino, il Fiego arriva così alla quarta generazione. «Quando avevo cinque anni — ricorda la primogenita Rosaria — fui proprio io a estrarre davanti al notaio il bigliettino con la proprietà che toccava alla mia famiglia». Oggi, segno forse del destino, ha trasformato i suoi ettari nella Fattoria Brigantesca, tributo alla memoria degli antenati che con duro lavoro avevano trasformato la terra in un giardino e in un orto di prelibatezze.

Da sempre le famiglie calabresi allevavano il “porco” per approvvigionarsi durante l’anno di tutta la gamma di prodotti alimentari e non che il suino poteva garantire. Fare gli insaccati era una vera e propria arte, intrinseca a questi luoghi. «Nei salumi non si usavano glutine, coloranti, derivati del latte, conservanti o altri additivi — racconta Rosaria — e anche noi vogliamo farli allo stesso modo: carne di maiale nero di Calabria e cunserva di peperoni e sale. Tutto qui». L’antica razza autoctona del suino Nero di Calabria rischiava l’estinzione perché meno redditizia dal punto di vista commerciale. Ma nell’impervio territorio calabrese era stata protetta dalla mescolanza con altri suini: più adattativi a qualsiasi terreno, essendo abituati al movimento, hanno sempre avuto un accrescimento più lento, garanzia di qualità della carne e di minore percentuale di grasso, fattori ideali per produrre salumi di qualità. Nel rispetto di questi valori i 60 maiali neri dell’allevamento di Fiego vivono allo stato semibrado, grufolando liberi dentro un ampio recinto necessario per ragioni operative e sanitarie: con doppia recinzione, fisica ed elettrica, e alcune casette per il riparo. Nel recinto gli animali si alimentano con ghiande, castagne e mele cadute dagli alberi, ma anche con un’integrazione di patate fuori calibro, coltivate sempre in azienda, e di un pastone preparato con siero di latte e sfarinato di triticale (un cereale). A poca distanza dall’allevamento è presente un antico castagneto da frutto, mentre gli alberi chiusi nel recinto garantiscono la frescura agli animali durante i mesi estivi. Inoltre per il recupero dell’habitat i suini ruotano almeno due volte l’anno in due zone separate della proprietà. Dal punto di vista strutturale il progetto del “salumificio rurale artigiano” prevede la riconversione della vecchia stalla/fienile costruita dal nonno. Con l’obiettivo di produrre salumi calabresi tradizionali: capicollo, soppressata, pancetta, salsiccia dolce e piccante, guanciale, pancetta e ‘nduja, il tipico salume piccante spalmabile. Nessun additivo, a parte la cunserva a base di dolci peperoni rossi che rende i salumi unici nel colore e nel sapore.

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Gli stessi insaccati stagioneranno infine nell’aria della Sila. Invece nella casa colonica c’è in progetto l’apertura di due appartamenti e nel capannone forse un punto di ristoro. I prodotti nascono dopo due anni di prove e di stagionature più o meno lunghe. La soppressata ad esempio si fa con i tagli nobili del suino, macinati mantenendo una certa percentuale di grasso e magro, poi impastati con la conserva di peperone rosso che dà colore e aroma, e sale quanto basta. Il peperoncino (così anche per la salsiccia), viene aggiunto all’impasto solo per la versione piccante. Infine, l’insaccato viene affumicato per un periodo variabile a seconda della temperatura ambiente e dell’umidità con fumo naturale da legni locali di ontano e pioppo. L’ultima fase è la stagionatura di 4-24 mesi a seconda del prodotto desiderato. Il capicollo e il guanciale per 8-12 mesi. Il progetto nasce con l’ingresso in graduatoria nel PSR della regione Calabria, che ha previsto una copertura media dell’investimento superiore al 50% a fondo perduto, a seconda della destinazione dei fondi (ristrutturazione manufatti, attività agricola, ecc…). Contemporaneamente, Rosaria ha seguito un corso IAP di imprenditoria agricola professionale. La vendita punterà sull’e-commerce e sulla rete locale più qualificata (ristoranti e botteghe del gusto) oltre alla vendita diretta per i volenterosi che avranno il piacere e il tempo di addentrarsi sulla Sila Piccola. Di recente l’azienda Fiego ha ottenuto anche un contratto con la Ferrero, il noto marchio della Nutella, per la coltivazione dedicata di un noccioleto con le varietà tonda Gentile romana e Giffoni per la produzione di nocciole intere utilizzate nella pralineria-cioccolateria dell’azienda piemontese. Massimiliano Rella Azi. agricola Talarico Rosaria Via Coschi 37 88046 Lamezia Terme (CZ) Telefono: 0968 1946333 E-mail: info@fiego.it Web: www.fiego.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Manicardi fra le 100 eccellenze italiane 2020 selezionate da Forbes Italia

C’è anche Manicardi, azienda agricola di Castelvetro (MO), fra le “100 eccellenze italiane 2020” selezionate e premiate da Forbes Italia — edizione italiana di uno dei magazine più famosi al mondo su classifiche, cultura economica, leadership imprenditoriale, innovazione e lifestyle — perché autentici esempi di quel made in Italy che tutto il mondo ci invidia e che è fatto di persone, storie, luoghi e tradizioni. Fondata nel 1980 da Enzo Manicardi, l’azienda è oggi guidata dalla figlia Maria Livia che afferma: «Questo riconoscimento per noi è molto importante: sono molto orgogliosa di poter trasmettere, insieme alla mia famiglia, un messaggio di continuità e soprattutto di amore per le nostre origini». Fu proprio dal desiderio di valorizzare il territorio e perpetrare una lunga tradizione di eccellenza che Enzo Manicardi, innamoratosi delle colline di Castelvetro, decise di coltivare con amore e dedizione quella campagna generosa e autentica, ricca di biodiversità preservandone il naturale equilibrio e facendosi ambasciatore delle sue tradizioni enogastronomiche. Da allora l’azienda coltiva il Lambrusco Grasparossa e il Pignoletto per la parte vinicola, e il Trebbiano con cui produce Aceto Balsamico Tradizionale, simbolo dell’autentica tradizione emiliana. Sono trascorsi quarant’anni e, accanto all’antico sapere contadino, sono state introdotte moderne tecniche di produzione che riescono a coniugare tradizione e rispetto per la natura e i suoi frutti. La produzione totale odierna dell’azienda agricola è di circa 80.000 bottiglie di vino e di 500.000 bottiglie di aceto balsamico (in foto, l’acetaia; photo © Francesco Mion). Circondata da boschi, la tenuta si estende per 35 ettari, di cui 20 a vigneto, e gode di un’esposizione particolarmente favorevole e di un microclima straordinario: i filari, infatti, si estendono sulle prime colline dell’appennino modenese, a circa 300 metri sul livello del mare, e beneficiano di una buona escursione termica e di una ventilazione costante. Condizioni ideali che hanno sempre garantito ottime vendemmie senza costringere la famiglia Manicardi a intervenire in maniera correttiva, ma semmai a preservare con attenzione la qualità delle uve. >> Link: www.manicardi.it

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Tradizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per t ertific i uttor d o r p

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E L A Questa bottiglia da 100 ml

è garanzia di

originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.

con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola

aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it


INDAGINI

DOVE VA IL CONSUMATORE DI SALUMI? Quali sono le tendenze e quali sono i nuovi stili di comportamento? A queste domande ha dato risposta Costanza Nosi dell’Università di Roma LUMSA, in occasione dei festeggiamenti dei 60 anni del Gruppo Martelli

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ome è cambiato il consumatore negli ultimi anni? La scelta di acquisto è sempre più orientata al made in Italy e si prediligono prodotti del territorio con certificazioni DOP, DOC, DOCG e IGP. Rispetto al passato, oggi gli Italiani sono molto più attenti al carrello della spesa. Basti pensare che in Europa e nel mondo l’Italia è il paese dove il consumatore medio spende di più per nutrirsi: nel 2018 la spesa media pro capite si attestava sui 2.428 euro, l’1,3% in più rispetto al 2006 (fonti:

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EUROSTAT 2019, OECD 2019). Anche il consumo di carne e salumi, dopo anni di demonizzazione mediatica, ha ricominciato a crescere: da un confronto tra il primo semestre del 2019 e lo stesso periodo del 2018, risulta un aumento del 3,3% sulla carne e del 2,9% sui salumi (elaborazione Nomisma su dati Nielsen, 2019). Quello che è certo è che le esigenze del consumatore si sono evolute: è cresciuta l’attenzione per la salute e il benessere, come dimostra la vendita dei prodotti free from (per esempio i senza lattosio, coloranti, additivi e

OGM), la cui spesa oggi si attesta sui 7 miliardi (+2,3% 2017/2018; fonte: Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy 2019). Questi sono solo alcuni degli aspetti emersi dalla ricerca di COSTANZA NOSI, professore associato di Economia e Gestione delle Imprese dell’Università di Roma LUMSA e presentata recentemente a Milano presso la Fonderia Napoleonica in occasione dei 60 anni del GRUPPO MARTELLI, leader nella macellazione, lavorazione della carne e produzione di salumi.

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Rilevanza dell’alimentazione in Italia Tra i paesi europei, ma verosimilmente nel mondo intero, l’Italia è la nazione in cui l’alimentazione assume una centralità e una rilevanza economico-sociale che non ha eguali oltreconfine. «Noi italiani siamo un unicum in Europa e in mondo quando si tratta di cibo» ha detto Costanza Nosi, sottolineando il fatto che oggi esiste una tale mole di informazioni che ci influenza profondamente e che spesso confonde il consumatore nelle sue scelte di acquisto.

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«Secondo l’OCSE — prosegue la Nosi — nella UE noi Italiani spendiamo in cibo e bevande l’importo pro capite più elevato, ovvero quasi 2.500 euro all’anno), il che corrisponde a circa il 20% del totale dei nostri consumi (primato questo condiviso con la Spagna)». Infine, in Italia l’incidenza della spesa alimentare è cresciuta di più nel tempo: negli ultimi 10 anni si registra un +1,3% rispetto al 1,2% in Germania,al –0,3% in Francia e addirittura –3,1% in Spagna (fonte: Rapporto Coop, 2019).

Stili alimentari «Dall’indagine “Stili d’Italia” realizzata dall’Ufficio Studi ANCC-Coop (2019), emerge che ciascun Italiano segue in media 1 o 2 stili alimentari. Ci sono consumatori che seguono un solo stile, i cosiddetti “puristi del cibo”, e gli sperimentatori, che possono seguire anche 2 o 3 stili alimentari contemporaneamente (vegano, vegetariana, senza glutine, senza lattosio, ecc…)”. «Alla maggioranza degli Italiani (oltre il 65%) che dichiara di mangiare in modo “tradizionale” (Dieta Mediterranea,

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Tra le prime cinque più importanti caratteristiche che i consumatori considerano nella valutazione degli assortimenti di salumi nei supermercati la prima è la presenza di salumi certificati Dop/Igp (photo © Monkey Business – stock.adobe.com). alimenti tipici della cucina italiana), si affiancano segmenti più o meno rilevanti di consumatori che adottano regimi alimentari più innovativi: i veg & veg (vegani e vegetariani), le tribù del “cibo senza…” (senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri aggiunti e così via), coloro che si dichiarano “biosalutisti”, circa un quinto degli Italiani, e i cosiddetti low cost, che compiono scelte alimentari fortemente influenzate dai vincoli di budget. Il tratto peculiare di questo scenario, oltre alla coesistenza di molteplici stili alimentari differenti, è la fluidità con

cui le persone si “muovono” da uno stile all’altro, dunque nella velocità e la frequenza con cui si cambiano e si sovrappongono fra loro». Le tendenze Qualità del cibo e benessere Senza dubbio molte delle scelte alimentari degli individui sono dettate dalla convinzione che la nostra salute dipenda in larga parte dal nostro stile di vita e dunque anche e soprattutto da cosa mangiamo e beviamo. Ecco, quindi, che la qualità degli alimenti riveste un

C’è una forte componente moda nelle scelte alimentari e una forte componente ostentatoria: il cibo che mangiamo è uno strumento connotativo della nostra identità, ci aiuta a comunicare agli altri chi siamo. Ecco perché se ne parla tanto e tanto si “mostra”

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ruolo prioritario e spesso qualità per il consumatore fa rima con “italianità”. Nel 2018, il giro d’affari dei prodotti riportanti la loro provenienza in etichetta (100% italiano, bandiera italiana, DOC/ DOCG, DOP/IGP) è stato di 6,3 mld di euro, registrando un +4,5% rispetto al 2017 (fonte: Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy 2019). E questo vale anche per i salumi. Tra le prime cinque più importanti caratteristiche che i consumatori considerano nella valutazione degli assortimenti di salumi nei supermercati la prima è la presenza di salumi certificati DOP/IGP e la quarta la presenza di salumi locali/ del territorio (fonte: REM Lab, Università Cattolica, 2019). Sempre l’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy 2019 (dati 2018 su 2017) individua tre ulteriori trend ricollegabili alla voglia di “cibo sano”: l’impennata degli acquisti di prodotti free from, quelli rich in e, ovviamente, il biologico (2 mld di euro di giro d’affari, +10,7% 2018/2017).

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Il business del “senza” (senza lattosio, senza zuccheri aggiunti, senza olio di palma, ecc…) è di oltre 7 mld di euro e continua a crescere (+2,3% gli ultimi dati). Come accade spesso nel mondo del cibo, in parte il fenomeno si deve a tendenze “modaiole” più che per vere esigenze legate alla salute. Si pensi infatti che, mentre la celiachia è stata diagnosticata all’1% della popolazione, il 40% delle famiglie dichiara di comprare usualmente prodotti senza glutine. E non è da dimenticare il cosiddetto fenomeno del “Try & Judge”, ovvero, magari si compra, per provare, per poi tornare agli acquisti abituali perché insoddisfatti delle caratteristiche organolettiche del prodotto. È quanto avvenuto per esempio nel comparto degli alimenti senza proteine animali, che vede recentemente una rapida discesa (–40,5% in valore i würstel vegetali, –36,2% surgelati piatti pronti sostituivi proteine animali, –8,5% prodotti fatti con tofu o seitan). La ricerca di REM Lab, Università Cattolica 2019, sui salumi, ad esempio, evidenza che nei criteri di valutazione degli assortimenti nella GDO la presenza di salumi alternativi (per vegani, ecc…) e la presenza di salumi “innovativi” hanno per i consumatori l’importanza minore. I prodotti rich in sono invece ricchi di… qualcosa: fibre, ferro, vitamine, Omega-3 e così via. Il 9% dei prodotti alimentari italiani riporta un claim che evidenzia l’abbondanza di qualche contenuto benefico, il giro d’affari complessivo ha raggiunto 2,4 mld di euro, registrando un +8% tra il 2018 e il 2017. Rientrano in qualche modo in questo trend anche i cosiddetti superfood, che hanno fatto di alcuni cibi delle vere e proprie celebrities, arricchendo le nostre tavole di avocado, quinoa, bacche di goji, kamut… anche se quest’ultimo è già in fase calante. Service content Insieme alla qualità, i consumatori cercano nei prodotti, e nella value offering alimentare in genere, un elevato contenuto di servizio. Sono cioè estremamente sensibili a tutto ciò che rappresenta il “mondo dell’immateriale” che ruota intorno al cibo. Si cucina sempre meno: 1 ora al giorno nel 1998, 37 minuti 20 anni dopo. Si mangia sempre più fuori

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La qualità degli alimenti riveste un ruolo prioritario nella scelta di acquisto e spesso qualità per i nostri connazionali fa rima con “italianità”, salumi compresi (photo © Mila Bond – stock.adobe.com). casa, destinando quasi il 40% del totale del nostro budget dedicato a cibo e bevande, in totale oltre 84 mld di euro nel 2018. Si mangia fuori per socializzare, per comodità e tempo, perché non abbiamo potuto o voluto cucinare (fonte: Rapporto Coop, 2019). Inutile parlare poi della vera e propria “esplosione” del food delivery, ma anche del take away. Il Ready2Eat (snack, piatti pronti, insalate “pre-assemblate” e da condire nella confezione) valgono oggi 1,6 mld di euro e hanno registrato un +9,3% nell’ultimo anno (elaborazione Nomisma su dati Nielsen, 2019; variazione a valore giugno 2019 su giugno 2018).

Parola d’ordine: instant food! Quando facciamo la spesa vogliamo rapidità, facilità d’accesso, competenza e cortesia del personale. Le prime due ragioni indicate dai consumatori intervistati da REM Lab nel 2019 che li spingono a scegliere il supermercato dove acquistare i salumi sono: “comodità e vicinanza” e “perché è il mio supermercato di fiducia per tutta la spesa”, entrambi attributi soft. Chiedendo loro quali sono le aree da migliorare nel banco taglio, emerge che la maggior parte sono aspetti “intangibili”, di servizio per l’appunto: migliore gestione della coda (40%), migliore ordine e pulizia, migliore taglio delle fette e rispetto per le quantità richieste,

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maggiore gentilezza del personale‌ A chi si chiede invece perchĂŠ acquisti salumi prevalentemente self-service, il 52,6% risponde per la velocitĂ (perchĂŠ non c’è bisogno di aspettare il proprio turno). Stacca la data di scadenza piĂš lunga, seconda ragione piĂš rilevante, di quasi 20 punti percentuali. Il cibo: piacere, lifestyle e fashion ÂŤIl consumo di cibo in Italia rimane comunque un atto profondamente edonisticoÂť sottolinea Costanza Nosi. ÂŤIl 78% degli Italiani dichiara che non rinuncerebbe mai al gusto del cibo che mangia. Il 36% dichiara di acquistare alimenti premium perchĂŠ rassicurato dalla garanzia di gusto migliore (fonte: Osservatorio Lifestyle Nomisma, 2019)Âť. Crescono i segmenti dell’etnico (+12,5% in valore negli ultimi 10 anni) e del luxury (+9,3%; fonte: REF Ricerche su dati Nielsen, 2019). ÂŤNon solo perchĂŠ evidentemente le caratteristiche organolettiche di questi cibi incontrano le preferenze dei consumatori, ma anche perchĂŠ contribuiscono a caratterizzarne il lifestyle e risultano molto fashion. C’è infatti una forte “componente modaâ€? nelle scelte alimentari dei consumatori (fenomeno sushi). Ma c’è anche una forte “componente ostentatoriaâ€?: il cibo che mangiamo è uno strumento connotativo della nostra identitĂ individuale, ci aiuta a comunicare agli altri chi siamo (o chi vorremmo essere). Ecco perchĂŠ se ne parla tanto‌ e si mostra. Mai come oggi ci sono stati tanti programmi di cucina in TV, mai come oggi si parla cosĂŹ tanto di enogastronomia sulla rete e si mostra sui social ciò che si mangia e si beve (170 mln di hashtag #Foodporn su Instagram, 2,2 mln #Cibo, 1,3 mln #Cucinaitaliana, 1,1 mln #Vegetariano, e cosĂŹ via; fonte: REF Ricerche, 2019)Âť. Scollamento domanda-oerta ÂŤNonostante alcune tendenze siano note e chiare, non di rado si verificano “scollamentiâ€? tra domanda (i consumatori) e offerta (sia da parte dei produttori che da parte del retail). Questo porta ad alcune criticitĂ che fanno “sprecareâ€? investimenti perchĂŠ non incontrano le preferenze e le scelte d’acquisto della domandaÂť fa notare la Nosi. ÂŤTra il

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2014 e il 2017, sono state immesse complessivamente 128.164 nuove referenze nella GDO italiana (fonti: Negri, 2019, elaborazioni su dati Nielsen e IRI, 2019 – Iper, Super e LSP). Di queste, solo 1.863 hanno avuto successo. Relativamente ai salumi, per esempio, REM Lab (2019) evidenzia che la GDO individua alcune prioritĂ , proprie dei retailer, che però risultano scarsamente importanti per i consumatori: incrementare il numero di linee MDD, ampliare profonditĂ e ampiezza del libero servizio, valorizzare nuovi lanci. Viceversa, alcune cose ritenute importanti dai consumatori, sono considerate scarsamente rilevanti dagli operatori retail: al primo posto si trovano: migliori marche, assenza di “rotture di stockâ€?, chiarezza espositiva dei reparti self-serviceÂť. Take away • L’errore piĂš grande è cominciare dalle operations di marketing. Chi, preso dal panico di una potenziale riduzione delle vendite: * lancia un nuovo prodotto; * abbassa/alza il prezzo; * cambia il pack; * aggiunge info in etichetta; * mette un claim‌ • Ci sono delle tendenze da monitorare con attenzione e SISTEMATICAMENTE. • La rete è una “fonte inesauribileâ€? di dati e informazioni utili per comprendere il mercato (e non sono il numero di post o di like, sono informazioni estremamente piĂš profonde). • Pur rispettando l’etica di business (Cambridge analytica docet), ci sono una molteplicitĂ di canali e metodi per comprendere dove va il mercato. • Basta sviluppare una “capacitĂ di ascoltoâ€?. • La buona riuscita di una strategia passa per una fase analitica “attentaâ€?. • Deciso cosa si vuole fare, si passa all’operativitĂ . • Una volta deciso, ovviamente, vanno intraprese azioni di comunicazione oculate e adeguate. Nota A pagina 70 e 71, photo Š kues1 – stock.adobe.com

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MONOPORZIONI, DIMMI COME COMPRI E TI DIRÒ CHI SEI

Quanto si può comprendere di una persona guardando nel suo carrello al supermercato? Quantità dei cibi acquistati, varietà dei prodotti e persino orario in cui si fanno gli acquisti sono espressione della vita dell’acquirente e, a cascata, di un popolo di Sebastiano Corona

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È

L’Italia di oggi è molto diversa da quella di 50 anni fa da ogni punto di vista. Così la tavola, luogo per antonomasia dove le famiglie si ritrovano, diventa uno dei sensori di questi cambiamenti. Una riduzione importante dei componenti non può che tradursi nel calo delle quantità consumate e di alimenti confezionati con grammature più contenute

Le famiglie moderne con pochissimi componenti acquistano il poco necessario per correre ai ripari alla sera, in solitudine, dopo una giornata di lavoro. E se la monoporzione non è sostenibile dal punto di vista ambientale, perché genera una sovrapproduzione di imballi da smaltire, dall’altra permette un risparmio in termini economici e di sprechi

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stata l’I STAT a dichiararlo a fine anno nell’Annuario 2019: le famiglie, 25 milioni e 700.000, sono oggi sempre di più, ma anche sempre più piccole. Aumentano in quantità, dunque, ma hanno meno componenti. Il numero medio è passato da 2,7 (anni 19971998) a 2,3 (2017-2018). Gli stati di famiglia dove compare una sola persona sono cresciuti negli ultimi vent’anni di oltre 10 punti percentuali: dal 21,5%, al 33%, fino a diventare un terzo del totale. Lo zoom dell’Istituto di statistica dimostra che il 33,2% è rappresentato da coppie con figli, la tipologia che ha fatto registrare la maggior diminuzione negli ultimi anni. È drammatico il calo demografico, ma anche l’invecchiamento della popolazione, mentre si ritarda la fuoriuscita dalla famiglia d’origine e la costituzione di una famiglia propria. Impossibile pensare che tutto questo non abbia conseguenze dirette ed immediate sugli stili di vita e sui consumi. L’Italia di oggi è profondamente diversa da quella di cinquant’anni fa e lo è da ogni punto di vista. E la tavola, luogo per antonomasia dove le famiglie italiane si ritrovano, diventa uno dei maggiori sensori di questi cambiamenti. Una riduzione importante del numero dei componenti non può che tradursi nel calo delle quantità consumate di volta in volta e — nell’era del prodotto confezionato — di alimenti con grammatura sempre più contenuta. Non è un caso se è boom di acquisti di monoporzioni, dai salumi ai prodotti da forno, dal formaggio alla frutta, dalle creme spalmabili, dolci e salate al pesce, senza dimenticare nulla, nemmeno il caffè. La monoporzione, di pari passo con il monouso, mostra un trend di crescita ragguardevole, che si tratti di grandi superfici di vendita, di distributori automatici, di ristorazione o di superette. Gli esempi sono innumerevoli, sempre più imprese prendono la direzione del packaging ridotto, che possibilmente abbia anche la caratteristica di poter essere trasportato e consumato con facilità. Tra i formaggi spiccano il Parmigiano Reggiano, i tomini e lo Snackorino, una monoporzione di Pecorino Romano

DOP, versatile e comodo anche da portare in cartella o in borsa. E da qualche tempo sono disponibili anche i formati monoporzione stick e snack del formaggio Montasio DOP. Le due pezzature disponibili, una da 30 grammi e l’altra superiore ai 50, hanno conquistato i buyer internazionali, soprattutto importatori e grossisti dell’Est Europa e del Far East, in particolare di Taiwan. Il GRUPPO AGRIBOLOGNA, titolare del brand Fresco Senso, dedicato alla frutta e alla verdura di IV gamma, pronta al consumo, dichiara un incremento, sul monoporzione, del 20% a valore e del 16% a volume. Anche BARILLA, coi nuovi Pan di Stelle Biscocrema, la risposta commerciale ai Nutella Biscuits, propone un piccolo packaging da sei porzioni. Sta lavorando alla causa anche WALMART, insegna anglosassone della Grande Distribuzione Organizzata, che sta introducendo i cibi pronti in vaschetta kit monoporzioni in oltre 2.000 negozi. Il colosso della distribuzione d’Oltremare intende fronteggiare e arginare AMAZON in Whole Food con specialità gastronomiche pregiate di svariate tipologie, dal pesce agli arrosti, ai primi, alle verdure già cotte. Altri innumerevoli esempi si trovano nel mondo dei salumi, dove possiamo trovare vaschette di salame, mortadella o prosciutto con la grammatura esatta per un panino. Stesso dicasi delle carni, dove molti macelli propongono l’hamburger, la bistecca o i preparati sottovuoto in formato singolo o per appena due persone. Ultimo ma non ultimo, in una lista indicativa ma non certo esaustiva, ecco la cialda per il caffè che fa inevitabilmente soccombere la moka e cancella decenni di tradizione nostrana. La classica caffettiera che per quasi un secolo ha scandito le giornate e la vita degli Italiani è stata sostituita da un sistema che eroga l’equivalente di una tazzina per volta. Il caffè rito e simbolo di convivialità si piega anch’esso all’incalzare dei tempi e delle nuove abitudini. Non è boom solo di porzioni monodosi, è anche richiesta, sempre più pressante, di quanto vi ruota attorno, dai distributori alle linee produttive, dagli imballaggi agli utensili in formato ridotto.

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Sempre più imprese prendono la direzione del packaging ridotto, che possibilmente abbia anche la caratteristica di poter essere trasportato e consumato con facilità. Tra i formaggi spiccano il Parmigiano Reggiano, i tomini, lo Snackorino, una monoporzione di Pecorino Romano Dop, versatile e comodo anche da portare in cartella o in borsa, e formati monoporzione stick e snack del formaggio Montasio Dop (photo © www.montasio.com). È solo una questione demografica quella legata a questo fenomeno o c’è anche altro a giustificarlo? Sembrerebbe proprio di sì. Le diverse ragioni — perché sono tante — non risiedono solo nell’evoluzione sociale del ridimensionamento dei nuclei familiari. Ci sono anche abitudini nuove, stili di vita differenti, modalità e occasioni di consumo un tempo sconosciute. Chi frequenta i supermercati dopo le 20:00 sa bene quale tipo di clientela circoli: single che lavorano sino a tardi e in orari inconsueti si aggirano nei corridoi con un carrellino piccolo, dove compaiono poche sparute cose, di formato monouso. Le famiglie moderne con pochissimi componenti — spesso uno solo — acquistano il poco necessario per correre ai ripari a fine serata, in solitudine, dopo un’interminabile giornata di lavoro. I pasti in casa sono sempre più limitati. Raramente riguardano la cena,

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ancor meno il pranzo, che viene invece consumato in una pausa veloce nei pressi del posto di lavoro. D’altronde non avrebbe senso acquistare grandi quantità o formati famiglia per doverli poi inesorabilmente buttare in pattumiera dopo qualche giorno. Se la monoporzione non appare sostenibile dal punto di vista ambientale, perché genera una sovrapproduzione di imballi da smaltire, dall’altra, infatti, permette un risparmio in termini economici, ma anche di sprechi che, inevitabilmente, si verificano quando si ha nel frigo più di quanto serva. Sono inoltre tramontati i tempi del rispetto rigoroso della stagionalità dei cibi. Una volta si seguivano pedissequamente i ritmi della natura e per giorni, settimane, mesi, si consumava quanto la campagna offriva in quel momento. Oggi nei Paesi occidentali è ricerca continua di varietà, di piatti diversi ad ogni pasto e anche per una dieta varia,

non si concepisce l’idea di mangiare consecutivamente lo stesso cibo per più giorni di seguito. Questo porta a preparare e cuocere quantità modiche e sempre diverse. A coloro che amano cimentarsi in cucina — che, al contrario di quanto appaia, sono in realtà sempre meno — spesso per realizzare ricette esotiche e inconsuete servono ingredienti che probabilmente nei mesi a seguire non verranno più utilizzati. Ed è quindi, a maggior ragione e ancora con lo scopo di evitare sprechi, che si preferiscono confezioni di modesto dosaggio. Soprattutto se si tratta di prodotti che hanno una vita molto limitata. Più il cibo è fresco, più è sentita quest’esigenza. La versatilità e la portabilità di un alimento è allo stesso modo legata alle occasioni di consumo. Tanto più è insolito l’impiego di un cibo, tanto minori sono le quantità che se ne acquistano volta per volta.

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E ancora, in tempi di maniacale attenzione alle calorie, la tendenza è quella di rendere meno pesanti i pasti canonici di colazione, pranzo e cena, a favore degli spuntini distribuiti nell’arco della giornata. Spuntini che non possono che essere modesti in termini di quantità e apporto nutritivo. Secondo la NIELSEN, il mercato dei fuori pasto salati registra nell’anno giugno 2018/giugno 2019 una crescita del 3% a valore, per un totale Italia di 755,7 milioni di euro. Il controllo delle calorie che porta all’acquisto di porzioni ridotte è un fattore che spinge le vendite delle monoporzioni in maniera importante e si rileva su ogni fronte e per molte tipologie di cibi, non ultimi i piatti pronti. Tra questi meritano una citazione le lattine di dimensioni mini della BONDUELLE che portano il nome di “Il tuo tocco”. Si tratta di una linea specifica in monoporzione che permette di preparare pietanze diverse come zuppe, insalate e frullati con una quantità di prodotto misurata, a cui il consumatore deve solo aggiungere elementi (pochi) a suo piacimento.

Di questi ritrovati non dovrebbe teoricamente buttarsi via nulla se non la confezione, appunto. Che con un minimo sforzo può, tuttavia, essere progettata per il riciclo e un basso impatto, come già avviene per alluminio, plastiche compostabili e cartone. Se da una parte tenderanno ad aumentare i rifiuti legati al packaging, dall’altro il vantaggio potrebbe essere la riduzione dello spreco alimentare che in Italia è stimato per 15 miliardi di euro all’anno, quasi l’1% del PIL nazionale. Un sacrilegio vero e proprio, da ogni punto di vista. Che dire inoltre di certe abitudini alimentari e di vita nelle famiglie? Si cucina sempre meno e non sempre ci si trova tutti a tavola nello stesso momento. Non a caso aumentano le vendite di piatti pronti che, secondo NIELSEN, nel 2018 hanno rappresentato il 7,1% del totale della spesa, con un incremento di quasi 1 punto e mezzo percentuale, rispetto all’anno precedente. Fioccano le allergie e le intolleranze alimentari e tutto questo contribuisce a far consumare ad ognuno un suo piatto,

anche quando ci si trova in compagnia. Va da sé che la tendenza sia quella del consumo di molte pietanze, tutte diverse. In dimensioni ovviamente modeste. Alle monoporzioni si accompagnano inoltre, sempre più spesso, modalità di preparazione e/o di cottura molto più celeri e pratiche. Per tornare all’esempio del caffè o altre bevande calde, si pensi a quanto sono più pratiche le cialde rispetto alla classica caffettiera. La vita moderna ci richiede tempi contingentati, si immagini quindi quanto sia pratico al giorno d’oggi un caffè che si materializza in qualche secondo, che non necessita di attenzione nel momento della bollitura dell’acqua e che, al contrario della moka, non richiede impegno alcuno nella sua preparazione. Tutto o quasi — non ultimo il cibo — è mutato rispetto a un tempo. E come siamo cambiati, ancora una volta, lo si vede a tavola e al supermercato. Sebastiano Corona Nota A pagina 76, photo © phpetrunina14 – stock.adobe.com




MERCATI

SALAME FELINO IGP: 75 milioni di euro di fatturato per il comparto nel 2019 Crescono le produzioni etichettate, a fronte di una leggera riduzione dei chilogrammi di carne scelta lavorata. L’export si conferma in salute, con un’incidenza del 20% sul fatturato del comparto, che raggruppa 14 aziende, per oltre 500 occupati, considerando l’indotto

Salame Felino Igp in stagionatura. Condotta in locali ove sia assicurato un sufficiente ricambio di aria a temperatura fra i 12 e i 18 °C, questa fase deve durare almeno 25 giorni.

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N

el 2019 il comparto del Salame Felino IGP ha fatto registrare un fatturato al consumo di circa 75 milioni di euro: un risultato che ricalca quello del 2018. Come emerge dai dati forniti da ECEPA – Ente di Certificazione di Prodotti Agroalimentari, a fronte di una leggera riduzione dei kg di carne lavorata (5,03 milioni di kg nel 2019), negli ultimi 12 mesi sono aumentate del 3,9% le produzioni etichettate. Dall’analisi dei dati di mercato, la GDO si conferma il principale canale di commercializzazione: il Salame Felino IGP rimane la referenza più premiata dai consumatori. Il segmento del preaffettato è stabile, attestandosi al 17,4% della produzione. Per quanto riguarda l’export, che incide per circa il 20% del fatturato del comparto, il Salame Felino IGP si conferma un’eccellenza salumiera italiana apprezzata principalmente nell’area UE, in particolare in Francia e Germania. A parlare in rappresentanza del Consorzio di tutela del Salame Felino IGP* è il suo presidente UMBERTO BOSCHI. «Il 2019 è stato un anno in linea con le attese: lo possiamo considerare positivo, tenendo conto delle tensioni fatte registrare dal mercato delle carni, con un rincaro importante delle materie prime, legato principalmente all’aumento della domanda di carne suina in Cina. Il 2020 è iniziato in modo positivo: è però ancora prematuro fare previsioni attendibili, alla luce di una variabile come l’emergenza coronavirus, che potrebbe avere riflessi sul mercato. Non desta invece particolari preoccupazioni l’uscita del Regno Unito dalla UE, perché nel 2020, per gli scambi, proseguirà il regime transitorio».

“La bottega è la nostra missione” – Sono queste le parole che racchiudono in sintesi la filosofia e lo spirito che animano le attività di “Vecchia Malga”, storica azienda nata nel 1969, che con la sua presenza sul territorio bolognese è diventata un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione delle materie prime, dei prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. “La bottega per noi è un palcoscenico” – Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con gli occhi, i punti vendita del brand portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. Una sorta di palcoscenico, dove ogni elemento che vi compare, e ne è un componente essenziale, è un personaggio, col suo carattere, la sua precisa identità. E percorrendo questo palcoscenico, unendo i personaggi, possiamo vivere una straordinaria e coinvolgente esperienza, una sorta di viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. “Il commercio è conoscenza consapevole dell’autenticità dei prodotti” – Perfette guide di questo viaggio, i membri dello staff “Vecchia Malga” accompagnano il cliente in un percorso di storia, tradizione e valori di una volta che culmina con la degustazione delle eccellenze presenti nel punto vendita. Il commercio cessa di essere così una pratica e diviene conoscenza, del territorio, della qualità del prodotto, degli uomini e delle donne che quel prodotto lo lavorano, lo trasformano e, infine, lo consumano. “La bottega sarà anche on-line da metà gennaio 2018” – “Vecchia Malga” è diventata parte integrante dell’economia bolognese grazie anche all’ubicazione in zone strategiche della città quali il centro storico e l’Aeroporto Marconi, punto nevralgico da cui partire per far conoscere le eccellenze enogastronomiche locali in tutto il mondo. E da oggi è anche on-line, con il nuovo progetto di e-commerce: www.vecchiamalganegozi.com

>> Link: www.salamefelino.com Nota * Il Consorzio di tutela del Salame Felino IGP non persegue fini di lucro ed ha funzione di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi al “Salame Felino” Indicazione Geografica Protetta. Ad oggi, il Consorzio riunisce 14 aziende del territorio parmense che occupano, considerando anche l’indotto, oltre 500 persone.

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Vecchia Malga Negozi Srl Via Roma, 55/A - 40069 Zola Predosa (BO) Tel: 051/6166687 - Fax: 051/6166686 info@vecchiamalganegozi.it - www.vecchiamalganegozi.com Zola 051/6166740 Via Roma, 55/A Zola Predosa (BO) La Baita 051/223940 Via Pescherie vecchie, 3A Bologna Mazzini 051/346508 Via Mazzini, 93 Bologna Negozio Aeroporto 051/6472198 Gastronomia - Aeroporto G. Marconi piano terra Pizzeria Vecchia Malga 051/6472196 Verace Pizza Napoletana - Aeroporto G. Marconi piano terra Vecchia Bologna 051/6472208 Ristorante/negozio/wine bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Bar Vecchia Malga 051/6472168 Bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Gastronomia Italiana 051/0060962 negozio - Aeroporto G. Marconi extra Schengen


Mortadella Bologna Igp sempre più apprezzata all’estero. Nel 2019 ha registrato un incremento del 20% delle esportazioni La Mortadella Bologna Igp continua a crescere, soprattutto all’estero. Nel 2019 la quota export è passata infatti dal 16% al 18% del totale venduto (32 milioni di kg.). E l’incremento delle vendite all’estero è stato del 20% confermando la UE come il principale mercato di riferimento con una quota pari al 94% del totale esportazioni. In particolare, ai primi due posti si confermano Francia e Germania, con un aumento dei consumi per quest’ultima del 24%, seguiti da Spagna con un aumento delle vendite del 16% e Gran Bretagna con un +8%. La restante quota del 6% dell’export è rappresentata dai Paesi extra-UE, con al primo posto la Svizzera (27%), seguita dal Giappone (13%) con un aumento dei consumi del 28% — molto probabilmente dovuto anche alle numerose attività che il Consorzio sta portando avanti nel canale Ho.Re.Ca. di questo Paese — Libano (11%) con +40% e Canada (la cui quota è ancora pari al 9% sul totale ma registra un incremento rispetto al 2018 del +204%, sicuramente grazie alla firma dell’accordo bilaterale UE-CANADA per il libero commercio tra i due “Stati” (accordo CETA). «Siamo particolarmente orgogliosi della continua crescita della Mortadella Bologna nei mercati esteri che, da una parte, conferma il crescente apprezzamento della qualità di un prodotto Igp tutelato e controllato, fiore all’occhiello del made in Italy agroalimentare e dall’altra, premia l’impegno del Consorzio nel portare avanti specifici programmi di promozione all’estero, in particolar modo in Germania e Belgio per il mercato UE e Giappone ed Hong Kong per il mercato extra UE» sono le parole di Corradino Marconi, presidente del Consorzio Mortadella Bologna. >> Link: mortadellabologna.com

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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it


PRODOTTI TIPICI

Salumificio Santa Barbara: piccanti bontà della norcineria di Calabria di Massimiliano Rella

C’

eravamo già andati sette anni fa a Casabona, paesino di 3.000 abitanti in provincia di Crotone, a trovare il premiato norcino e macellaio CAMILLO LANGONE, proprietario con la moglie ALESSANDRA dell’azienda Santa Barbara, laboratorio artigianale con

negozio vicino alla piazza centrale. Sette anni sono molti e in effetti Langone ha fatto passi avanti. Innanzitutto ha raddoppiato la produzione, che oggi stima in 30 quintali di stagionato al mese tra salsicce, capocollo, guanciale, pancetta, filetto, gambone calabrese, soppressa bianca e rossa, ‘nduja, ecc…;

a cui va ad aggiungersi tutto il fresco di giornata (che qui non contabilizziamo), cioè salsicce e carne dell’allevamento di famiglia. Camillo e Alessandra si approvvigionano infatti dall’azienda agricola dei parenti di Casabona, contando su 60 bovini (di cui 40 macellati ogni anno) e 500 suini allo stato

Camillo e Alessandra Langone.

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Lavorazione di pancette e capicolli nella norcineria artigianale Santa Barbara di Casabona (KR).

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Il Nero calabrese è una razza suina autoctona dal mantello nero e ispido, una specie rustica che ha rischiato l’estinzione in periodi in cui si guardava più alla taglia che alla tipicità e qualità. La sua carne magra è adatta per i tipici salumi calabresi, a partire dalle soppressate e dalla ‘nduja, morbida, spalmabile e piccante, così ricca di peperone e peperoncino rosso

La salsiccia stagionata della norcineria artigianale Santa Barbara. semibrado (350 dei quali macellati ogni anno). Gli animali sono alimentati con farinacei e integrazione di proteine. In questi sette anni un altro cambiamento ha riguardato la macelleria, un nuovo negozio aperto in via Vittorio Veneto, mentre il salumificio è rimasto in via della Sila. Tre anni fa, inoltre, Santa Barbara ha cominciato a produrre un gambone calabrese e, da pochi mesi, lo “schiacciato”, un salume schiacciato in una piastra d’acciaio, stagionato 180 giorni. Tra le ultime novità anche la sperimentazione di un salume affumicato con legno d’ulivo e d’arancio e le soppresse bianche — con aglio e rosmarino — e allo zafferano. I prodotti, ora come allora, sono distribuiti a Milano e in Lombardia, in Toscana, a Bologna e Ferrara e in Campania. Di nuovo c’è l’ingresso sul mercato svizzero attraverso la rete GDO di qualità Globos. Camillo Langone, 52 anni, lavora e trasforma le carni di suino e vacca Podolica degli allevamenti di famiglia, del fratello Alessandro, 49 anni, che alleva

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scrofe Landrace – Large White, suino Nero calabrese, Cinta senese e incroci di Nero e Cinta. Altri capi li acquista dallo zio Antonio, il cui allevamento si trova sulle colline di Casabona. Il Nero calabrese, in particolare, è una razza autoctona dal mantello nero e ispido, una specie rustica che ha rischiato l’estinzione in periodi in cui si guardava più alla taglia che alla tipicità e qualità. La sua carne magra è adatta per i tipici salumi calabresi, a partire dalle soppressate e dalla classica ‘nduja, ricca di peperone e peperoncino rosso, morbida, spalmabile e molto piccante. Anche i suini di Cinta senese, dal mantello scuro con la caratteristica fascia bianca-rosa intorno al tronco, danno il meglio in qualità. Nel rispetto di questa materia prima Santa Barbara non utilizza coloranti e conservanti. La carne è condita con sale marino, pepe, peperoncino rosso e finocchietto selvatico locale. La fase iniziale di stagionatura avviene in piccole celle ed è completata

in ambienti naturali, a temperatura e umidità controllate. Ad esempio, il capicollo è speziato con peperoncino rosso, sale (o pepe nero) e stagiona tra i 150 e i 180 giorni. Pari durata di stagionatura per il filetto, speziato anche con gli stessi ingredienti. Pancetta e guanciale maturano invece 120 giorni, mentre la soppressata rossa, condita con peperoncino, e la soppressata bianca per “soli” 60 giorni. La salsiccia è prodotta sia dolce che piccante, speziata con finocchietto e pronta dopo un mese. Come la ‘nduja, del resto, ma qui la percentuale di peperoncino aumenta. L’azienda nacque nel 1948 per volere del nonno Camillo, ma ha cominciato a produrre salumi dal 2006, prima d’allora limitandosi alla vendita e alla macellazione. Massimiliano Rella >> Link: www.salumificiocasabona.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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WEEK-END

Da Langhirano a Felino: le terre del Prosciutto Colline lievi, grandi vallate verdi e campi coltivati con cura: è la valle formata dal torrente Parma, che risale dall’alta pianura a sud della città emiliana fino all’Appennino 90

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A sinistra: il castello di Torrechiara (PR). In basso: la Camera d’Oro, la stanza più famosa all’interno del Castello di Torrechiara. Gli affreschi furono dipinti con molta probabilità da Benedetto Bembo, su richiesta del conte Pier Maria II de’ Rossi, verso il 1462 (photo © medium.com); prosciutto di Parma (photo © convivium.it).

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In alto: i capitelli del nartece dell’abbazia di San Basilide, nota anche come badia Cavana, a San Michele Cavana (photo © assaporaparma.it).

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I

ncastonato nell’aria fresca e nei vitigni dei dolci declivi che caratterizzano il paesaggio, sorge il paese di Langhirano, piccolo centro nelle pendici collinari dell’Appennino parmense. Storica capitale del Prosciutto di Parma DOP — qui si trova il Museo dedicato a questo salume e si svolge, ogni anno nei primi due week-end del mese di settembre, l’omonimo Festival (www.festivaldelprosciuttodiparma.com) —, la cittadina pedemontana è interamente permeata dalla cultura e dall’atmosfera che caratterizza la produzione di questa eccellenza della tradizione gastronomica italiana. Il cuore dell’abitato, che sorge in prossimità del torrente Parma, è circondato dai caratteristici fabbricati in cui le cosce di maiale vengono lavorate e poi stagionate. I salumifici — i primi furono costruiti all’inizio del Novecento — sono disposti perpendicolarmente rispetto al torrente per poter sfruttare meglio, attraverso le tipiche finestrature alte e strette, l’aria necessaria alla stagionatura dei prosciutti (oggi questa caratteristica architettonica rimane il segno di una tradizione artigianale non più funzio-

nale al processo produttivo, cambiato negli anni Venti del Novecento, con l’introduzione delle celle frigorifere, e poi, negli anni Cinquanta, con la possibilità di controllare l’aria così da garantire la produzione del prosciutto nell’arco di tutto l’anno). Il Palazzo del Municipio, di antiche origini castellane (il primo nucleo dell’edificio venne fatto edificare nel XIII secolo per il capitano del vescovo Grazia), ma risalente, nell’attuale struttura, ai primi anni del Seicento, si impone al centro dell’abitato per la sua solenne architettura esterna, tipica della “villa” di epoca farnesiana, a pianta quadrata con basamento a scarpa, quattro torrioni angolari e due ordini sovrapposti di triplici arcate a tutto sesto sostenute da colonne in arenaria, nella facciata e sul retro. In facciata, una bella epigrafe scolpita ricorda FAUSTINO TANARA, il valente patriota e colonnello garibaldino langhiranese, mentre il vicino Centro Culturale ospita il Museo del Risorgimento, a lui intitolato, che conserva cimeli, documenti e lettere, tra cui la ricca corrispondenza epistolare che Tanara tenne con i principali protagonisti del movimento risorgimentale italiano, Garibaldi e

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mosfera “senza tempo”, la splendida fortezza dal cuore affrescato del Castello di Torrechiara. Fatto costruire, fra il 1448 e il 1460, da Pier Maria Rossi come inespugnabile fortilizio militare a dominio della Val Parma, ma anche come nido d’amore per lui e BIANCA PELLEGRINI, moglie di un nobile di Arluno, conosciuta alla corte di Milano, il castello è uno dei più importanti manieri medievali italiani, anche perché è tra i più estesi e meglio conservati. Tre cinta di mura, quattro possenti torri angolari, e poi camminamenti di ronda, caditoie e beccatelli. Al suo interno, conserva preziose decorazioni, in particolare i cicli pittorici di tema profano della “Camera d’Oro”, eseguiti nel 1462 e attribuiti a Benedetto Bembo, e affreschi a grottesche realizzati nel XVI secolo da CESARE BAGLIONE. Al piccolo borgo medievale di Torrechiara (il toponimo sembra derivi da “Torciara” o “Torchiara” probabilmente per la torchiatura delle olive, dimostrando come questa zona fosse nell’antichità ricca di uliveti, non solo

di vigne) appartiene anche, sul lato opposto della strada di fondovalle, la badia benedettina di Santa Maria della Neve, che sorge in posizione isolata vicino al torrente Parma. Il complesso monastico, recentemente restaurato, fu fatto erigere nel 1471 sempre da PIER MARIA ROSSI, conte di San Secondo, probabilmente per il figlio naturale UGOLINO, che allora era abate del Monastero di San Giovanni Evangelista a Parma. Nel corso della seconda guerra mondiale, la Badia di Torrechiara ha ospitato libri rari e preziosi provenienti da varie biblioteche emiliane, tra cui la celebre Bibbia miniata di Borso d’Este, e vi hanno trovato rifugio diversi oggetti artistici, allontanati dalla città in seguito ai bombardamenti aerei. Il monastero svolge ora attività di ospitalità per chi voglia soggiornare in questa pace immersa nella campagna e possiede un prezioso laboratorio apistico per la produzione e la vendita di prodotti di cosmesi ed erboristeria. Fonte: Musei del Cibo della Provincia di Parma www.museidelcibo.it

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Mazzini, di notevole interesse storicodocumentale. Un’altra suggestiva architettura conventuale si trova a San Michele Cavana, a pochi chilometri da Langhirano, ma sull’altra sponda del torrente: Badia Cavana, un tempo chiesa di San Basilide. Fondata su una verde altura, intorno al 1111, da SAN BERNARDO DEGLI UBERTI, vescovo di Parma dal 1109 al 1133, fu un’importante abbazia, appartenuta alla congregazione dei Vallombrosani fino al XV secolo. Quanto rimane del monastero è oggi una piccola e semplice chiesa d’impianto romanico, dedicata a San Michele. Restaurata nel 1842, conserva della struttura originaria il nartece, caratterizzato da notevoli capitelli in pietra arenaria con simboli degli evangelisti e intrecci vegetali, e il chiostro, che ha mantenuto la planimetria del XII secolo. Secondo la tradizione, nella cripta custodirebbe le spoglie di San Basilide. Poco prima del paese di Langhirano, provenendo da Parma, si erge solitaria e imponente, come sospesa in un’at-

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L’olio come il vino: riconosciuto l’oleoturismo L’olio è diventato turismo e può beneficiare di agevolazioni fiscali. La manovra 2020, infatti, ha esteso, dal 1o gennaio di quest’anno, disposizioni della legge di bilancio 2018 relative all’attività di enoturismo anche a quelle di oleoturismo. Le attività di oleoturismo sono tutte quelle che aiutano a conoscere l’olio d’oliva nel luogo di produzione come le visite nei luoghi di coltivazione, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione dell’ulivo, nella degustazione e nella commercializzazione delle produzioni aziendali dell’olio d’oliva, anche in abbinamento ad altri alimenti, in iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito dei luoghi di coltivazione e produzione. Entrando nel dettaglio, dal 1o gennaio 2020 le disposizioni dei commi da 502 a 505 della Legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) contenute nell’articolo 1 relative all’attività di enoturismo si applicano anche alle attività di oleoturismo. In termini di agevolazioni significa che è in vigore la determinazione forfetaria del reddito imponibile, ai fini Irpef, con un coefficiente di redditività del 25%, a talune condizioni, il regime forfetario dell’IVA che consiste nella riduzione del 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili (come detrazione forfetaria dell’IVA sugli acquisti e sulle importazioni). I requisiti minimi per svolgere attività oleoturistica in azienda sono l’apertura anche stagionale per almeno due giorni alla settimana, la presentazione dell’iniziativa su internet per gestire la prenotazione delle visite. Altro requisito l’affissione, all’interno dell’azienda, di un cartello che riporti la denominazione dell’azienda, l’eventuale marchio distintivo dell’attività oleoturistica, gli orari di apertura, i servizi offerti e le lingue parlate. Occorre anche posizionare una segnaletica di indicazione dei parcheggi in azienda e fuori azienda. Ai visitatori dovrà essere distribuito materiale informativo sull’azienda e sui prodotti e sulla zona di produzione, anche in collaborazione con gli enti di promozione turistica. Sono necessari, inoltre, spazi dedicati per l’accoglienza dei visitatori, la degustazione e la commercializzazione dell’olio con personale addetto. Per iniziare l’attività oleoturistica è sufficiente presentare al comune la SCIA – Segnalazione Certificata di Inizio Attività (fonti: Mondo Agricolo – Accademia dei Georgofili, georgofili.info; in foto, produzione olio Igp all’Isola d’Elba all’agriturismo Le Due Palme, photo © www.visitelba.com).

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


BELLE BOTTEGHE

LE BOTTEGHE STORICHE DI GENOVA, SCRIGNO DI CULTURA E TIPICITÀ di Massimiliano Rella

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A sinistra: il bel portale dell’Antica Confetteria Pietro Romanengo fu Stefano (1780), in via Soziglia. In alto: produzione artigianale di Ginevrine (mentine di zucchero aromatizzato) nella confetteria e cioccolateria Romeo Viganotti, bottega storica del 1866.

L

e Botteghe Storiche di Genova, tutelate da un circuito creato dalla Camera di Commercio e promosse anche dal comune, sono uno scrigno di cultura e tipicità che risvegliano l’interesse dei turisti in visita tra i caruggi, gli stretti vicoli medievali della Superba. Oggi sono 39, a breve entreranno a farne parte altre 4, ma il potenziale è più ampio (www.botteghestorichegenova.it). Per essere dichiarati Bottega Storica bisogna garantire almeno 3 di 5 criteri: contesto storico-ambientale; arredi d’epoca; attrezzature d’epoca funzionanti; elementi architettonici; documentazione (foto, archivi, ecc…). Pietro Romanengo fu Stefano, l’arte della confetteria Tra le botteghe che abbiamo visitato c’è l’Antica Confetteria Pietro Romanengo fu Stefano Srl (www.romanengo.it). Qui troviamo delizie a base di cacao, zucchero, frutta e fiori per dolci raffinati e dal gusto quasi dimenticato: conserve di petali di rose, sciroppo di rose, confetti genovesi, frutta candita, cioccolatini e bombons, ecc…, secondo

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l’arte del confettiere. La famiglia Romanengo, ottava generazione, li “produce” in modo artigianale e con ingredienti di qualità. Il negozio in centro storico (in via Soziglia 74 R) è aperto dal 1814 ed è una scenografia di marmi e mobili di legno pregiato. In una saletta sul retro è esposta invece una collezione di oggetti antichi. Qui si fanno anche degustazioni guidate, su appuntamento (€ 15,00 per persona). Un secondo negozio degli anni Trenta, un elegante “salotto”, si trova in via Roma 51 R. Romeo Viganotti, la fabbrica di cioccolato Di dolce in dolce passiamo all’Antica “fabbrica” di cioccolato Romeo Viganotti (www.romeoviganotti.it), attiva dal 1866, ancora oggi uno “spaccio” con vecchi scaffali e il laboratorio artigianale con stampi d’epoca e macchinari dell’800 dell’azienda bergamasca ENRICO BATTAGION. Da oltre 150 anni ogni cioccolatino è un gioiello di gusto, risultato di una lavorazione lenta, manuale e con ingredienti di qualità. La storia dell’azienda comincia con

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Gocce di rosolio nel laboratorio artigianale Romeo Viganotti, bottega storica del 1866.

Le botteghe storiche sono un tesoro di cui Genova è particolarmente ricca. Sono raffinate confetterie e cioccolaterie, friggitorie e tripperie, ognuna coi suoi profumi, laboratori che tengono vive tecniche tradizionali per lavorare il vetro, produrre timbri o tappi, custodendo una sapienza d’altri tempi ROMEO VIGANOTTI, per passare nelle mani di ROBERTO PASTORINO, fino a quelle di ALESSANDRO BOCCARDO, titolare dal ‘99 insieme al figlio EUGENIO. In bottega possiamo comprare una vasta gamma di bontà, dalle gocce di rosolio ai dragées (praline di frutta secca confettata). «Il nostro modo di lavorare — ci spiega Eugenio Boccardo — parte

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dal ripieno e poi si completa con il rivestimento esterno di praline e dolci, dal più piccolo al più grande. Al contrario della cioccolateria francese, che crea prima il rivestimento e poi lo riempie. Il nostro obiettivo è creare una struttura interna, di qualità, e poi rivestirla». M. Torielli, drogheria e coloniali Dal 1920 c’è anche l’Antica Drogheria Torielli (telefono: 010 2468359). Qui troviamo oltre 250 tipi di spezie in arrivo dai cinque continenti: tè, caffè, miele, cioccolata, essenze, caramelle e molto altro, tutto custodito in vasi di vetro e imbustato con etichette scritte a mano in bella calligrafia. È una bottega piccola e fuori dal tempo, con arredi e oggetti di fine ‘800, bancone liberty di legno laccato bianco, scaffali, vetrine, vasi e recipienti, conosciuta e frequentata dai genovesi e dai turisti che passeggiano per i caruggi. Il negozio fu rilevato nel 1930 da MATILDE TORIELLI, nonna paterna delle attuali proprietarie, le sorelle ANTONELLA E ROSANNA CAVANNA, che dal 2007 hanno sostituito il papà ROMEO e lo zio GUGLIELMO.

Oggi continuano anche la tradizione familiare della torrefazione del caffè, attività svolta dal ‘56. Luico fabbrica turaccioli Un’altra curiosa bottega storica si chiama Articoli per Enologia G. Manlio Luico (www.luicoenologia.com). Aperta dal 1855 nello stesso negozio in centro, tra i sestieri di Portoria e della Maddalena, è specializzata sul mondo del vino. Alla quinta generazione, proprietà della famiglia Luico, nacque con la produzione artigianale di sughero e turaccioli. I turaccioli, lavorati a mano, dalle forme smussate, più cubici che rotondi, erano prodotti in questo modo fino agli anni ‘50. Oggi i Luico li fanno su misura, artigianalmente e su richiesta, di formato particolare, ma il grosso dello smercio è ormai di prodotti industriali da loro stessi acquistati. A parte i tappi di sughero qui troviamo tutto il possibile sul vino, dai decanter ai tastevin, dai chiarificanti ai lieviti di fermentazione, ma anche kit per produrre la birra in casa. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Maturato lentamente in antiche botti di Aceto Balsamico di Modena del Gran Deposito Giuseppe Giusti

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LOCALI DI GUSTO

UNA CARTA DEI SALUMI Al ristorante torinese Le Scodelle i salumi meritano un posto speciale nel menu, una Carta dedicata che ne consenta una degustazione appropriata e corretta. Un’idea intelligente che merita una piÚ ampia diffusione al fine di valorizzare un prodotto, i salumi appunto, spesso sviliti nella ristorazione tradizionale, ed educare il cliente a mangiare anche prosciutto, ciccioli, culatello e pancetta come si deve di Gaia Borghi

Salame di pancetta del Salumificio Parenti di Zibello al ristorante Le Scodelle di Torino (photo Š www.lescodelle.com).

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A destra: due scodelle, una di torta fritta e una di Lambrusco, sono il perfetto accompagnamento per una degustazione di salumi (photo © www.lescodelle.com).

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n principio fu, ed è ancora, la Carta dei vini, appendice del menu più o meno ricca, più o meno vocata alla regionalità, con la disponibilità o meno di proposte al calice, ma presente oggi nella maggior parte dei ristoranti/osterie/trattorie del Paese. Poi venne quella delle acque minerali, maggiormente diffusa all’estero e nei locali con una clientela internazionale, come i ristoranti all’interno degli hotel, con tanto di figura dell’idrosommelier, il sommelier dell’acqua formatosi ai corsi dell’ADAM, l’Associazione Degustatori Acque Minerali, che si propone di fornire agli operatori e al consumatore finale “una corretta informazione sulle acque impiegate a tavola, facendo ricerca in ambito sensoriale finalizzata al giusto abbinamento acqua-cibo”. Sull’onda e in base alle passioni dello chef o del titolare dell’esercizio qua e là si possono inoltre trovare la Carta dei formaggi, la Carta dei Sali, la Carta del Caffè, tè, tisane e infusi, la Carta degli Oli — quest’ultima una proposta da valorizzare ulteriormente in un Paese come il nostro che, da questo punto di vista, vanta un’incredibile ricchezza di prodotti, a tutto vantaggio del gusto e di una biodiversità da scoprire e tutelare

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—, la Carta degli Aceti e persino la Carta dei Pani (ne abbiamo parlato in maniera più approfondita nell’articolo di GUIDI. G., La carta dei pani, in PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 5/2018, pag. 97). Perché non proporre allora anche una Carta dei Salumi? È sicuramente quello che hanno pensato già qualche tempo fa i titolari de Le Scodelle, ristorante situato nel centro di Torino che ai salumi dedica un “corposo” menu speciale. Complice la provenienza emiliana dello chef, VALTER GILETTI D’ALANNO, e la considerazione che maiale e salumi godono tra gli abitanti di questa regione, abituati a mettere in tavola le carni trasformate del suino quasi quotidianamente. “La Carta dei Salumi”, spiegano a Le Scodelle, “è un invito ad assaporare il meglio dei classici e delle specialità meno conosciute e tradizionali, selezionati con cura tra i migliori produttori emiliani”. Ad accompagnare i salumi una “scodella” (da qui il nome del locale) di fragrante e caldissima torta fritta, talmente irresistibile che non appena arriva al tavolo ne devi prendere almeno un pezzo e scottarti le dita (e così si fa in Emilia da sempre).

Nella scodella arriva poi anche il Lambrusco (e anche per LUI, il frizzante emiliano per antonomasia, c’è una Carta apposita), come vuole la tradizione delle osterie e delle trattoria di una parte dell’Emilia (la provincia di Parma soprattutto), “dove le fojete (le scodelle, appunto) si usano tuttora per gustare il vino nuovo versato dai piston, in buona e allegra compagnia”. Chiediamo allora direttamente a Valter di raccontarci qualcosa di più in merito. In che cosa consiste esattamente la Carta dei Salumi e come e quando è nata questa idea? «È sostanzialmente un menu dedicato ai salumi emiliani d’eccellenza più e meno conosciuti e a una selezione di varie stagionature di Parmigiano Reggiano. Sono emiliano, cresciuto nel “triangolo d’oro” dei salumi tra Langhirano, Felino e Zibello, lungo l’antica Strada del Prosciutto e dei Vini di Parma. Ho trovato naturale, pensando di aprire un ristorante a Torino, proporre le eccellenze del mio territorio e far conoscere, oltre ai classici conosciuti da tutti nella loro espressione migliore, anche alcune specialità locali più curiose e rare da trovare fuori dalla Bassa».

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serviamo con il pan brioche, ma ben ci sta anche il gnocco a patto che sia leggero e fragrante. Oppure un buon pane bianco morbido, che aiuti ad equilibrare il sale, un pane integrale rustico e profumato, oppure una coppietta ferrarese croccante… In realtà non ci sono limitazioni, se non quella del gusto personale».

Lo chef Valter Giletti d’Alanno. Quante e quali sono le proposte in Carta? «Attualmente abbiamo in carta circa 25 salumi differenti, dai classicissimi (il culatello di Zibello, il prosciutto di Parma crudo invecchiato 24 mesi, la mortadella in vescica naturale, il salame di Felino, per citarne alcuni) al crudo di Parma passato in barrique, alla spalla cruda di Palasone di Sissa, alla doppia gola di maiale, alla culaccia piacentina, al salame di pancetta, alla pancetta cotta con il miele di castagno e ancora molti altri. Tutti i salumi si possono gustare in assaggio singolo oppure in degustazione “guidata”, vale a dire già riuniti da noi in coerenza: degustazione dei Classici (Prosciutto crudo di Parma DOP 30 mesi, Coppa piacentina di Carpaneto, Mortadella Favola Gran Riserva, Pancetta coppata piacentina, Ciccioli morbidi, Salame di Felino), i Culatelli (Culatello di Zibello DOP, Culatello cotto, Culaccia della Bassa, Fiocchetto di culatello, Salame strolghino), i Cotti piacentini (Prosciutto cotto classico San Giovanni, Prosciutto cotto San Giovanni al miele, Pancetta cotta magra Giovanna al miele di castagno), i Salami (Salame di Felino, La Mariola, Salame strolghino Salame di pancetta), i Sapori della Bassa (Spalla cruda di Palasone di Sissa, Salame di pancetta, Lonzardo, Pancetta cotta magra, Mariola di salame)».

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Quali sono le “Degustazioni” che vanno per la maggiore? «Le degustazioni preferite dai nostri clienti sono quella di salumi classici, la degustazione di culatelli e quella della Bassa». I salumi arrivano da tutta l’Emilia o da una provincia in particolare? «È la qualità che conta per noi, quindi la nostra ricerca non si ferma. Certo che l’eccellenza non s’inventa dall’oggi al domani, quindi la maggior parte dei nostri salumi arriva dal territorio compreso tra Piacenza, Ferrara e Modena». Mi diresti il nome di qualche produttore da cui vi rifornite? «Sono molti e la ricerca è sempre in atto tra grandi produttori e piccolissime realtà, ma abbiamo dei punti fermi come per esempio il Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO) con la sua splendida mortadella Favola oppure Leporati di Langhirano (PR) per il prosciutto di Parma». Qual è l’accompagnamento ideale con i salumi: torta fritta e…? «A Parma si chiama torta fritta, a Modena gnocco fritto, cambia il nome ma la sostanza è la medesima e va con tutto, non ci sono controindicazioni. Il culatello, per esempio, di regola lo

E per quanto riguarda le bevande? «Per me il vino da bere con i salumi dev’essere leggero, fresco, frizzante, ben secco e, se piace, con una bella acidità. Deve aiutarti ad elaborare salinità, grassi, pulire la bocca e prepararla al prossimo boccone senza impastarla. Dal Piacentino alla Romagna non c’è che l’imbarazzo della scelta: Lambrusco in tutte le sue provenienze e forme, ovviamente, oppure Gutturnio, o ancora Ortrugo, Pignoletto, Malvasia dei Colli di Parma. Uscendo dalla mia regione, possiamo aggiungere le nostre meravigliose bollicine da Chardonnay e Pinot. A Parma, i più esigenti dicono che il culatello merita direttamente lo Champagne e sono d’accordo: cos’è che non si accompagna bene con lo Champagne?». È una proposta che ha successo presso la vostra clientela? «I nostri salumi piacciono, direi di sì. I nostri clienti più affezionati, che rientrano nelle fasce d’età più disparate, ormai hanno perfino affinato e ampliato i loro gusti: se un tempo, per fare un esempio, i ciccioli morbidi — salume totalmente sconosciuto fuori dall’EmiliaRomagna — spesso venivano avanzati nel piatto, adesso non accade più, anzi, qualcuno li richiede espressamente. Il salume di alta qualità ha sempre un sapore che appaga e diventa ancora più goloso se gustato appena tagliato, con una bella scodella di torta fritta bollente e un’altra — come si usa dalle mie parti — scodella di Lambrusco di Sorbara fresco e frizzante». Gaia Borghi Ristorante Le Scodelle Cucina e Vini Via Stampatori 16C 10122 Torino Telefono: 011 7641653 Web: www.lescodelle.com

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Happy Cheese Hour, appuntamento per assaggiare e conoscere, degustare, promuovere, condividere e riflettere Happy Cheese Hour è un appuntamento mensile a tema caseario di circa due ore, con 4 o 5 abbinamenti tra formaggi artigianali e vini, birre o sidri. Al termine, viene servita una ricetta a tema con la serata, oltre ad una degustazione di specialità gastronomiche. Sono presenti solitamente anche il produttore dei formaggi e della bevanda in abbinamento (vino, birra, sidro) per raccogliere in diretta i commenti dei partecipanti sugli accostamenti, oltre a impressioni e suggerimenti. Alla fine dell’appuntamento è possibile acquistare direttamente dal produttore ciò che è stato degustato durante la serata. Il format ha l’obiettivo di divulgare l’immenso patrimonio caseario italiano troppo spesso non conosciuto o addirittura sottovalutato rispetto ad altre produzioni europee. Un format di FormaggItalia Artefice dell’iniziativa è Lamberto Rubini, assaggiatore ONAF e patron di FormaggItalia, il quale ha voluto precisare che Happy Cheese Hour «non è una lezione sulle caratteristiche dei formaggi, ma vuole essere un momento per assaggiare e conoscere, degustare, promuovere, condividere e riflettere. Happy Cheese Hour è un appuntamento che accontenta tutti: sia l’appassionato già informato sul mondo caseario, sia il classico consumatore interessato a scoprire prodotti artigianali di nicchia. Allo stesso modo è un momento di relax e di piacere, oltre che di formazione su uno dei grandi punti di forza del panorama enogastronomico italiano, per coloro i quali volessero puntare più sulla convivialità. Volutamente, abbiamo deciso di non puntare sulla degustazione tecnica, anche se molto spesso tra i partecipanti spiccano addetti ai lavori e maestri assaggiatori provetti» (photo © Ludovica Sagramoso Sacchetti).


FIERE

ASPETTANDO CIBUS 2020 Il Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parma si farà alla fine dell’estate, nell’interesse di tutti. Deciso il rinvio a settembre (da martedì 1 a venerdì 4) a causa dell’evoluzione dell’emergenza sanitaria in Italia e nel mondo

C

ibus 2020, l’evento fieristico di riferimento dell’agroalimentare italiano, verrà posticipato al mese di settembre e più precisamente da martedì 1 a venerdì 4. Dopo un’iniziale conferma delle date di maggio, infatti, lo slittamento del salone parmense si è reso necessario a causa della inaspettata e rapida evoluzione dell’emergenza coronavirus e, in particolare, della crescita dei blocchi aerei da e per l’Italia. Decisione coerente con la scelta di Vinitaly, il salone internazionale dei vini e distillati di Verona, di posporre la fiera dal 14 al 17 giugno nonché con il calendario fieristico internazionale ed è stata portata all’attenzione anche del tavolo di crisi del Ministero degli Affari Esteri sul made in Italy. FIERE DI PARMA, in accordo con FEDERALIMENTARE, si è trovata di fronte all’esigenza e priorità di tutelare gli investimenti delle aziende espositrici e il cambio di data sarà decisivo per garantire il medesimo flusso di visitatori e buyer esteri da sempre offerto da Cibus all’aziende agroalimentari italiane. «La situazione è precipitata negli ultimi giorni — ha dichiarato ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma — col moltiplicarsi dei divieti di diversi Paesi a viaggiare verso e dall’Italia. Tutto ciò ha reso le condizioni di contesto troppo instabili:

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Cibus 2020 promette di presentare uno spiccato profilo green. Nel Cibus Innovation Corner verranno esposti i prodotti selezionati da un pool di esperti per capacità innovativa nella valorizzazione del territorio, ma anche della sostenibilità della filiera produttiva (photo © instagram.com/cibusparma). una situazione che avrebbe potuto danneggiare Cibus e l’investimento dei nostri espositori nonché la reputazione di Parma nel suo anno da Capitale della Cultura. La collocazione nel mese di settembre è una scelta responsabile e strategica: Cibus si potrà presentare come l’appuntamento chiave dell’autunno per il mercato internazionale e per il food made in Italy. Di qui la decisione di posticipare. Nell’interesse di tutti». L’arrivo degli operatori commerciali è divenuto di colpo problematico non solo dall’Asia, cosa in parte prevedibile, ma anche da USA e Nord Europa dove si è creato, nello spazio di giorni, un clima di forte preoccupazione relativamente ai viaggi in Italia. «Abbiamo fatto il possibile per non arrivare alla decisione di rinviare Cibus — ha sottolineato IVANO VACONDIO, presidente di FEDERALIMENTARE — ma l’incertezza e le preoccupazioni che ancora abbiamo nel nostro paese relativamente al persistere del coronavirus, che ha come conseguenza il pericolo di avere una presenza non adeguata di visitatori ed espositori, ci obbliga a rinviare a settembre».

a disposizione fin d’ora dei visitatori — e in generale degli utenti professionali i quali ora spendono molto più tempo on-line —, un raffinato motore di ricerca che non solo contiene le informazioni a catalogo, ma, a breve, anche tutti i prodotti che le aziende pubblicano sui loro siti, i cui contenuti sono stati indicizzati e federati. Questo consentirà agli utenti registrati di effettuare ricerche approfondite e puntuali e quindi inviare direttamente richieste di fornitura o di contatto. Tutti i contenuti, anche quelli che le aziende non hanno tradotto, saranno editati in modalità multi lingue grazie allo specifico tool. Un’evoluzione digitale dei servizi fieristici, dedicata esclusivamente agli espositori di Cibus e quindi al meglio del made in Italy alimentare, che, visto lo spostamento a settembre, contribuirà ancora di più alla riuscita dell’evento.

41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36

>> Link: www.cibus.it Intanto si rafforzano i contenuti digitali Nel frattempo il catalogo di Cibus diventa www.mybusiness.cibus.it per mettere

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Nota A pagina 104, photo © instagram. com/cibusparma


FORMAGGIO

La Musulupa Si tratta di un originalissimo formaggio fresco di capra non salato tipico della cultura delle comunità greche di Calabria. Modellato in tradizionali stampi di legno duro intagliato, alcuni dei quali antropomorfi, si consuma nel periodo pasquale, così com’è o fritto, con l’auspicio di ottenere fecondità e benessere di Riccardo Lagorio

«M

usulupa, musulupa si dice» spiega ANTONIA ROMEO con le formaggette istoriate tra le mani mentre i figli PASQUALE e PIERA roteano le formelle di legno scuro tra le mani, le musulupare. Pare non essere solo questione di genere, musulupu o musulupa che sia: il significato del termine si perde nella notte dei tempi, quando

le comunità greche ormeggiarono nelle basse spiagge della parte meridionale della Calabria. Musulupa, in quella lingua di genti omeriche, il Grecanico, parlata ormai da meno di un centinaio di persone, significherebbe duro. E di legno duro, pero selvatico o gelso nero, sono le formelle che sino a mezzo secolo fa venivano scavate ripor-

tando immagini simboliche arcaiche. In un territorio ostile e aspro, la necessità di assicurare la fertilità dei campi e la fecondità degli animali divenne una costante imperante nella cultura dei Greci di Calabria. L’auspicio di abbondanza e benessere sono infatti ancora oggi al centro dei valori spirituali delle comunità grecofone e delle formelle di legno.

La musulupa viene prodotta in particolare a Bova, paese che è stato incluso tra i più bei borghi d’Italia e capitale della zona della Bovesia. Appartiene a una delle più antiche tradizioni culinarie e pastorali del Paese.

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Le curiose opere casearie realizzate con le musulupare sono considerate da alcuni storici riferimenti alla Madonna. Altri, invece, semplicemente li considerano delle forme raffiguranti donne con elementi e tempi molto antichi propri della religiosità bizantina. La musulupa, il formaggio di capra che nasce dalla pressione in esse della cagliata di latte di capra, fa parte di questo mondo. La fattoria della famiglia Romeo è accovacciata sotto le ultime ripe scoscese che portano a Bova, un vulcano fatto di case per chi sale dal mare, un set cinematografico naturale utilizzato per le riprese di pellicole come La lettera con protagonista VITTORIA BELVEDERE (2004) sino al recente Aspromonte di MIMMO CALOPRESTI (2019) e alla serie televisiva ZeroZeroZero, tuttora in produzione, con il soggetto di ROBERTO SAVIANO. Pasquale Romeo, giovane con lo sguardo da teatro, baffi sottili, occhi azzurri come lo Ionio, con qualche ruolo di comparsa nei film girati in paese, governa le capre. Da metà giugno a metà ottobre la sua vita è al Passo di Furchi, intorno ai 900 metri, in pieno Aspromonte. Il resto dell’anno le capre hanno a disposizione pascoli estensivi. «L’allevamento segue pratiche antiche, le stesse dei miei avi. I numerosi termini impiegati per descrivere gli animali denota l’importanza delle capre nella nostra società. La capra, ega, si distingue se possiede la testa bianca, barbarisca, il

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pelo grigio, canaveddha, o nero con la testa bianca, sargopì, o grigio con il muso bianco, murini. La capra senza corna è definita papazza e con le corna grosse tragùna». È durante il periodo pasquale quando il formaggio di capra occupa le attenzioni della popolazione. «Dopo avere scaldato il latte e aggiunto il caglio di vitello, si attendono circa 50 minuti prima di rompere la cagliata, che viene rotta in maniera sottile», dicono Antonia Romeo e la figlia Piera. Dalla massa staccano una piccola quantità di cagliata che si tiene da parte. Con la gran parte continuano invece a fare il formaggio. Terminata l’operazione, riscaldano il siero per ottenere la ricotta. Quando il siero raggiunge la temperatura tra 36 e 38 gradi, riscaldano la porzione di cagliata che era stata messa da parte per poterla modellare. «Viene inserita negli stampi e, una volta ottenuta la forma, si estrae la musulupa, preparata in concomitanza delle festività pasquali». Questo formaggio è senza crosta, ha consistenza molle, colore eburneo e in bocca si percepisce il gusto dolce del latte appena munto. Infatti non viene salato.

«Si conserva a temperatura ambiente solo per pochi giorni oppure si affetta, si passa nell’uovo sbattuto poi nel pane grattato e si frigge. Ma è ingrediente fondamentale della frittata il Giorno delle Palme». Inoltre, la processione avviene con manichini antropomorfi (parme) realizzati con foglie di ulivo che si addobbano con la musulupa, il che rende questo formaggio non un mezzo di sostentamento, un cibo, ma strumento di diffusione culturale, arcaico simbolo di rinascita. La musulupa non conosce sale. E anche questo è simbolo di temperanza e austerità quaresimale in attesa del risveglio. Alcuni stampi riportano l’immagine di una donna con elementi e temi di difficile interpretazione ai quali solo in epoche recenti si sarebbero aggiunte tracce di croci proprie della religiosità bizantina. «Il formaggio si assaggia con il vino rosso che produciamo grazie a vecchi tralci» racconta Pasquale, versandolo nei bicchieri. Potente e austero come il paesaggio sulla vallata Torno, modellata dall’omonimo torrente. Riccardo Lagorio

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VINO

Cagnulari, tesoro ritrovato di Sardegna di Riccardo Lagorio

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ianco o rosso? Sembra ieri quando in molti (e ripugnanti) locali pubblici si veniva investiti da questa agghiacciante domanda che celava tra le pieghe una nozione vaga e indistinta assegnata a uno degli elementi più straordinari della

gastronomia, il vino. Un’immagine che rivelava quanto fosse diffusa, anche a livello professionale, l’era della preistoria nella conoscenza dei vini. «A metà degli anni Sessanta mio padre GIOVANNI MARIA vendeva vino sfuso ai Circoli di Sassari, unendo le

uve di Cannonau, Pascale e Cagnulari per ottenere un vino rosso gradevole e beverino» racconta SALVATORE CHERCHI, produttore di vino a Usini, nel Sassarese (vinicolacherchi.com). «Quando ebbe in regalo una bottiglia di vino da parte di un suo amico di Alba, iniziò a pen-

Azienda vinicola Cherchi, vendemmia 2019. 108

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Nel lontano 1970, in controtendenza rispetto agli altri produttori della zona, Giovanni Maria Cherchi iniziò l’opera di recupero e valorizzazione del Cagnulari. Con perizia e attenzione in vigna e poi nelle operazioni di cantina, Cherchi riportò all’attenzione del grande pubblico le inespresse potenzialità del vitigno

sare di fare altrettanto e nel 1975 uscì il primo vino in bottiglia della zona», continua, descrivendo l’epopea della cantina di famiglia. In questa area della Sardegna nord-occidentale che alcuni hanno definito come “Piccola Bordeaux” per il microclima che gode, i Cherchi sono stati pionieri della viticoltura isolana: la loro fu la prima cantina privata ad adottare criteri idonei all’imbottigliamento. Oggi sono SALVATORE, ANNALISA e GRAZIA a continuare il lavoro del padre Giovanni Maria, anche promuovendo con continuità il vitigno locale, il Cagnulari, sotto la tutela dell’IGT Isola dei Nuraghi. «In passato veniva spesso utilizzato per tagliare altri vini rossi meno intensi e corposi o venduto sfuso per un consumo locale. Il Cagnulari si è salvato dall’estinzione solo grazie alla tenacia di nostro padre, che ha creduto nel vitigno propagando le marze da alberi centenari. Questo è stato il suo contributo alla biodiversità, minacciata dalla coltivazione dei più famosi Cannonau

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e Bovale». Dei circa 30 ettari su cui si estendono i vitigni aziendali, il 35% è coltivato con questa varietà e, benché sia il Vermentino a farla da padrone con il 60%, il Cagnulari è il vitigno più caratteristico dell’area. Gli studi effettuati negli ultimi anni sul DNA dell’uva hanno infine dimostrato essere imparentato con il Graciano, un vitigno coltivato nella zona de La Rioja in Spagna, e con il Bovale, un’altra varietà autoctona della Sardegna. Sarebbero stati quindi gli Spagnoli nel Seicento a condurre sull’isola il vitigno al seguito di merci e uomini. Oggi che molti viticoltori hanno dimostrato l’interessante impiego della vinificazione in purezza, il Cagnulari riscuote attenzione nei consumatori. «La particolare posizione dei nostri vigneti e la composizione dei terreni di Usini ci permette di sfruttare ambienti argillosi, nel Nord Ovest, e a formazione calcarea, nel Sud Ovest, consentendo così di ottenere colore, carica aromatica e alcol in perfetto equilibrio», riporta

In alto: Salvatore Cherchi. In basso: colore rosso rubino intenso, buona intensità aromatica, con sentori di confettura e geranio, il Cagnulari – Isola dei Nuraghi Igt è un vino dalla struttura calda e vivace, in cui si percepiscono delicata acidità e morbidezza di tannini.

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Salvatore Cherchi. Le viti sono allevate prevalentemente a controspalliera con sistema di potatura a Guyot. L’uva possiede una buccia spessa, dal colore nero-violaceo e di frequente è coperta da pruina. Il colore del vino da uve Cagnulari è rubino intenso. Per apprezzarne al meglio le caratteristiche, però, come sempre, si devono avvicinare alcune annate diverse. La 2015 ha messo in luce profumi di susina e ciliegia matura, intensi e durevoli, un gusto caratterizzato da una venatura acidula ma di stoffa felpata e trama fitta. Migliore del 2016, dai levi profumi speziati e portatore di un aspetto visivo meno austero. La 2017 vibrava di sfumature dissimili: note di spezie e incenso molto evidenti, caldo ma dai tannini (ancora) esuberanti. Sulle tavole il Cagnulari si marita bene con la pasta al sugo di carne (passando per Usini è da provare la pasta locale, una sorta di fusillo tirato a mano, che prende il nome di andarinos), l’agnello alla brace e il Pecorino romano DOP. Il Cagnulari entra a far parte anche dell’etichetta di punta, in combinazione uguale con il Cannonau. Il Soberanu nasce grazie a una macerazione di 25 giorni sulle bucce, dopo che si sono vendemmiati grappoli sovra maturi provenienti da vigne di oltre 45 anni di vita. «Per quanto riguarda il Cagnulari, si può affermare che se la macerazione dura pochi giorni si ottiene un vino da consumare preferibilmente giovane. Se invece la macerazione si prolunga per una decina di giorni o più, si ottengono vini longevi», spiega Salvatore Cherchi. L’annata 2012 di Soberanu, come le precedenti aperta nel dicembre 2019, dal colore assai rubino cupo, sprigiona profumi balsamici e un impatto gustativo di inusitata e piacevole lunghezza tra note di chiodi di garofano e cardamomo. Con i Cherchi sono un’altra mezza dozzina i produttori di Cagnulari in purezza a Usini. Da citare per i sentori speziati il Nebriosu di FRANCESCO FIORI (vinifiori.it) e Lugherra di CANTINE CHESSA (cantinechessa.it) per l’intensità armonica del palato. Perché “bianco o rosso?” sia solo un brutto ricordo. Riccardo Lagorio

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IL VINO ANCESTRALE DI TERRAQUILIA Da vigne in alta quota, TerraQuilia reinterpreta il vino fatto come una volta, con la fermentazione che inizia nel tino e finisce in bottiglia. Il risultato sono vini ricchi, vivi, semplici ma mai banali, longevi anche se frizzanti di Federica Cornia

Il vino ottenuto col metodo ancestrale puro è leggermente torbido. È grazie al sedimento all’interno della bottiglia che il vino assume una particolare morbidezza e sapidità.

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ino sano, naturale ed ecosostenibile, certificato Biologico e Vegano. Un’azienda che ha scelto di fare investimenti tecnologici mirati e che oggi può dirsi autonoma oltre al 90% grazie all’utilizzo di impianti fotovoltaici e al recupero delle acque piovane. È TerraQuilia. Siamo a Guiglia, in provincia di Modena. Al limite tra la collina e la montagna, a 500 m slm, nella cantina più in alta quota della provincia. «Romano com’è che sei venuto a fare il vino a Guiglia? Non verrà mai buono, qui l’uva non matura». ROMANO MATTIOLI questo se l’è sentito dire spesso passeggiando la domenica mattina per la piazza del paese. Con coraggio è rimasto e si è dedicato comunque alla vite e al vino. Solo più tardi ha scoperto che l’antica Aquilia attorno all’anno mille era ricca di vigneti, tanto che in zona si pagavano addirittura i tributi in vino, come risulta da testimonianze dagli archivi dell’abbazia di Nonantola. In questo piccolo comune che chiamano il balcone d’Emilia — da quassù si vede infatti la maggior parte della provincia di Modena —, nessuno avrebbe scommesso di vedere recensito

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In alto: la vigna del podere La Riva. In basso: la linea dei vini a metodo ancestrale comprende l’originale categoria dell’ancestrale sboccato. Remuage e sboccatura à la volée come un metodo classico. Tra questi il Falconero Zero Igp, recensito dal New York Times. su THE NEW YORK TIMES il Falconero Zero Igp di TerraQuilia, un pétillant naturel, così viene definito, ovvero un frizzante naturale ottenuto col metodo ancestrale. E nemmeno di assistere alla riscoperta e alla messa in opera di un antico vitigno autoctono, il Verdicchio di Guiglia, che TerraQuilia ha registrato nel 2017, presentandolo lo stesso anno a Vinitaly con il nome di Tre Sassi, chiaro riferimento per i locali alle tre guglie di arenaria presenti nel Parco dei Sassi di

Roccamalatina. Merito di un certo signor Guerra che, a differenza degli altri, un giorno avvicina Romano e gli racconta di un vino bianco tipico della zona e lo invita a raccogliere l’uva dell’ultimo filare rimasto nel suo podere. Oggi sono 3.400 le viti frutto dell’innesto di quell’ultimo filare. È una bella giornata di sole e Romano ci accompagna in visita alla cantina. Più tardi ci raggiungerà anche il genero FRANCESCO. Il punto di partenza

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In alto: il locale della cantina. In basso: le pupitre utilizzate per le bottiglie più pregiate. Il remuage viene fatto a mano.

Le vigne e la cantina di TerraQuilia sono curate rispettando la tradizione, quella legata ai cicli delle stagioni e ai ritmi lenti e meditati della natura, creando un giusto equilibrio fra vigna e vino

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non poteva che essere la vigna perché, come ci dirà il cantiniere SERGIO, «In realtà il vino si fa in vigna». Affermazione che la dice lunga sulla filosofia aziendale di TerraQuilia che prende spunto dall’idea del vino che aveva il padre di Romano, ovvero un vino fatto senza mettere niente, solamente uva spremuta. TerraQuilia è tra le prime cantine ad utilizzare il termine “ancestrale” in tempi ancora non sospetti, per indicare una vinificazione naturale con fermen-

tazione che parte in tino e finisce in bottiglia. Oggi se ne sente parlare un po’ di più e i vini col fondo, da qualche tempo a questa parte, fanno capolino a fiere, eventi e manifestazioni enoiche. Ma non è stato sempre così. Allontanatosi dalla campagna e dal piccolo podere paterno di Campiglio, per Romano l’antica vocazione si ripresenta quando, nel 2005, acquista il podere Conca D’oro. Esposto a sud, è il vigneto originario e sperimentale dell’azienda. Qui i vitigni sono Moscato,

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Malvasia, Trebbiano, Pignoletto, anche se rendono particolarmente bene i rossi, il Lambrusco Grasparossa, il Malbo gentile e il Cabernet. Negli anni poi si sono aggiunti il Podere la Riva, 6 ettari di vigneti esposti a nord ma ben soleggiati, scelta atipica per la zona, in cui si fanno i bianchi, Pignoletto, Trebbiano, Malvasia e un Sangiovese vinificato in bianco, e il Podere Fratelli Bandiera, che con l’esposizione a Sud-ovest si presta per Lambrusco Grasparossa, Malbo gentile e Cabernet. «Erano terreni abbandonati e oggi TerraQuilia li coltiva. Per noi questo è anche un modo di prendersi cura del territorio» ci dice Romano. «Sono dieci ettari vitati in tutto; inoltre, vengono conferite uve da altri vigneti che rispettano gli accordi di filiera secondo le regole di TerraQuilia. Oggi l’azienda imbottiglia 85.000 bottiglie a marchio TerraQuilia e 35.000 per conto terzi». L’idea è quella di fare le cose come una volta e di recuperare genuinità e autenticità del vino. Per far questo TerraQuilia parte in vigna, con un sesto di impianto e potature il cui obiettivo è quello di mantenere una produzione bassa e selezionata con max 7/8 grappoli per vite, già questo imprinting di qualità, e quello di innalzare l’età dei vigneti fino a 30-40 anni. Il diserbo non è previsto, al suo posto si usano il sovescio e la tecnica dell’arieggiatura. E come una volta la vendemmia viene fatta rigorosamente a mano, in cassette piccole, per preservare integro l’acino. Sotto il grande portico che Romano ci mostra, in periodo di vendemmia entra in funzione prima la deraspatrice, poi la pressa soffice, dopo di che il mosto finisce nei tini a 4-5 °C. In questi enormi lambicchi d’acciaio si attiva la fermentazione che viene fermata una volta ottenuto il residuo zuccherino necessario per la rifermentazione in bottiglia. Residuo zuccherino che è sola espressione dell’uva e che non prevede l’aggiunta di altri zuccheri. «Come accadeva una volta in modo naturale, il vino fermenta; grazie al freddo la fermentazione si ferma per poi ripartire in bottiglia la primavera successiva alla vendemmia» ci dice Romano e indica una finestra in alto, davanti a noi: sono due mezze lune accostate.

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I locali di degustazione e vendita al pubblico di TerraQuilia. Mi fa cenno di girarmi e alle mie spalle ne indica un’altra, una finestra tonda. «Da una si affaccia il sole e dall’altra fa capolino la luna, calante e crescente: il vino sa che noi, qui, rispettiamo l’antica tradizione di fare certe operazioni tenendo conto delle fasi lunari». Di nuovo come una volta. Così come una volta si cerca di movimentare il meno possibile il vino e l’imbottigliamento avviene a caduta. Lo vediamo scendendo di un piano: un tubo permette di collegare i tini del piano di sopra all’imbottigliatrice al piano di sotto. Chapeau. Attenzione e massima cura in ogni dettaglio, come per la scelta del tappo in sughero agglomerato. Dei vini ottenuti col metodo ancestrale TerraQuilia produce anche la versione sboccata, tra questi non potevano mancare il Falconero Zero, il Terrebianche Zero e il Tre Sassi Zero. Il remuage viene fatto a mano per le bottiglie più prestigiose, che riposano 12/18 giorni su pupitre, per le altre ci pensa una macchina: una sboccatrice meccanica appositamente brevettata che esegue la sboccatura à la volée. Meraviglie delle meraviglie la visita finisce a bancone, con l’assaggio di qualche calice di bollicine, con Romano che con orgoglio indica la scritta apposta sull’etichetta dietro la bottiglia e in cui si legge “residuo di solforosa 0.36” e aggiunge «È del 2011 la prima bot-

tiglia in cui abbiamo applicato questa dicitura». Davvero un bel risultato, vuoi per l’informazione riportata in etichetta, vuoi perché i limiti di solforosa per i vini biologici naturali, secondo Regolamento CE 203/2012 è indicato in 100 mg/l per i rossi e 150 mg/l per i bianchi. Prima di congedarci, Romano ci vuole ancora stupire Romano e ci parla della selezione di TerraQuilia, la XIII luna. «Ogni 3/5 anni, in un anno ci sono XIII lune, due lune in un mese. Questo fatto naturale io lo associo a vini speciali, a vini come i nostri del 2016 che hanno un affinamento di oltre 40 mesi. Parliamo di Lambrusco e Pignoletto, vini che nella cultura popolare si ritiene non siano longevi». Ci lascia così Romano, con un po’ di meraviglia, quella che viene dallo stupore di veder infranti luoghi comuni, e un po’ di curiosità, quella di assaggiare via via tutta la gamma dei vini TerraQuilia. Federica Cornia

TerraQuilia Soc. Agr. S.S. Via per Marano 583 41052 Guiglia (MO) Telefono: 059 931023 E-mail: info@terraquilia.it Web: www.terraquilia.it

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FATTORIA PARADISO, VINI, OSPITALITÀ E NATURA

L’artefice del risveglio enologico romagnolo

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bicata in altitudine media, sul primo gradino dell’Appennino tosco-romagnolo affacciato al mare Adriatico, Fattoria Paradiso, storica azienda vitivinicola di Bertinoro (FC), fondata da MARIO PEZZI e sua moglie RINA nel 1950, è assistita, oltre che da un congeniale microclima, dall’amore che la famiglia Pezzi ha sempre nutrito per la vite, in particolare, oltre al Sangiovese, per il Barbarossa, il Pagadebit e la Cagnina,

vitigni di cui si era persa ogni traccia e che vennero restituiti al patrimonio regionale (1960) e che in seguito ottennero la DOC Vigna delle Lepri. Altro primato, nei primi anni ‘70, la creazione del Sangiovese Vigna delle Lepri, prima riserva in assoluto di Sangiovese in purezza. Il vitigno Barbarossa è senza dubbio il fiore all’occhiello di Fattoria Paradiso: MARIO PEZZI individuò una pianta differente dalle altre nell’estate del 1954

durante una camminata di assaggio delle uve pre-raccolta, in una vecchia vigna ormai destinata alla ruspa. Non riuscendo a catalogarne la varietà ed essendo stupito dalla dolcezza di quell’uva, nonché della sua elegante freschezza, decise di chiedere consiglio prima all’Istituto Agrario di Cesena e poi, successivamente, alle facoltà di viticultura ed enologia di S. Michele all’Adige e di Conegliano. Il risultato: nessuna assimilazione varietale con

In alto: Barbarossa Riserva Il Dosso. A sinistra: Fattoria Paradiso, punto di riferimento nel contesto enologico nazionale e felice approdo lungo i sentieri dell’enoturismo.

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altre varietà già catalogate. Di lì poi la conferma del DNA. Probabilmente si tratta di una varietà antica non catalogata o un incrocio naturale come ne possono esistere decine in natura. Mario Pezzi decise di propagare questa vite creandone un piccolo vigneto. Nel 1968 vinificò la prima vendemmia creando un emblema che oggi è presente nelle più importanti tavole del mondo. Decise di chiamare l’uva (e poi il vino) “Barbarossa” in memoria del fulvo imperatore Federico Barbarossa che soggiornò nel castello di Bertinoro durante il Medioevo. Ancora oggi l’annata 68 si presenta elegante e vivace. Si effettuano visite nei vigneti, nei musei del vino, dell’etichetta e di civiltà contadina, degustazioni guidate di vini, spumanti, olio, salsa balsamica e grappa. >> Link: fattoriaparadiso.com

Le cantine storiche di Fattoria Paradiso. Già Castello Ugarte Lovatelli (XV secolo), Fattoria Paradiso è di proprietà della famiglia Pezzi dal 1853.

Located in an average altitude, on the first step of the Tuscan-Romagna Apennines overlooking the Adriatic Sea, Fattoria Paradiso is assisted not only by a congenial micro-climate, but also by the love that the Pezzi family has always nourished for the vine in particular, as well as Sangiovese, Barbarossa, the Pagadebit and the Cagnina, vines of which all traces were lost and which were returned to the regional heritage (1960) and which subsequently obtained the Doc Vigna delle Lepri. Another record, in the early 70s, the creation of Sangiovese Vigna delle Lepri, the first pure reserve of Sangiovese in purity. The Barbarossa vine is undoubtedly the flagship of Fattoria Paradiso. Mario Pezzi identified a different plant from the others in the summer of 1954 during a walk of tasting of the pre-harvested grapes, in an old vineyard now destined for the bulldozer. Not being able to catalog the variety and being amazed by the sweetness of that grape, as well as its elegant freshness, he decided to seek advice first at the Agricultural Institute of Cesena and then subsequently at the faculties of viticulture and enology of S. Michele all’Adige and of Conegliano. The result: no varietal assimilation with other varieties already catalogued. From there, then the confirmation of the DNA. Probably it is an ancient variety not catalogued or a natural cross as there can be dozens in nature. Mario Pezzi decided to propagate this vine by creating a small vineyard. In 1968 he vinified the first harvest, creating an emblem that today is present in the most important tables in the world. He decided to call the grapes (and then the wine) “Barbarossa” in memory of the fawn emperor Federico Barbarossa who stayed in the castle of Bertinoro during the Middle Ages. Even today, the 68th is elegant and lively. Visits are made to the vineyards, to the museums of the wine, of the labels and of the peasant culture, guided wine tastings, sparkling wines, oil, balsamic sauce and grappa.

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: Colomba di Laura Franchini

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olce simbolo della Pasqua, questo delizioso lievitato di così grande successo porta con sé numerose interpretazioni legate alla sua creazione, che potete leggere nell’articolo dedicato ai dolci pasquali della tradizione a pagina 122. Accanto alle leggende lombarde, troviamo però anche una declinazione veneta, che vede la fagassa o focaccia, termine usato per definire gli impasti dolci, a forma di colomba. Quale sia

quindi l’origine reale, o la più poetica, lo lasciamo al gusto e all’immaginazione dei consumatori. Quel che è certo è che la Colomba si è diffusa in tutto il territorio nazionale e sulle tavole di tutti gli Italiani e non solo grazie al suo morbido impasto a base di uova, farina, zucchero, frutta candita e mandorle, con numerose varianti di ingredienti e di gusto. Ed ecco i vini che abbiamo pensato di abbinare a questo dolce così evocativo, augurandovi Buona Pasqua.

Un po’ come succede per il Panettone da fine novembre in poi, nel periodo che precede la Pasqua la Colomba prende il posto d’onore sulle nostre tavole a fine pasto. Contraddistinta da una dolcezza non troppo marcata, si sposa con vini liquorosi e aromatici

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Tra i dolci pasquali, pochi hanno la “potenza” evocativa della Colomba: la sua forma è infatti simbolo di pace e amore, affiancandosi all’uovo, che rappresenta invece la Resurrezione (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).

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Brachetto d’Acqui DOCG 2019 Braida Giacomo Bologna Siamo a Rocchetta Tanaro, piccolo centro del Monferrato astigiano, con questa cantina di grande successo — molto nota per la Barbera Bricco dell’Uccellone —, giunta alla terza generazione con i fratelli RAFFAELLA e GIUSEPPE, brillanti interpreti e prosecutori di quel lavoro di valorizzazione del territorio e dei vitigni autoctoni iniziato dal nonno GIUSEPPE e dal papà GIACOMO. Fermenta in vasche di acciaio questo calice brillante, fresco e di grandissima bevibilità. Color rosso rubino chiaro con riflessi porpora, sprigiona note rigogliose di frutta rossa e rose fiorite, che tornano al palato in retrolfattiva. Avvincente anche in bocca, dove troviamo freschezza ed armonia, equilibrio e dolcezza, beva splendida. Adatto ad essere abbinato a molteplici dolci e dessert, sarà perfetto con una fetta di colomba morbida e burrosa, anche arricchita con gocce di cioccolato, questo calice sosterrà con garbo e tenacia le note tanniche del cacao.

Braida di Giacomo Bologna Località Ciappellette SP27 9 14030 Rocchetta Tanaro (AT) Telefono: 0141 644113 E-mail: info@braida.it Web: www.braida.it

Il Mio Malvasia Dolce Camillo Donati Annata 2018, ovviamente esaurita, perché a CAMILLO DONATI i vini non restano a lungo in cantina, ma potete prenotare già la prossima annata o avventurarvi nella ricerca del 2018. Un calice di immensa tradizione e infinito rispetto delle uve, che resta ben impresso nella memoria. Precursore e grande sostenitore della naturalezza dei vini, prodotti senza controlli di fermentazione o forzature termiche, nessun ausilio della chimica, nessuna chiarifica, nessuna acidificazione o disacidificazione, nessun uso di enzimi, lieviti selezionati o altro. Il risultato è un calice di lunghissima e altrettanto intensa persistenza olfattiva, pienamente in linea con i marcatori del vitigno. Note pulitissime di pesche banche e albicocche, aromaticità armonica, erbe di campo e fieno, camomilla e menta, timo e mandorle. Palato lunghissimo, assolutamente equilibrato. Adatta alla meditazione, tuffateci una fetta di colomba e ricorderete chi vi ha dato questo consiglio.

Azienda agricola Donati Camillo Via Costa 3 43035 Barbiano di Felino (PR) Telefono: 0521 637204 E-mail: camillo@camillodonati.it Web: www.camillodonati.it

Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC “Centenario” Amabile Cleto Chiarli Punto di riferimento della viticoltura di qualità del territorio e non solo, questa storica realtà fondata nel 1860 è tutt’oggi produttrice di costanza e d’eccellenza, sempre nel rispetto della tradizione. Non fa eccezione questa referenza, che affonda le radici nell’abitudine locale di accompagnare alcune ricette dolci della tradizione, primo fra tutti il Bensone, una sorta di ciambella, prodotto tipico di Modena, con un vino Lambrusco più abboccato, amabile. Ecco quindi un calice ricco, rotondo e morbido, con una sua freschezza a sostegno dell’indispensabile nota dolce. Sono soprattutto note fruttate e vinose, marmellate di more e di ribes, ad accompagnare la sorsata piena ed avvolgente, ben calibrata. Accompagnerà con grande successo crostate ai frutti di bosco, pasticceria secca e un’ottima colomba artigianale.

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Chiarli 1860 Via Manin 15 41122 Modena (MO) Telefono: 059 3163311 E-mail: italia@chiarli.it Web: www.chiarli.it

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Moscato d’Asti DOCG Santo Stefano Beppe Marino

Azienda Vinicola Beppe Marino Via Stazione 23 12058 Santo Stefano Belbo (CN) Telefono: 0141 840677 E-mail: info@beppemarino.it Web: www.beppemarino.it

L’azienda Beppe Marino nasce nel 1972 a Santo Stefano Belbo, comune situato tra Langhe e Monferrato e zona tipica di produzione del Moscato d’Asti. Insieme alla moglie ROSALBA e al figlio MAURIZIO, BEPPE coltiva i suoi 13 ettari di vigneto, con pazienza e passione. Il calice proposto è commovente per rispetto delle uve e per tipicità. Copiose le note tipicissime fruttate di pesche, miele e note floreali, tinte aromatiche e ricordi di erbe. Grande la pulizia del palato, dove una precisa spalla fresca sostiene con garbo la dolcezza, il tutto con grandissima armonia. Corrispondente, bevibilissimo e fresco, risulta ugualmente intenso e persistente, col eleganza. Ottimo coi dessert della tradizione piemontese e con la pasticceria secca e da forno, sarà perfetto compagno della colomba pasquale.

Colli Euganei Fior d’Arancio Passito DOCG Alpianae Vignalta La cantina Vignalta nasce nel 1980 dall’intraprendenza di tre amici, LUCIO GOPAOLO GUZZO e LUCIANO SALVAGNIN. L’azienda si trova ad Arquà Petrarca, in provincia di Padova, sulle colline dei Colli Euganei. Di origine vulcanica, questi territori sono caratterizzati dal suolo variegato, lo stesso che contraddistingue con grande positività le produzioni vinicole. Prodotto con uve Moscato giallo in purezza, sottoposte a 4 mesi di appassimento e fermentate in botti di rovere, questo calice si presenta di un brillante giallo dorato con sfumature ambrate, mentre al naso porge generose note di cedro candito e uva di Corinto, nocciole e mandorle tostate, agrumi e note di pasticceria, balsamicità in chiusura. Circolare al palato, dove intensità ed eleganza di fondono in armonia. Un vino adatto alla degustazione meditativa, all’abbinamento con formaggi stagionati ed erborinati, si presta ad accompagnare colombe e panettoni.

MIERO,

Vignalta Società Agricola Via Scalette 23 35032 Arquà Petrarca (PD) Telefono: 0429 77 7305 E-mail: info@vignalta.it Web: www.vignalta.it

Di Majo Norante Molise DOC Moscato Passito Apianae Di Maio Norante

Di Majo Norante Contrada Ramitello – Via Colle Savino, 6 86042 Campomarino Lido (CB) Telefono: 0875 57208 E-mail: vini@dimajonorante.it Web: www.dimajonorante.com

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Virtuosa cantina molisana, dove la tradizione vinicola risale ai tempi dei Sanniti e dei Romani. ALESSIO DI MAJO, imprenditore caparbio e lungimirante, ha puntato con decisione alla tipicità, nella convinzione che è il vitigno autoctono la chiave di qualità e costanza. Un calice dorato, con riflessi ambra, questo passito prodotto con uve Moscato in purezza, che sprigiona intense note di scorze di agrumi, fiori d’arancio e miele di zagara, frutta secca e tinte balsamiche. Il palato è elegantissimo e avvincente, lascia la bocca pulita grazie ad una buona trama acida e alla precisa armonia delle parti. Un calice seducente, perfetto per accompagnare formaggi stagionati, anche con marmellate e composte, ma che sarà altresì buon compagno di pasticceria secca e frolla, dolci da forno, pandori, panettoni e morbide colombe.

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DOLCI

I DOLCI DELLA RISURREZIONE Risveglio e rinascita: questo è il significato della Pasqua che, nella simbologia, si traduce in alcuni elementi molto chiari e immediatamente riconoscibili. L’uovo, che sulla tavola diventa di cioccolato, l’agnello di mandorle, la colomba di pasta soffice e il grano nella pastiera con canditi e fiori d’arancio di Sebastiano Corona

Pastiera napoletana (photo © Antonio Gravante – stock.adobe.com). 122

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A sinistra: pardule fresche, formaggelle di ricotta della Sardegna (photo © Alessio Orrù – stock.adobe.com).

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ll’arrivo della stagione più mite si deve la disponibilità di certi ingredienti come la ricotta, ma alla fine della Quaresima è dovuto anche il desiderio di maggiori lussi a tavola, compresi dolci di più fine pasticceria. Ogni regione in Italia vanta uno o più specialità dolciarie prettamente dedicate alla Pasqua, così come se ne contano di innumerevoli, di origine pagana o cristiana, da Nord a Sud, per ogni ricorrenza e per ogni santo. Sebbene si sia persa la stagionalità delle preparazioni, poiché oggi moltissimi piatti vengono realizzati in ogni periodo, senza soluzione di continuità e senza rispetto dei tempi della tradizione, numerosi dolci possono essere ricondotti al periodo pasquale in maniera inequivocabile, alcuni dei quali apprezzati e divenuti famosi in tutto il Paese. La Gubana friulana, la Ciambella ferrarese, la Torta di riso di Massa Carrara, la Ciaramicola umbra, i Recresciuti laziali, il Pucellato dolce campano, sono solo alcuni esempi. In Sardegna, ad esempio, Pasqua significa soprattutto Pardulas o Casadinas, come vengono chiamate in alcune zone e poi erroneamente tradotte in italiano con il nome di “formaggella”. Si tratta infatti di piccole tortine di pasta con Premiata Salumeria Italiana, 2/20

ripieno di ricotta o formaggio, zucchero, uova e aromi, nel Sud Sardegna anche zafferano, nel Nord uvetta. Qui, come in molte altre regioni, è tradizione preparare anche il pane con l’uovo, una pasta più o meno decorata con all’interno un uovo di gallina. Una specialità che si può ricondurre anche a tante altre zone del Belpaese e che, di volta in volta, prende la forma di una colomba, di una torta, di un cestino, di una brioche, di una gallinella, oppure è attorniata da vere e proprie decorazioni artistiche con tanto di fiori, disegni e altorilievi. Si tratta, tuttavia, di produzioni prettamente domestiche o artigianali, persino difficili da trovare in commercio. E per stare in tema di specialità ottime da gustare, ma anche molto belle da vedere, ecco l’Agnello pasquale siciliano, dolce tipico del comune di Favara (AG), ma presente con delle varianti anche nel resto dell’isola. Quello del comune agrigentino è particolarmente ricco e raffinato, essendo costituito da una pasta reale con ripieno di pistacchio. La classica decorazione è di zucchero fondente che copre l’intero agnello, tranne testa e collo, per un risultato di grande fascino e di forte significato simbolico. Lo è senz’altro anche la Pastiera napoletana, altro dolce tipicamente

pasquale, che viene oramai consumato tutto l’anno. Su questa specialità le leggende che ne ripercorrono le origini si sprecano. Per taluni nascerebbe dal culto della sirena PARTENOPE; secondo un’altra più realistica ipotesi alcuni pescatori, rimasti in balia delle onde per un giorno e una notte, dichiararono di essere sopravvissuti grazie alla “pasta di ieri”, fatta con ricotta, uova, grano e aromi. Altri più semplicemente ritengono che furono le suore del convento di San Gregorio Armeno ad inventarla, mescolando gli ingredienti simbolo della resurrezione coi fiori d’arancio del giardino, sebbene la ricchezza degli ingredienti e la complessità dei gusti sembrerebbero invece ricondurre alla cucina di corte. Farina, simbolo di nutrizione; ricotta, simbolo di abbondanza; uova, che richiamano la fertilità; grano cotto nel latte, come la fusione del mondo animale con quello vegetale, i fiori d’arancio e i canditi sono alla base di questo dolce. Molti gli aneddoti attorno alla pastiera: si narra addirittura che MARIA TERESA D’ASBURGO, soprannominata la Regina che non sorride mai, cedendo alle insistenze del marito, re FERDINANDO II DI BORBONE, non poté far a meno di gioire nell’addentarne una fetta. 123


Colomba artigianale (photo © photology1971 – stock.adobe.com). Alla Pastiera napoletana, come anche alle Pardulas, è stato attribuito il riconoscimento di PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani) nelle rispettive regioni di origine, così come è stato attribuito, in Lombardia, alla Colomba: certamente il dolce pasquale che più di qualunque altro ha conquistato il palato degli Italiani, diffondendosi in maniera capillare ovunque, sia a livello industriale che artigianale. La Colomba gode anche di una disciplina specifica a tutela di produttori e di consumatori. Il Decreto 22 luglio 2005, pubblicato nella GU n. 177 del 1/8/2005, all’articolo 3 pone dei paletti sulle caratteristiche che un prodotto dolciario debba avere per essere etichettato e commercializzato come “Colomba”, definendone ingredienti, processo produttivo, forma e immagine complessiva. Sulla sua storia, al pari della Pastiera, le leggende si sprecano e ce ne sono

davvero di affascinanti. Una di queste ci riporta all’epoca longobarda e più in particolare al re Alboino, al quale sarebbe stato servito il dolce in segno di pace durante l’assedio di Pavia. Un’altra la vuole legata alla regina longobarda TEODOLINDA e il santo abate irlandese COLOMBANO. Secondo quest’ultima, gli furono servite numerose vivande con molta selvaggina, che egli rifiutò perché in periodo di quaresima. Ma poiché la regina Teodolinda si offese per il gesto, l’abate superò l’imbarazzo trasformando i piatti a base di carne in colombe di pane. Un’altra leggenda fa risalire l’origine del dolce pasquale per antonomasia alla battaglia di Legnano (1176), in cui un condottiero del carroccio, per infondere coraggio ai propri uomini, fece confezionare dei pani a base di uova, farina e lievito, a forma di colomba, appunto.

LA GUBANA, LA CIAMBELLA FERRARESE, LA TORTA DI RISO DI MASSA CARRARA, LA CIARAMICOLA, LA PASTIERA NAPOLETANA E NATURALMENTE LA COLOMBA: SONO TANTI I DOLCI REGIONALI TIPICI DELLA PASQUA

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Le numerose storie, talvolta davvero datate, che vorrebbero dare i natali ai nostri prodotti tipici sono molto interessanti e — perché no? — un’importante leva di marketing, soprattutto nell’ipotesi di un’esportazione del prodotto. A noi, però, piace più l’idea di ricondurre la nascita dell’attuale Colomba pasquale ad un professionista che ha dato tanto al nostro Paese, non solo nell’ambito della produzione alimentare. DINO VILLANI, uomo illuminato, pubblicitario, artista, precursore del branding, anticipatore del marketing strategico, direttore dell’ufficio pubblicità della MOTTA, ebbe la felice intuizione di creare questo noto dolce per dare un impiego ai macchinari usati solo per alcuni mesi all’anno per la preparazione del Panettone, utilizzando una simile miscela di ingredienti. Vale la pena di spendere alcune parole per colui che pensò, tra le varie cose, di dare una veste commerciale alla festa degli innamorati, il 14 febbraio, che ideò il concorso di bellezza che in un secondo momento diventò Miss Italia e che, con SERGIO POZZATO, diede vita a un brand di straordinario successo come la M del panettone Motta. Furono in tanti a seguire le orme della nota e longeva industria dolciaria lombarda ed è così che la Colomba si è diffusa ed è diventata, nel periodo pasquale, un prodotto di ampio consumo. Resta il fatto che si possa considerare in qualche modo figlia del Panettone. Gli ingredienti sono simili ma la procedura di preparazione è sotto certi aspetti più complessa. Le lievitazioni sono, infatti, tre e in ogni passaggio vi è un’aggiunta di uno o più ingredienti. All’impasto finale si aggiungono poi i diversi decori a piacimento. Ciò che più di ogni altra cosa la distingue è però la forma tipica che si riferisce in maniera esplicita alla tradizione cristiana, essendo la Colomba un animale che compare frequentemente nelle scritture, sia del Vecchio sia del Nuovo Testamento. In molte culture questo elemento è ricco di significati positivi, considerato simbolo di pace e di rinascita, ciò che la Pasqua dovrebbe essere per ognuno, compresi i non credenti. Sebastiano Corona

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PERCHÈ MEATY E’ un’iniziativa, ideata da Ecod, per creare sinergie vincenti tra le industrie che producono l’eccellenza italiana nel settore carni e pesce e i loro fornitori di tecnologie ed ingredientistica, in un quartiere fieristico moderno e razionale come quello di Bologna.

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TECNOLOGIE Nel settore della lavorazione della carne

Le soluzioni IT per la pianificazione della produzione portano maggiore flessibilità e riducono i costi Le migliori sono quelle direttamente integrate nel software ERP

L

a giornata lavorativa di un produttore di alimenti può diventare all’improvviso frenetica: quale ordine deve essere preparato per primo? Ci sono sufficienti materie prime in magazzino? Quanto tempo ancora saranno in funzione le linee di confezionamento? Sono sopraggiunti nel frattempo degli ordini a cui va assegnata la massima priorità?

L’esperienza insegna che sarebbe meglio pianificare piuttosto che farsi prendere dalla frenesia. Ma l’efficacia della pianificazione dipende fortemente dai metodi e dagli strumenti utilizzati. Gli strumenti tradizionali hanno difficoltà a compensare gli effetti di spostamenti improvvisi degli ordini di produzione o tempi di inattività non pianificati di macchine e impianti;

i sistemi di pianificazione e controllo della produzione basati sull'IT, invece, sono più precisi e flessibili. Il modulo Process Planning System (PPS) del CSB-System Nel CSB-System, software gestionale completo, modulare e specifico per il settore alimentare, il modulo PPS è una componente integrante del sistema e, tenendo conto delle capacità e delle risorse umane e materiali presenti, consente oltre alla pianificazione dei processi di produzione su diversi scenari temporali, anche una gestione ottimale di impianti, macchinari e personale. Pianificazione a lungo termine Sulla base dei dati di vendita storici o reali, il cosiddetto “trend di periodo”, e del corrispondente utilizzo delle capacità produttive, la pianificazione a lungo termine prevede che sia elaborato un piano di produzione a livello mensile o annuale. I moduli di Business Intelligence (BI) del CSB-System rappresentano in questo contesto uno strumento in più a supporto della pianificazione, che si completa con i valori di budget e la conseguente pianificazione della liquidità.

Grazie al “Rilevamento Dati Aziendali” tutti i dati sono rilevati direttamente nel punto in cui si generano.

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Pianificazione a medio termine Dalla pianificazione a lungo termine si ricavano i valori per la pianificazione

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a medio termine. Tenendo conto degli scostamenti tra quanto pianificato e quanto realmente prodotto, i calcoli per le previsioni sono continuamente aggiustati con i dati effettivi al fine di assicurare una pianificazione esatta su base settimanale. A questo proposito, il PPS equilibra costantemente le capacità pianificate sulla base di quelle disponibili e ne elabora un piano di produzione e di avanzamento. Il CSB mette a disposizione statistiche per la visualizzazione dei fabbisogni in termini di materiali, personale e macchine per i periodi considerati. Pianificazione a breve termine La pianificazione a breve termine tiene conto dei risultati di entrambi i precedenti livelli di pianificazione e si integra con i dati operativi derivati dal CSB-System. Gli ordini di acquisto, i dati di magazzino, gli ordini di vendita e le eventuali promozioni vengono così consultati on-line. L’intero piano di produzione è visualizzato in uno schedulatore grafico con modalità interattiva. Con l’utilizzo di queste funzioni, si crea dunque il piano di produzione, che è costantemente verificato nel sistema, in costante dialogo con il responsabile della pianificazione. Quest’ultimo riesce così ad elaborare un piano di impiego di persone e macchinari orientato al fabbisogno e alle capacità e che tiene conto di distinte base, restrizioni e procedure. Ciò garantisce la necessaria freschezza del prodotto, un utilizzo ottimale delle macchine, una maggiore velocità di produzione e un’alta capacità di consegna. Anche eventuali carenze o eccedenze e ritardi nella produzione sono resi rapidamente visibili, affinché i responsabili di produzione possano prendere le giuste contromisure in tempo utile. Il processo di sezionamento per le aziende del settore carne Vale la pena sottolineare che, nelle aziende di lavorazione carne, vi sono due tipi di processo di produzione da pianificare: • uno è il processo di sezionamento; • l’altro il processo di produzione con distinte basi. La completa integrazione di questi processi rende possibile una pianifica-

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Il modulo PPS consente la pianificazione dei processi di produzione su diversi scenari temporali. zione che tiene conto dei dati provenienti da tutti i reparti aziendali coinvolti, con l’obiettivo di una maggior trasparenza nel confronto tra preventivo e consuntivo della resa di materie prime e processi. Grazie all’inserimento nella pianificazione di tutti i dati relativi alle disponibilità, l’utente ottiene automaticamente un piano dettagliato di scomposizione che, partendo dal fabbisogno, determina i valori teorici per gli ordini di sezionamento e quindi ottimizza le giacenze di magazzino. Grazie al Rilevamento Dati Aziendali e la Presa Mobile Dati, tutti i dati sono rilevati direttamente nel punto in cui si generano. Nei programmi Entrata Processo di Scomposizione ed Uscita Processo di Scomposizione sono predisposte on-line le quantità effettive, per l’ordine di volta in volta associato, senza doppi inserimenti e perdite di tempo. Per analizzare lo scostamento rese per partita si esegue alla fine un calcolo, riferito all’ordine, per la valorizzazione degli articoli risultanti dalla scomposizione sulla base di un confronto preventivo/ consuntivo. Un confronto esteso all’ordine è possibile tramite l’analisi delle partite e rappresenta anche la base per l’ottimizzazione, il cui obiettivo è una pianificazione migliorata ed orientata al fabbisogno dell’uscita del processo di scomposizione. È andato tutto come previsto? Il piano di produzione perfetto, però, non esiste perché la vita reale è un’altra:

festività, offerte speciali, addirittura le condizioni meteorologiche possono avere un impatto enorme sulle vendite e quindi indirettamente sulla pianificazione della produzione. Quindi è bene che il software sia uno strumento flessibile che includa sì i dati storici, ma consenta allo stesso tempo di modificare gli ordini di produzione. Il tutto secondo livelli di autorizzazioni per utenti, definiti dalla direzione aziendale. Con uno strumento di pianificazione altamente flessibile come il CSB-System diventa molto più semplice pianificare, organizzare e controllare in modo ottimale tutte le risorse produttive come personale, macchine e materie prime, anche in condizioni difficili causate dall’andamento incerto degli ordini e dall’ampia varietà di prodotti.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

Songs From A Room, Leonard Cohen

TRA SACRO E PROFANO di Giovanni Papalato

È

un aneddoto personale quello con cui mi permetto di iniziare questo articolo, ma non farò nomi, quindi mi auguro di essere discreto quanto basta. Lo faccio un po’ perché parlare di un disco di LEONARD COHEN mi mette un discreto timore, un po’ perché, effettivamente, da quando ho memoria, la carne d’agnello è qualcosa che divide molto tra chi la ama e chi, invece, non vuole sentirne nemmeno l’odore. Ecco, appunto, il personale… La mia compagna la adora, credo anche di poter stilare un discreto elenco di pietanze a base di agnello (scottadito, cacio e ova, brasato, al forno, solo per dirne alcune) con cui l’ho vista entusiasta al solo averle trovate in menu. Da parte mia, prima di lei, avevo eletto gli arrosticini come qualcosa di imprescindibile, ma non ero andato oltre. Dicevo che sono tante, tra le persone che conosco, quelle che, pur amando mangiare carne, sono restie a consumare quella di agnello. L’unica altra vera discriminante, al di là dell’animale in questione, sono le interiora, ma questa è un’altra faccenda. Quindi? Il motivo di tanto scrivere è perché un brano, tra i più belli di Songs From A Room, secondo album di Cohen, inizia così: “I came upon a butcher, He was slaughtering a lamb, I accused him there With his tortured lamb. He said, Listen to me, child, I am what I am and you, You are my only son. Well, I found a silver needle, I put it into my arm” (“Mi sono imbattuto in un macellaio,

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Nel primo anniversario della morte dello straordinario artista canadese, la città di Montréal ha voluto rendere omaggio a Leonard Cohen con l’inaugurazione di un murale che occupa la facciata di un palazzo e si estende per oltre 3.300 m2. L’opera è stata realizzato dagli artisti El Mac e Gene Pendon, aiutati da tredici assistenti. L’immagine scelta per essere riprodotta è una delle più famose fotografie che ritraggono l’artista e che è stata scattata dalla figlia (photo © Ryan Remiorz, The Canadian Press). stava macellando un agnello. L’ho accusato proprio lì, col suo agnello torturato. Mi ha detto, ‘Ascoltami, figliolo, io sono quello che sono e tu, tu sei il mio unico figlio’. Beh, ho trovato un ago argentato, e l’ho infilato nel mio braccio”). È il 1969 e Cohen, nato in Canada in una famiglia ebraica, vissuto per qualche tempo in Grecia, ha all’attivo un album dal didascalico nome The Songs Of Leonard Cohen e diverse raccolte di poesie. Definito “probabilmente il migliore giovane poeta contemporaneo del Canada anglofono” dal critico ROBERT WEAVER, si approccia alla musica quando ha già 33 anni, grazie alla cantante e amica JUDY COLLINS che per prima ne interpreta alcune canzoni e lo esorta a suonare e cantare in pubblico. La parola nella canzone può essere in tanti modi: funzionale alla musica o accompagnarla soltanto, importante o inutile, subordinata, essenziale. Qui siamo in un ambito completamente diverso da certe convenzioni strutturali perché Cohen, con pochissimi altri come Dylan e Cave, supera i confini tra musica, letteratura e poesia e i suoi album lo pongono in una condizione non classificabile semplicemente come

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“cantautore” ma nemmeno come “poeta” o“scrittore”. I temi e la forma con cui vengono affrontati, la voce come di rasoio, la scansione delle parole sono qualcosa di unico e riconoscibile come tale, senza riserva alcuna. Ebreo, sarà ordinato monaco buddista e tratterà temi giudaico-cristiani: il rapporto dell’uomo e dell’individuo con la religione, l’assoluto e il nulla, l’illogico e l’assurdo saranno temi centrali in tutta la sua opera. Esordisce nel 1967 con un disco che riceve recensioni non particolarmente negative, ma nemmeno entusiaste, che gli consente comunque di firmare per la CBS. Dopo qualche sessione in cui il produttore è DAVID CROSBY, decide di affidarsi a BOB JOHNSTON, che all’interno della casa discografica ha già lavorato per BOB DYLAN, JOHNNY CASH e SIMON & GARFUNKEL. La scelta è dettata dal desiderio di avere un suono più spartano, minimale e concreto rispetto alle canzoni dell’esordio. La voce è centrale, guida tutto. Bird on a wire è un manifesto. L’incipit è, per chi scrive, uno dei migliori in assoluto. La voce di Cohen, con la grazia di chi consapevolmente sa di non

essere un cantante, emerge dal niente e, sola, per qualche secondo canta: “Like a bird on the wire Like a drunk in a midnight choir I have tried in my way to be free”. Banjo, archi e chitarra acustica seguono l’incidere di questa canzone folk portandola in una dimensione che è altro da sé. Iniziata in Grecia, terminata in un motel di Hollywood, sembrava non trovasse mai la chiusura del cerchio. La ragazza al pianoforte sul retro copertina, protagonista in alcune canzoni su diversi dischi, è la svedese Marianne, compagna di Cohen all’epoca. Si racconta che fu lei a spingerlo alla composizione di questo brano, esortandolo a scrivere per uscire da una fase depressiva. Erano assieme sull’isola di Hydra e, da una finestra della loro abitazione, vide un uccellino appoggiato ad un cavo della linea telefonica appena installata. Gli suggerì che sembrava una nota su uno spartito e di scrivere una canzone su questa immagine, porgendogli la chitarra. Cohen attraverserà diverse fasi depressive lungo tutto l’arco della sua vita e questo è un particolare che rende il brano ancora più toccante.

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The Story Of Isaac si sviluppa da un arpeggio ossessivo che si intreccia con uno strisciante banjo lungo una serie di incontri con figure estremamente simboliche e si inserisce con forza tra le più importanti e belle canzoni contro la guerra. L’episodio biblico è un pretesto per rappresentare l’assurdità di tutti i conflitti, a partire dal quello in Vietnam, che sta vivendo all’epoca uno dei momenti più tragici. Proprio a quest’ultimo si riferisce A Bunch Of Lonesome Heroes, con un giro armonico caratteristico di Cohen con un synth che rafforza e libera la melodia. Una storia di soldati, idoli, effimero, memoria e caducità. The Partisan rientra in questo ideale trittico contro la guerra e si concede una approccio meno duro a livello di arrangiamento e melodia. È un adattamento del brano della resistenza francese La complainte du partisan, composto a Londra nel 1943 da ANNA MARLY e EMMANUEL D’ASTIER DE LA VIGERIE. Il testo è stato tradotto in inglese da HY ZAREt. L’inserimento di una voce femminile che in lingua francese si aggiunge a quella calda e ruvida di Cohen sa di confidenza ed emoziona. Seems so long ago, Nancy è la storia, reale, di una giovane di 21 anni. Una solitudine assoluta e senza speranza, mascherata da libertà il cui epilogo è il suicidio con un colpo di pistola alla testa; un brano denso di compassione. Esiste una versione meravigliosa di FABRIZIO DE ANDRÉ più arrangiata rispetto all’originale. Qui infatti la voce e la chitarra acustica sono solo accompagnate da un organo che sommessamente sottolinea la pietà delle parole. Il secondo lato di Songs From A Room si apre con The Old Revolution, che musicalmente non si discosta dal minimalismo fatto di strutture melodiche espresse fino ad ora. Il testo è particolarmente ermetico e dalle molteplici interpretazioni. Sembra che l’autore ci voglia ancora chiedere di addentrarci, di toccare con mano e vedere coi nostri occhi le atrocità che la vita e la storia ci sottopongono, per capire davvero e non ripeterle. Che nei gesti di umanità che ognuno di noi può compiere si trova la salvezza. E così arriviamo a The Butcher, la canzone più potente e rigidamente strutturata del disco. Un blues minimale,

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scarno, in cui lo scambio dialettico tra il protagonista e il macellaio è inserito in un contesto concentrico, nel quale si ripetono analogie e simbolismi. Il narratore che contesta il mondo di cui fa parte il macellaio apprende da quest’ultimo che appartiene anche a lui. La narrazione e la scansione ritmica si concludono, creano una circolarità, che esaurisce con la liberazione da uno dell’altro. L’ambigua dichiarazione di You know who I am tocca temi fondanti come Perdita, Amore, Religione raccontati con una frase chitarristica estremamente semplice ed efficace ma con interessanti giri armonici. Non ha un vero e proprio ritornello Lady Midnight ma tre sezioni che insieme costituiscono un racconto, in cui tastiere e basso sostengono e danno respiro. Il brano che chiude il disco ha un attitudine completamente differente rispetto a tutto ciò che abbiamo ascoltato fino ad ora. Tonight we’ll be fine è infatti serena, la melodia viene addirittura fischiata da Cohen che ci gioca, leggero e consapevole, sopra il ritmo di una chitarra fingerpicking. La stanza piena di mozziconi, fumosa e scura, in cui entrava poca luce c’è ancora e sottolinea che sia stata scelta con cura. Ma la consapevolezza dell’ineluttabilità del passato e dell’indeterminato insito nel futuro possono essere liberatori. “But I know from your eyes and I know from smile that tonight we’ll be fine, for a while”. Così, anche se solo nel immediato, nel presente, in ciò che sta per accadere, si può vivere con un’attitudine positiva. Una riflessione che sfiora il fatalismo ma che non si esaurisce con esso. Sarebbe riduttivo e fuorviante, perché questo album ha con sé un carico di riflessioni e storie che sono lungi da esaurirsi. Songs From A Room ha acquisito col tempo i riconoscimenti di critica e pubblico che merita. È un disco essenziale, in tutte le sue accezioni. Da una stanza, osservare il mondo e la vita, per poi immergersi con consapevolezza. Giovanni Papalato Nota A pagina 128, photo © Lucio Pellacani.


LIBRI

LAURA KIÉ E HARUNA KISHI La cucina giapponese illustrata Collana Slowbook Slow Food Editore, 2020 128 pp.

AA.VV. Formaggio e pastoralismo in Sardegna Storia, cultura, tradizione e innovazione Ilisso Edizioni, 2015 832 pp.

MARTÍ GUIXÉ Food designing Corraini Edizioni 224 pp.

Questo è un libro interamente illustrato dedicato alla cucina giapponese. Attraverso menù, aneddoti, tecniche, strumenti e ingredienti il lettore viene guidato alla scoperta di sapori e costumi del Sol Levante. Come si modella il sushi? Qual è la ricetta tradizionale della zuppa di miso? Quali sono le portate di un pasto giapponese? Quali sono i piatti tipici negli izakaya? Come si prepara il bento? In un solo sguardo tutte le risposte per immergersi in una delle culture gastronomiche più affascinanti del mondo fino a diventare un vero intenditore. Le illustrazioni bellissime sono di HARUNA KISHI.

Custode di antichi saperi la civiltà pastorale rappresenta un universo in continuo movimento in grado di influenzare la cultura, l’economia e la società sarda. Grande protagonista dell’alimentazione europea, il formaggio è da sempre presente nella dieta quotidiana degli abitanti dell’isola. Un dettagliato corredo fotografico accompagnerà il lettore in un coinvolgente cammino tra paesaggi mozzafiato e profumi e sapori di delizie culinarie senza tempo.

Anche il cibo, e il modo in cui lo consumiamo, può essere progettato: Martí Guixé ne dà innumerevoli esempi squadrando patate, costruendo strutture molecolari a base di olive e stuzzicadenti, progettando ristoranti che sfruttano l’energia del sole per cuocere gli alimenti o creando una nebbia artificiale per interni fatta con gin tonic. Questa nuova edizione, rivista e ampliata con 32 pagine e 40 nuovi progetti, documenta 20 anni di lavoro di Martí Guixé attorno al food design, facendo il punto sulla sua ricerca dai primi progetti del 1995 agli ultimi lavori del 2015. Le fotografie sono di fotografie di Inga Knölke.

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"Siamo tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino"

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