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Mercati Bresaola della Valtellina IGP, segnali di ripresa
LA MELATA DI NOCCIOLO
di Riccardo Lagorio
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Pagine e speciali dedicati al miele sono stati pubblicati più volte su questo dorso e da ultimo sul numero 5/2020 (LAGORIO R., Scoprire il Roero e le sue Rocche sulla Strada del Miele, pag. 68) ci si è concentrati su una particolare area, il Roero, dove la produzione di miele disegna il territorio. In quei giorni (luglio 2020) non era ancora stata divulgata la notizia che proprio nel Roero si era messo a punto un miele… nuovo. In verità una melata, la melata di nocciolo. Il miele viene generato dalle api che, dopo aver tratto il nettare dai fi ori, lo elaborano grazie ai propri enzimi e lo lasciano maturare negli alveari. La melata deriva invece da Un’autentica rarità. Nella prima campagna produttiva il colore è brillante e si colloca tra il rosso mattone e il ruggine. Il profumo ricorda la susina essiccata. In bocca il rimando più diretto è al caramello, con una sapidità fi nale assai persistente, quasi salina
una sostanza dolce che viene prodotta da alcuni insetti (che suggono la linfa dei vegetali) e che le api trovano sulle foglie o sulle cortecce degli alberi. Le api ricorrono a questa fonte zuccherina quando la fi oritura è scarsa in quanto ci si trova in zone boschive o non vi sono fi oriture signifi cative. «Qui nel Roero, grazie alla conformazione geologica e morfologica del territorio, è ancora possibile ottenere mieli monofl orali: le colline scoscese impediscono la coltivazione a vigna o nocciola e quindi vi sono numerose essenze arboree. In aree
In alto: i coniugi Elena Fantinato e Cristiano Rabino. A sinistra: noccioleto. In basso: la melata di nocciolo Mieli Roche (photo © www.mieliroche.it).
caratterizzate da monocoltura ciò non è più vero» svela CRISTIANO RABINO, che nel 2012 ha fondato Mieli Roche a Vezza d’Alba, prediligendo l’apicoltura ad un tranquillo lavoro in banca. «Il salto sarebbe stato impossibile senza il contributo di mia moglie ELENA FANTINATO», dice con orgoglio.
Un’esperienza quasi decennale che gli è servita per capire che qualcosa stava accadendo durante la primavera. «Da tre anni notavo che, verso il termine di aprile, tra la fi ne della fi oritura di tarassaco e ciliegio e l’inizio della fi oritura dell’acacia, le api frequentavano le coltivazioni di noccioli. Tuttavia nessuno avrebbe mai pensato a selezionare questo loro raccolto. Già nel 2019 avevamo notato un colore anomalo nel miele di acacia, aranciato. Così abbiamo dedotto che la presenza nei noccioleti delle api poteva avere una relazione diretta col colore del miele. E nel 2020 abbiamo provato a isolare il lavoro delle api a fi ne aprile, a cavallo delle fi oriture canoniche».
In verità la melata è stata ottenuta grazie a particolari circostane come le condizioni climatiche favorevoli e l’azione combinata con i corilicoltori, che si sono astenuti da copiose aspersioni di insetticidi dannosi per le api, utilizzando solo zolfo, che su di esse non sortisce nessun danno. Sì, perché gli insetti che fanno da ponte tra il nocciolo e le api vengono considerati dei parassiti spesso dannosi. Spesso da sopprimere.
Ma l’altro aspetto che rende particolarmente interessante la nascita della melata di nocciolo è che solitamente la cocciniglia vive in giugno: è plausibile che l’aumento delle temperature abbia permesso lo sviluppo dei parassiti in questo periodo propizio per il lavoro delle api. «Spostiamo gli alveari in diversi luoghi del Roero, in particolare vicino alle Rocche, ricche di boschi, a seconda delle fi oriture utili per la produzione dei mieli di tarassaco-ciliegio, acacia, castagno, tiglio e melata di bosco. Da ora in avanti avremo un occhio di riguardo ai noccioleti» spiegano Cristiano ed Elena.
Proprio per la novità che rappresenta, non esiste ancora una descrizione uffi ciale della melata di nocciolo. Nella prima campagna produttiva il colore è brillante e si colloca tra il rosso mattone e il ruggine. Trascorso un anno dalla raccolta non si è cristallizzato e la viscosità è simile a quella delle altre comuni melate. Il profumo ricorda la susina essiccata. In bocca il rimando più diretto è al caramello, con una sapidità fi nale assai persistente, quasi salina. «Per poter creare una schedatura dovremo continuare la raccolta per qualche anno», precisa Cristiano Rabino. Intanto l’abbiamo azzardata noi. Per la gioia dei nostri lettori che ora sanno di più di questa autentica rarità.
Riccardo Lagorio
Mieli Roche Apicoltura del Roero
Via Castagnito 14-B 12040 Vezza d’Alba (CN) Telefono: 333 8447993 E-mail: info@mieliroche.it Web: mieliroche.it
Bresaola della Valtellina IGP,
SEGNALI DI RIPRESA
Photo © acrogame – stock.adobe.com
Da un anno a questa parte la pandemia ha insidiato da più fronti l’economia del Paese. Per la Bresaola della Valtellina IGP è stato un anno complicato, in linea con l’andamento dei salumi di alta fascia. Nonostante le evidenze di crescita del 2019 e di inizio 2020 parlassero di un settore in piena salute, lo scenario è cambiato con l’inizio del lockdown anche per questo salume che pure riscontra da parte del consumatore un evidente apprezzamento. Il comparto, caratterizzato anche dalla variabilità di prezzo della materia prima, soprattutto nei primi mesi dell’emergenza è stato, infatti, tra i più penalizzati all’interno di un alimentare dinamico. E i dati del 2020 lo confermano: la produzione complessiva di Bresaola della Valtellina IGP riferita alle 16 aziende certifi cate si è attestata a 12.600 tonnellate (–8,78% sul 2019).
La produzione riferita alle aziende associate costituisce la quasi totalità della produzione di Bresaola della Valtellina IGP certifi cata dall’organismo di controllo CSQA. In totale, sono state avviate alla produzione di Bresaola della Valtellina IGP poco più di 35.000 tonnellate di materia prima (per il 90% di taglio punta d’anca), di selezionata provenienza europea e mondiale, con percentuali diversifi cate da produttore a produttore.
Sul fronte consumi, in graduale espansione da 20 anni, il comparto ha segnato un valore di 454 milioni di euro (–7,59% sul 2019) con un impatto di
assoluto rilievo sulla provincia di Sondrio di 214 milioni di euro (–8,78%), per un settore che conta 1400 occupati.
Lato distribuzione, la GDO si conferma il principale canale di vendita.
L’export rappresenta il 7% della produzione, con un valore di 18.500 milioni di euro. Sono state esportate poco meno di 900 tonnellate di Bresaola della Valtellina IGP, un dato signifi cativo anche se in calo oggettivo, causa pandemia, rispetto al 2019 (–29%), di cui il 72% nei Paesi UE (Austria, Belgio, «La riduzione dei consumi fuoricasa e le mutate abitudini del consumatore ci hanno penalizzato, ma il nostro comparto si conferma di notevole impatto economico e, soprattutto, ci sono segnali di ripresa confortanti» sostiene il presidente del Consorzio Franco Moro. «Guardiamo al futuro con ottimismo e la volontà di far ripartire il settore, con lo sforzo di utilizzare tutta la materia prima italiana possibile, compatibilmente col Disciplinare e gli standard di qualità necessari per produrre la Bresaola della Valtellina IGP
Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, San Marino, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Spagna Ungheria) e il 28% nei Paesi extra UE (Albania, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Gran Bretagna, Hong Kong, Kazakistan, Kenya, Kuwait, Libano, Moldavia, Qatar, Serbia, Seychelles, Svizzera).
«Il 2020 non è stato un anno semplice — commenta FRANCO MORO, presidente del Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina — dopo un secondo trimestre dell’anno preoccupante (in corrispondenza del primo lockdown), nel corso dell’estate (già a partire da giugno) c’erano stati segnali promettenti di ripresa. Poi, col ritorno della seconda ondata di ottobre, i numeri sono tornati in calo. Tra le cause ovvie c’è soprattutto l’importante riduzione dei consumi fuoricasa e, più in generale, le mutate abitudini del consumatore che, a causa dell’impatto signifi cativo che l’emergenza ha avuto a livello economico e di reddito, ha optato per altre scelte d’acquisto e per altre referenze di salumi dal prezzo medio più basso».
Secondo l’analisi del Consorzio, inoltre, alla base della riduzione dei volumi c’è anche la limitazione degli acquisti al banco taglio: per diminuire i contatti ravvicinati con gli altri clienti nei supermercati si è preferito evitare il banco assistito. Mentre l’acquisto del prodotto in vaschetta, già predominante negli anni precedenti, è cresciuto in termini assoluti (+2,3% sul 2019), con oltre 6.000 tonnellate, cioè il 50% della produzione totale di Bresaola della Valtellina IGP.
«Siamo tenaci e positivi — continua il presidente Moro — cominciamo a riscontrare lievi segnali di ripresa e confi diamo che, appena sarà possibile allentare le misure di restrizione e stabilizzare le riaperture, anche i consumi di bresaola torneranno a crescere, vista la fi ducia e l’apprezzamento che il consumatore riserva al nostro prodotto unico nel suo genere. Guardiamo al futuro con ottimismo e con la volontà di far ripartire il settore, nonostante le diffi coltà legate agli elevati e variabili costi della materia prima bovina.
Come Consorzio, abbiamo ridefi nito la strategia e le linee di azione, prestando particolare attenzione al territorio e alla sua valorizzazione, con un approccio sempre più consapevole verso la sostenibilità, elemento irrinunciabile a cui siamo molto sensibili. Come produttori di bresaola abbiamo intensifi cato l’impegno di utilizzare tutta la carne italiana disponibile, registrando un incremento del +17% rispetto al 2019 della bresaola fatta partendo da carne italiana.
Certo, i numeri sono ancora molto limitati, soprattutto per la Bresaola a marchio IGP, tenuto conto dei requisiti di idoneità previsti dal Disciplinare e degli standard qualitativi richiesti che sono un parametro oggettivo. Detto questo, siamo disponibili a valutare ogni possibile collaborazione con la fi liera italiana, che riesca a garantire una materia prima idonea alla trasformazione secondo Disciplinare».
>> Link: bresaolavaltellina.it
La prima Carta delle Bresaole di Rigamonti
Rigamonti punta sempre di più su qualità totale, fi liere certifi cate e diversifi cazione di gamma. Dopo la sinergia avviata con Coldiretti per valorizzare l’oro rosso piemontese all’interno della fi liera 100% italiana, il leader mondiale della Bresaola ha lanciato la sua prima “Carta delle Bresaole”: un vademecum dedicato ai consumatori, per scoprire il mondo della bresaola a partire da origine, gusto e caratteristiche delle carni in base alle razze, con schede di degustazione, abbinamenti e ricette. Il vademecum, scaricabile dal sito www.rigamontisalumifi cio.it, è stato realizzato in collaborazione con il giornalista enogastronomico MARCO BOLASCO, che ha curato il panel sensoriale delle bresaole, e ANGELA SIMONELLI, food designer che ha fi rmato le dieci ricette inedite. Uno strumento che invita alla sperimentazione di un salume versatile, declinabile in numerose varianti. Quali?
Innanzitutto la Bresaola della Valtellina IGP (quarto tra i salumi DOP e IGP in Italia per valore alla produzione, per il Gruppo Rigamonti vale circa il 50% del fatturato), particolarmente apprezzata dagli Italiani per la sua magrezza e il suo sapore distintivo, e nel caso di Rigamonti realizzata per il 90% con un taglio di prima scelta: la punta d’anca di Zebù sudamericano, ma anche Bresaola certifi cata 100% italiana 4 IT da razze nostrane (come Bruna Alpina e presto la Fassona) con caratteristiche note speziate e pepate e da gustare in fette più spesse. Per chi cerca sapori più decisi c’è Bresaola di Black Angus — da Australia, USA o UK — più marezzata (con un pizzico di “grasso” in più) e per questo ancora più gustosa, corposa e avvolgente. Ma anche quella sudamericana di Angus, con note erbacee e lievemente speziate, perfetta in abbinamento a una marmellata di arance amare. Infi ne, la Gran Fesa Rigamonti da bovini di razze europee Charolaise e Limousine, equilibrata e dal fi nale sapido e lievemente amaro, da gustare magari accanto a miele, caprino e erba cipollina sorseggiando una birra in stile blanche.
Al vademecum si affi anca una campagna social sui canali Facebook e Instagram di Rigamonti e una pagina ad hoc sul nuovo sito web dell’azienda. Per CLAUDIO PALLADI, AD Rigamonti: «Con questo vademecum vogliamo far conoscere ai consumatori in maniera piena e trasparente la nostra gamma di bresaole e la loro origine, le loro differenti caratteristiche e le sfumature di gusto, a seconda delle razze bovine utilizzate e della loro provenienza. È fondamentale in questo senso non demonizzare la provenienza estera della materia prima: i quantitativi di carne italiana destinati alla Bresaola — oggi pari a 700 tonnellate, 500 delle quali acquistate da Rigamonti — non saranno mai in grado di soddisfare l’intero mercato. Senza la materia prima estera non esisterebbe la bresaola. Quello che conta è il percorso di qualità totale intrapreso nella selezione della carne estera, nella scelta di fornitori certifi cati, unito alla ferma volontà di proseguire nella valorizzazione delle razze italiane. Questi due concetti non sono in antitesi ma vanno di pari passo. Ad oggi siamo gli unici sul mercato a visitare personalmente le fazendas in Brasile e ad attuare per la carne sudamericana un controllo di fi liera certifi cato CSQA per l’allevato pascolo e all’aperto, che nel 2020 ha registrato un +10%. Così come siamo gli unici a produrre in accordo con Coldiretti la Bresaola da fi liera 100% italiana (4IT), con animali nati, allevati, macellati e lavorati in Italia: una nicchia cresciuta del 20% nell’ultimo anno ma che può e deve crescere ancora». >> Link: www.rigamontisalumifi cio.it