Premiata Salumeria Italiana 3-2022

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 3 Maggio-Giugno 2022

€ 6,70



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BRESAOLA

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SAPERE

DI

S A PE R E /sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze. 6LJQLÀFD HVVHUH WUDVSDUHQWL LQ FLz FKH VL ID Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

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N. 3 Anno XXXIV Maggio-Giugno 2022

€ 6,70 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti

Comitato di redazione Sebastiano Corona – Guido Guidi – Riccardo Lagorio – Manrico Murzi – Massimiliano Rella

Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini

Segreteria di redazione Gaia Borghi

Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele Guidi

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin

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Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2022 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988

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Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 1121-9068 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005

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N. 3

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 116.

In questo numero:

Immagini

“Favola” è la mortadella punta di diamante della produzione del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO)

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Tendenze

Raspini presenta MI-TO…

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Salumi & Co.

Pane come Arte – Trend Green – Poster Vintage

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Fotografati e mangiati

Salame crudo – Sinfonia di frutta e cioccolato bianco

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La copertina esplosa

Mallegato di San Miniato

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Brevi storie di cibo lento Tarese a velocità contemporanea

Alessia Morabito

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Attualità

Conflitto Russia-Ucraina

Guido Guidi

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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La Qualità

Come si diventa un prosciutto Dehesa de Extremadura

Riccardo Lagorio

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Interviste

Salumificio Mec Palmieri: più forti del terremoto

40

Speciale CIbus

Cibus 2022 si conferma la piattaforma permanente dell’agroalimentare italiano

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Consorzio Salame Piemonte: nuovo presidente e nuovi obiettivi di crescita e sviluppo sui mercati nazionale e estero

Gaia Borghi

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Alla scoperta di una delle filiere DOP più corte d’Italia, il Crudo di Cuneo

Elena Benedetti

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I Ham Modena

Federica Cornia

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San Salvatore 1988, sotto il segno del bufalo

Gaia Borghi

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Tutto il biologico, oggi

Nonno Andrea, Azienda Agricola Biodiversa

Gian Omar Bison

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Mercati

Segno + per la Bresaola della Valtellina IGP

Belle Botteghe

Salami morbidi e ricette identitarie

74 Riccardo Lagorio

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A pagina 36.

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 3 Maggio-Giugno 2022

€ 6,70

In copertina: il Mallegato di San Miniato (photo © Massimiliano Rella).

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Prodotti tipici

Fiere

Sanguinacci, beni culturali da salvare

Giovanni Ballarini

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L’argjel friulano

Roberto Villa

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Cherry passion

Gaia Borghi

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Torna Taste ed è subito successo

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Marca by BolognaFiere riparte con una grande edizione!

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Week-end

Il picnic è servito

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Il gusto di camminare

Sul cammino della pace. Muovendo passi e pensieri attraverso Abruzzo, Molise e Puglia

Elena Simonini

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Lanzarote, Cochinilla, Aloe e Queso

Massimiliano Rella

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San Simón da Costa Dop, incantesimo galiziano

Riccardo Lagorio

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Formaggio

A pagina 58.

A pagina 98.

A pagina 32.

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A pagina 74.

A pagina 152.

A pagina 108.

Lo chef dell’olio

Insieme alla scoperta dell’olio extravergine di qualità

Fabrizio Bertucci

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Olio

Oli, uomini e territori

Vino

Sana Slow Wine Fair 2022: la rivoluzione del vino buono, pulito e giusto

Federica Cornia

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Vinitaly, vino, mixology & dintorni

Federica Cornia

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Bevande

Il gin nasce in Italia

Giovanni Ballarini

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Tecnologie

L’M-ERP di CSB-System per supportare la mobilità interna ed esterna

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Tre libri

Denominazione di Origine Inventata – Figurine di gusto – Piccolo atlante dei cibi perduti

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IMMAGINI

“Favola” è l’unica mortadella al mondo insaccata nella cotenna, punta di diamante della produzione del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), guidato dalla famiglia Palmieri, oggi alla quarta generazione in azienda (l’intervista a Massimo Palmieri la potete leggere a pagina 40). Qui la vedete in bella mostra all’ultima edizione di TASTE Firenze: il servizio sulla quindicesima edizione del salone, svoltosi per la prima volta nella nuova location della Fortezza da Basso, lo trovate a pagina 98.

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TENDENZE Raspini presenta MI-TO, felice contaminazione tra food e beverage, Prosciutto cotto di alta qualità e Vermouth, due assolute eccellenze piemontesi

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Unico. Autentico. Di Modena. M

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L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA

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Un prodotto nato dalla contaminazione tra Food & Beverage e dal felice incontro di due eccellenze del territorio piemontese, il Prosciutto cotto di alta qualità e il Vermouth. Lo scorso fine marzo, nel suggestivo scenario dello SNODO – OGR Officine Grandi Riparazioni, Raspini Spa ha infatti presentato MI-TO, nuovo Prosciutto cotto di alta qualità, frutto di anni di ricerca, aromatizzato al Vermouth, confermando inoltre anche quest’anno il sodalizio con il Giro d’Italia come partner ufficiale. Il prodotto per il food-pairing firmato Raspini e realizzato in collaborazione con COCCHI, l’eccellenza del Vermouth piemontese, è dedicato a bartender e a tutti i locali che fanno del momento dell’aperitivo il loro punto di forza. MI-TO è prodotto dalla selezione esclusiva di carni pregiate di suini nati e allevati in Italia. Frutto di una lavorazione accurata, è un prodotto innovativo per via della ricetta unica realizzata dal mastro aromatiere: la dolcezza del miele, la purezza del sale rosa dell’Himalaya, i profumi del macis e del coriandolo e la robustezza del ginepro compongono un bouquet di profumi e di sapori inimitabile che viene impreziosito e caratterizzato da una nota inconfondibile, piemontese al 100%: il Vermouth appunto. Raspini ha realizzato uno stampo dedicato per conferire una forma unica perché il prodotto si presti a tutte le ricettazioni di gastronomia: ideale per panini, toast e tramezzini gourmet. È versatile: può essere degustato in purezza a freddo con taglio fine o essere servito a caldo, dove le note agrumate emergono e danno carattere al prodotto. MI-TO stimola la voglia di creare nuove esperienze di gusto.

MODEN

CONSORZIO TUTELA


SALUMI & CO. Pane come

Arte

Illuminare la vita attraverso la luce delicata e di un delizioso pezzo di pane: è quel che YUKIKO MORITA fa con le “Pampshades”. L’artista giapponese rende omaggio alla bellezza del pane realizzando a mano originalissime lampade artigianali in cui niente va sprecato: dalla mollica infatti nascono i Makami Rusk, bocconcini di pane aromatizzato. Il suo lavoro è attualmente distribuito in Giappone e in circa 15 Paesi in Nord America, Europa, Cina e Hong Kong. yukikomorita.com

Trend GREEN L’allestimento di un’area green, magari un corner o uno scaffale dedicato in un pezzo di parete libera, possibilmente in prossimità della vetrina (quindi anche ben visibile dall’esterno), è un sicuro elemento che fa tendenza e che richiama l’attenzione del cliente. La vendita di piante aromatiche genera ricavi, si sposa bene con gli acquisti in salumeria, profuma l’ambiente, avvicinandoci a quel po’ di natura di cui tutti oggi abbiamo sempre più bisogno.

Poster

VINTAGE Sono belli, colorati e arredano con un budget ridotto zone dedicate all’allestimento di vini e alcolici. Questo poster di Fox & Velvet dedicato al gin costa 21,75 euro (50 x 70 cm) e si può acquistare in vari formati su posterlounge.it. Anche postery.com ha una bella selezione di poster vintage, perfetti per donare al locale un look contemporaneo, senza tempo.

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Questo è il risultato di chi non si accontenta. Il frutto di tutta la nostra esperienza. Chiedilo al tuo salumiere o cercalo nel banco frigo.

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

SALAME CRUDO www.instagram.com/macelleriasalumeriagiacobbe

Produttore: Macelleria Salumeria Giacobbe Angelo, Sassello (SV). Regione: Liguria. Ingredienti: carne suina selezionata, pepe, sale di Cervia, vino Barbera. Descrizione: è profumatissimo il salame crudo di Angelo Giacobbe, norcino savonese dalla lunga esperienza che produce salumi di qualità. Il suo salame crudo è impastato con pepe a grani interi, sale di Cervia e amalgamato con Barbera, quindi insaccato nei cosiddetti “culari” e sottoposto ad una stagionatura variabile a seconda del tipo di impasto e di budello, da 1 a 6-8 mesi, in condizioni di temperatura e umidità controllate. Angelo lo vende riposto in una bustina di stoffa a quadretti bianchi e rossi, perfetto per conservare il prodotto man mano che si consuma. In abbinamento a: un calice fresco di Riviera Ligure di Ponente DOC Vermentino.

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SINFONIA DI FRUTTA E

CIOCCOLATO BIANCO adeliadifant.it

Produttore: Adelia di Fant, S. Daniele del Friuli (UD). Regione: Friuli Venezia Giulia. Ingredienti: cioccolato bianco (zucchero, burro di cacao, latte intero in polvere, emulsionante: lecitina di soia, aroma naturale di vaniglia) e frutta disidratata (fragole, kiwi, mela, pera, banana, caco mela, prugna, pesca, arancia, limone, lampone). Allergeni: latte, soia. Può contenere tracce di frutta secca a guscio. Descrizione: è tanto bella da vedere quanto buonissima all’assaggio. Questa tavoletta quadrata di cioccolato bianco (o fondente), che misura 10,5 cm per ogni lato, è ricoperta da frutta disidratata (disponibile anche nella versione con i fiori disidratati). è un dolce bellissimo da omaggiare e da gustare lentamente, con cura. Un piccolo capolavoro realizzato nel laboratorio artigianale della signora Adelia di Fant, esperta in distillati e cioccolato: «Ho deciso di trasformare il mio amore per il cioccolato in un mestiere che mi appassiona e mi permette di continuare l’antica tradizione artigianale e culinaria di San Daniele del Friuli». In abbinamento a: un bicchierino di grappa friulana, come la Stravecchia di Adelia di Fant.

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LA COPERTINA ESPLOSA

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Nel comune di San Miniato, in provincia di Pisa, resiste la tradizione di produrre sanguinacci con il Mallegato, uno dei prodotti più interessanti del progetto dei Presidi di Slow Food. La versione classica prevede di insaccare il sangue crudo del maiale e di condirlo con lardello suino tagliato in cubetti (ciccioli di grasso saltati nel Vin Santo o nel vino bianco), sale, noce moscata, cannella, pane, pinoli e uva passa. Una volta semipieno il budello è legato e messo a bollire fino a che la temperatura al cuore dell’insaccato raggiunge i 90 °C circa e il sanguinaccio ha la consistenza giusta. Di colore scuro, il Mallegato ha un sapore intenso, aromatico, per le spezie, e dolce, per via del sangue. Considerato in passato il modo più semplice ed economico per assumere ferro e proteine, quando i macellai di San Miniato tiravano fuori dalla pentola il Mallegato appena fatto, un banditore passava per il paese gridando “C’è il buricco, c’è il buricco!”, uno dei tanti nomi del sanguinaccio, e la gente accorreva a comprarlo. I Falaschi della Macelleria e Norcineria Sergio Falaschi dal 1925 lo producono con orgoglio da generazioni (si può acquistare on-line su sergiofalaschi.com o degustare nel loro Retrobottega a San Miniato) e lo consigliano tagliato a fette, infarinato e rosolato in padella. Si abbina ottimamente con contorni di verdure dalle note amare. L’inserimento di questo prodotto nella nostra dieta è un valido aiuto quando c’è carenza di ferro o in caso di anemie (fonti: fondazioneslowfood.com – sergiofalaschi.com).

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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

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Tarese di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

illo a voce alta con me, senti che bel suono che ha: PRATOMAGNO. Allarga i polmoni, preparati alla vista d’apice delle valli del Casentino, del Mugello e del Val d’Arno. Col tempo bello si dice si veda brillare una strisciolina di mare. Per l’etimologia classica sembra che significhi “grande prato” ma con la fantasia dei racconti popolari potrebbe essere che mi mangio tutte le erbe del prato. In tavola in effetti c’è una bella ciotola di radicchi selvatici, raperonzoli, viòle e calendula perché è primavera. Sono nel Pratomagno per lavoro. Barbara ha aperto il vino, tagliato il pane, portato in tavola l’olio bóno. Si bene, dobbiamo prendere decisioni. M’hanno cucinato il pranzo. In un’osteria dismessa, un portico assolato, una siepe di rosmarino in fioritura, il suono delle api che bottinano, un gatto in grembo che si lascia coccolare, vedo il monte Amiata da dietro, sembra piccolo invece son lontana. Ci vuol del gran coraggio a cucinare ad una cuoca o forse dell’incoscienza, anzi, ecco la parola: ci vuol della baldanza. In cucina c’è la pentola dei fagioli zolfini a sobbollire, nelle scodelle la polenta di castagne scaldata nel forno e nella libreria “Maledetti toscani” di Curzio Malaparte che in quel saggio dalla stesura sofferta qualche veritá l’ha proprio esposta bene. «Ho un amico norcino, t’ho preso la Tarese» mi dice Daniele. La tarese è un prodotto tipico del Valdarno, è tutta la pancia di maiali di circa 200 kg, da stagionata è lunga quasi un metro e larga poco meno. È imponente. sono 20 kg della miglior “pancetta” che abbiate mai assaggiato. La maturazione è lenta, il sapore è scioglievole come fosse burro, aromatico di spezie di bosco, profondo, elegante, come certi uomini di campagna che tolgono il cappello e declamano a memoria “Iliade” e “Odissea”. Ormai sempre più rara, la Tarese è presidio Slow Food come tentativo di tutela. Ogni famiglia usa la sua concia che parte da pepe, aglio rosso, ginepro e ingredienti segreti. Il taglio di carne fresca viene lavorato e aromatizzato, poi messo sotto sale grosso per 15 giorni. Lavata, tamponata, massaggiata nuovamente con la concia e stagionata 90 giorni la tarese è pronta per gli usi più disparati, con o senza cottura. Mettiamo la Tarese tagliata sottile sopra le scodelle di “pulenda” di castagne bollente, una cucchiaiata di zolfini brodosi, l’olio buono e i fiori di rosmarino rubati alle api. Sono qui per una consulenza e mi ritrovo a parlar dei fatti miei, quelli più difficili da raccontare. Si brinda. L’Osteria riaprirà.

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ATTUALITÀ

CONFLITTO RUSSIA-UCRAINA Le conseguenze economiche non sono solo per i due Paesi interessati, ma anche per coloro che direttamente o indirettamente hanno a che fare commercialmente con quei territori di Guido Guidi

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e sanzioni sono un insieme di misure di restrizione o di blocco dei rapporti economici, commerciali, militari e scientifici da parte di uno o più Stati verso un altro ritenuto reo di violazione del diritto internazionale. Tra i provvedimenti che hanno fatto la storia d’Italia, si ricordano quelli adottati a seguito dell’invasione dell’Etiopia da parte di Mussolini. Furono infatti le prime sanzioni messe in atto dalla Società delle Nazioni nel 1935. Se ne possono annoverare tante, giunte in seguito, ma per sottolineare che non sempre sortiscono le conseguenze sperate. Anzi, in certi casi hanno un devastante e svilente effetto

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boomerang. La storia dimostra infatti che le precedenti esperienze non hanno portato il Paese interessato a rivedere la politica che ha fatto meritare il provvedimento, anche quando ha generato un isolamento economico parziale o totale. Ma più che altro le sanzioni sono sempre un’arma a doppio taglio, perché incidono su rapporti economici che sono vantaggiosi per loro natura per entrambe le parti, rivelandosi così reciprocamente penalizzanti, sia per chi le subisce sia verso chi le impone. Questo tipo di intrapresa ha inoltre tendenzialmente uno scarso effetto sui regimi totalitari e dittatoriali, dove le conseguenze politiche di certe azioni

hanno scarsa ripercussione sul piano pratico. Negli Stati in cui manca la libertà di espressione, infatti, le popolazioni effettivamente colpite non hanno modo di esprimere il proprio dissenso, né dentro, né fuori dalla cabina elettorale. Le sanzioni finiscono quindi per colpire più direttamente il privato cittadino e le imprese e hanno un effetto pressoché ininfluente sui centri di potere. Gli esiti che si producono sono tendenzialmente percepibili nel medio e lungo periodo, mentre i tempi delle azioni militari sono estremamente celeri e la conseguenza è l’inefficacia delle sanzioni, a fronte della perdita di vite umane e della distruzione generale.

In alto: l’Italia è il primo Paese fornitore di vino in Russia, con una quota di mercato di circa il 30%, davanti a Francia e Spagna (photo © stock.adobe.com). A sinistra: nel settore agroalimentare dipendiamo dall’Orso per i fertilizzanti e il grano, di cui è divenuto tra i più grandi esportatori mondiali (20% del mercato). Su questo fronte si sono bloccate le spedizioni verso l’Unione Europea e, unitamente alle problematiche con l’Ucraina, si sono generate una serie di conseguenze di causa-effetto che hanno travolto la nostra economia in buona parte sul sistema agroalimentare, ma non solo (photo © stock.adobe.com).

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Gli effetti del conflitto ucraino rischiano di cancellare completamente il food made in Italy dai mercati e dai ristoranti di Mosca, aggravando ulteriormente gli effetti dell’embargo deciso da Putin con decreto dell’agosto 2014, e da allora sempre prorogato, come risposta alla sanzioni decise dall’Unione Europea, dagli USA ed altri Paesi per l’annessione della Crimea. Un blocco che è già costato alle esportazioni agroalimentari tricolori 1,5 miliardi negli ultimi 7 anni e mezzo (photo © stock.adobe.com). Le sanzioni verso la Russia, corre l’obbligo di sottolinearlo, sono tuttavia senza precedenti nella storia e, soprattutto, sono ad amplissimo raggio, riguardando numerose tipologie di rapporti economici e una lunga lista di Paesi attori, a partire da Stati Uniti, Regno Unito e dall’Unione Europea, per giungere alla neutrale Svizzera. Pertanto, anche l’impatto atteso è diverso dalle precedenti esperienze, tanto più che l’accento è stato posto sul divieto di intrattenere scambi finanziari e non solo commerciali. L’Unione Europea ha attivato sinora 4 pacchetti di sanzioni, ognuno in risposta al graduale inasprimento del conflitto bellico tra Russia e Ucraina. In generale le azioni sono divise in individuali, finanziarie e commerciali. Tra le prime, vi sono per esempio il congelamento dei beni nell’Unione Europea, di proprietà di persone — diverse centinaia — ed entità russe, dal presidente russo fino ad alcuni membri

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della Duma di Stato. Tra le sanzioni di natura finanziaria, vi sono quelle che proibiscono ai cittadini europei di acquistare, vendere, fornire servizi di investimento o di assistenza nell’emissione o trattare con valori mobiliari e strumenti del mercato monetario emessi da istituti finanziari russi di proprietà statale e qualsiasi altro istituto di credito stabilito in Russia con un ruolo significativo nel sostenere la Russia, il suo governo e la Banca centrale. Sanzioni commerciali che vietano ai soggetti dell’UE di vendere, fornire, trasferire o esportare direttamente o indirettamente qualsiasi bene, software o tecnologia a duplice uso a qualsiasi entità o persona in Russia o destinati ad essere utilizzati in Russia e di fornire assistenza tecnica, intermediazione e servizi finanziari correlati. In riferimento a quest’ultima tipologia di restrizioni, si segnala che le imprese europee devono operare con la massima attenzione per non correre

rischi pesantissimi a loro danno. Al fine di evitare comportamenti non ammessi, gli operatori economici, in qualunque forma esercitino, devono intraprendere azioni adeguate nei confronti di clienti e fornitori. La prima cosa è approfondire la conoscenza dei partner commerciali e delle banche destinatarie delle relazioni, in rapporto agli obiettivi delle sanzioni UE. Devono altresì classificare i propri prodotti e vagliarne l’uso e l’utente finale, ma anche conoscere lo scopo del destinatario dei servizi che vengono forniti. Evitare dunque sia i rapporti diretti, quanto le triangolazioni con entità o persone sanzionate, perché i rapporti indiretti sono vietati, al pari di quelli diretti. Impensabile anche l’ipotesi di far transitare le merci da Paesi Terzi per poi arrivare a destinazione, sia in entrata, sia in uscita. Allo stesso modo è necessario accertarsi che dietro determinati soggetti non ve ne siano altri sanzionati

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La guerra ha dato il colpo di grazia ad un settore, il lattiero-caseario, già in difficoltà: dal costo dell’energia, agli imballaggi fino al trasporto (photo © stock.adobe.com). o che l’azienda interessata con la quale si intrattengono rapporti faccia parte di un gruppo soggetto a sanzione. Per questo è davvero importante capire quale sia il titolare effettivo della trattativa; in sostanza, chi sia la vera controparte. Il sistema sanzionatorio nei confronti dell’Orso è infatti tale da esporre a conseguenze gravissime, nei Paesi che lo hanno adottato chiunque lo transiga, anche inconsapevolmente. Il Consiglio europeo ha inoltre dato il via libera affinché l’Unione aderisca ad una dichiarazione plurilaterale nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio in cui verrà riportata la disponibilità delle parti firmatarie ad adottare tutte le azioni considerate necessarie per la tutela degli interessi essenziali in materia di sicurezza, tra le quali la sospensione del trattamento della Nazione più favorita per i prodotti e i servizi della Federazione russa.

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Poiché è tutt’altro che semplice orientarsi tra i diversi provvedimenti sanzionatori, la Commissione ha aggiornato la propria mappa interattiva sulle misure attualmente in vigore nei confronti di Paesi Terzi, disponibile all’indirizzo web www.sanctionsmap.eu Ciò che certamente scoraggia dal proseguire nelle relazioni commerciali già in atto con la Russia, o dall’intraprenderne di nuove, è il fatto che le banche russe, tutte o quasi, siano state escluse dalla piattaforma internazionale dei pagamenti Swift, rendendo così nella pratica estremamente difficile effettuare e ricevere pagamenti dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Un deterrente importante anche per gli irriducibili, visto che scambi commerciali dove non è possibile effettuare il pagamento non hanno di fatto senso di esistere. L’effetto domino delle sanzioni è pertanto evidente: i danni non sono

solo per la Russia, in generale e per i suoi cittadini e le sue imprese. Le conseguenze, in un devastante effetto domino, sono anche per l’economia degli Stati che le sanzioni le pongono in essere. Non a caso si discute molto sulla loro reale efficacia e su chi ci rimette nel concreto. Per le aziende dei Paesi che adottano i provvedimenti non solo ci sono danni oggettivi, ma tutte, indistintamente, avranno un aggravio della burocrazia interna, dedicata, almeno in parte, a scandagliare l’effettiva nazionalità del partner commerciale con cui si rapportano, visto che in un mondo fortemente connesso e globalizzato come quello in cui al momento operiamo è difficile capire con certezza assoluta con chi si ha a che fare, direttamente o indirettamente. Il paradosso per le imprese italiane è che quelle che intrattenevano rapporti con la Russia per l’acquisto di materie

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prime, o la vendita del proprio prodotto, al momento subiscono un danno incalcolabile dovuto al fatto che viene meno un mercato su cui si sono investite risorse, tempo e denaro. In più, ne può derivare un problema indiretto legato, per esempio, all’abbassamento del proprio rating finanziario. È noto infatti che le banche, nel fare valutazioni di merito di credito, prendano in considerazione sia fattori soggettivi relativi all’impresa, ai soci e alla loro capacità di produrre reddito, sia al mercato nel quale l’azienda opera. Ci sono fattori che, pur completamente slegati dalle dinamiche aziendali, possono influenzare negativamente il giudizio assegnato all’impresa e impedirle così di accedere al credito. Questo è uno di quei casi, purtroppo. Gli effetti delle sanzioni sull’economia russa si sono resi evidenti da subito; d’altronde si tratta di provvedimenti di enorme portata e senza precedenti, anche per il numero di Stati coinvolti. Tuttavia, la situazione è in continua evoluzione anche per le posizioni assunte dalla Russia in risposta ai Paesi Occidentali. Ma al momento in cui scriviamo le misure non sembra siano state sufficienti a far rientrare i termini del conflitto. D’altronde la Russia ha dalla sua il fatto di essere grande esportatrice, verso gli stessi Paesi che la sanzionano, di risorse energetiche fondamentali (il 40% del gas e il 24% del petrolio) o altre tipologie di produzioni, non ultimi, molti metalli indispensabili per il settore automobilistico e aereo. Nel settore

agroalimentare dipendiamo dall’Orso per i fertilizzanti e il grano, di cui è divenuto tra i più grandi esportatori mondiali (20% del mercato). Su questo fronte si sono bloccate le spedizioni verso l’Unione Europea e, unitamente alle problematiche con l’Ucraina, si sono generate una serie di conseguenze di causa-effetto che hanno travolto la nostra economia in buona parte sul sistema agroalimentare, ma non solo. Viene a mancare lo scambio commerciale con un Paese che del made in Italy acquistava i prodotti più pregiati e a maggior valore aggiunto. Secondo COLDIRETTI, le sanzioni vanno a colpire soprattutto specialità come caffè, per 80 milioni di euro, olio d’oliva, per 32 milioni di euro, pasta, per 27 milioni di euro, vino e spumanti, per un valore attorno ai 150 milioni di euro. L’Italia è il primo Paese fornitore di vino in Russia, con una quota di mercato di circa il 30%, davanti a Francia e Spagna, e ha registrato nel 2021 un boom della domanda di spumanti, a partire da Prosecco e Asti, sebbene tra le denominazioni più apprezzate ci siano anche i vini toscani, siciliani, piemontesi e veneti. Ma a subire i danni saranno anche salumi, formaggi e ortofrutta e specialità come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il prosciutto di Parma, il San Daniele. Al problema delle mancate esportazioni si aggiungerebbe inoltre il paradosso della diffusione, nel contempo, nel mercato russo, di prodotti di imitazione made in Italy realizzati in

loco, che a maggior ragione, in questa fase, troveranno spazi per affermarsi. Nei supermercati russi si possono trovare infatti bizzarri surrogati locali e non solo che prendono il posto dei cibi italiani originali. Non bastasse, il danno si estende alla ristorazione tricolore russa o di emigrati italiani, che in questa fase dovrà giocoforza rinunciare ai prodotti alimentari originali del Belpaese. L’Italia non scambia solo merci con la Russia, ma è anche meta turistica molto ambita, generando flussi fortemente remunerativi in termini di presenza e di qualità, perché il viaggiatore medio russo vanta una capacità di spesa elevata. La contrazione che può derivare dalle sanzioni è pertanto preoccupante, soprattutto all’indomani di una pandemia devastante per i mercati e se i provvedimenti dovessero durare nel tempo. Ma i rischi si annidano anche sotto il profilo finanziario, nell’esposizione di crediti e affidamenti, così come nel crollo dei valori degli investimenti finanziari in emittenti denominati in rubli, che riguardano le banche, i soggetti che li intermediavano, ma anche i risparmiatori privati. Tutto quanto descritto contribuisce in maniera significativa ad un’impennata dell’inflazione e dei costi di alcune materie prime alimentari e non che non si vedeva da decenni. Chissà se l’Europa sarà davvero pronta, al di là dei proclami, a pagare, anche sul lungo termine, il prezzo di questa guerra. Guido Guidi

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena 1. La giardiniera di Morgan Bravi gli amici vicentini de La giardiniera di Morgan, che hanno rinnovato il loro sito web con la bottega virtuale, “un luogo d’incontro tra il tuo gusto e le ricette di verdure in agrodolce”. Su lagiardinieradimorgan.com trovate tutte le informazioni su valori dell’azienda, origine e selezione delle materie prime e ricette che esaltano le giardiniere di verdure. Da seguire anche su Instagram: @lagiardinieradimorgan (photo © instagram. com/lagiardinieradimorgan).

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2. Lovison, arte antica Sono bravissimi a fare salumi artigianali dal 1903 e anche a comunicare la loro arte, fatta di gesti antichi e lavorazioni che curano i dettagli. Il Salumificio Lovison di Spilimbergo del Friuli (PN) è su instagram.com/salumilovison con un feed bello e curato. Proprio come i loro prodotti! (photo © taste. pittimmagine.com).

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FOOD Benedetti 4. Design Challenge 3. What is Italy Conoscete What is Italy? Nato da un’idea di SIMONE BRAMANTE e GIUSEPPE MONDÌ, è un collettivo di content creator professionisti che ha lo scopo di raccontare l’Italia di oggi, un’osservazione della sua società, economia e cultura. Tanti progetti, tante le storie di idee, persone e luoghi. Noi li seguiamo su instagram. com/whatitalyis. “… stendere la pasta fresca è un modo per trasmettere parte del nostro patrimonio culturale, per passare conoscenza attraverso gesti e manualità” (photo © Tommaso Galli, instagram.com/whatitalyis).

Segnaliamo gli approfondimenti della rubrica Design Challenge della bella testata on-line Food&Wine Italia, con focus su etica, sostenibilità, innovazione, design e altro ancora. Idee, suggestioni, tendenze e grande bellezza sono tutte condensate in questa sezione del portale foodandwineitalia.com (in foto Cillio, il set di coltelli da formaggio ispirato dalle diverse forme delle foglie degli alberi, realizzato dalla designer Qing Yan in un recente contest lanciato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano negli USA in collaborazione con Kartell e Alessi; photo © parmigianoreggiano.us).

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Cresce l’interesse on-line per il vino: +115% dei rosati sul 2020 Con l’accelerazione della digital transformation registrata negli ultimi 2 anni, i comparti food e beverage hanno fatto registrare on-line picchi mai raggiunti prima in Italia ed il settore vinicolo è uno di quelli che maggiormente è stato interessato da questo trend. Per tale ragione, idealo – portale internazionale leader in Europa nella comparazione prezzi – ha indagato per capire come si siano modificate le preferenze degli italiani digitali quando si parla di vino. Negli ultimi 12 mesi l’interesse nei confronti del mondo del vino in Italia è cresciuto on-line del +16%. In dettaglio, l’acquisto di vini bianchi ha subito un’accelerazione del +32%, mentre quello di vini rossi un esiguo + 3,5%. Nell’eterna lotta tra bianco e rosso, però, pare che a spuntarla sia il vino rosato, che quest’anno ha fatto registrare una crescita di interesse del +115% rispetto all’anno precedente. Campionato a parte, infine, quello del prosecco, che on-line continua ad essere il prediletto dagli internauti, registrando una crescita del +180% rispetto all’anno passato. Chi la fa ancora da padrone quando si parla di interesse vero e proprio è comunque il vino rosso, che coinvolge oltre il 50% delle ricerche totali di vino, seguito dal bianco, il cui interesse si attesta invece sul 24,5%. La fascia d’età che ha registrato un incremento più alto di interesse nei confronti del vino è quella tra i 18 e i 24 anni, +150% di ricerche on-line rispetto all’anno precedente. Diversamente, le altre fasce d’età hanno fatto registrare tendenze più o meno costanti rispetto al 2020-21. Non solo, da segnalare come negli ultimi 12 mesi l’interesse femminile per la categoria vino sia cresciuta di oltre il +200%, a fronte di un +80% legato all’interesse maschile. A livello territoriale, la regione che più sfrutta la spinta dell’e-commerce nella vendita di vino è la Toscana, seguita da Sicilia, Puglia, Sardegna e Veneto. Solo al settimo posto la Lombardia e addirittura all’ottavo il Piemonte. Rispetto ad un così importante incremento di interesse, i prezzi dei vini on-line hanno, invece, subito importanti cali. Nel dettaglio, i prezzi dei vini bianchi sono scesi del –25% nel corso dell’ultimo anno, quelli dei vini rossi quasi del –15%, mentre i rosati sono quelli che hanno tenuto i prezzi più costanti, con una diminuzione dei costi pari solo al –7%. Il boom della vendita di vino on-line è sicuramente incentivato dalla possibilità di risparmiare notevolmente se si acquista nel mese più vantaggioso grazie alla comparazione prezzi. Chi ha acquistato on-line vino nel corso dell’ultimo anno ha potuto beneficiare in media di un risparmio massimo del –28%. In dettaglio, sull’acquisto dei vini bianchi il risparmio è stato superiore al –36%, con i rossi si è attestato al –31%, mentre per i rosati si è fermato al –11% (fonti: idealo e EFA News – European Food Agency).

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«Scopri l’Italia dei Presìdi Slow Food», il primo podcast dedicato ai prodotti da salvare Si intitola “Scopri l’Italia dei Presìdi Slow Food” ed è il primo canale di podcast geolocalizzati firmato da Slow Food in collaborazione con la piattaforma di travel podcasting Loquis. I 43 episodi on-line da oggi raccontano l’Italia dei Presìdi Slow Food e accompagnano l’utente alla scoperta di varietà vegetali, razze animali, pani, formaggi, dolci, vini da salvare. Ma anche di storie uniche di contadini, pastori, pescatori e artigiani che si prendono cura della terra e del mare, custodiscono paesaggi unici e tramandano saperi millenari. Dall’aglio storico di Caraglio al sale marino artigianale di Cervia, dal sedano nero di Trevi alla papaccella napoletana, passando per la gallina padovana, il fagiolone di Valle Pietra e lo Zafferano di San Gavino Monreale: sono numerosi gli esempi virtuosi di economia locale e sostenibilità ambientale raccontati in questa prima serie di podcast attraverso cui è possibile compiere un viaggio enogastronomico nel nostro Paese e scoprire storie, tradizioni, lavorazioni che rischiano di essere dimenticate. Grazie alla collaborazione con Loquis è possibile ascoltare i contenuti geolocalizzati nei diversi territori di appartenenza: ad esempio, se decidiamo di trascorrere le vacanze in Puglia possiamo ascoltare la storia della cipolla di Acquaviva o del sospiro di Bisceglie. Così come, spostandosi in Liguria, si può scoprire come viene coltivato il chinotto di Savona o come si alleva la pecora brigasca. Ascoltarli è facile: lo si può fare attraverso la app Loquis e il sito di Slow Food, da cui è possibile anche consultare l’elenco dei produttori, contattarli per programmare una visita in azienda e conoscerli dal vivo insieme ai loro Presìdi. Il numero di episodi disponibili crescerà nel corso dell’anno, dando agli ascoltatori la possibilità di scoprire nuovi Presìdi Slow Food stagione dopo stagione, in concomitanza anche con gli eventi targati Slow Food organizzati in giro per l’Italia. Il canale di Slow Food su Loquis è a cura di Giulia Catania.

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LA QUALITÀ

COME SI DIVENTA UN PROSCIUTTO

DEHESA DE EXTREMADURA

Photo © dehesa-extremadura.com

di Riccardo Lagorio

l prosciutto crudo stagionato è una delle icone gastronomiche della Spagna. Facile a dirsi, ma la tipologia di allevamento, la razza e il metodo di lavorazione incidono profondamente sulla tipologia mercantile: si va dai prosciutti senza denominazione (stagionati meno di 7 mesi e derivanti da razze di maiale bianco), a quelli STG (con almeno 7 mesi di stagionatura e derivanti da razze bianche), serrano (i mesi di maturazione devono salire a 52 settimane, sempre per animali bianchi). Questi elaborati rappresentano il 93%

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dei prosciutti spagnoli che vengono alimentati con mangimi a base di cereali. Il restante 7% deriva da animali di razza iberica e solo le loro carni danno vita a prosciutti DOP con una stagionatura minima di 20 mesi per cosci al di sotto dei 7 kg e 24 mesi per cosci superiori ai 7 kg di peso. Anche la rigorosità del metodo di allevamento distingue questi suini, tanto da dare vita ad autentiche specialità. Il prosciutto Dehesa de Extremadura è tra quelli che vantano la DOP, richiesta nel 1990 e ratificata della UE sei anni più

tardi. I suini ammessi a divenire prosciutto Dehesa de Extremadura DOP devono avere sangue almeno pari al 75% di razza iberica e vengono allevati in maniera estensiva, alimentati con ghiande ed erbe (classificati come Bellota) o erbe della dehesa e mangimi naturali (denominati Cebo de campo). I servizi tecnici del Consorzio di tutela identificano con un anello auricolare tutti i suini che entreranno nello spazio aperto dell’allevamento della Dehesa (Montanera) e controllano che sia mantenuta l’alimentazione degli animali

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Il prosciutto Dehesa de Extremadura DOP è realizzato con suini che devono avere sangue almeno pari al 75% di razza iberica, allevati in maniera estensiva, alimentati con ghiande ed erbe (classificati come Bellota) o erbe della dehesa e mangimi naturali (denominati Cebo de campo). In questa pagina le fascette che contraddistinguono i prosciutti Bellota e Cebo de Campo.

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In alto: il direttore tecnico del Consorcio DOP Dehesa de Extremadura Álvaro Rivas Couto e la presidente Elena Diéguez. secondo il Disciplinare. «I maiali sono pesati uno a uno prima di essere avviati all’ingrasso. Entrano quando pesano tra i 95 e 100 kg e vi rimangono per circa 5 mesi, ovvero al raggiungimento di un peso variabile tra 170 e 180 kg» ricorda il direttore tecnico del Consorzio ÁLVARO RIVAS COUTO. Si tratta di animali la cui vita varia tra i 15 e i 18 mesi, raggiungendo il peso richiesto all’età ideale per la macellazione, intorno ai due anni e mezzo. «Il numero di animali per ettaro va da 2 a 4 per il Jamón de Bellota 100% Ibérico ai 15 animali per ettaro nella versione Cebo de campo» prosegue. Il sistema di allevamento è tanto più importante quanto più pone al centro dell’attenzione la natura e la sua capacità di produrre reddito, in un sistema agroforestale che si autoalimenta ed è in grado di nutrire animali in competizione tra loro: cinghiali, gru e cervi oltre agli stessi maiali. Quando una partita di suini ha raggiunto le condizioni di età e peso adeguati, se ne dichiarano le matricole di modo che il prosciutto o la spalla siano tracciati e numerati. «Il

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processo di lavorazione è lungo per il basso contenuto di sale e il metodo di essiccazione naturale che avviene in essiccatoi naturali e cantine. Personale specializzato avrà conferito ai pezzi la tradizionale forma a V» spiega la presidente del Consorzio, ELENA DIÉGUEZ. Cosce e spalle rimangono nel sale marino circa 1 giorno ogni chilogrammo e si calcola che servano almeno tre mesi perché il sale penetri nei tessuti. Una volta lavate, le parti anatomiche sono accomodate per un periodo che va da 6 a 9 mesi in essiccatoi dove ampi finestroni vengono aperti e chiusi manualmente a seconda delle condizioni meteorologiche affinché si continui a far perdere la umidità. In ciascuna delle 42 società certificate dalla DOP gli esperti affinatori assicurano il silenzio, l’oscurità e le attenzioni necessarie a garantire a spalle e prosciutti l’armonia di aromi e la consistenza richiesta dall’organo regolatore. Una fase che può durare dai 24 mesi (per le prime) ai 4 anni (per i prosciutti più pregiati). «I prosciutti provengono da circa 22.000 suini all’anno. Quindi

si può contare su 45.000 prosciutti al massimo: anche per questa ragione si tratta di un prodotto esclusivo e unico al mondo» afferma la presidente. Al termine della stagionatura i servizi tecnici del Consorzio applicano una fascetta nera intorno allo zampetto nel caso del Bellota e di colore rosso qualora si tratti di Cebo de campo. Il colore del prosciutto varia dal rosa intenso al porpora, il sapore è delicato, l’aroma gradevole e la consistenza poco fibrosa. Ma è nella caratteristica untuosità della fetta e nell’aroma del grasso che si nascondono le caratteristiche più richieste dai gourmand. Elementi irrinunciabili per un buon prosciutto spagnolo come il consumatore medio si immagina. Riccardo Lagorio Consorcio DOP Dehesa de Extremadura Cánovas del Castillo, s/n, 2º planta (Lonja Agropecuaria) 06800 Mérida (Badajoz) Spagna Telefono: +34 924 330203 E-mail: info@dehesa-extremadura.com Web: dehesa-extremadura.com

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INTERVISTE

SALUMIFICIO MEC PALMIERI: PIÙ FORTI DEL TERREMOTO

Nel maggio 2012 il sisma dell’Emilia ha distrutto lo stabilimento del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). Una circostanza drammatica per l’azienda e per tutto il territorio. Il racconto della rinascita dalla voce di Massimo Palmieri 40

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hi ha vissuto in prima persona un evento drammatico come un terremoto ricorda bene tutti i dettagli, anche a parecchi anni di distanza. Non solo la data e l’ora, ma anche quello che si stava facendo nel preciso istante in cui la terra ha iniziato a tremare, chi c’era attorno, gli sguardi preoccupati, lo smarrimento e la paura. Lo sanno bene gli emiliani e in particolare chi, dieci anni, fa si è trovato nel bel mezzo del sisma che ha sconvolto il cuore della regione. Le scosse del 20 e 29 maggio 2012 hanno infatti cambiato la vita degli imprenditori che si sono trovati da un giorno all’altro con lo stabilimento completamente inagibile, costretti quindi a demolirlo. Come è accaduto al Salumificio Mec Palmieri, specializzato nella produzione di mortadella di alta qualità, come Favola, l’unica mortadella al mondo insaccata nella cotenna. A distanza di dieci anni, rievochiamo con Massimo Palmieri, titolare dell’azienda con i fratelli Marcello e

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Nelle foto, il salvataggio dei macchinari e lo smantellamento dello stabilimento, reso inagibile dal terremoto del 2012. Michele e i figli Margherita e Francesco, i giorni concitati, segnati dalla paura ma anche dalla speranza di rinascita.

Il bilancio delle due potenti scosse è drammatico: 27 vittime, centinaia di feriti, migliaia di sfollati e una frattura

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Il nuovo stabilimento del Salumificio Mec Palmieri, ricostruito dopo il terremoto sulla stessa area del precedente, ricopre una superficie complessiva di 30.000 m2 e ha una capacità produttiva settimanale di oltre 100 tonnellate di carni. profonda nel tessuto delle province colpite. Che ricordi ha? «Questi dieci anni sono trascorsi davvero molto rapidamente. Il 20 maggio la prima scossa, con epicentro nel Finalese, non aveva provocato gravi danni allo stabilimento. La mattina del 29 maggio, invece, alle 9.00 in punto, mentre eravamo in piena produzione, con i forni accesi e tutti i dipendenti ai loro posti di lavoro, camminando, mi sono ritrovato improvvisamente a terra. Pensavo di essere inciampato ma poi ho visto che c’era altra gente a terra, proprio come me, e a quel punto ho realizzato cosa stava accadendo».

L’epicentro del terremoto era infatti a pochi chilometri di distanza da San Prospero, dove sorge lo stabilimento. «Già, in quel frangente ci siamo resi subito conto della gravità della situazione: i primi accertamenti decretarono l’inagibilità dello stabilimento e quindi nessuno sarebbe potuto rientrare». Come avete reagito nell’immediato? «All’inizio ha prevalso lo sgomento e ho pensato al peggio, devo ammetterlo. Successivamente, con l’aiuto dei vigili del fuoco, abbiamo pensato a mettere subito al sicuro le carni e i macchinari. Quindi, abbiamo comunicato alla nostra

IN DIECI ANNI IL SALUMIFICIO MEC PALMIERI HA REGISTRATO INCREMENTI A DOPPIA CIFRA IN TERMINI DI VOLUMI E VALORE, AVENDO RADDOPPIATO IL FATTURATO E ASSUNTO NUOVE FIGURE PROFESSIONALI, DISPONENDO DI UN NUOVO STABILIMENTO ALL’AVANGUARDIA A LIVELLO TECNOLOGICO

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clientela l’immediata sospensione della produzione, e devo dire che la vicinanza è stata davvero eccezionale. I clienti ci hanno subito risposto che non appena saremmo stati pronti a riprendere, loro ci sarebbero stati». Nei momenti di grande difficoltà ed emergenza gli Italiani sanno essere altruisti come pochi altri. «Riusciamo a “fare rete” in queste occasioni più che nel quotidiano, è vero. Potremmo dire che la tragedia ha fatto da collante, rinsaldando l’unione tra le persone. La nostra forza è stata proprio il “fare rete” da subito, a partire dalle istituzioni, i rappresentanti di Regione e Comune, presenti dal primo momento». Che cosa vi hanno detto le istituzioni? «Poche ma semplici parole: “Non vogliamo vedere nessuna pietra giù, dobbiamo pensare a ricostruire le nostre case solo se prima ricostruiremo nostre le fabbriche”. Ma oltre alla componente istituzionale, bisogna ringraziare la ASL e i vigili del fuoco per il loro prezioso lavoro».

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Quali sono stati i principali problemi da affrontare? «Trovare un’area libera e attrezzata da qualche parte qui in Emilia per far ripartire la produzione. E proprio grazie alla vicinanza e alla solidarietà imprenditoriale siamo riusciti a rimanere sul mercato. La produzione di mortadelle, di zamponi e cotechini è stata “delocalizzata” in tre stabilimenti differenti, nei quali hanno continuato a lavorare i nostri operai». Quanto tempo siete andati avanti in questa situazione precaria? «Circa 8-9 mesi, giusto il tempo di ricostruire il nuovo stabilimento a tempo di record». Restiamo sui dipendenti: che ruolo hanno avuto nella vicenda? «Un ruolo importantissimo: hanno a loro volta “fatto rete”, restando uniti e facendo squadra». Quando è stato inaugurato il nuovo stabilimento? «Nel luglio 2013, poco più di un anno dopo il sisma. Ci siamo adattati in breve tempo al nuovo stabilimento e abbiamo ripreso l’attività gradualmente, poi la crescita è stata vorticosa. Oggi infatti, a 10 anni di distanza, l’azienda ha registrato incrementi a doppia cifra e assunto nuove figure professionali». Ultima domanda: è vero che da una crisi si esce fortificati? Cosa avete imparato dall’esperienza di dieci anni fa? «Posso dire che le cose sono andate meglio di quello che ci aspettavamo. Con tanti sacrifici e tanti aiuti da più parti ci siamo rialzati crescendo ogni giorno di più. Alla fine ne siamo usciti più forti? Sì, grazie alla collaborazione e al merito di tutti».

>> Link: www.mecpalmieri.it

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SPECIALE CIBUS

CIBUS 2022

SI CONFERMA LA PIATTAFORMA PERMANENTE DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO

Photo © cibus.it

Si torna ai numeri pre-pandemia: 3.000 espositori, migliaia di nuovi prodotti, 60.000 operatori professionali, 3.000 dei quali top buyer esteri, confermano l’esigenza di un appuntamento annuale dedicato al made in Italy agroalimentare. Nonostante la tempesta inflattiva, c’è ottimismo per il ritorno ad una relativa normalità in corso d’anno. Dalle riforme comunitarie ai trend di mercato delle diverse geografie si definiscono i nuovi scenari competitivi per il food made in Italy. Sullo sfondo l’impegno corale su sostenibilità e tracciabilità

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edizione 2022 di Cibus, organizzata da Fiere di Parma e FEDERALIMENTARE, ha superato le attese tornando a numeri pre-pandemia, nonostante l’endemia strisciante del Covid e il conflitto in Ucraina. La 21a edizione della fiera è stata una rappresentazione corale, ma non inaspettata, della vitalità del made in Italy agroalimentare e della manifestazione fieristica che lo rappresenta da oltre quarant’anni. Gli operatori esteri, arrivati grazie al grande lavoro di ICE Agenzia, e quelli italiani hanno potuto approfondire le opportunità dei loro assortimenti scoprendo le migliaia di novità spesso legate alla tradizione dei territori. La vera novità di Cibus 2022 è proprio che la crisi ha dimostrato la solidità delle imprese a carattere familiare del nostro Paese, che hanno continuato a lavorare e a progettare anche durante l’emergenza pandemica e la crisi ucraina senza lasciarsi scoraggiare, anzi, aumentando i loro sforzi per raggiungere l’eccellenza e la sostenibilità dei loro prodotti. Tutti gli operatori in fiera

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hanno confermato che il made in Italy agroalimentare è la ricetta ideale non solo per la ristorazione, come possiamo leggere ormai da decenni sulle tavole di tutto il mondo, ma anche per il retail, dove i nostri prodotti si stanno trasformando da nicchia di importazione a mainstream per i consumatori. Nel corso dei tanti convegni dedicati alle problematiche del fuoricasa, della Grande Distribuzione, delle private label, dell’agricoltura, dell’industria, della ricerca scientifica, è stata ribadita questa migrazione qualitativa dei consumi verso prodotti più sani e più sostenibili dei quali il made in Italy alimentare è campione, proprio grazie alle sue radici e alle sue tradizioni. Questa domanda, che continua a crescere in doppia cifra, ormai da oltre 10 anni, da parte degli importatori e distributori ha imposto agli organizzatori di calendarizzare Cibus anche nel 2023 (dal 29 al 30 marzo), in armonia con l’altra grande fiera del made in Italy, Vinitaly, in un format più leggero, per consentire agli operatori internazionali di spendere più giorni sul territorio al

L’edizione ammiraglia di Cibus si tiene ogni due anni ma, come da tradizione, anche nel 2023, dal 29 al 30 di marzo, Fiere di Parma organizzerà la versione “light”, Cibus Connecting Foodland, in concomitanza con il Vinitaly, per consentire agli operatori internazionali di spendere più giorni in Italia e conoscere da vicino le imprese delle eccellenze alimentari made in Italy (photo © cibus.it).

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A CIBUS il Consorzio Salumi DOP Piacentini ha presentato la nuova linea comunicativa del 2022 tra degustazioni guidate e showcooking affidati a Isa Mazzocchi, premio Michelin chef donna 2021 e a Daniele Reponi, il re modenese dei panini gourmet «È per noi di grande valore simbolico e sostanziale partecipare alla più importante rassegna agroalimentare con la possibilità di incontrare gli operatori del settore i rappresentanti dei principali retailer, catene GDO, buyer e importatori internazionali – ha detto il prof. ROBERTO BELLI, direttore del Consorzio Salumi DOP Piacentini – e far degustare dal vivo l’unicità delle eccellenze del nostro territorio con la prospettiva di aprire opportunità di sviluppo di nuovi canali distributivi e di esportazione in nuovi mercati emergenti». Molto articolato il programma di eventi che ha visto la partecipazione della super chef ISA MAZZOCCHI, che ha realizzato originali creazioni a base di Pancetta, Salame e Coppa Piacentina DOP. È stato poi il turno di DANIELE REPONI con il suo showcooking “Un po’ Oste un po’ Salumiere” nel quale ha dato dimostrazione dei suoi innovativi abbinamenti tra i tre Salumi DOP Piacentini e le eccellenze della migliore produzione agroalimentare italiana. Parecchio intensa è stata l’agenda delle attività B2B dedicate ai buyer con le iniziative “CIBUS Destination onsite” e “CIBUS Destination on the Road 2022”. La prima ha portato nello stand del Consorzio una delegazione di buyer provenienti da tutto il mondo per far loro conoscere approfonditamente la realtà dei salumi DOP Piacentini con una degustazione finale guidata. Nella seconda è stata organizzata una giornata sul territorio piacentino con visita a tre salumifici consorziati. >> Link: www.salumitipicipiacentini.it

Da sinistra, Lorella Ferrari con la chef Isa Mazzocchi e il prof. Roberto Belli.

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1) l’area CLAI e Zuarina con l’ampia offerta di salumi e carni della loro filiera controllata. 2) Foto di gruppo per il salumificio Gianni Negrini di Renazzo (FE) con Pierluigi Porzi, Dino Negrini, una collaboratrice e Andrea Casolari. 3) Il team della San Vincenzo di Casali del Manco (CS). Da sinistra Ilaria Manciani, Concettina Rota, Anna Petti, Felice Tavolaro e Stefania Rota.

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Biodiversità, sostenibilità e innovazione al centro delle iniziative che presentate dal Consorzio Parmigiano Reggiano DOP A Cibus, il focus è stato su uno dei temi caldi al centro dei dibattiti internazionali sull’enogastronomia: la biodiversità e la sostenibilità ambientale. Valori da difendere strenuamente, nei quali il Parmigiano Reggiano affonda le proprie radici nel solido e millenario rapporto tra esseri umani, animali e ambiente. Tra le tante iniziative del Consorzio ricordiamo il progetto “Prodotto di Montagna – Progetto Qualità Consorzio” che ha l’obiettivo di sostenere il valore aggiunto del formaggio prodotto in zona appenninica, garantendo lo sviluppo delle aree rurali. Il Parmigiano Reggiano è infatti il più importante prodotto DOP ottenuto in montagna: basti pensare che nel 2021 oltre il 20% della produzione totale della DOP, circa 850.000 forme, è avvenuta nei circa 87 caseifici di montagna sparsi nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna dove sono impiegati oltre 1.100 allevatori. Parliamo di oltre 1.100 allevatori che ogni anno producono 4 milioni di quintali di latte. Un’attività preziosissima dal punto di vista sociale per mantenere attiva la dorsale appenninica tra Bologna e Parma grazie al lavoro nelle foraggere e in caseificio. Anche di biodiversità è stata al centro delle attività: sono infatti 137 i caseifici su 335 che hanno certificazioni aggiuntive alla DOP per rispondere alle diverse esigenze di mercato. Ci sono il Parmigiano Reggiano Biologico, quello di Vacca Bianca Modenese, di Vacca Rossa Reggiana, di Vacca Bruna, e ancora il Prodotto di Montagna, il Kosher, l’Halal e le lunghissime stagionature “da meditazione”. Oltre 360.000 forme che si collocano a prezzi al consumo stabilmente superiori alla media. >> Link: www.parmigianoreggiano.com

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A CIBUS Il Fiorino “vola” sul mercato internazionale e ha presentato il Cacio di Giove A Parma il Caseificio Il Fiorino è stato tra i protagonisti indiscussi dell’edizione 2022 di Cibus. Con l’accoglienza calorosa di buyer, esportatori e clienti provenienti da tutto il mondo da parte dell’azienda casearia di Roccalbegna (GR). Nell’anno del 65o anniversario è stato presentato il Cacio di Giove, un pecorino aromatizzato allo zafferano purissimo di Maremma in stimmi sui quali ANGELA FIORINI e SIMONE SARGENTONI puntano moltissimo. «Dopo il grande successo ottenuto a Taste con il Cacio di Afrodite — ha dichiarato Angela Fiorini — a Parma abbiamo presentato un pecorino maturo allo zafferano che, grazie alle sue caratteristiche e alle eccellenze delle Angela Fiorini, proprietaria de Il Fiorino che guida insieme al materie prime usate, siamo sicuri otterrà un marito Simone Sargentoni. grande successo. Negli ultimi 15 anni Il Fiorino è cresciuto moltissimo. Siamo orgogliosi che oggi i nostri formaggi siano richiesti nelle gastronomie, nelle piccole boutique del gusto e nei migliori ristoranti di tutto il mondo. Dall’Italia siamo oramai ovunque in Europa, in USA e stiamo crescendo in Canada e si sta sviluppando il mercato orientale, portando insieme ai nostri pecorini la Maremma e il meglio della Toscana». >> Link: www.caseificioilfiorino.it

Lo spazio di Levoni Spa di Castellucchio (MN), quarta generazione di una famiglia che persegue l’assoluta eccellenza nella produzione di un ampio assortimento di salumi, tutti rappresentativi della grande tradizione enogastronomica italiana.

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1) Il Salumificio Rossi di Sanguinaro di Fontanellato (PR). 2) L’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 3) Stefano Busti, titolare dell’omonimo caseificio di Acciaiolo, Fauglia (PI). 4) Coppini Arte Olearia di San Secondo Parmense (PR). 5) Martelli Salumi di Dosolo (MN) che quest’anno ha accolto clienti e visitatori con una apprezzatissima partnership di vini dell’azienda vinicola Quadra, in Franciacorta.

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1) Lo spazio dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR). 2) I prosciutti crudi di Parma di Casa Graziano di Capoponte (PR). 3) Il salumificio Gualerzi di Pilastro di Langhirano (PR), altro nome eccelso della Food Valley. 4) Il salumificio Leoncini di Lazise (VR). 5) Mariangela Grosoli dell’Aceto Balsamico del Duca di Spilamberto (MO) in foto con le figlie Elena e Lucia, tre generazioni di artigianalità dei sapori autentici modenesi.

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CIBUS palcoscenico al lancio Progetto per la Transizione Ecologica nel mondo del Prosciutto di Parma Il Prosciutto di Parma ha deciso di impegnarsi per affrontare le nuove sfide della politica europea che intende promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare e cogliendo le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche e dalla ricerca scientifica. L’obiettivo del Progetto per la Transizione Ecologica, che il Consorzio ha avviato in collaborazione con Politecnico di Milano, Enersem e CSQA, è porre le basi per la definizione di una politica ambientale consortile utile alle imprese del comparto nell’ottica dei mercati di destinazione diffondendo cultura e pratiche dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile. Il progetto prevede la realizzazione di strumenti e indicatori funzionali alla misura e al miglioramento delle performance ambientali del comparto, ma individua e propone soprattutto soluzioni ad alta eco-efficienza allo scopo di creare delle opportunità nell’ambito della certificazione dello sviluppo sostenibile. >> Link: www.prosciuttodiparma.com

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Dettaglio sui salumi della tradizione toscana dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI).

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Stefania Rota, presidente del Consorzio Salumi di Calabria, una visione moderna e contemporanea tra arte e tradizione salumiera Cibus 2022 è stata una bella occasione anche per incontrare Stefania Rota, dal 2019 presidente del Consorzio di Tutela e Promozione dei Salumi di Calabria e già socia del Salumificio San Vincenzo. «Per ovvi motivi legati alla pandemia è da quest’anno che abbiamo iniziato il vero e proprio percorso di formazione e comunicazione, partendo da Alimentaria a Barcellona e, a ruota, con la nostra presenza a Parma al Cibus 2022» ci racconta Stefania Rota. «Per questo spazio espositivo abbiamo deciso di descrivere non solo il nostro patrimonio salumiero, che è espressione della tradizione e della storia del nostro territorio, ma anche l’arte e la cultura della nostra terra». Da qui l’idea originale e di grande impatto di dare spazio all’opera dell’artista Nik Spatari a cui fa capo il museo Musaba Fondazione Spatari/Maas a Mammola (RC), realizzato nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte. «Con il nostro Consorzio vogliamo raccontare la parte migliore della nostra arte, un’arte espressa anche da economie circolari come quella dei suini nati e allevati in Calabria e trasformati in prodotti di eccellenza, riconosciuti in tutto il mondo. Bisogna tornare a dare valore ai territori e tornare ai mercati di qualità sicura e certificata come le nostre DOP». Al Consorzio Salumi di Calabria fanno capo le DOP Capocollo di Calabria e Pancetta di Calabria, salumi della tradizione realizzati da carni di suini nati e allevati in Calabria. >> Link: www.consorziosalumidicalabria.it

Stefania Rota, al centro, con Nicola Fajeti e Fabiola Cocchi.

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Ricerca, competenza e selezione. Con “Parmacotto Selection” il ventaglio di prodotti da Maiale Nero firmati Parmacotto Dall’esperienza nel mondo dei salumi di Parmacotto Group, è nata una selezione di prodotti unici per la qualità delle materie prime e l’esperienza nelle lavorazioni. È proprio a Cibus 2022 che Parmacotto Group ha presentato al mercato il suo ventaglio di prodotti da Maiale Nero composto da 6 referenze: prosciutto cotto, salame, guanciale, pancetta, spalla cotta e mortadella. Un’esperienza di gusto completa che valorizza al meglio la carne di maiale nero, antica razza autoctona italiana che è stata recentemente riscoperta grazie a un importante lavoro di salvaguardia della biodiversità. I protagonisti della degustazione del giorno sono stati il Salame da Maiale Nero e la Spalla cotta da Maiale Nero in affiancamento alle referenze proposte dalla Cantina reggiana Albinea Canali, tra cui Spergola Metodo Classico dosaggio zero, dal profumo fragrante e sapore fresco, Blanc de Blancs Metodo Classico, dal profumo invitante con espressioni floreali delicate di biancospino e 1936 Lambrusco Emilia IGT Biologico dal sapore pieno, autentico e equilibrato, morbido e fresco al punto giusto per sposarsi perfettamente con il Salame e la Spalla Cotta da Maiale Nero firmati Parmacotto Selection. >> Link: www.parmacotto.com

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Bernardini Gastone porta a Cibus la nuova linea di preaffettati “Le Sopraffine” Il Pesce, I Salmoni, La Carne, La Selvaggina: sono 30 le referenze, suddivise per le quattro tipologie elencate, che compongono la nuova linea “Le Sopraffine” di Bernardini Gastone, l’azienda di Cenaia Crespina (PI) specializzata nella norcineria d’alta gamma e da qualche anno a questa parte anche nel segmento ittico con una vasta scelta di affumicati. Una linea di preaffettati e tartare confezionati in slimfresh, confezione attenta all’ecosostenibilità e dove è totalmente visibile il prodotto. «Si tratta di referenze derivanti dalle nostre attuali produzioni» mi dice Luca Bernardini. «La linea è pensata per offrire un maggior servizio alla nostra clientela del canale Ho.Re.Ca., con uno sguardo al mondo del retail e alla Grande Distribuzione». Anche per i preaffettati della nuova linea resta la grande attenzione alla selezione della materia prima, il gusto “pulito” del prodotto, sia per le referenze carnee che per il pesce, e il confezionamento “pulito”, in skin, con un minor utilizzo di plastica a favore di un miglioramento della shelf-life. Per quanto riguarda la carne, troviamo ad esempio i Carpacci di Black Angus, marinato e affumicato, e, soprattutto, la Tartare di Black Angus. Ottenuta da tagli di bovino con alimentazione controllata selezionati e tagliati a coltello, la tartare della linea “Le Sopraffine” di Bernardini Gastone è un prodotto già pronto, buono, salutare e adatto a diverse occasioni. Si può servire tal quale o condita semplicemente con un buon extravergine di oliva. Spiccano nella linea anche le proposte di selvaggina, da sempre fiore all’occhiello della produzione Bernardini, stante la tradizione toscana dei sughi e dei ragù “selvatici”, con i prosciutti di cervo e di cinghiale, il prosciutto d’alce e lo speck d’anatra affumicato. >> Link: www.bernardinigastone.it

Luca Bernardini con il padre Mauro, titolare dell’azienda.

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fine di visitare e conoscere da vicino le imprese che hanno reso celebre l’agroalimentare italiano. Durante la quarta e ultima giornata, Cibus ha voluto sottolineare il ruolo della ristorazione italiana nel mondo, ambasciatrice della cucina italiana e della molteplicità delle produzioni alimentari del Belpaese. Nel corso del convegno “Il futuro del fuoricasa: la ristorazione al servizio del made in Italy”, l’associazione culturale I LOVE ITALIAN FOOD ha riferito di aver creato una rete di circa 20.000 ristoratori, in tutti i continenti, per i quali organizza eventi B2B, food festival e formazione professionale. Le nuove proposte di prodotti alimentari industriali eco-innovativi sono state presentate nella 12a edizione di “Ecotrophelia Italia”, organizzata da FEDERALIMENTARE, in cui hanno partecipato gli studenti delle Università e degli Istituti Tecnici. Anche quest’anno, infine, si è svolta l’iniziativa Cibus Food Saving, realizzata dal Banco Alimentare per recuperare a fine fiera le eccedenze degli espositori: gli alimenti donati, ancora in perfetto stato, sono andati a 742 strutture caritative convenzionate. È stato poi presentato un progetto di Fondazione Fiera Milano, Fiere di Parma e Federalimentare per realizzare due mense in Ucraina per i profughi che si affollano lungo i confini. Cibus traccia la strada delle riforme comunitarie e il futuro delle private label Uno dei temi della 21a edizione di Cibus è stato quello di come realizzare l’autosufficienza agroalimentare

a livello europeo e quindi le riforme PAC e Farm to Fork. Secondo PAOLO DE CASTRO, Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, «si rischia che la transizione ecologica possa mettere gli agricoltori con le spalle al muro, chiedendo loro una forte riduzione della chimica senza alternative concrete». «La pressione sulle aziende rischia di diventare insostenibile e compromettere la qualità di prodotti con degli standard produttivi che non sono solo soggettivi ma anche garantiti dai consorzi di tutela» ha detto GIUSEPPE AMBROSI, presidente EDA (European Dairy Association) e AD AMBROSI SPA. «L’aumento dei prezzi è una prospettiva inevitabile, che rischia di compromettere lo straordinario trend di crescita dei prodotti italiani», ha sostenuto LUIGI SCORDAMAGLIA, consigliere delegato di Filiera Italia e AD di Inalca. Una leva di business decisiva per le industrie alimentari per continuare a crescere sui mercati esteri è rappresentata dai prodotti a marca privata. Se ne è parlato nel convegno “La dinamica delle private label a livello internazionale”. ANNA VERGA, head of global sales and business development COOP ITALIAN FOOD, ha ricordato che COOP fornisce prodotti a proprio marchio a importanti catene distributive internazionali, mostrando come anche i retailer italiani riescano a fare export in assenza di catene italiane internazionalizzate. Un panel di aziende leader nella private label in Italia e all’estero composto da FORMEC BIFFI, CLAI, ZANETTI FORMAGGI e ZUCCHI ha indicato chiaramente quali sono le linee strategiche di approvvigionamento delle principali catene estere,

La mobilitazione del mondo fieristico e produttivo in aiuto alla popolazione ucraina si è manifestata anche a Cibus 2022. Dopo l’invio di convogli umanitari per le Fiere di Varsavia e Poznam promosso da Fondazione Fiera Milano con Fondazione Progetto Arca, è stata illustrata una nuova iniziativa che coinvolge anche Fiere di Parma e Federalimentare. Si tratta di una raccolta di fondi per la realizzazione e il reperimento di prodotti alimentari per due mense, a Černivci e Mostys'ka, due città ucraine di confine, la prima vicino alla Romania, la seconda alla Polonia

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ovvero puntare sui fornitori italiani per intercettare e soddisfare il gusto dei loro consumatori per continuare ad implementare le loro premium store brand. Infatti, il segmento premium della marca privata è l’unico che cresce a livello internazionale, creando valore sullo scaffale e fidelizzazione dei consumatori. Basti pensare che, pur di avere i prodotti DOP, la Francia ha addirittura rinunciato al Nutriscore sulle sue PM. La consapevolezza di questa forza sarà la stella polare per lo sviluppo delle aziende e anche di Cibus nel futuro. GDO, obiettivi e strategie La Grande Distribuzione e l’industria hanno accelerato il loro percorso sulla strada della ecosostenibilità, come riferito nel convegno “La sfida sostenibile del sistema alimentare: il ruolo del packaging”, a cui hanno partecipato tra gli altri FRANCESCO AVANZINI (direttore generale CONAD), GIORGIO SANTAMBROGIO (AD GRUPPO VÉGÉ), MARCO PEDRONI (presidente ADM), con la moderazione di ARMANDO GAROSCI (LARGO CONSUMO). Un sostegno concreto alle imprese sul tema della tracciabilità è arrivato da ICE Agenzia, che nel corso del convegno “Blockchain per l’agroalimentare” ha annunciato un nuovo servizio: «Da giugno ICE offrirà alle imprese servizi di operatori qualificati per tracciare e certificare l’origine di prodotto nei diversi step di filiera su tecnologia blockchain» ha affermato CARLO FERRO, presidente di ICE Agenzia. «L’obiettivo è duplice: difesa del brand e contrasto all’Italian sounding e marketing della sostenibilità. Infatti, non c’è marketing della sostenibilità se non c’è tracciabilità dell’origine del prodotto. Regole, comunicazione e strumenti per il contrasto all’Italian sounding: più accordi di libero scambio di nuova generazione, la campagna di Nation branding beIT e ora la tracciabilità su blockchain».

Appuntamento a Cibus Connecting Foodland 29-30 marzo 2023 Web: www.cibus.it

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Consorzio Salame Piemonte: nuovo presidente e nuovi obiettivi di crescita e sviluppo sui mercati nazionale e estero di Gaia Borghi

l Salame Piemonte si presenta a Cibus 2022 forte di un nuovo presidente, DANIELE VEGLIO, eletto lo scorso 28 aprile in occasione dell’assemblea generale del Consorzio di tutela, e forte, soprattutto, di nuovi obiettivi di crescita, in primis sul mercato nazionale, che ne ha registrato un primo consolidamento a livello di conoscenza ed apprezzamento da parte del con-

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sumatore anche al di fuori dell’ambito squisitamente regionale, e poi su quello estero. Veglio, un’esperienza di quasi trent’anni nell’area commerciale della RASPINI SPA, in cui ricopre oggi il ruolo di market data manager, raccoglie il testimone dell’imprenditore UMBERTO RASPINI, alla carica del Consorzio per due mandati consecutivi, alla cui volontà e grande passione nei confronti

di questo prodotto, caratteristico e assolutamente rappresentativo del territorio di provenienza, si deve la nascita dello stesso Consorzio e il suo progressivo avvicinamento alle altre realtà consortili del settore. «Ogni regione italiana ha un salume o, meglio, un salame che la caratterizza. Il Salame Piemonte è un’eccellenza salumiera piemontese, una tipicità storica che racconta con

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Daniele Veglio, neopresidente del Consorzio del Salame Piemonte, Giovanni Battista Testa, direttore del Consorzio Prosciutto Crudo di Cuneo, e Umberto Raspini, past president del Consorzio del Salame Piemonte. I due Consorzi si sono presentati insieme a Cibus con l’obiettivo di fare squadra nel promuovere sul mercato mondiale il grande patrimonio della salumeria piemontese.

Il Consorzio Salame Piemonte nasce il 19 settembre 2006 nella sede dell’Assessorato Agricoltura Regione Piemonte, con la finalità di promuovere e tutelare il Salame Piemonte. L’iter di riconoscimento, avviato presso le competenti sedi regionali, nazionali e comunitarie, sfocia nel 2015 nel riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (Regolamento UE n. 2015/1161 del 2 luglio 2015). Dopo una transitorietà della durata di due anni della DOP, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, con decreto 27/1/2016, ha riconosciuto il Consorzio Salame Piemonte IGP ai sensi della legislazione vigente affidandogli, in particolare, l’incarico di tutela, promozione, valorizzazione, informazione al consumatore e cura generale degli interessi della denominazione “Salame Piemonte”. La sede legale ed operativa del Consorzio è a Torino presso gli uffici di Confindustria Piemonte, in via Vincenzo Vela 23. >> Link: www.salamepiemonte.it

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degli associati, oltre all’esperta conduzione della sua direttrice ROSSELLA RIVA, il Consorzio ha potuto promuovere una conoscenza capillare e una progressiva diffusione di questo salume, che, sono certo, non potrà che aumentare». «Il mio impegno sarà quello di proseguire l’opera iniziata da Umberto Raspini — sottolinea Daniele Veglio — e di portare il Salame Piemonte IGP a raggiungere nuovi e importanti traguardi coniugando crescita, sviluppo e sostenibilità, che sono poi le sfide che attendono l’intero comparto agroalimentare italiano».

Grande morbidezza, rotondità e pienezza di sapore: sono le caratteristiche distintive del Salame Piemonte, perfetto accanto ad un bicchiere di rosso piemontese. Ricordiamo anche che, da Disciplinare, i tre grandi rossi della regione, Barolo, Dolcetto e Nebbiolo, sono aggiunto all’impasto. le sue caratteristiche uniche e distintive la nostra terra e la sua cultura contadina» mi dice Umberto Raspini. «La sua identità è perfettamente riconoscibile dai consumatori: le carni magre, selezionate, la stagionatura poco prolungata che gli dona una straordinaria morbidezza e una altrettanto straordinaria pienezza di sapore, in linea col gusto piemontese». L’impasto del salume resta infatti più asciutto e povero di umidità grazie alla lenta disidratazione a freddo a cui sono sottoposti i tagli carnei scelti per la produzione dell’insaccato, consentendo anche una parca aromatizzazione del prodotto, il cui sapore è estremamente delicato, sempre in linea con il gusto

“storico” piemontese, che non ama salumi particolarmente stagionati e/o particolarmente speziati. Altra caratteristica distintiva, invece, è l’utilizzo nell’impasto del salame, da Disciplinare di produzione, di vino rosso a denominazione di origine controllata ottenuto da uve provenienti dai tre vitigni autoctoni più famosi della regione ovvero Barbera, Nebbiolo e Dolcetto. «In questi anni alla guida del Consorzio ho prima di tutto voluto aggregare gli allevatori e trasformatori piemontesi per poter arrivare ai consumatori coesi e garanti della buona qualità di un prodotto davvero eccellente» puntualizza Umberto Raspini. «E, grazie al contributo costruttivo ed appassionato

Uscire dal Piemonte… da piemontesi «Il nostro obiettivo primario come Consorzio è quello di uscire dal Piemonte, allargare ancora di più la conoscenza del prodotto, ma da piemontesi, ovvero lavorando sodo e mantenendo i legami forti e saldi con la tradizione e la territorialità che ci contraddistinguono» prosegue Daniele Veglio. «Il Salame Piemonte ha tutte le caratteristiche per giocarsela con i grandi Consorzi. Anche per questo motivo dall’anno scorso siamo entrati a far parte dell’ISIT, Istituto Salumi Italiani Tutelati, e i risultati in termini di visibilità li abbiamo già percepiti. Sempre in quest’ottica siamo venuti a Cibus insieme al Prosciutto di Cuneo DOP: oggi più che mai, infatti, ritengo sia necessario fare squadra, unire le forze per valorizzare le nostre produzioni, italiane e piemontesi nello specifico, mostrando ai buyer e agli importatori presenti in fiera una piccola ma solida parte della ricca proposta del Piemonte, che ha pieno diritto di occupare una posizione di rilievo sui mercati internazionali». Gaia Borghi

Salame Piemonte: i dati di produzione e export relativi al 2021 Nel corso dell’ultima assemblea generale del Consorzio, che ha visto l’elezione alla presidenza di Daniele Veglio, sono stati anche comunicati di dati di produzione 2021 del Salame Piemonte, che registrano dei volumi/quantità certificate pari a 135.034,73 kg. Numeri che, comparati ai dati 2020, 130.716,33 kg, fanno segnare un aumento pari ad un +3,3%. Di pari peso è stato l’aumento del fatturato alla produzione: 1.717.641,76 euro che, comparato col fatturato alla produzione del 2020, pari a 1.667.940,37 euro, segna una crescita del 3% (fonte: Ismea). Per quello che riguarda l’export, i volumi per l’anno 2021 sono stati pari a 8.000 kg, corrispondenti ad un fatturato di 104.000 euro. Valori che rappresentano rispettivamente il 5,90% a volume e il 6,05% a valore rispetto al totale produzione e fatturato 2021. Tali valori dell’export, comparati all’anno precedente, registrano un +13% a volume e un +15% a valore. I principali Paesi per l’esportazione del Salame Piemonte si confermano Svezia, Germania, Francia e Svizzera.

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Alla scoperta di una delle filiere DOP più corte d’Italia, il Crudo di Cuneo Abbiamo incontrato la Presidente Chiara Astesana a Cibus 2022 di Elena Benedetti

La presidente del Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo DOP Chiara Astesana con Luca Allasia, AD di Carni Dock nello spazio condiviso dei due Consorzi Crudo di Cuneo DOP e Salame Piemonte IGP, vetrina del diversificato e apprezzato patrimonio della salumeria piemontese.

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a cornice di Cibus 2022 è stata una bella occasione per incontrare Chiara Astesana, presidente del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP all’interno dello spazio fieristico condiviso insieme al Salame Piemonte IGP. Il Crudo di Cuneo è un prodotto d’eccellenza che ha al centro una delle filiere più corte d’Italia. «Il compito dell’organismo che presiedo è quello di promuovere e accompagnare questo prodotto unico del nostro territorio, svolgendo una funzione che è sì istituzionale ma anche di controllo sulla qualità e con piacere posso confermare la recente entrata nel Consorzio di tutela di un nuovo produttore, con l’augurio che nel futuro se ne possano aggiungere altri» sottolinea Chiara Astesana. Altra novità importante è che oggi il prosciuttificio iscritto nel Consorzio di Tutela da più tempo offre una stagionatura minima di 24 mesi. «Questo è un grande risultato se considera che la nostra è una piccola Denominazione di Origine Protetta e non siamo certo in grado di fare concorrenza al Parma e al San Daniele» precisa Astesana. «Non facciamo volumi ma un prodotto di nicchia, con l’arte dell’allevamento dei suini locali e la manualità della lavorazione delle cosce in ogni singola fase della

stagionatura, il che significa la salatura in più riprese a seconda delle necessità, una sugnatura fatta secondo le nostre regole e un disosso curato nel minimi particolari». «La nostra è la filiera più corta d’Italia e forse d’Europa» precisa la presidente, ricordando che i suini destinati alla produzione provengono tutti da allevamenti locali. Benessere, controllo, qualità della vita degli animali, zero stress e cura e attenzione di ogni singola fase dell’allevamento sono tutti elementi che ritroviamo nella qualità di un prodotto che esalta il sapore. Il Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo DOP è stato fondato nel 1998 per iniziativa di un gruppo di imprenditori della filiera suinicola cuneese e nel 2009 ottenne l’ambita registrazione da parte dell’Unione Europea della denominazione Crudo di Cuneo DOP. La sua area di produzione si estende alle province di Cuneo e Asti e a 54 comuni della provincia di Torino. Questo Prosciutto DOP è destinato al canale tradizionale delle salumerie e macellerie, oltre che alla ristorazione e alla GDO, con una linea di affettati in vaschetta. Elena Benedetti >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

Le origini della lavorazione delle cosce dei suini nell’area di produzione risale almeno al XVII secolo, come testimonia uno scritto del 1618 in cui si fa riferimento al lavoro dei norcini piemontesi. I giorni della mattanza del maiale, che si teneva verso la fine dell’inverno, erano giorni di festa durante i quali le famiglie contadine seguivano un rituale quasi “sacro” tramandato di generazione in generazione; il tutto sotto la direzione del “sautissé”, cioè l’esperto della lavorazione delle carni, che passava di cascina in cascina per “lavorare” i suini. Le cosce migliori venivano sezionate dalla carcassa del maiale per essere poste in salagione e avviate alla stagionatura nelle cantine o nei granai delle cascine e ottenerne, per l’anno successivo, degli eccellenti prosciutti. I prodotti ottenuti, tra cui i prosciutti, rappresentarono una fonte alimentare insostituibile, sia per l’apporto proteico e sia per quello calorico. Dopo la seconda metà del XIX secolo, il prosciutto della pianura cuneese assunse maggiore importanza: la nuova borghesia, nata dallo sviluppo dell’industria e del commercio, elevò il prosciutto e la sua lavorazione a vera e propria arte culinaria; i cuochi iniziarono ad abbinare al prosciutto vini e formaggi pregiati. La nobiltà ed il clero, legati alla tradizione, esigevano ricette personalizzate dai “maestri salumieri” fondatori dei primi salumifici artigianali. Una realtà oggi costituita da numerosi trasformatori con piccoli stabilimenti di macellazione e stagionatura sparsi sul territorio e da migliaia di allevatori.

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I HAM MODENA:

A CIBUS IL PROSCIUTTO DI MODENA DOP NEI PANINI D’AUTORE DI DANIELE REPONI di Federica Cornia

iva la vitalità del made in Italy! Viva Cibus! Tre giorni di fiera, 3.000 espositori, un viavai incessante di buyer italiani ed esteri, 60.000 operatori professionali in tutto, Cibus si conferma quale rappresentazione corale della vivacità dell’agroalimentare italiano e della solidità delle imprese a carattere famigliare del nostro Paese. Insomma, l’edizione 2022 di Cibus è andata bene, ha superato le aspettative tornando a numeri pre-pandemia, nonostante Covid perdurante e guerra in Ucraina. Ce lo conferma Davide Nini, vicepresidente del Consorzio del Prosciutto di Modena che, dopo l’assenza all’edizione del 2021, è tornato in presenza a Cibus con un ricco programma di showcooking. «La fiera sta andando bene, l’afflusso del pubblico è buono. Non ci sono molti visitatori esteri ma quelli italiani sono presenti e attenti al prodotto che presentiamo. Gli obiettivi principali del Consorzio — prosegue Nini — rimangono quelli di tutela e valorizzazione del Prosciutto di Modena DOP. In particolare, qui in fiera, puntiamo a promuoverne la versatilità e la semplicità d’impiego, suggerendo abbinamenti inusuali e appetitosi». Soprattutto nei panini, tutti firmati da Daniele Reponi, il re del panino gourmet autore della rubrica settimanale sul mondo dei panini in onda a “La prova del cuoco” su RAI1. Per l’occasione Reponi ha studiato una serie di abbinamenti che utilizzano le eccellenze del territorio modenese ed emiliano: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, Parmi-

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Davide Nini e Anna Anceschi, rispettivamente vicepresidente e direttrice del Consorzio del Prosciutto di Modena, e Daniele Reponi.

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giano Reggiano DOP, Confettura di Amarene Brusche di Modena IGP e altre divertenti proposte legate all’utilizzo di frutta e persino pesce. «Il fatto di poter assaggiare il prodotto è importantissimo secondo me. È così che la gente può apprezzarlo e poi se lo ricorda» dice Anna Anceschi, direttrice del Consorzio. «Per questo è da un po’ che puntiamo sui ricettari. Sul sito del Consorzio, consorzioprosciuttomodena.it, si possono scaricare i due realizzati sino ad oggi. È una comunicazione istituzionale che raccoglie interessamento, apprezzamento e riceve feedback positivi». Alla domanda come stia andando in generale il Consorzio, Davide Nini mi risponde che la soddisfazione più grande è legata alla vendita del prosciutto in vaschetta, in costante aumento dal 2006, anno di inizio della produzione. Soprattutto in questi ultimi anni, infatti, la vendita a libero servizio ha registrato un crescente successo. «Questo anche grazie all’applicazione di una tecnologia che consente una shelf-life di prodotto maggiore, una possibilità in più di posizionare il prodotto all’estero, dove non hanno l’abitudine di acquistare salumi affettati a banco. Su alcuni mercati che non hanno una tradizione salumiera come la nostra la produzione in vaschetta premia moltissimo» dice Nini. E oggi, chiedo, quali obiettivi ha il Consorzio del Prosciutto di Modena DOP? «Sicuramente aumentare la produzione perché c’è spazio per farlo» ci risponde la direttrice Anna Anceschi. «E poi puntare sull’export e, contemporaneamente, inserire il prodotto in nuove catene di distribuzione per una presenza capillare sul territorio nazionale. C’è spazio per crescere all’estero. In Giappone ora il canale è un po’ chiuso, mentre negli Stati Uniti c’è un buon riscontro nel comparto della ristorazione, cosa che ritengo interessante perché in questo modo si crea una cultura di prodotto che manca. E questo è certo un lavoro più complicato e lungo da portare avanti. La difficoltà per l’estero, infatti, è intercettare il target giusto, oltre ai giusti importatori e distributori. C’è da gestire la difficoltà data dalla minor conoscenza del mercato di un altro Paese e della sua clientela. Un buon segnale in questo senso ci è arrivato ad esempio dalla

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“Estate”, il panino di Daniele Reponi con Prosciutto di Modena DOP e pesche nettarine. proprietaria di una gastronomia di Tours, nella Valle della Loira, venuta in visita al nostro stand perché vuole completare la gamma dei salumi con Identificazione Geografica del suo negozio, inserendo tra le proposte anche il nostro Prosciutto di Modena DOP». Nessuna paura e tanta determinazione nel portare avanti un lavoro di valorizzazione e promozione che si avvale di diversi strumenti e di diversi canali di comunicazione: oltre alla stampa, ai canali social, le fiere restano strumento fondamentale, tanto che è già in progetto la presenza del Consorzio nel gennaio 2023 al Sirha di Lione. «Parallelamente alle fiere, portiamo avanti attività di degustazione ed attività educative, anche negli USA. Un altro strumento importante per noi è poi la collaborazione con altre realtà consortili, come il Consorzio Tutela Lambrusco, con cui abbiamo realizzato videoricette sia in italiano che in tedesco e masterclass con assaggi e preparazioni a base di Prosciutto di Modena accompagnate da Lambruschi di Modena. Collaboriamo con Palatipico Piacere Modena insieme ai principali consorzi di tutela delle DOP e IGP provinciali, e partecipiamo a GustiaMo, un week-end dedicato alla scoperta del territorio modenese attraverso attività svolte nelle piazze e la visita ad aziende a cui associamo press tour. Ci piace fare un’attività di promozione di tutto il pacchetto Modena». Insomma, carne al fuoco ce n’è.

È il momento di andare. Prima però non posso non chiedere a Daniele Reponi un consiglio sulla preparazione di un buon panino col prosciutto di Modena. «Come prima cosa ci tengo a sottolineare che il prosciutto di Modena spesso non si consuma alla giusta temperatura: di solito è troppo freddo ed è un peccato perché in realtà ha una marezzatura speciale, la fetta si scioglie in bocca, diventa velluto, e per questo motivo è già buono da solo accompagnato da un buon pane. Se però ci vogliamo divertire con abbinamenti insoliti e appetitosi, tenuto conto che andiamo verso l’estate, alla stagione della ciliegia di Vignola IGP, io vi consiglierei questo: snocciolate alcune ciliegie, passatele in padella con l’aggiunta di un rametto di rosmarino, un pizzico di sale e sfumatele con un buon Lambrusco locale. Diventa una spremuta di territorio. Le ciliegie devono restare croccanti. Disponete poi il Prosciutto di Modena DOP tagliato fine fine sul pane tostato, aggiungete le ciliegie e una scaglia di Parmigiano 20/24 mesi: super! Molto buono anche l’abbinamento del Modena DOP con pesche nettarine, aceto balsamico e un po’ di ricotta fresca. Per il pane consiglio pane di grano tenero, tipo toscano». Altre ricette di Daniele le trovate nel ricettario “I Ham Modena” scaricabile dal sito del Consorzio. Federica Cornia >> Link: consorzioprosciuttomodena.it

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SAN SALVATORE 1988, SOTTO IL SEGNO DEL BUFALO Un’azienda agricola che nasce come tributo al Cilento, alla sua storia millenaria e ai suoi straordinari prodotti. Impronta biodinamica e certificazione biologica per vino, olio, pasta e allevamento bufalino, oltre 700 capi che producono il latte trasformato in formaggi e, ultima novità, yogurt e cremosi firmati La Dispensa di Gaia Borghi

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In alto: gli allevamenti a Paestum dell’Azienda Agricola San Salvatore ospitano oltre 700 bufale, dalle quali proviene il latte fresco in bottiglia. E da quel latte nascono prodotti caseari straordinari, gli yogurt e i dessert cremosi. A destra: il logo, un bufalo cilentano, impresso su tutti i prodotti firmati San Salvatore 1988 La Dispensa.

uò contenere un solo piccolo vasetto, 150 grammi di prodotto soltanto, tutta la bellezza, la storia e la pienezza di sapore che hanno reso e rendono tuttora il Cilento uno dei luoghi più meravigliosi al mondo? La risposta è sì, è possibile. Solo e solamente se il vasetto “incriminato” o, meglio, i vasetti, sono quelli bellissimi, oltre che buoni, buoni, buonissimi di yogurt e cremosi di latte di bufala dell’Azienda Agricola San Salvatore, i cui siti produttivi si distribuiscono su oltre 160 ettari di terreno nella provincia di Salerno, tra Capaccio Paestum, Stio e Giungano. 160 ettari siti nel Parco nazionale del Cilento tra vigneti, frutteti, oliveto e l’allevamento delle bufale. Coltivazioni in cui vengono adottati fin dalla loro creazione processi biologici e biodinamici per preservare l’autenticità e la ricchezza originaria di questa terra.

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Ambasciatori del Cilento nel mondo La storia di questa azienda me la racconta a Cibus Antonello Ricco, direttore de La Dispensa, punto vendita/spaccio/ punto ristoro e, quindi, “concretamente” la porta di accesso diretta per il consumatore al mondo dell’Azienda Agricola San Salvatore, oltre che alla più vasta offerta gastronomica cilentana. Antonello Riccò mi parla mentre io

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sfoglio i cataloghi aziendali, nei quali campeggiano, sopra o a fianco delle immagini che ritraggono gli animali e le vigne, gli straordinari paesaggi del Parco nazionale del Cilento con il mare in lontananza, i templi, i particolari della lavorazione e dei prodotti, gli operatori, i casari e i piatti che escono dalle mani sapienti delle cuoche de La Dispensa, parole scritte a lettere cubitali come RISPETTO, MEMORIA, CURA, FUTURO e il TEMPO, che qui, in qualche, modo RALLENTA. «L’Azienda Agricola San Salvatore nasce nel 2010: siamo giovanissimi» mi dice Antonello Riccò. «Eppure, i nostri prodotti rappresentano, in ogni loro minimo particolare, una cultura del cibo che in questo territorio è antichissima. Si lega infatti alla Scuola Filosofica Eleatica, antesignana della Scuola Medica Salernitana, secondo i cui principi il cibo è molto di più di un semplice strumento per appagare un bisogno primario. Il cibo è cultura, socialità e, soprattutto, benessere. Ed è al raggiungimento del benessere di chi ci sceglie che pensiamo quando produciamo i nostri vini, l’olio, le confetture, i formaggi e tutti gli altri prodotti firmati San Salvatore. Prodotti che hanno questa terra nel nome, la patria della Dieta Mediterranea, e ne sono i suoi ambasciatori nel mondo». Qualche anno prima, nel 2004,

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In alto e a sinistra: cremosi e yogurt di latte di bufala La Dispensa 1988. In vasetti di terracotta, in ottica di sostenibilità e riutilizzo, i cremosi e lo yogurt bianco, mentre in vetro trasparente gli altri yogurt, hanno le etichette verticali col bufalo stampate con i colori del gusto che rappresentano. Fragole, albicocche, agrumi, frutti di bosco, fico cilentano… in purezza o in originali abbinamenti con zenzero, carote e sedano. I cremosi sono invece disponibili in tre varianti, al cacao e nocciole, al cappuccino e alla vaniglia.

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Giuseppe “Peppino” Pagano, patron e fondatore dell’azienda, già imprenditore di successo tuttora operante nel settore turistico-alberghiero, aveva dato avvio alla produzione vitivinicola, avendo ben chiara la propria idea di “agricoltura”: biologica, mai intensiva, rispettosa della terra che così profondamente caratterizza tutta la gamma di prodotti San Salvatore. Vini campani eleganti ed espressivi. «La cantina, avvalendosi dell’esperienza dell’enologo RICCARDO COTARELLA, produce vini da vitigni autoctoni coltivati in un’area che va da Giungano a Stio, tra i quali spicca uno speciale Aglianico del Cilento in purezza dedicato come segno di amicizia e stima dal fondatore al grande maestro Gillo Dorfles, che aveva tra le sue passioni proprio il territorio cilentano, Paestum e la sua storia: 7.000 bottiglie circa per anno numerate e con i suoi disegni in etichetta» prosegue Antonello Riccò. Con le loro bottiglie (400.000 circa l’anno) sono presenti, riconosciuti ed apprezzati dagli Stati Uniti all’Australia, nel canale HO.RE. CA. e ristorazione. La Dispensa, invece, nasce nel 2016, come punto di arrivo di tutta la produzione a km 0 dell’azienda agricola, la cui forza è proprio la filiera chiusa super controllata. «Non vedevamo valorizzata la materia prima, quindi abbiamo deciso di farlo noi personalmente» sottolinea Antonello Riccò. «La Dispensa è un punto vendita, fisico e on-line, ma anche un agriturismo con ristorazione, aperto dalla colazione del mattino alla cena. Un luogo in cui prendono “vita” le nostre produzioni grazie all’abilità di esperte massaie che riproducono le ricette più tradizionali usando il nostro grano Senatore Cappelli, le verdure dell’orto, le uova delle nostre galline, il nostro olio e i formaggi preparati con il latte fresco del nostro allevamento di bufale». Più di 700 animali, il cui benessere, di nuovo, è tenuto in considerazione primaria, perché è dalla condizione fisica e psichica dei capi che si determina la qualità organolettica del latte. Le stalle, progettate per avere un impatto ambientale positivo, con biovalorizzazione dei rifiuti organici animali, sono sottoposte a rigorosi controlli ed esami fisici e microbiologici e alle bufale vengono garantiti un’alimentazione specifica adeguata, con il

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La Dispensa, punto vendita dell’Azienda Agricola San Salvatore e “porta di accesso” al mondo gastronomico cilentano, dove fermarsi a mangiare o acquistare prodotti come i ceci di Cicerale e i fagioli di Gorga, salumi e formaggi di piccoli produttori locali, e i dolci, dalla pastiera di Stio al cannolo alle scauratelle al miele. fieno e la paglia dei campi di proprietà, e un ambiente sereno, anche durante una fase estremamente delicata come la mungitura. «Il tutto per non per alterare le naturali proprietà organolettiche del latte» puntualizza Antonello Riccò. Da questo latte di qualità elevatissima, nel caseificio aziendale, nascono ottimi formaggi, dal sapore pieno e corposo, la classica mozzarella, i bocconcini, la ricotta, il primo sale, la scamorza e la scamorza affumicata con la paglia, sempre quella “di casa” naturalmente. Ma non è sulla produzione casearia che punta l’azienda. «Quello dei formaggi è un settore dove oggi spesso ci si riduce ad una guerra di prezzi. Questo fatto, unito ad una produzione lattiera dei nostri animali molto limitata, ci ha portati, nel 2018, alla realizzazione di un impianto per la produzione prima di yogurt e poi di cremosi di latte di bufala» mi spiega Antonello Riccò. Il latte viene trasportato qui a temperatura controllata, per preservarne la qualità, che è costantemente monitorata presso il laboratorio interno all’azienda agricola. Al progetto dello stabilimento hanno partecipato tecnologi, consulenti e in particolare il CAISIAL – Centro di Ateneo per l’Innovazione e lo Sviluppo dell’Industria Alimentare dell’Università di Portici (NA) e la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Ali-

mentari di Angri (SA). «Lo stabilimento di produzione di yogurt e dessert è stato pensato e studiato rispettando i più severi e precisi protocolli di impiantistica, al fine di garantire il massimo rispetto dei requisiti igienico-sanitari» prosegue Antonello Riccò. Prodotti in atmosfera controllata e senza OGM, con latte di bufala al 100%, yogurt e cremosi hanno una shelf-life di 35 giorni. I gusti sono quelli della frutta locale, per gli yogurt, fragola, limone, albicocca, fico del Cilento, uva della varietà Aglianico, o cereali. Per chi apprezza un gusto più pieno e consistente ci sono invece i cremosi. «I cremosi al latte di bufala sono la più golosa delle novità de La Dispensa San Salvatore» conclude MARTINA PALUMBO, del reparto marketing dell’azienda. «In tre varianti, al cacao e nocciole, al cappuccino e alla vaniglia, sono perfetti per fare il pieno di energia a colazione, per uno spuntino nutriente e gustoso o come dessert, semplice ma pieno di gusto». La chiave della loro bontà? È nella panna, realizzata, ça va sans dire, con il latte delle bufale San Salvatore. Vi state chiedendo che sapore abbia il Cilento? Questo. Gaia Borghi >> Link: www.ladispensa1988.it www.facebook.com/ladispensa1988 www.instagram.com/ladispensa1988

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TUTTO IL BIOLOGICO, OGGI

NONNO ANDREA, AZIENDA AGRICOLA BIODIVERSA di Gian Omar Bison

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L’azienda agricola Nonno Andrea coltiva 70 ettari di terreno nella pianura trevigiana, tra le colline del Montello e il Piave. In nome della sostenibilità, l’azienda opera il riciclaggio attivo, utilizza energia prodotta attraverso pannelli fotovoltaici, le confezioni e gli imballaggi di materiali riciclabili. Frutta e verdura vengono coltivate con metodi biologici e godono della certificazione “biodiversity friend”.

rom Farm to Fork”, ossia dalla fattoria alla forchetta, dal campo alla tavola. Una strategia europea e una filosofia produttiva chiara e applicata da anni da diverse aziende agricole tra le quali Nonno Andrea, realtà di Villorba (TV). Un’azienda agricola nata trent’anni fa, da sempre dedita alla coltivazione e alla rivendita di frutta e verdura biologica. «Siamo partiti con qualche terreno agricolo in dotazione e tanto olio di gomito» sottolinea Paolo Manzan (uno dei tre titolari insieme alla moglie Sonia ed al figlio Luca). «Ricordo spesso che il primo trattore che siamo riusciti ad acquistare ci è costato neanche mille euro».

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Il primo cambio di passo c’è stato quando alla vendita di prodotti freschi si sono aggiunti i trasformati, ovvero i vasetti di verdure sottolio, composte e creme, tutti realizzati nella cucina di Nonno Andrea e venduti direttamente nel punto vendita adiacente. Una superficie aziendale di 70 ettari in regime biologico certificati biodiversity friend, una produzione di circa 500.000 vasetti ogni anno, un laboratorio di bakery, biscotteria dolce e salata e frutta e verdura essiccata, utilizzati per gli infusi o confezionati insieme ai kit per risotti. Il tutto lavorato insieme ad una sessantina di collaboratori, divisi tra campagna, laboratori e cucina, l’agriturismo

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Composte dolci di frutta, verdure sottolio e sottaceto, creme, ketchup sono solo alcune delle referenze prodotte dall’azienda agricola Nonno Andrea, acquistabili nel punto vendita o sull’e-commerce. (inaugurato nel 2020) ed amministrazione e marketing. Un’e-commerce oramai consolidato, packaging predisposto completamente in azienda e spedizioni fatte con dei corrieri esterni. Al momento l’agriturismo lavora dal lunedì al sabato con colazioni, merende, pranzi veloci e apericena: fino alle nove di sera si possano consumare i taglieri di formaggi e affettati, crostoni e schiacciate. «Tra le nostre colture abbiamo il Radicchio rosso di Treviso IGP, il Radicchio variegato di Castelfranco IGP, gli asparagi bianche e verdi, le zucche, le zucchine, i pomodori, i fagioli e i frutti antichi. Non mancano i seminativi per un’indispensabile rotazione, i vigneti, le aromatiche e siepi di fiori per le nostre api. Il valore principale che portiamo avanti con orgoglio e determinazione — puntualizza Manzan — è la salvaguardia dell’ambiente nella sua totalità. Per questo operiamo il riciclaggio attivo producendo energia per la nostra azienda attraverso pannelli fotovoltaici e siamo attenti che le confezioni e gli imballaggi siano di materiali riciclabili. Per l’arredamento del nostro punto vendita ci siamo divertiti a recuperare e a ridare vita ad oggetti, legni e porte vecchie ormai in disuso. Diamo la possibilità a chi ci viene a trovare di utilizzare una grande borsa di tessuto per trasportare la spesa e incoraggiamo l’uso di sac-

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chetti di carta. Tutte le nostre confezioni regalo e le loro decorazioni sono invece realizzate in carta, iuta ed altri materiali sostenibili come una speciale cellulosa ottenuta dalla lavorazione degli scarti degli ortaggi. Inoltre, attraverso un progetto solidale, costruiamo confezioni regalo in legno riciclato, ottenuto da vecchi bancali che non vengono più usati. La filosofia del riuso vive anche nelle nostre confezioni, che possono quindi trovare nuove funzioni e utilizzi nel tempo». Tutto quello che non viene prodotto direttamente in azienda come il formaggio e gli affettati viene acquistato da aziende agricole locali selezionate e sempre in linea con gli standard di Nonno Andrea. Nel vigneto si coltivano uve Merlot, Glera e Chardonnay per i vini, mentre con ortaggi tipici del territorio, come il radicchio o l’asparago bianco, viene prodotta della birra davvero particolare. Il menu dell’agriturismo parla sempre di stagionalità. Ogni giorno si sfornano torte, focacce e biscotti preparati con le loro farine bio, di farro e integrali. «Proponiamo un menu dinamico che segue il passo dei nostri raccolti, in cui è proprio la stagionalità a dettare i tempi e a darci gli spunti per le nostre ricette. I nostri piatti caldi, le nostre Bowls Natura, gli spuntini… ogni capitolo del nostro menu è ispirato e

composto da quanto raccogliamo dagli orti. Ci piace anche preparare estratti di frutta fresca e particolari Cocktails botanici, dove usiamo i nostri infusi realizzati con i fiori delle nostre siepi, le erbe officinali ed i piccoli frutti coltivati da noi. E poi composte dolci di frutta, verdure sottolio e sottaceto, creme e ketchup, zuppe, insalate e contorni pronti per essere consumati subito o cucinati a casa». L’offerta contempla anche pacchetti di visite guidate in azienda, percorsi esperienziali, degustazioni e pranzi in agriturismo o al sacco ed eventi a tema. «Una delle iniziative più riuscite riguarda la zucca. Facevamo da sempre una giornata a tema dedicata alla zucca. Con lo scoppio della pandemia non si potevano di certo organizzare delle feste e per questo, a ottobre 2020, abbiamo pensato di allestire il cosiddetto Villaggio delle zucche, sempre aperto, con un allestimento che ha coinvolto tutta l’azienda per 15 giorni con giochi, spaventapasseri, ecc… È stato un successo enorme al punto da ripetere l’iniziativa nel 2021 raggiungendo 100.000 visite in 20 giorni! Un investimento importante e un risultato straordinario, per certi aspetti inatteso. Il primo giorno di apertura abbiamo trovato camper di clienti che venivano da Bologna, da Firenze e oltre». Nonno Andrea è da sempre impegnato anche nel sociale con un rapporto avviato con la Fondazione Oltre il Labirinto onlus che si occupa di adulti affetti da autismo e anche con AREP Sociale. «Con Oltre il Labirinto abbiamo lanciato una linea che si chiama “Cuore fondente di Nonno Andrea” che riguarda prodotti specifici a nostro marchio etichettati dai ragazzi. Da AREP Sociale ricaviamo oggettini in legno, come i segnaposto e altro, predisposti da ragazzi diversamente abili nel loro laboratorio di falegnameria di Villorba. Entrambi questi progetti garantiscono sostegno e sincera inclusione a tutti i ragazzi coinvolti, e questa è per tutti noi la soddisfazione più grande». Gian Omar Bison Nonno Andrea Via Campagnola 72B 31020 Villorba (TV) Telefono: 0422 444670 Web: nonnoandrea.it

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8o Concorso Nazionale “La Regina della Testa” dedicato alla Coppa di Testa È un’associazione senza finalità di lucro che raccoglie appassionati ed esperti assaggiatori e degustatori di salumi, i cui scopi principali si possono sinteticamente riassumere nella valorizzazione della produzione di salumi, specialmente di quelli legati alla tradizione locale italiana ed anche estera, al fine di mantenere e preservare le loro caratteristiche e di educare al loro consumo. L’Academia Judices Salatii forma i propri associati all’analisi sensoriale e all’assaggio, attraverso l’organizzazione di corsi di formazione, seminari e convegni, visite a produttori, gite d’istruzione. Di recente si sono svolte le premiazioni dell’8o Concorso Nazionale “La Regina della Testa” dedicato alla Coppa di Testa. Il panel d’assaggiatori, chiamato a giudicare i prodotti, provenienti da 7 regioni, ha decretato “Regina della Testa” il prodotto dell’Azienda Agricola Rossi (Camposanto, MO) per la categoria aziende e dell’Associazione “Cicciolo d’Oro” (Campagnola, RE) per la categoria privati (in foto, photo © facebook.com/agrimacelleriarossi). 2o classificati categoria aziende: L’Antica Norcineria (Ghivizzano, LU) e Salumificio Mezzaluna Nerino Snc (Fermo, FM); 3o classificato categoria aziende: David Salumi Srl (San Venanzo, TR). Sono state inoltre attribuite menzioni speciali a: F.lli Moschini (Ponte Buggianese, PT), Il Grifo (Bagno di Reggio E.), Macelleria Salumeria Giacobbe (Sassello SV), Macelleria Romanelli Srl (Martina Franca, TA), Macelleria Zivieri Srl (Zola Predosa, BO) e il Salumificio F.lli Conti (Prato, FI). >> Link: academiajudicessalatii.it


MERCATI

SEGNO + PER LA BRESAOLA DELLA VALTELLINA IGP

opo il colpo assestato su più fronti da questi ultimi due anni e tutto quello che ne è scaturito, per il Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina si apre un primo spiraglio di ripresa con evidenze di crescita nel 2021, a conferma del fatto che questo salume riscontra da parte del consumatore un evidente apprezzamento. La produzione complessiva di Bresaola della Valtellina IGP riferita alle 16 aziende certificate si è attestata a 13.400 tonnellate (+6,35% sul 2020), costituendo quasi la totalità della produzione di Bresaola della Valtellina IGP

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certificata dall’organismo di controllo CSQA. In totale, sono state avviate alla produzione oltre 37.000 tonnellate di materia prima (+6,19%), di selezionata provenienza europea e mondiale, con percentuali diversificate da produttore a produttore. Sul fronte consumi, il comparto ha segnato un valore di 490 milioni di euro (+8% sul 2020) con un impatto di assoluto rilievo sulla provincia di Sondrio di 240 milioni di euro (+12%) per un settore che conta 1.400 occupati. Lato distribuzione, la GDO si conferma il principale canale di vendita. L’export rappresenta il 5% della produzione (–28,5% sul 2020), con un

valore di 14 milioni di euro (–24,32%). Sono state esportate poco meno di 700 tonnellate di Bresaola della Valtellina IGP, un dato significativo anche se in calo oggettivo, causa pandemia e caro prezzi, rispetto al 2020 (–22%), nei Paesi UE (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia) ed extra-UE (Antille olandesi, Arabia Saudita, Canada, Emirati Arabi, Giordania, UK, Hong Kong, Kenia, Kuwait, Libano, Qatar, Serbia, Svizzera).

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Il mercato del salume certificato, amato da 38 milioni di Italiani, torna ai livelli del pre-Covid, in linea col 2019, ma sulla ripartenza del comparto gravano l’incremento della materia prima, il caro energia e la crisi internazionale. Il presidente del Consorzio Franco Moro: «I dati positivi sono incoraggianti ma non siamo ancora in grado di parlare di una vera e propria ripresa o di un recupero del settore. La flessione del comparto alimentare in generale è importante e rischia di pesare sull’andamento dei consumi. Siamo preoccupati ma guardiamo al futuro con la volontà di far ripartire il settore»

La crescita complessivamente registrata nel 2021, però, non rassicura i produttori: preoccupano inflazione ed effetto guerra. Il comparto, caratterizzato già dalla variabilità di prezzo della materia prima, ha dovuto fronteggiare gli effetti perduranti della pandemia, il caro energetico e le ricadute sempre più gravose della crisi russo-ucraina, con un conseguente impatto importante, comprimendo fatturato e margini delle aziende certificate nell’impossibilità di pianificare rispetto al futuro. «I dati positivi sono incoraggianti — ha commentato Franco Moro, presidente

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del Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina — ma non siamo ancora in grado di parlare di una vera e propria ripresa o di un recupero stabile del settore. La flessione del comparto alimentare in generale è importante, considerando che la crescita inflattiva generale, sospinta dal conflitto in Ucraina, rischia di pesare ulteriormente sull’andamento dei consumi. Se da un lato i dati attuali sono una boccata di ossigeno per le imprese, anche per quelle di piccole dimensioni, dall’altro, però, pesa il caro prezzi e ancora non registra l’onda d’urto della guerra in Ucraina

che ha purtroppo frenato la ripresa in corso». Malgrado gli sforzi profusi ormai da alcuni mesi, l’innalzamento complessivo dei costi di produzione non può più essere metabolizzato dai soli produttori. Tutti gli attori della filiera, dai produttori alla distribuzione fino alle istituzioni e la politica, devono riflettere e agire responsabilmente per garantire continuità e sopravvivenza all’intero comparto. Solo facendo sistema sarà possibile affrontare e superare una situazione come quella attuale. >> Link: www.bresaolavaltellina.it

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Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, buona la performance e incremento della produzione del +12,9% Come noto, nel 2020, la crisi pandemica ha avuto un forte impatto sull’industria alimentare. Infatti, le restrizioni determinate dalla gestione della crisi sanitaria hanno portato alla chiusura pressoché totale del canale Ho.Re.Ca., la chiusura dei banchi gastronomia nella GDO per lungo tempo e il calo dell’export. Tuttavia, la necessità di incrementare considerevolmente il tempo trascorso tra le mura domestiche, lo smart working, l’impossibilità di accedere alla ristorazione, hanno determinato un incremento della spesa alimentare del +7%, tra cui l’incremento nel consumo di salumi confezionati in vaschette o sotto forma di tranci. Secondo i dati di IRI, il mercato dei salumi, nel 2020, ha conosciuto nella Distribuzione Organizzata un incremento del +3,2% a volume e del +6,3% a valore. Il 2021 ha confermato un andamento positivo per il comparto. Infatti, il mercato dei salumi è ulteriormente cresciuto, con un incremento delle vendite del +4,7% a volume e del +4% a valore. Per quanto riguarda in modo specifico la categoria dei salamini, nel 2021 essa ha continuato a mostrare un andamento positivo sia a volume che a valore, segnando rispettivamente un +5,3% a volume e un +5,3% a valore. La produzione certificata dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, in particolare, ha avuto nel corso dell’anno un andamento positivo nonostante alcuni mesi in flessione, chiudendo il 2021 con un incremento del +12,9% (4.485.096 kg) rispetto al 2020, anno che a sua volta si era già chiuso positivamente rispetto a quello precedente, con un incremento del +8,3%. Continua quindi la crescita di questa produzione italiana a cui i consumatori accordano sempre più la propria preferenza, in quanto riconoscono un salume di qualità superiore, dal gusto inconfondibile, prodotto con materia prima 100% nazionale (fonte: Consorzio Cacciatore Italiano). >> Link: salamecacciatore.it

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Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti

SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it


Salame di Varzi DOP: incremento della produzione del 14%, del fatturato del 20%, dell’affettato del 23% e dell’export del 15,4% Nonostante il perdurare per non dire l’aggravarsi delle difficoltà del periodo, il Consorzio di tutela del Salame di Varzi registra interessanti incrementi. La produzione per il 2021 del Salame di Varzi certificato DOP ha raggiunto, infatti, quantità di materia prima fresca di kg 671.550 (589.876 kg/2020) che ha corrisposto la produzione di 703.289 salami (634.338/2020) con un incremento rispetto al 2020 rispettivamente del 14% e dell’11%. Il valore del fatturato franco magazzino produzione si aggira intorno a € 7.252.740 che, comparato col fatturato del 2020 pari a € 6.018.000 registra un incremento del 20%. La quota export è stata di kg 17.004 di prodotto pronto (kg 14.822 UE, kg 2.182 extra UE). I Paesi toccati sono stati: Belgio, Francia, Lussemburgo e, paese non UE, la Svizzera. Rispetto al risultato 2020 di kg 14.728 si è registrato un incremento del 15,4%. «Gli ottimi risultati ottenuti nel 2021 dal Salame di Varzi DOP confermano il trend in costante crescita registrato in questi ultimi anni – dichiara il Presidente del Consorzio di Tutela del Salame di Varzi FABIO BERGONZI – è un risultato che ci rende fieri anche perché in controtendenza rispetto al comparto generale della salumeria. Questo vuol dire che il lavoro fatto dal Consorzio per promuovere il prodotto ha dato buoni frutti, rendendolo sempre più apprezzato da un segmento in crescita di consumatori affezionati e fedeli al prodotto di alta qualità. Sono valori positivi e significativi perché evidenziano come ci siano buone potenzialità per migliorare ancora la produzione in termini di quantità e di qualità. Questi risultati produttivi sono stati realizzati in un particolare momento di restrizione economica: il lockdown ha fatto registrare una forte contrazione specialmente nelle vendite verso il canale Ho.Re.Ca., che rappresenta un importante segmento di mercato, ma alla sua riapertura è stata registrata una netta ripresa, un notevole incremento che ha permesso di colmare il gap negativo che si era prodotto». Si conferma, inoltre, un incremento dell’affettato in vaschette preconfezionate. Sono state prodotte 558.572 vaschette in ATM mentre per lo stesso periodo del 2020, erano state 451.807, con un incremento di circa il 23%. Ciò dimostra che questa tipologia di servizio continua ad incontrare in maniera significativa il favore dei consumatori: coniuga l’alta qualità ed il gusto con la praticità di utilizzo ed una maggiore conservabilità. Il Salame di Varzi Il Salame di Varzi deve la sua qualità al dosaggio ottimale degli ingredienti accuratamente scelti, alle tecniche di lavorazione contadina che si sono affinate attraverso i secoli, pur mantenendo la loro originalità, e anche alla conformazione del territorio, favorito da quel microclima montano tipico della Valle Staffora tra la brezza marina ligure e l’aria fresca di montagna. L’insieme di queste condizioni ha permesso ai produttori di sfruttare l’instaurarsi di particolari processi enzimatici e la trasformazione biochimica del prodotto per il quale vengono utilizzate le parti più nobili del maiale, secondo le proporzioni stabilite dal Disciplinare di produzione. Salame a grana grossa, compatta, con la parte grassa ben bilanciata e di colore bianco, questa eccellenza per essere degustata al meglio, deve essere tagliata a fette spesse per cogliere a pieno l’aroma fragrante, leggermente speziato, così come la sua morbidezza, la delicatezza e dolcezza. Le origini risalgono a tempi antichissimi. La tradizione vuole infatti che già i Longobardi utilizzassero il salame come alimento preferito durante le proprie trasmi-

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grazioni sia per le caratteristiche di conservabilità sia per le indubbie proprietà nutritive. Successivamente il Salame di Varzi approdò nel XIII secolo alle tavole dei signori Malaspina che lo assunsero quale alimento nobile e prelibato, riservato agli ospiti più illustri della propria tavola. Nei secoli successivi, il Salame di Varzi prese via via a diffondersi tra il popolo: con l’ampliamento dell’allevamento suino, anche i contadini e gli agricoltori presero a consumare salame, disponibile in maggiori quantità. Il Salame di Varzi diventò così un alimento sempre più presente sulle tavole. Descrizione del prodotto Il Salame di Varzi è realizzato con carne di suino macinata e sapientemente mescolata a sale marino, pepe in grani e infuso di aglio in vino rosso. Nella lavorazione del Salame di Varzi vengono impiegati tutti i tagli di carne, anche le parti migliori, come la coscia. La materia prima è attentamente ed accuratamente selezionata per conferire al prodotto stagionato le caratteristiche di morbidezza e profumo che lo contraddistinguono. Al taglio si presenta di forma allungata (intendendo la forma della fetta del salame che deve essere tagliato a becco di clarinetto), consistenza tenera e colore rosso vivo. Il sapore è tipicamente dolce, delicato, e si combina ai profumi e agli aromi fragranti nonché caratteristici, strettamente condizionati dai tempi di stagionatura. Informazioni nutrizionali Il Salame di Varzi DOP grazie al contenuto di proteine, ferro, calcio e vitamine del gruppo B ed E costituisce un alimento molto importante per il suo apporto di elementi nutritivi e il suo alto valore biologico. Gli elementi costituenti per 100 grammi di Salame di Varzi DOP sono: Acqua g 34,2 – Proteine g 31,0 – Lipidi g 31,0 – Colesterolo mg 100 – Carboidrati mg 0,98 – NaCl g 3,7. Energia: kcal 412 – kj 1724. Spicca quindi la scarsa presenza di sale (NaCl g 3,7) che rende particolarmente dolce questo salume. >> Link: www.consorziovarzi.it

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BELLE BOTTEGHE

VISITA AL SALUMIFICIO ARTIGIANALE PASSAMONTI

SALAMI MORBIDI E RICETTE IDENTITARIE di Riccardo Lagorio

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n un piccolo paese marchigiano costruito di mattoni ocra, si nasconde una delle più preziose testimonianze di norcineria non compromessa dalla sfrenata ricerca di modernità e incrinata dai falsi miti della tecnologia. Si cela in un edificio del Settecento, Palazzo Rossi, proprio di fronte al casino di caccia La Palombara dei Marchesi Pelagallo. Era il 1956 quando Candido Passamonti, tornato dall’Australia, dove si era fermato qualche anno in cerca di fortuna, aprì un piccolo laboratorio di trasformazione di carne. E lì, tra l’Adriatico e i Sibillini, i nipoti Candido e Clotilde sono prosecutori di un’incantevole saga familiare dove i salumi vengono realizzati con metodi tradizionali, carni locali e senza l’uso di conservanti. Un indirizzo che va tenuto in buon conto se si passa da queste parti. Terra di ciauscolo, che qui chiamano salame morbido perché per vantare il nome (si tratta di una IGP) bisogna sottostare a regole che solo l’industria può seguire. Il loro salame morbido è, quindi, al pari di tutto ciò che si produce

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in queste tortuose stanze (il palazzo ha mantenuto la sua originaria struttura), privo di conservanti. La macinatura di spalla e pancetta è relativamente più grossolana che in altre aree dove storicamente si trova questo salume, in particolare la montagna. Più ci si avvicina al cuore dell’Appennino, più il salume è generoso di grasso. «Il Fermano è una zona più ricca rispetto alla montagna. Pertanto le condizioni economiche si sono incrociate con quelle climatiche e hanno dato vita a un salume che non necessariamente aveva una funzione energetica, ma di piacere. Quindi con l’aggiunta di più carne e addizionando poi solo aglio, sale, pepe e un pizzico di scorza d’arancia». C’è anche la versione in vasetto, che andrebbe definita “crema di suino spalmabile” e va strofinata sul pane caldo. Chi ama i sapori forti può scegliere l’adattamento con peperone e peperoncino. Nella coppa di testa, altro prodotto clou dei fratelli Passamonti, si protrae il profumo di agrumi con un tocco di scorza di limone, accompagnato da

mandorle, noce moscata e olive tenere d’Ascoli. «Ogni prodotto di salumeria ha un proprio condimento, una propria identità» sottolineano i Passamonti. Dettaglio non sempre facile da riscontrare nella elaborazione dei salumi in quanto i preparati di spezie imperversano un po’ ovunque. Facilità d’impiego o incapacità di formulare una propria ricetta? Difficile a dirsi: certo è che queste scorciatoie vanno a favorire la standardizzazione dei salumi. «Ogni prodotto deve avere un proprio gusto» rimarcano. La produzione vanta poi salami lardellati, lonze, lonzini e il salame di fegato. In questo caso il fegato suino è pari a circa il 6% dell’impasto totale, che segue la ricetta del salame spalmabile con una porzione maggiorata di scorza d’arancia. Tutto riporta a un perfetto equilibrio di parti morbide e compatte, di aromi regolati da antiche gestualità. Una squisitezza locale è il salame arricchito da semi d’anice dal vicino borgo di Castignano e peperoncino. Il prodotto di punta del piccolo laboratorio è il prosciutto stagionato per

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In alto: a sinistra, il centro storico medievale di Monte Vidon Combatte. A destra, alcuni salumi del Salumificio artigianale Passamonti. In basso: la crema di suino spalmabile, perfetta sul pane caldo. un minimo di 18 mesi. All’assaggio si registra un piacevolissimo incontro di dolcezza e sapidità con un delicato sentore di affumicato dato dal legno aromatico arso nel grande camino della sala asciugatura. Un metodo

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lento e complicato ormai pressoché in disuso ovunque che conferisce dal gusto inconfondibile soppiantato da camere a temperatura e umidità controllate, sicuramente più comode e rapide ma che non riportano agli stessi risultati.

Nell’antico granaio, trasformato in sala di stagionatura, i pavimenti sono in cemento per permettere la traspirazione e la riproduzione delle muffe utili alla stagionatura. «Ad Ancarano, all’interno di una ex tartufaia, si sta allevando il suino nero d’Abruzzo. Viene cresciuto allo stato semibrado e le carni risultano più marezzate del suino bianco. Il sapore è più intenso e la carne appare più matura». Fattosi prosciutto, lo si riconosce a prima vista dallo zampetto lasciato intero. In bocca è una leccornia che esprime al meglio la marezzatura, dolce e sapida, e lo stile totalmente artigianale della casa. Nella macelleria, di non meno importanza, carni fresche e salsicce che attendono solo di essere messe sulla griglia. Riccardo Lagorio Salumificio Passamonti Via G. Leopardi 10 63847 Monte Vidon Combatte (FM) Telefono: 0734 656109 E-mail: cpassamonti@libero.it Web: facebook.com/passamontisalumi

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Salumi Passamonti

ED È SUBITO L’ORA DELLA MERENDA MARCHIGIANA Salame morbido, così tenero, così buono. Un salume prodotto con metodo tradizionale, senza coloranti, senza nitriti né nitrati, e insaccato in budello naturale. La carne proviene da suini locali allevati allo stato semibrado. Dopo l’asciugatura e la linea fumo, viene stagionato per 15 giorni circa, il tempo necessario alla comparsa delle prime muffe. Questo permette l’abbattimento di eventuali cariche batteriche. Il risultato? Sapore deciso e intenso, che racchiude tutta la sua genuinità e qualità artigianale.

Per la loro coppa marchigiana al Salumificio Passamonti seguono da oltre 60 anni la ricetta del nonno Candido, che prevede parti meno nobili del suino con l’aggiunta di un po’ di muscolo e aromi naturali: olive verdi, scorza di limone, mandorle, sale e pepe. Per il tipo di carni utilizzate nella preparazione è considerato un insaccato povero ma straordinariamente ricco di sapori. Prodotto nel periodo più freddo dell’anno, non necessita di stagionatura in quanto cotto.

Il Salame con lardello nasce dalla macinatura semi fine di carne magra di suino selezionata e un’alta percentuale di prosciutto. Vengono successivamente aggiunti solo pochi e semplici ingredienti come il lardello tagliato a cubetti al coltello, sale, pepe in grani e aromi naturali. Anche questo insaccato, come tutta la salumeria di produzione Passamonti, non contiene coloranti né conservanti o allergeni. L’insacco avviene in budello 100% naturale. Dopo l’asciugatura e la linea fumo, viene stagionato almeno 60 giorni.

Il Salame fegatino è un tipico salume marchigiano, prodotto solamente con alta percentuale di fegato di suino, sale e pepe. Insaccato in budello 100% naturale, è prodotto senza coloranti né conservanti o allergeni. Dopo l’asciugatura e la linea fumo, viene stagionato almeno 60 giorni.

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


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PRODOTTI TIPICI

SANGUINACCI, beni culturali da salvare di Giovanni Ballarini

ettemmo sulla brace questi budelli di capra, per cena, li mettemmo dopo averli riempiti di grasso e di sangue”, scrive OMERO nell’Odissea (Libro XVIII, versi 43-44), testimoniando che circa

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2800 anni fa, nella reggia di Itaca, i Proci mangiassero sanguinacci cotti alla brace. I sanguinacci sono un’usanza molto remota: nell’antica Roma sono mangiati in onore di Fauno, dio della fertilità e dei boschi in occasione della festa dei Lupercalia, e li troviamo citati

nella letteratura latina da PETRONIO ad APICIO. Nel primo Medioevo questo insaccato è più volte vietato a causa del suo rapporto con le tradizioni pagane e, attraverso le diverse età, arriva fino a noi diversificandosi a livello regionale, come dimostrano le

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numerose denominazioni locali. Oggi però le preparazioni a base di sangue, che per comodità espositiva si possono riunire nella denominazione generica di sanguinacci, non trovano un grande apprezzamento. Certamente i gusti sono cambiati e le generazioni più giovani in particolare, con una maggioranza della parte femminile, sempre più propendono verso un immaginario alimentare dove predominano le carni bianche del pollame e il suino leggero e dove hanno successo salumi con sapori e aromatizzazione leggeri. Anche se in regressione, preparazioni culinarie e salumiere a base di sangue, variamente composte e preparate, salate o dolci, sono ancora diffuse in tutta Italia e, quasi come cibi etnici, hanno un certo successo in sagre e feste popolari dove estimatori e curiosi possono ancora goderne nelle loro due principali tipologie: i sanguinacci veri e propri, insaccati in budello, vescica o stomaco, e i migliacci, ovvero torte, frittelle, pasticci a base di sangue. Tra divieti e regole Tra i sottoprodotti della macellazione degli animali e i componenti del quinto quarto il sangue è forse quello che fin dall’antichità pone dei problemi che si manifestano in tabù, divieti e regole che riguardano il suo uso alimentare e che si manifestano anche nelle denominazioni attribuite ai piatti e alle preparazioni stesse. Alcune religioni proibiscono di bere e di mangiare sangue o cibo a base di sangue. Nell’Islam il consumo di sangue è proibito perché considerato impuro, per gli Ebrei perché la vita dell’animale è nel sangue. Anche ai partecipanti della Iglesia in Cristo e ai Testimoni di Geova è proibito mangiare o bere il sangue. Ai Cristiani dei primi secoli è ordinato di astenersi dal consumare il sangue, ma poi la prescrizione cade in disuso. In alcune culture il sangue è un alimento tabù, in molte altre il sangue è cibo di per sé o combinato con la carne sotto forma di salsiccia o insaccato, come addensante per salse, polimerizzato in forma salata per periodi di scarsità di cibo o in zuppa o altra forma (sangue fritto, torta con sangue, ecc…), tenendo conto che ha bisogno di essere rapidamente consumato o trasformato.

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Statua dedicata al dio Pan, fauno per la mitologia romana, rappresentato da un essere metà uomo e metà capra. Era anche chiamato “Luperco”, in qualità di difensore delle greggi e degli abitanti della campagna dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (photo © zwiebackesser – stock.adobe.com). Salumi contenenti sangue Già in raffigurazioni medievali si vede la raccolta del sangue dall’animale appena macellato. Il sangue è il sottoprodotto più importante di macellazione, considerando che rappresenta dal 10 al 13% del peso dell’animale. Il sangue è prevalentemente costituito da acqua e proteine e talvolta è stato chiamato carne liquida, perché la sua composizione è simile a quella della carne magra. Alcune popolazioni si nutrono col sangue da animali in vita, ad esempio i cammelli, prelevandolo e bevendolo direttamente dalla loro vena giugulare. Frazioni di sangue animale sono utilizzate in medicina umana. Molte popolazioni hanno sviluppato salumi per la conservazione e l’utilizzo del sangue dei diversi animali e abbondanti sono le ricette per l’uso del sangue

in cucina, ma in questa esposizione daremo solo cenni sui salumi italiani esclusivamente o prevalentemente preparati con sangue di maiale. Abbiamo numerosi esempi naturalmente anche in altri Paesi, come il Blutwurst tedesco, la morcilla spagnola, la morcela portoghese, il black pudding britannico, il mustamakkara finlandese, il blodpudding svedese e il sundae coreano. Piemonte-Val d’Aosta, Bodin piemontese, Boudin valdostano, Birölt valtellinese In Piemonte e nell’area alpina dell’Alta Valtellina il sangue del maiale è mescolato con pane, o patate o riso, barbabietole e spezie e consumato cotto insieme alla polenta o insaccato per farne salsicce.

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marmellata. Nella zona del Vulture il sanguinaccio dolce è preparato con l’aggiunta di cioccolato fondente, vaniglia, cacao amaro e cannella. Nella cucina del Nord della Campania e in quella molisana il Ru Sanguanatu, o Le Sanghenàte, è preparato aggiungendo al sangue, riso, cacao, pinoli, bucce d’arancio, uva passa. Puglia, Lu sangunazz, Ù sangùnét Per la preparazione de Lu sangunazz il sangue è unito all’intestino e il tutto è cotto e insaccato per essere poi tagliato a fettine e mangiato. Ù sangùnét è composto di intestino e sangue, cotti e poi serviti, a fette, sul mitico pane. Sicilia, Sangeli In Sicilia il sangue è usato per una preparazione salumiera simile a quelle pugliesi.

Buristo (photo © www.kingofood.com). Lombardia – Marzapane, Sanguinaccio lombardo In Lombardia il sangue del maiale mescolato con pane o patate e spezie è denominato Marzapane mentre nell’Alta Val Camonica il sangue è insaccato con una pasta simile a quella del cotechino, denominato Sanguigni o Sanguignino, e consumato in due modi: lessato insieme ad altri salumi (come il cotechino) e patate, oppure seccato in cantina e mangiato dopo qualche mese di essiccazione. Nel sanguinaccio lombardo il sangue di maiale è unito a pane o patate e spezie varie con inesauribili varianti, a seconda del luogo di produzione; il sapore è dolciastro e speziato.

della Garfagnana, prodotto in diversi comuni delle province di Lucca, Carrara e Pistoia, è composto da cuore, lingua e cotenne di maiale cotti in una caldaia per circa un paio d’ore; si aggiungono poi piccoli pezzi di lardo, naturalmente il sangue e le spezie (sale, pepe, cannella, noce moscata, coriandolo e chiodi di garofano). Il Mallegato di San Miniato vede mescolati con il sangue crudo lardelli, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa. Il Buristo di Chiusdino è composto da tutte le parti della testa del maiale disossate, qualche lardello a cubetti e sangue filtrato e per regolare la sapidità limoni, bucce d’arancia, salvia e aglio il tutto insaccato nello stomaco dell’animale.

Liguria, Beroldo In Liguria il sangue serve per la preparazione di un insaccato unitamente a pinoli, sale, latte non scremato e cipolle.

Calabria, Sangiari Il Sangiari è preparato con sangue di maiale, ricotta o vino cotto. Nell’area di Sibari si prepara una crema cotta a base di sangue fresco di maiale, cacao in polvere, noci e o uva passa.

Toscana, Mallegato o Biroldo, Buristo In Toscana la ricetta del Mallegato o Biroldo prevede il sangue con l’aggiunta di varie spezie tra cui i semi di finocchio selvatico. Nel Senese è preparato un insaccato chiamato Buristo. Il Biroldo

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Basilicata, Sanguinaccio dolce, Ru Sanguanatu o Le Sanghenàte In Basilicata il sanguinaccio dolce è conservato in barattoli come per la

Sanguinacci dai molti nomi Molte sono le denominazioni italiane dei sanguinacci che sono state oggetto di accurate e dettagliate ricerche da parte di linguisti, e tra questi anche da MICHELE BURGIO (Burgio M., Quando la lingua si colora di rosso. Il sanguinaccio. Sanguinacci e migliacci, in: ARCANGELI M., a cura di, Peccati di lingua, Le 100 parole italiane del Gusto, Rubbettino Editore, 2015), che dimostrano l’antichità di questi alimenti e quindi il loro valore culturale oltre che alimentare e gastronomico. Un rapido esame dell’origine dei nomi aiuta a comprendere meglio il vasto e complesso mondo alimentare dei sanguinacci. Sanguinaccio ha un’etimologia trasparente e costruita sul latino sanguine (m) con l’aggiunta del suffisso -aceus, con l’antico valore neutro indicante in questo caso la qualità. Boudiun, bodin, budino L’etimologia del termine “budino” deriva dal latino botellus (peraltro termine non propriamente romano, ma di origine osca), le budella di animale che si usano per preparare ancora oggi salsicce o budini di conserve salate. Dal diminutivo volgare botellinus deriva il francese boudin, che in origine indicava una preparazione che ora definiamo di salumeria, termine quest’ultimo che fino al 1700 era quasi esclusivamente riservato al pesce salato.

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Pieter Brueghel il Giovane (1564–1638), Autunno, Museo nazionale d’arte rumena, Bucarest. Il Ménagier de Paris, manoscritto di economia domestica del XIV secolo e considerato il maggior trattato culinario francese del Medioevo — d’interesse storico e linguistico oltre che culinario —, descrive ricette per un boudin blanc (salsiccia) e un boudine noir (sanguinaccio), che nella cucina inglese diventa il black pudding. Solo durante il XVIII secolo vi sarebbe stata l’evoluzione nelle tipologie oggi conosciute di budini dolci. Il termine italiano budino è un adattamento dell’inglese pudding (pudino o puddingo), sul quale in seguito influisce probabilmente anche il francese boudin; in italiano per la prima volta appare nel 1808 la forma bodino e nel 1892 quella attuale. Nel Dizionario Moderno (1905) di ALFREDO PANZINI troviamo la seguente definizione: budino, dolce col sangue. Biroldo, beroldo Forse per metatesi dal latino birotulus (donde birotilo, birotolo, birolto, biroldo), formato da bi(s), due volte, e rotulus, da rotulare, volgere in giro, e propriamente rotolo di salsiccia, budello ripieno di sangue e altri ingredienti e cotto nell’acqua. Discutibile è un’origi-

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ne del termine per metatesi da bilordo (doppiamente lordo). Buristo Buristo (buristio, burischio, buricco) è parola in uso in toscana e probabilmente di origine germanica, ma le circostanze esatte della sua diffusione sono oscure. I linguisti CARLO BATTISTI e GIOVANNI ALESSIO suppongono una derivazione dal Trentino, o da brust, adattamento del tedesco wurst (salsiccia, salume) e soprattutto da blutwurst (sanguinaccio), mentre GIACOMO DEVOTO propende per un’origine diretta dal tedesco. Barbusti e Brigaldo sono denominazioni venete. Nel Vicentino i barbusti sono salsiccioni preparati con sangue, interiora e scarti di seconda scelta, mentre nel Veronese il sanguinaccio dolce di sangue, latte e zucchero è detto brigaldo o brigaldolo, voce antica e registrata nel 1450, da accostare a biroldo. Busecchin contenente sangue è denominazione che deriva da busecca, voce regionale di più ampio significato entrata nell’uso e da ricondurre all’arabo Būzaqq, con significato di pancione.

Boldóne è voce regionale d’area lombardo-veneta per diversi tipi di sanguinacci, per lo più dolci, come il veneziano Boldón, che forse deriva dal latino botulum. Marzapane Odiernamente il termine marzapane indica una pasta dolce di mandorle pestate e zucchero, alla quale viene data consistenza con albume d’uovo. L’etimologia della parola, massepain in francese, marzipan in tedesco, da tempo ha posto interrogativi e ha un’origine ancora contestata e tra le altre quella di Pane di San Marco. Una delle ipotesi più accreditate è una derivazione dall’arabo marṭabān, originariamente nome di una moneta, poi di una misura di capacità e, in seguito, del contenitore in cui si conservava il dolce, dal nome della città indiana di Martaban. Negli anni Quaranta del secolo XIV si trova traccia del termine, forse d’origine araba, in varie forme romanze, in Italia e in Provenza, per designare una scatola per dolciumi e i dolciumi stessi. Misterioso è il passaggio della parola per definire un salsicciotto contenente sangue.

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Il black pudding è un tipo di sanguinaccio britannico e irlandese. Si prepara col sangue e lo strutto di maiale o il sego di manzo e cereali, in genere avena, semola od orzo. È tradizione consumarlo durante la classica colazione ripassato in padella, con pane, pomodori, uova e fagioli (photo © beataaldridge – stock.adobe.com). Mallegato, termine noto sin dal XVIII secolo, è composto da male e legato perché, a differenza del salame, non è legato fisso. Sambudello è parola dell’area appenninica tosco-romagnola (zambudèl in romagnolo) e composta da sangue e budello. Sangiere è termine presente nelle regioni italiane meridionali giungendo fino alla Sicilia

per sanguinacci di sangue di porco e la voce è forse da ricondursi al francese antico sanglier, da cui anche il termine di cinghiale. Sanguinacci a rischio di estinzione I salumi e le ricette tradizionali contenenti sangue fin dai tempi più remoti sono par-

te della dieta italica e sono rarità in via di estinzione da salvare. Anche per questo è nata l’Associazione dei Sanguinacci di San Miniato che ha lo scopo di preservare dall’oblio gastronomico nello specifico il mallegato, salume nobile e povero allo stesso tempo. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

Sanguinacci in letteratura Matilde Serao, Il Paese di cuccagna “La enorme quantità di sanguinaccio rustico e sanguinaccio dolce, sanguinaccio nel budello bigio e sanguinaccio nel piatto, tutto cosparso di pezzettini gialli di Pan di Spagna: il sangue di maiale, cioè, unito al cioccolatte, al pistacchio, alla vaniglia, al cedro, alla cannella e presentato in una forma umile e leggiadra, dove la sua grassa brutalità era scomparsa. Nelle retrobotteghe si pesava la cannella, si affettavano cedri, si sbucciavano pistacchi, si cuocevano confetti e confettoni, bianchi e colorati, i forni ardevano, le fornacelle erano roventi, le caldaie bollivano e gorgogliavano”. Grazia Deledda, Marianna Sirca “«Tuo padre mi ha fatto ammazzare una pecora: dimmi cosa devo cuocere, e se devo preparare anche il sanguinaccio. Ti avverto però che non ho il mentastro; ho solo due foglie d’alloro, eccole». Gliene fece vedere fra le dita insanguinate, e lei andò a prendere anche il sale, il cacio e un poco di pane di orzo triturato. Il tutto fu mischiato al sangue raccolto nel ventricolo della pecora, pulito come una borsa di velluto: e il ventricolo fu poi cucito con un ago di canna e messo a cuocere sotto un mucchio di cenere calda. […] Dopo l’arrosto il servo tolse il sanguinaccio di fra la cenere, lo pulì un poco, lo spaccò, e di nuovo porse il tagliere a Marianna. «Metti il sale»”. Grazia Deledda, Cedro del Libano “I macellai, dopo aver squartato il porco, dividendo il bianco dal rosso, versando il sangue raddolcito dallo zucchero e dallo zibibbo nei budelli più grossi, s’incaricavano di arrostire allo spiedo il miglior pezzo di filetto; e prendevano parte al banchetto alla tavola dei padroni; e, andati via loro, alla sera, il profumo del sanguinaccio cotto sembrava quello di un dolce da sposalizio”.

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L’ARGJEL FRIULANO Lardo tritato e speziato, è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale tipico di una ristretta area alpina del Friuli Venezia-Giulia di Roberto Villa

n un territorio di montagna con inverni lunghi e rigidi, dove dominano il muset (locale denominazione del cotechino) consumato con le brovade (rape bianche lungamente macerate sotto le vinacce, poi macinate e cotte) sono molte le preparazioni che nei secoli hanno portato a conservare la carne dei suini, allevati nei rigogliosi boschi di latifoglie che ricoprono le pendici a media quota.

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Storia e legame col territorio Posta agli estremi lembi settentrionali della provincia di Udine, poco lontana dal passo del Tarvisio e dal confine

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di Stato, la comunità montana Canal del Ferro e Val Canale si trova ad un crocevia storico che ha visto un susseguirsi di passaggi, dominazioni, guerre. Tralasciando i trascorsi più lontani dei Celti, degli Illiri e dei Romani — durante il cui dominio fu un fiorire di costruzioni dedicate all’assistenza per gli eserciti e per i viandanti diretti verso il Regno del Noricum, poi provincia dell’Impero (corrispondente grosso modo all’attuale Austria) — in tempi più recenti si può ricordare che per lungo tempo la Val Canale ricadde nella giurisdizione del vescovo di Bamberga (Baviera) mentre il Canal del Ferro apparteneva invece

all’area italiana, con i feudi patriarcali dell’Abbazia di Moggio Udinese prima e con la Carnia di amministrazione veneziana poi. Per i quattro secoli del dominio della Serenissima, il confine con i territori austriaci passò proprio per Pontebba, uno dei comuni che fanno parte della Comunità. C’era allora una Pontebba veneta e una Pontebba imperiale (Pontafel), separate dal torrente Pontebbana; Pontafel prese il nome di Pontebba Nuova nel 1918 con l’annessione all’Italia e venne unito a Pontebba nel 1924. La lunga storia legata a questa preparazione tradizionale trova un rife-

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A sinistra: le Alpi Giulie viste dal Monte Santo di Lussari e il paesino di Camporosso in Valcanale, Tarvisio (photo © Alberto Masnovo – stock.adobe.com). In alto: l’argjel friulano (photo © www.de-gusto.it).

rimento bibliografico della consuetudine di preparare e consumare l’argjel nel libro di COSSAR, “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929. Si tratta di un metodo tradizionale ampiamente radicato di stagionatura e conservazione del grasso di suino per la stagione fredda. Descrizione del prodotto, ricetta e occasioni di consumo L’argjel è un alimento senza troppi fronzoli nella sua semplicità: lardo di maiale speziato e macinato, si presenta come una poltiglia conservata

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in contenitori di vetro, sotto uno strato di sale. I tranci di lardo vengono posti in speziatura con sale, pepe e foglie di alloro prima di essere affumicati (fumâts) e posti in stagionatura per circa due mesi. Successivamente il lardo viene macinato, posto in vasi di vetro e ricoperto nella parte superiore da uno strato di sale, che all’impiego viene separato dal lardo. La prima fase di preparazione dei tranci viene eseguita nei locali casalinghi normalmente utilizzati anche per le operazioni connesse alla macellazione dei suini per uso famigliare. Durante la fase di stagionatura il prodotto viene conservato in un locale aerato, ad esempio una cantina dotata di sufficiente ricambio d’aria. Si può consumare come aperitivo abbinato a pane o verdure oppure impiegato come ingrediente di piatti della cucina locale. Abbinamenti gastronomici ed enologici Classico è il lidric cul argjel (radicchio condito con il lardo sotto sale) dove il lardo è un’alternativa all’uso dell’olio per condire il radicchio. Questo deve essere una varietà sufficientemente coriacea e a colletto duro, tipo grumolo verde o triestino, onde evitare un eccessivo avvizzimento. Si prevede

la sostituzione dell’olio con la fusione dell’argjel per poi versarne il tutto sul radicchio lasciato intiepidire vicino a una fonte calda. Altrettanto semplice e saporito l’argjel spalmato sul pane, gustato da solo oppure accompagnato con altro salume affettato; o ancora fuso nella polenta per conferire un originale sapore e una consistenza cremosa. Si può infine impiegare come condimento al posto del burro o del lardo teso, ad esempio si può azzardare di sostituire l’olio per la classica jota, minestra di crauti, fagioli e patate – con buona pace della ricetta ufficiale codificata nel 2003, registrata con atto notarile, depositata presso la Camera di Commercio di Trieste ed elaborata dall’Accademia della Cucina Italiana. L’abbinamento con il vino dipende da come l’argjel viene consumato: si può spaziare da una aromatica Ribolla Gialla DOC ad un più mandorlato ed erbaceo Tocai Friulano DOC fino ai rossi di medio corpo come il Refosco Friuli Grave DOC. Oltre al vino si può provare l’accostamento con il sidro di mele, bevanda alcolica anticamente consumata nelle valli alpine friulane più isolate come la Valle Resia dove non cresceva la vite. Roberto Villa

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Cherry passion La Moretta di Vignola è una delle varietà più antiche di ciliegie, presente nel territorio modenese da fine ‘800. A rischio di scomparsa, dal 2018 è sostenuta dal presidio Slow Food. La caratterizzano il colore scuro e brillante e la straordinaria dolcezza. Da mangiare così, una dopo l’altra, pescando con le dita direttamente dal cestino, in composta e, da oggi, anche da bere, grazie a Roteglia 1848 di Gaia Borghi 92

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l termine “hanami” (letteralmente “guardare i fiori“) si riferisce all’usanza tradizionale giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi, in particolare di quella dei ciliegi. Anche in Italia lo si può fare, dal Piemonte al Veneto alle Marche, passando per Emilia-Romagna. In provincia di Modena, ad esempio, il comune di Vignola — noto per aver dato i natali al più celebre architetto del Rinascimento, Jacopo Barozzi, detto appunto Il Vignola, e per la Torta Barozzi, un dolce golosissimo a base di cioccolato la cui ricetta originale, segretissima e con tanto di marchio registrato, è nota solo ai discendenti del pasticciere che la creò e che portano avanti tuttora il negozio di famiglia, la mitica Pasticceria Gollini — dedica da anni una festa speciale alla spettacolare fioritura di queste piante che abbelliscono la Valle del Panaro. Le ciliegie sono le regine della produzione agricola delle “Terre

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di castelli” e la loro coltivazione ne ha profondamente segnato il paesaggio, l’economia e la storia. Tesoro tra i tesori, la Moretta, anche conosciuta come Mora o Ciliegia nera, è la più antica varietà di ciliegie di Vignola, autoctona emiliana e presente sul territorio modenese dalla fine dell’Ottocento. I suoi frutti sono piccoli, la buccia è sottile, lucida, di colore quasi nero a completa maturazione. La polpa è tenera, succosa, mentre il sapore, avendo un grado zuccherino elevatissimo, è dolce e molto aromatico. Diffusasi commercialmente nei primi anni del ‘900, è stata nel tempo sostituita da cultivar che entravano in produzione più rapidamente, avevano calibri più sostenuti (le piante “monumentali” della Moretta necessitavano di scale di 12 o 15 metri per essere raccolte, causando ogni anno ferimenti e cadute mortali) e producevano frutti con caratteristiche più adatte alla conservazione e al commercio.

In alto: la visione della Rocca di Vignola tra i ciliegi in fiore e il Cherry di Ciliegia Moretta di Vignola di Roteglia 1848, ultimo nato in casa dell’opificio sassolese, con la collaborazione della condotta locale Slow Food. Ben visibile sulla bottiglia l’Etichetta narrante, che contraddistingue tutti i presidi Slow Food e con la quale si raccontano le specificità del prodotto e il perché della sua tutela.

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Cocktail Ducale (Ideatore: Matteo Paradiso, Salotto Regina, Sassuolo, MO) Il Cocktail Ducale, una rivisitazione del Whiskey sour con una nota di ciliegia Moretta, nasce dalla creatività di Matteo Paradiso, capo barman di Salotto Regina di Sassuolo (MO), e dal desiderio del titolare del locale, Mirco Zanoni, di collaborare con aziende del proprio territorio. “Ciliegina” sulla torta è in questo caso proprio l’incontro con Roteglia 1848, un’azienda legata alle tradizioni ma con un occhio alla contemporaneità, e il suo Cherry di Ciliegia Moretta di Vignola, tutti elementi che si uniscono in un’amorevole miscelazione (photo © Janine Billy). Ingredienti • 2 cl di Cherry di Ciliegia Moretta di Vignola Roteglia 1848 • 3,5 cl bourbon whiskey • 3 cl lime • 1,5 cl zucchero liquido • 1,5 cl albume Preparazione Shakerare il tutto prima senza ghiaccio e poi con ghiaccio, versare in un bicchiere pieno di ghiaccio e aggiungere 2 cl di Cherry.

“Salviamo la Moretta” Proprio per salvare dall’estinzione questa varietà di ciliegia, così preziosa anche dal punto di vista storico e sociale per i suoi luoghi d’origine, nel 2018 Slow Food ha costituito il presidio a lei dedicato, ponendosi l’obiettivo di salvaguardarne la coltivazione fatta con metodi tradizionali e soggetti a regole ben precise stilate in un Disciplinare — a cui i produttori aderenti devono sottostare —, guidato dal rispetto per l’ambiente e per la salute dei consumatori. Le regole vanno dal divieto di usare prodotti di chimica di sintesi per il diserbo, alla raccolta, cernita e confezionamento che devono avvenire in modo interamente manuale. Oltre a ciò, il presidio, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari (DISTAL) dell’Università di Bologna e il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ha in progetto di piantumare 5.000 nuovi alberi entro il prossimo decennio. Del presidio Slow Food Ciliegia Moretta di Vignola fanno parte una ventina di produttori, tra cui Maria e Roberto dell’Azienda Agricola Bernardoni, sui cui terreni, nelle giornate di visita aperte al pubblico, è possibile ammirare la bellezza di queste piante e ascoltare dalla loro viva voce i motivi di certe scelte, romantiche per certi aspetti, assolutamente vitali dal mio punto di vista, tra fotografie d’epoca e un paesaggio incantato, con la Rocca in lontananza a dominare dall’alto la vostra passeggiata tra i ciliegi. Il Cherry di Roteglia 1848 Come si mangiano le Morette? Così, al naturale, “prelevandole” dal cestino, rigorosamente non in plastica, una dopo l’altra, senza soluzione di continuità, all’inizio di giugno, a volte anche solo per poco più di una settimana. Oppure in composta, tutto l’anno. Oppure? Oppure le Morette… si bevono. Da queste incredibili ciliegie è infatti nato il Cherry di Ciliegia Moretta di Vignola di Roteglia 1848, Opificio Liquori in Sassuolo (MO). «Il nostro Cherry — che si pronuncia con la C, proprio come “ciliegia” in lingua inglese, e non è da confondersi con lo Sherry, vino liquoroso spagnolo, NdR — è un progetto che parla di amore per il territorio, di biodiversità e stagionalità

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e di collaborazione basata su reciproca stima tra persone che hanno una visione comune» mi racconta Francesca Rivi, cofondatrice di Roteglia 1848 insieme a Andrea Silvestri, mastro liquorista dell’azienda, che ho conosciuto in occasione dell’evento “Dal fiore allo Cherry”, realizzato proprio per avvicinare i consumatori a questa varietà di ciliegia. «La Moretta è un frutto meraviglioso, che abbiamo sempre amato entrambi per cultura familiare, Andrea soprattutto, preparandone in casa la composta, stante la grande dolcezza e delicatezza del frutto che lo rende più adatto a questo tipo di preparazione rispetto ad altre ciliegie o alle amarene. Qualche tempo fa ne abbiamo acquistati un paio di chili in più, decidendo di sottoporli a macerazione: erano quelle, tra l’altro, le prime prove in autonomia fatte in questa direzione, l’inizio di un percorso che ci ha portato a mettere sotto spirito qualsiasi cosa!, le spezie, le botaniche, tutto ciò che oggi insomma ci può servire a preparare i nostri liquori in completa autosufficienza. Il risultato ottenuto è stato stupefacente e a quel punto, coltivando io da tempo il desiderio di fare qualcosa con un prodotto rappresentativo del territorio, abbiamo iniziato a fare delle ricerche più approfondita sulla Moretta,

scoprendo il Presidio Slow Food guidato da RICCARDO MARINELLI. Riccardo ha da subito proposto il nostro progetto alla sua condotta, che lo ha accolto con grande entusiasmo, e così abbiamo dato il via alla produzione. Nel giugno dell’anno scorso abbiamo messo in macerazione i primi 60 kg di ciliegie Moretta, dai quali sono uscite 500 bottiglie, numerate: la produzione di Cherry sarà infatti sempre limitata, vista la produzione altrettanto limitata di Moretta». Come si prepara il Cherry? «Innanzitutto ritirando il raccolto dai produttori aderenti al presidio, nella prima settimana di giugno, quando i frutti di Moretta esprimono il massimo della loro maturità. Dai frutti abbiamo tagliato il picciolo, lasciandolo minimo, così che resti a copertura del nocciolo interno e, al contempo, la parte verde non vada ad inficiare troppo con la parte liquorosa. Abbiamo poi messo le Morette in alcool a 96 gradi e le abbiamo lasciate in macerazione 6 mesi. Alla fine di novembre abbiamo estratto le ciliege, ottenendo un liquido di colore rosso-violaceo intenso, che abbiamo separato dai frutti. A parte, le ciliegie sono state torchiate, così da estrarne tutto il succo rimasto al loro interno e tutta una serie di sostanze utili alla “costruzione” del liquore stes-

so. Abbiamo infine aggiunto acqua e zucchero, fine. Come vedi, si tratta di un percorso molto semplice, come “semplice” è tutta la nostra produzione liquoristica, dove questo termine sta a significare artigianale, con poche materie prime, lasciate al naturale. Le stesse caratteristiche che ha il nostro Nocino, ad esempio, il fiore all’occhiello della nostra gamma di liquori, che resta in macerazione due anni». Avendo un presidio Slow Food al suo interno, anche il Cherry di Roteglia 1848 può fregiarsi del marchio Slow Food e dell’Etichetta narrante, che contraddistingue tutti i presidi e i trasformati che li contengono e con la quale si raccontano le specificità del prodotto e il perché della sua tutela. «La collaborazione con Slow Food ci piace ed è proficua sotto tanti aspetti e stiamo persino pensando ad un altro prodotto con la Moretta» puntualizza Francesca. Com’è il Cherry? Un vero e proprio concentrato di Moretta, da sorseggiare da solo o da usare per creare cocktail, così far durare il più a lungo possibile il sapore di questa “regina” delle ciliegie. Gaia Borghi >> Link: www.ciliegiamoretta.it www.roteglia1848.it

La Ginja, liquore portoghese di visciole La Ginjinha, chiamata anche semplicemente Ginja, è un liquore prodotto in Portogallo tramite l’infusione delle visciole (Prunus cerasus var. austera, in lingua portoghese ginja), un piccolo frutto rosso simile all’amarena dal sapore agrodolce, in alcool (aguardente), aggiungendo una grande quantità di zucchero e altri ingredienti come la cannella. Nei tempi antichi, i monaci impiegarono la visciola, arrivata in Portogallo dall’Asia nel XV secolo, per farne infusioni usate a scopo medicamentoso e tuttora la Ginja, considerata la bevanda ufficiale della città di Lisbona, ha fama di essere un miracoloso “rimedio della nonna” per sconfiggere ogni genere di malanno. La ricetta ufficiale pare sia stata creata nel piccolo ma caratteristico bar “A Ginjinha”, non distante da Plaza Rossio, aperto a Lisbona nel 1840 da Francisco Espinheira e gestito dalla stessa famiglia da ben 5 generazioni. Il locale non dispone di posti a sedere ma offre l’opportunità di assaggiare la versione più accreditata del liquore, che si serve liscio o guarnito con visciole sotto spirito (“com” e “sem”). Se in tutti i bar del Portogallo è possibile bere un bicchiere di Ginja, vi consigliamo però di provare la Ginja D’Obidos, recandovi proprio a Obidos, cittadina fortificata medievale tra le più pittoresche e meglio conservate del Paese, ad una sola ora di macchina dalla capitale. Il centro storico, arroccato in cima ad un collina dominata dal castello duecentesco, è un labirinto di viuzze ciottolate e casette bianche, con balconi ornati di fiori, porte colorate e decorazioni manueline. Anche qui la Ginja viene servita in bicchierini di terracotta o in tazzine, spesso realizzate in cioccolato fondente (in foto), un mangia e bevi solo per adulti.

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Hanami made in Italy In Giappone nei mesi di marzo e aprile prende vita uno spettacolo magico: tanti piccoli fiori rosa e bianchi rivestono le chiome ampie degli alberi di ciliegio, creando una sorta di grande ombrello profumato sotto cui fermarsi. È l’hanami, la fioritura dei ciliegi. Un periodo dell’anno talmente importante che i giorni in cui i petali dovrebbero sbocciare nelle diverse regioni vengono annunciati assieme alla previsioni del tempo. E gli alberi di ciliegio sono quasi sacri: secondo la leggenda sarebbero la personificazione della divinità Konohana-Sakuyahime, figlia del dio della montagna e simbolo di delicatezza e nuova vita. Ma sarebbero anche il tramite fra il mondo dei vivi e l’al di là: se si vuole parlare con un proprio caro scomparso, infatti, il modo migliore è farlo davanti a un ciliegio fiorito. Comunque la si pensi, il vero senso dell’hanami è quello di interrompere la frenesia quotidiana per ammirare l’incredibile spettacolo della natura. Si può fare anche in Italia? Certamente. A Milano, ad esempio, la magia dei ciliegi in fiore si crea su una collinetta artificiale alta 25 metri e ricavata dai detriti di scavo della ristrutturazione di quello che adesso è l’Hangar Bicocca della Pirelli: un parco con oltre 800 varietà di ciliegi, come il Prunus serrulata “Kanzan”, il Prunus serrulata avium e il Prunus subhirtella. In Piemonte, a Novara, nel giardino di un complesso residenziale della centrale via Marconi, c’è invece un ciliegio speciale: per tradizione, da 80 anni, quando sbocciano i suoi fiori significa che è arrivata la primavera. All’inizio del Novecento in quest’area sorgevano le fonderie dell’imprenditore svizzero Felice Fauser. Nello stabilimento era impegnato anche il figlio Giacomo: la fine del primo conflitto mondiale aveva lasciato il segno sull’industria metallurgica italiana, i mercati si erano inariditi e quel giovane, fresco di laurea in Ingegneria al Politecnico, riconvertì la fabbrica ad impianti di prodotti azotati e altri processi industriali. Fauser aveva clienti nel Sol Levante, che gli portarono in dono proprio il ciliegio che ammiriamo noi oggi. All’inizio degli anni ‘70, quando Fauser decise di vendere l’area, mise infatti una clausola: “Il ciliegio non dovrà mai essere abbattuto”. E così è stato. Gli appassionati di vino conoscono certamente la Strada del vino Soave (www.stradadelvinosoave.com), che parte dall’omonima cittadina situata tra Verona e Vicenza, eletta proprio di recente letto Borgo dei Borghi 2022. Un ideale percorso di circa 50 km lungo il quale è possibile visitare cantine, degustare vino, assaggiare piatti tipici e ammirare, magari in bicicletta, i numerosi ciliegi che crescono al limitare dei filari. Sempre in Veneto, nel comune di Mason Vicentino (VC), si trova un sentiero lungo il quale si possono ammirare numerosi alberi di ciliegio. Qui ogni anno a Pasquetta è possibile partecipare alla tradizionale Marcia dei ciliegi in fiore: i percorsi proposti hanno una lunghezza che varia dai 5 ai 20 km ed è possibile scegliere la variante che si estende per intero in pianura. Nella Val d’Arda, in provincia di Piacenza, esiste una vera e propria Strada panoramica dei ciliegi, che parte dal comune di Villanova sull’Arda e prosegue in direzione di Busseto, nel Parmense. Nei luoghi che hanno dati i natali a Giuseppe Verdi si può seguire il percorso che costeggia il torrente Arda o la strada che attraversa i filari e i frutteti. Un’altra possibilità è raggiungere il Parco di Isola Giarola (www.parcogiarolalancone.altervista.org), inserito in una golena del fiume Po, dove si trova un piccolo giardino di ciliegi. A Scandicci, in provincia di Firenze, c’è una via costeggiata proprio da alberi di ciliegio, che in primavera fioriscono regalando uno spettacolo unico. Altri alberi si trovano all’interno di giardini e cortili privati. Il miglior modo per cogliere in pieno tutti i colori dell’hanami toscano è quello di salire su una collinetta tra quelle che circondano il paese e guardare i ciliegi dall’alto. A Pedaso, nel Fermano, da qualche tempo si organizza addirittura una festa denominata Pedaso Hanami: il tutto nasce dal residence “Contea dei Ciliegi”, che sorge su una collina con oltre 2.500 ciliegi (www.conteadeiciliegi.it). Ultima, ma non ultima, a Roma si può godere della fioritura dei ciliegi al Laghetto dell’EUR (photo © Giuseppe Di Paolo), dove sono stati piantati alcuni alberi che arrivano direttamente da Tokyo e di solito rimangono coperti di petali rosa e bianchi fino a metà aprile. Il sentiero che conduce fino allo specchio d’acqua si chiama proprio “La camminata del Giappone”. Anche nel Museo Orto Botanico dell’Università La Sapienza, vicino a Trastevere, c’è un angolo riservato ai ciliegi, oppure si può vivere questa esperienza all’Istituto Giapponese di Cultura, che sorge nella zona di Valle Giulia. Accessibile quasi tutto l’anno e ricco di alberi di ciliegio, propone anche visite guidate a tema hanami (fonte: www.ohga.it).

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cacio di afrodite® 65 ANNI DI NOI. FESTEGGIAMO VINCENDO caseificioilfiorino.it


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TORNA TASTE ed è subito successo

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Numeri importanti per il salone di Pitti Immagine che nella nuova sede di Fortezza da Basso ha riunito il meglio delle eccellenze del gusto. Quasi 7.000 visitatori in totale nei tre giorni, grande partecipazione al programma di eventi alla Fortezza e agli appuntamenti FuoriDiTaste in città Premiata Salumeria Italiana, 3/22

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Le conserve ittiche della Troticoltura Cherubini di Visso, nel cuore dei Monti Sibillini, i salumi del Prosciuttificio Poggio San Giorgio, le verdure sottolio e i peperoni cruschi sono solo una piccola, piccolissima parte di tutto quello che abbiamo visto, conosciuto e assaggiato a “TASTE 2022 – In Viaggio con le Diversità del Gusto”. Un’edizione davvero bellissima!

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l ritorno di TASTE, la cui 15a edizione (26-28 marzo) si è svolta alla Fortezza da Basso di Firenze, è stato accolto con grande entusiasmo da parte degli operatori del settore, arrivati nel capoluogo toscano per scoprire le novità e la ricchezza gastronomica delle 470 aziende protagoniste e partecipare numerosissimi agli eventi in programma al salone e in città per il FuoriDiTaste. «La voglia di tornare a incontrarsi a TASTE era tanta: l’avevamo percepita forte parlando con le aziende prima del salone, ma i risultati finali e i feedback raccolti in questi giorni vanno anche oltre le aspettative» ha dichiarato Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. «La prima grande novità — la nuova sede — è stata decisamente funzionale sia dal punto di vista della sicurezza sia nel dare maggior respiro alla manifestazione, con un allestimento e un percorso espositivo che hanno reso più godibile il rapporto tra espositori e compratori: una scelta messa in valore in tutti i commenti che abbiamo raccolto.

Apprezzamento univoco e palpabile per la nuova location, resta alto lo standard di visitatori ed espositori, tra gli artigiani migliori del Paese. Un evento divenuto sempre più professionale e più internazionale. Taste è eccellenze del gusto, tendenze della cultura food contemporanea e kitchen lifestyle. Importante il focus su zero spreco e ambiente. Grande successo per la sezione dedicata ai gin

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Novità e tendenze del cibo contemporaneo Come sempre la selezione di aziende e lo scouting fatto — anche con i nuovi ingressi e le novità che queste aziende hanno portato al salone — sono stati il punto di forza di TASTE, giudicati di altissimo livello. Una qualità e una selezione in grado di attrarre un numero in crescita di operatori professional e buyer internazionali: presenze sempre più qualificate tra negozi specializzati, aziende della distribuzione, department store, importatori di eccellenze italiane, insomma molte delle migliori realtà internazionali del mondo del cibo di qualità, arrivate in Fortezza per incontrare di nuovo i loro clienti e stringere nuove relazioni. Ma TASTE è anche sempre più un incubatore di tendenze, idee e temi della scena del cibo contemporaneo. A partire dal tema di questa edizione Zero Spreco: non sprechiamo il cibo, non sprechiamo l’ambiente, affrontato in una serie di talk e presentazioni, i Ring di DAVIDE PAOLINI su tendenze e temi caldi del mondo food, che assieme a tutti gli altri eventi in calendario hanno avuto protagonisti e contributi di altissimo profilo, e sono stati molto seguiti dal pubblico».

In totale sono stati circa 5.000 i buyer registrati, con incrementi importanti — rispetto alle presenze dell’edizione del 2019 — soprattutto dal fronte estero, rappresentato da quasi 500 compratori e 50 Paesi di provenienza, e con una conferma delle presenze italiane — 4.500 compratori circa — arrivati da tutte le regioni. Tra i mercati di riferimento le performance migliori quelle di Francia (+46%), Stati Uniti (+53%), Regno Unito (+28), Olanda (+66%) e Austria (68%). Molto bene anche Canada, Polonia, i Paesi dell’area Scandinava, da registrare anche la partecipazione di qualche delegazione dai Paesi del Far East. Nella classifica dei primi 10 mercati di provenienza dei buyer è appunto in testa la Francia, seguita da Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Olanda, Svizzera, Austria, Spagna, Belgio, Norvegia. Store e solidarietà Complessivamente TASTE ha raggiunto le 7.000 presenze totali. Inoltre, questa edizione ha segnato l’avvio di due importanti collaborazioni: con UNICREDIT, già main partner delle fiere PITTI, per portare l’esperienza del gruppo bancario al servizio delle filiere gastronomiche nazionali, e con Vetrina Toscana, progetto di TOSCANA PROMOZIONE, formato benchmarking, per integrare il mondo di produzione, vendita e ristorazione in una strategia di promozione turistica sostenibile dei nostri territori. Per concludere, numeri importanti li ha registrati il TASTE Shop, iniziativa apprezzata molto anche dagli espositori, che in tre giorni ha venduto quasi 13.000 prodotti. Risultati significativi, infine, per l’iniziativa TASTE per l’Ucraina, che ha visto PITTI IMMAGINE e CROCE ROSSA ITALIANA insieme a supporto dei rifugiati. Durante il salone, grazie al contributo di espositori e visitatori al TASTE Shop, sono stati raccolti prodotti che saranno messi a disposizione dei rifugiati in arrivo a Firenze. Ed è tutt’ora possibile dare il proprio contributo con una donazione tramite bonifico direttamente a Croce Rossa Italiana (IBAN: IT38K0306909606100000079238 – causale “Donazione pro Ucraina – TASTE e CRI FIRENZE”). >> Link: taste.pittimmagine.com

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1) La nuova apprezzatissima sezione di TASTE dedicata al mondo del Gin e a un’interessante generazione di produttori italiani che sta trasformando questo distillato in un prodotto di eccellenza del made in Italy. Un segmento di grande interesse e attualità, al centro di una nuova cultura del bere, sostenibile e a km 0, declinata in interessanti interpretazioni territoriali. 2) La selezione di Gin dal Piemonte di Glep Beverages di Borgomanero (NO). 3) Il Mulino di Zoppola, di Zoppola (PN), porta a Firenze la collezione “Risorgimento 5”. 4) Gin Toscano – Spiriti del Bosco è il progetto di produzioni alcoliche create da La Vena di Vino a Volterra in Toscana.

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1) Friultrota di San Daniele del Friuli (UD) presente a TASTE con il gusto raffinato della Regina di San Daniele, la delicatezza del Fil Rosè, il sapore inconfondibile delle Acciughe del Cantabrico e tante altre specialità ittiche. 2) Conserve, sottoli e sottaceti di pesce firmati Altura. Altura è una start-up di Verrès (AO) nata nel 2019 dall’idea di Lorenzo ed Edoardo di far conoscere e rendere fruibile la trota affumicata, rieducando il mercato al consumo del pesce d’acqua dolce italiano e soprattutto alpino. 3) Margherita e Francesco Palmieri del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 4) Andrea Casa e Federica Madureri del Prosciuttificio Casa Graziano di Tizzano Val Parma (PR).

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Sergio Falaschi, dell’omonima Macelleria-Norcineria toscana di San Miniato (PI). Il negozio dal 1925 si trova all’interno del centro storico della cittadina situata a metà strada tra Pisa e Firenze, nella campagna toscana. Quattro generazioni di macellai che hanno sempre proposto carni fresche provenienti da allevamenti locali di bovini, suini, ovini e carni bianche, salumi e gastronomia di produzione propria.

Il senso dei Falaschi per il packaging «La maggior parte delle decisioni d’acquisto di prodotti alimentari viene presa direttamente al punto vendita, come supermercati, ipermercati e negozi di alimentari. Questo significa che la decisione viene presa sul momento, basandosi in larga parte sulle informazioni derivate dalla confezione e dall’etichetta. In quest’ottica, il packaging diventa la selling proposition finale, capace di differenziare il prodotto dagli altri presenti sullo scaffale. Ma il potere comunicativo del packaging si estende oltre il singolo prodotto: è infatti in grado di incorporare i valori e l’identità del brand, rafforzandone quindi l’immagine» scrive Food Hub. Insomma, attraverso il packaging di un prodotto oggi si influenzano le decisioni di acquisto del consumatore. In caso di salumi le informazioni da trasmettere sono tante: razza, denominazione, legame con il territorio oltre a lavorazione, materie prime e conservazione. Andrea Falaschi della Macelleria Norcineria Sergio Falaschi dal 1925 ha condensato sul pack dei salami Finocchiona IGP, Salame di Cinta Senese DOP e Salame di suino grigio allevato semibrado, la cultura e l’anima di un mestiere che questa famiglia si tramanda da quasi cent’anni. Il tutto con una grafica moderna e smart. >> Link: sergiofalaschi.com

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1) Bazza, l’artigiano dei salumi naturali. Dal 1995, anno di nascita del suo laboratorio di trasformazione carnea a Terrassa Padovana, Giovanni Bazza produce insaccati, salami e soppresse in primis, senza nessun additivo. 2) Franco Branchi della Branchi Prosciutti di Felino (PR). La produzione esclusiva di “Cotti di Alta Qualità” contraddistingue Branchi: materie prime italiane, lavorazioni manuali tramandate da generazioni, pochi sceltissimi ingredienti buoni e naturali. 3) L’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI), artigiani della carne e dei salumi tradizionali toscani dal 1806. 4) Allo stand del Prosciuttificio Ravanetti Artemio di Castrignano Costa, Langhirano (PR), il titolare Ercole Ravanetti con la moglie Alessandra e il figlio.

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1) Mariangela Grosoli, attuale presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena IGP, e la figlia Lucia allo stand della storica e prestigiosa azienda di famiglia, Aceto Balsamico del Duca, che si dedica alla produzione e promozione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP da 5 generazioni. 2) Angela Fiorini e Simone Sargentoni del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR). 3) Mortadella Classica, Salame Rosa e Prosciutto Cotto Julius Bonfatti per la Bonfatti Salumi, Gruppo Gianni Negrini, di Renazzo (FE). 4) Simone Franceschini, dell’omonimo salumificio di Castello di Serravalle (BO), ha presentato a TASTE Mortadella Opera con il suo nuovo abito! Opera è una straordinaria mortadella artigianale, ottenuta con il metodo della stufatura lenta. Insaccata in budello naturale, viene legata a mano, una ad una.

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1) Testa Conserve torna a Firenze «con un catalogo di prodotti accresciuto, una forte attenzione nei confronti dell’ambiente e la magnifica collaborazione con lo chef Ciccio Sultano, che prosegue con successo» dice Tuccio Testa, CEO dell’azienda. Da più di 200 anni la famiglia Testa solca i mari di Sicilia con le sue barche alla ricerca del pesce azzurro e del tonno rosso. 2) Le Salse di Baronti, azienda artigianale di Empoli (FI) che produce salse di alta qualità, come il Pesto di San Bennato o l’Impepata di cacio, selezionando le materie prime e curandone la lavorazione. 3) La bolognese Torrefazione Caffè Lelli, i cui caffè artigianali sono scelti dai migliori ristoranti, caffetterie, enoteche e gastronomie. 4) Luca Galeazzi e Alessandro Babbini con i mitici Paccasassi del Conero, i sughi e le conserve dell’azienda marchigiana Rinci-Meraviglie di Gusto di Castelfidardo (AN).

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Photo © marca.bolognafiere.it

MARCA BY BOLOGNAFIERE RIPARTE CON UNA GRANDE EDIZIONE!

12.000 ingressi e 900 espositori decretano il grande successo dell’unica fiera italiana dedicata alla marca commerciale (private label). Da segnare già in agenda l’appuntamento con la prossima edizione, il 18 e 19 gennaio 2023 al quartiere fieristico di Bologna 108

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arcabyBolognaFiere riparte da dove si era fermata a gennaio 2020, alle porte della pandemia. La 18a edizione, che si è tenuta nel quartiere fieristico di Bologna gli scorsi 12 e 13 aprile, si è chiusa con 12.000 ingressi: un numero che, insieme ai 900 espositori su 23.000 m2, decreta il grande successo dell’unica fiera italiana dedicata alla marca commerciale, una vetrina delle eccellenze made in Italy dove la DMO (Distribuzione Moderna Organizzata) ha a disposizione più di 1.000 m2 per le proprie insegne. Imprese e professionisti sono tornati ad incontrarsi e stringere accordi visitando i cinque padiglioni della manifestazione, organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, l’Associazione della Distribuzione Moderna. E gli stessi imprenditori, insegne della DMO e buyer, hanno già segnato in agenda la data della prossima edizione, la numero 19, che torna al suo calendario tradizionale di inizio anno con le giornate del 18 e 19 gennaio 2023. «MarcabyBolognaFiere— ha dichiarato a caldo Antonio Bruzzone, direttore generale di BolognaFiere — è stata un successo oltre le aspettative. Siamo ripartiti dagli stessi numeri che avevamo nel 2020, quando il mondo si è fermato a causa della pandemia. Questa è l’unica manifestazione in Italia capace di interpretare le potenzialità e l’evoluzione del settore della marca commerciale, che a BolognaFiere trova ogni anno la sede più autorevole dove stringere accordi e favorire la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, grazie ai rapporti con le insegne della DMO. Ringraziamo le insegne, gli espositori, i professionisti e i buyer, i nostri partner istituzionali, primo tra tutti ICE, e soprattutto ADM, l’Associazione della Distribuzione Moderna, che da sempre crede in questa manifestazione e continua a farla crescere con noi».

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Private label: una crescita che guarda al domani «Il consumatore oggi sceglie la marca commerciale con sempre maggiore convinzione, motivato dai valori che la marca presidia: qualità, convenienza, ma anche i percorsi di sostenibilità e innovazione che la MDD sviluppa con

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In alto: Stefano Aimaretti e Maurizio Manfrè San Dan Prosciutti Srl di San Daniele del Friuli (UD), una grande famiglia che da tre generazioni porta in tavola il gusto autentico dei prosciutti italiani. Al centro: Ibis Salumi, brand del Gruppo Cremonini, produce da 50 anni le eccellenze della salumeria italiana. In basso: in fiera anche Parmacotto, con l’AD Andrea Schivazappa e Gaia Gualerzi, direttrice marketing. «Puntiamo sul benessere sociale, su quello ambientale e quello a tavola».

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1) Edoardo Vernetti e Umberto Raspini della Raspini Spa di Viotto (TO). 2) Francesco, Margherita e Marcello Palmieri del Salumificio Palmieri di San Prospero (MO). 3) Allo stand del Salumificio Scarlino di Taurisano (LE), leader nella produzione di würstel, Claudio Leuzzi, Tommaso e Attilio Scarlino. 4) Marco Busti e Alessandra Munari del Caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia (PI).

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


In alto: Marco Leonardi del Prosciuttificio Leonardi di Marano sul Panaro (MO). In basso: la grande area espositiva di CLAICooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi, realtà che opera nel settore dei salumi e delle carni fresche bovine e suine. La forza distintiva di CLAI è la capacità di unire allevamento e produzione in un’unica filiera integrata (azienda agroalimentare integrata).

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i partner dell’industria» ha dichiarato Carlo Alberto Buttarelli, consigliere delegato di ADM. «Il patto di filiera si realizza con la MDD, dove l’integrazione tra produzione, distribuzione e consumatore raggiunge la sua massima espressione». Molto partecipati i momenti di approfondimento per gli addetti ai lavori, promossi da ADM con The European House-Ambrosetti e Ipsos, e con IRI e IPLC, che in esclusiva per Marca hanno fornito dati e trend della marca del distributore in Italia e in Europa. Focus su fresco e packaging Grande successo anche per le due aree Marca Fresh, dedicata ai prodotti freschi, e Marca Tech, dove le aziende hanno esposto le innovazioni del packaging. A fronte di una sostanziale tenuta della manifestazione rispetto ai livelli precedenti alla pandemia, Marca Fresh ha raddoppiato il proprio spazio espositivo, confermando l’interesse crescente delle imprese e delle insegne per i prodotti freschi che trovano sempre più spazio nella distribuzione moderna organizzata. Durante la manifestazione sono state presentate soluzioni innovative del packaging, sempre più orientate alla sostenibilità ambientale, con un occhio al risparmio energetico e ai costi della logistica. Per la prima volta, inoltre, le novità degli espositori hanno potuto partecipare alla “Selezione dei prodotti novità”, organizzata in collaborazione con IPLC – The Retailer Brand Specialists: in palio una consulenza per accedere al mercato europeo, con la selezione affidata a una giuria internazionale. Marca ha anche un cuore solidale: a conclusione della fiera tutti i prodotti che le aziende espositrici hanno deciso di lasciare in fiera sono stati donati alla Caritas Diocesana di Bologna.

In alto: Manuel Furlani della San Marco Prosciutti di Meledo di Sarego (VI). Al centro: le golose creazioni casearie della Beppino Occelli Agrinatura di Farigliano (CN). In basso: a destra, Alessandra Di Salvo de I Macellotti, brand di Scaligera Intracarni Company, Favara (AG).

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Prossimo appuntamento 18 e 19 gennaio 2023 Web: www.marca.bolognafiere.it

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Consumi: meno male che c’è la marca del distributore Si consolida e cresce l’importanza dei prodotti a marca del distributore, anche a fronte dell’aumento dell’inflazione che si è generato nel post pandemia, ulteriormente influenzato dalle conseguenze della guerra in Ucraina. È quanto emerso durante il convegno “Marca del Distributore e consumatore nella società che cambia”, position paper di The European House-Ambrosetti e della ricerca di IPSOS, in apertura dell’edizione 2022 di MarcabyBolognaFiere. Sugli scaffali della Distribuzione Moderna sono oggi circa 70.000 i prodotti contrassegnati con il logo dell’insegna distributiva: si tratta di prodotti di qualità con un prezzo conveniente e un posizionamento mediamente inferiore del 20-25% rispetto ai prodotti a marca industriale. Il 43% degli Italiani ha dichiarato di avere acquistato in prevalenza, nel 2021, prodotti a marca del distributore. Dalla ricerca risulta infatti che l’anno scorso la MDD ha consolidato un percorso di crescita significativo in atto da quasi 20 anni. Parliamo di 11,7 miliardi di euro di fatturato (più che triplicato dal 2003) e una quota di mercato pari al 19,8%. Le previsioni del protrarsi delle tensioni inflattive per tutto il 2022 rendono probabile un ulteriore aumento delle vendite della MDD, già stimati in crescita al 24% di quota di mercato nel 2030 con 15 miliardi di euro di fatturato (fonte: The European House-Ambrosetti). Il 95% dei consumatori italiani conosce almeno una MDD e il 78% conosce anche quelle con nome di fantasia. I prodotti più acquistati sono gli alimentari confezionati, i surgelati, i prodotti per la cura della casa e della persona, le bevande non alcoliche, gli alimentari freschi e i prodotti per animali. Queste modalità di acquisto confermano tra l’altro la capacità della MDD di rispondere ai nuovi bisogni della società italiana, caratterizzata da tre driver: polarizzazione della condizione economica delle famiglie (“accessibilità” della MDD), cambiamento socio-demografici quali denatalità, invecchiamento, famiglie monocomponenti (da cui la scelta di prodotti ready to eat), e crescente attenzione alla sostenibilità e al benessere (la quota dei prodotti bio a marchio del distributore ha superato nel 2021 il 44%). La MDD si è evoluta nel tempo, con un’offerta ad alto contenuto qualitativo, di innovazione, sostenibilità, salute e benessere, riconosciuta anche dal consumatore che ne apprezza la capacità di rendere accessibile la qualità. L’81% degli Italiani ritiene che ci sia stato un progressivo miglioramento nell’offerta della MDD negli ultimi 10 anni. In particolare, il 55% ritiene che essa sia attenta ai temi legati all’ambiente e alla sostenibilità, e il 50% pensa che sia attenta ai temi etici e sociali. È stato analizzato anche il contributo della MDD alla crescita e al rafforzamento della dimensione industriale e competitiva della sua filiera di fornitura: una rete di 1.500 aziende MDD partner, con cui la distribuzione moderna instaura relazioni di collaborazione di lungo periodo (photo © Valeriy Muhmed). >> Link: adm-distribuzione.it

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Coop protagonista a Marca 2022: il segmento della marca privata per il colosso della distribuzione vale il 30% del fatturato Il prodotto a marchio come un salvagente per i consumatori che si trovano a dover affrontare la crisi dei prezzi innescata prima dalla scarsità di materie prime post pandemia e poi dalla guerra in Ucraina: è questo il pensiero che ha accompagnato COOP a Marca 2022. «In tutti i momenti di difficoltà economica i consumatori hanno utilizzato il prodotto a marchio come uno strumento per affrontare il loro ridotto potere di acquisto»: ha dichiarato Marco Pedroni, presidente Coop Italia e ANCC-COOP (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). «Sia in pandemia quindi che in questa fase il prodotto a marchio sta incrementando la propria quota di vendita proponendo prodotti sempre più evoluti, articolati, buoni e a prezzi vantaggiosi». Nato più di 70 anni fa, il prodotto a marchio COOP anche nel 2021 ha proseguito il suo percorso di ridefinizione, portando sugli scaffali tutta la nuova offerta dei “rossi” (la linea di pomodori e derivati). E la crescita dei volumi nei primi due mesi per la nuova linea segna un +35% di vendite. Complessivamente la quota del prodotto si aggira intorno al 30% con un fatturato di circa 3 miliardi di euro, il 40% circa dei quali proviene da filiere a completa tracciabilità. Continuano a dare ottimi risultati le linee storiche Viviverde (il bio e l’ecologico), Fiorfiore (l’eccellenza gastronomica) e BeneSì (i prodotti salutistici) che crescono a due cifre; come buoni risultati sta dando la linea Origine (tracciabilità totale della filiera). «L’inflazione partita a metà del 2021 ha subito una grande accelerazione dovuta alla guerra, per questo dobbiamo aspettarci una crescita dei prezzi anche nei prossimi mesi.Al momento abbiamo trasferito sui consumatori non più di 2 punti e mezzo degli aumenti che in realtà nei listini hanno raggiunto anche i 10-12 punti di crescita. Capiamo che per ora il Governo sia intervenuto in soccorso delle famiglie solo sui beni energetici, ma ora è il momento di pensare agli altri beni di prima necessità come quelli alimentari, magari attraverso una mirata e temporanea sterilizzazione dell’IVA. Sappiamo che in questa fase non si può solo chiedere al Governo, ma noi ci stiamo già mettendo la nostra parte e siamo coscienti che da soli non riusciremo a preservare il potere di acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle più povere e quindi più esposte a questi rincari», ha concluso Pedroni (fonte: EFA News – European Food Agency).

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41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36


WEEK-END

Il picnic è servito È

il simbolo della primavera e della convivialità: il picnic, la merenda da godersi all’aria aperta, insieme a fidi compagni d’avventure golose. Spensieratezza, prelibatezze e, perché no, un contesto suggestivo in cui imbandire la tavola, pardon, la tovaglia: sotto gli ulivi di un

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baglio siciliano, sul morbido tappeto d’erba di una villa veneta del XVII secolo o nel parco di un hotel per buongustai, con vista sulle vette dell’Alto Adige. Il pic-chic nel baglio Sulla tovaglia candida fanno bella mostra di sé posate e candelieri d’argento,

ceramiche fatte a mano e cuscini con trame preziose. Dove? A Vittoria (RG), al Baglio Occhipinti, si apparecchia sotto gli ulivi, tra i filari di vite o sui prati della grande tenuta di 10 ettari immersa nella campagna ragusana. In questo luogo magico, il pic-chic ha il sapore speciale dei piatti della cucina delle nonne, del

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A sinistra: il picnic al Baglio Occhipinti con le specialità siciliane. A destra: il picnic al Romantik Hotel Villa Margherita di Mira (VE). Il prezzo del cestino include il noleggio delle biciclette per una gita lungo il fiume ad ammirare le ville palladiane. In basso: al Romantik Hotel Stafler di Vipiteno (BZ) il picnic si allestisce nel grande parco, all’ombra di alberi secolari e sulle rive del laghetto. Le déjeuner sur l’herbe nella villa veneta Le rive del Brenta erano la meta di villeggiatura prediletta dai nobili veneziani che amavano passeggiare tra gli splendidi giardini delle ville palladiane. Ancora oggi questi luoghi, a pochi chilometri da Venezia, rappresentano la destinazione ideale per chi vuole lasciarsi alle spalle lo stress e immergersi in un paesaggio affascinante, gustando magari un raffinato picnic come quello raffigurato nel famoso quadro di ÉDOUARD MANET. Il Romantik Hotel Villa Margherita di Mira (VE), ad esempio, ospitato in una villa del XVII secolo, prepara un cestino colmo di delizie: salmone affumicato e insalata di kamut alle verdure, mini sandwich lattuga e formaggio e polpettine di tonno, preparazioni accompagnate dalle bollicine del Prosecco o dall’acqua. I manicaretti si possono gustare anche nel grande parco dell’hotel. Il prezzo del cestino è di 65 euro a persona e include l’uso delle biciclette per una gita lungo il fiume. pesce d’uovo alla ricotta, della scaccia cotta nel forno a legna, dello sfincione e dei pomodori dell’orto ripieni, del pane tradizionale di grano duro “cunzato” con olio extravergine di oliva di Tonda iblea, pecorino, pomodorino, acciuga, origano e basilico, del Ragusano DOP, del pecorino pepato e del formaggio

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di capra locale, delle crudité di verdure con intingoli, il tutto accompagnato dal vino SP68 Rosso di ARIANNA OCCHIPINTI. Dulcis in fundo, i biscottini di mandorla da gustare con Marsala De Bartoli. Il prezzo è di 50 euro a persona. >> Link: www.bagliocchipinti.com

>> Link: www.villa-margherita.com Picnic sulle rive del laghetto di ninfee Al Romantik Hotel Stafler di Vipiteno (BZ), nel grande parco, all’ombra di alberi secolari e sulle rive del laghetto

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Il “PIG-nic” di Antica Corte Pallavicina (photo © Infraordinario). di ninfee, il “cestino” per il picnic è preparato dallo chef PETER GIRTLER e dalla sua brigata di cucina. Le proposte tra cui scegliere sono due: il picnic “Stafler”, che include insalata di melone con prosciutto crudo, involtini di salmone, insalata di pasta e verdure, insalata di pollo con salsa tonnata, insalata con salsiccia, chicken wings con salsa al peperoncino, vari pani con formaggio cremoso alle erbe, spiedini di frutta, frullato di stagione, acqua fresca e un dolce, proposto a 35 euro a persona,

oppure il picnic “Stafler De Luxe”, che comprende pomodorini con mozzarella, insalata di gamberi e cetrioli, salmone affumicato con crema di rafano, tartare di manzo con Schüttelbrot, vitello tonnato, vari pani con ricotta alle erbe, selezione di formaggi locali, frutti di bosco, pasticcini, frullato di stagione, acqua e un dolce a 45 euro per persona. Su richiesta vengono preparati anche piatti speciali e per bambini. >> Link: www.stafler.com

UN CONTESTO SUGGESTIVO IN CUI IMBANDIRE LA TOVAGLIA DA PICNIC? SOTTO GLI ULIVI DI UN BAGLIO SICILIANO, SUL MORBIDO TAPPETO D’ERBA DI UNA VILLA VENETA DEL XVII SECOLO O NEL PARCO DI UN HOTEL PER BUONGUSTAI CON VISTA SULLE VETTE ALTOATESINE E CESTINO DELLO CHEF

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Il cestino dove vuoi La famiglia Spigaroli, famosa nel mondo per il suo Culatello, è da sempre votata alla propria terra, a cui continua a ispirarsi sia per i piatti dei ristoranti di famiglia — lo stellato Antica Corte Pallavicina, Al Cavallino Bianco e Hosteria del Maiale, tutti a Polesine Parmense (PR), sulle rive del Po — sia per il rito primaverile del picnic. Sullo shop on-line, in occasione della Pasqua, era possibile acquistare e ricevere direttamente a casa propria un cestino in vimini contenente le eccellenze della Bassa parmense, ovvero una vaschetta di Culatello di Zibello affettato, un salame Spigarolino, due pezzi di Parmigiano Reggiano (Vacche Rosse e Pianura), una bottiglia di Tamburen rosato, una Colomba, un vasetto di confettura extra di ciliegie, praline di cioccolato al latte e una tovaglia con logo Antica Corte Pallavicina. Costo: 80 euro. >> Link: www.salumianticacortepallavicina.it

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IL GUSTO DI CAMMINARE

SUL CAMMINO DELLA PACE. MUOVENDO PASSI E PENSIERI ATTRAVERSO ABRUZZO, MOLISE E PUGLIA Roccascalegna, Parco Nazionale della Majella (photo © Franco Mantegani)

di Elena Simonini

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in dal principio, in questa rubrica, ho parlato della meravigliosa semplicità e della naturalezza del camminare, della bellezza di ascoltare il rumore dei propri passi che si muovono nel mondo, e dell’importanza, anche simbolica, di poter raggiungere luoghi distanti e impervi sulla sola forza delle proprie gambe. Ma ancora non c’è stata occasione di rappresentare quanto camminare sia anche una sorta di particolare attività intellettuale, o comunque un’attività che favorisce il dipanarsi dei pensieri, i quali, infatti, proprio camminando, sembra possano semplicemente infilarsi ordinatamente, uno dopo l’altro, in una qualche specifica direzione, proprio come fanno i passi che, uno dopo l’altro anch’essi, scandiscono lo spazio dinanzi a noi. Nondimeno, e non a caso, molti illustri pensatori sono stati anche infaticabili camminatori: Rousseau, Kant, Nietzsche, Kierkegaard e Wittgenstein, per citarne alcuni. Senza dimenticare gli antichi e, soprattutto, Aristotele, il quale, dando avvio alla scuola peripatetica, iniziò a svolgere le sue lezioni filosofiche passeggiando insieme agli allievi nel Perípatos (in greco antico passeggiata), che era una specifica parte del giardino del Liceo di Atene, deputata proprio al conversare camminando. Allora se i tempi, come questi che viviamo, sono difficilissimi, se le questioni da affrontare sono intricate, malamente annodate nonché insormontabili, se il pensiero si blocca continuamente e si arrovella su se stesso nell’angoscia del futuro imminente e prossimo, ecco, in questa situazione, a me viene in mente, ancora una volta, solo di infilare le consunte ma fedeli scarpe da trekking e di mettersi semplicemente, naturalmente e instancabilmente a camminare, e camminare, e camminare. Come forse, magari, dovremmo fare tutti, nella speranza di mettere in fila, contemporaneamente ai passi, anche i pensieri affinché possano di nuovo radicarsi a terra, nel mondo, nel meraviglioso mondo che abitiamo e che abbiamo la ineguagliabile fortuna di poter percorrere, se semplicemente lo vogliamo, con la sola forza delle nostre gambe. In un contesto così faticoso come quello che ho provato a tratteggiare,

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Mangiarsi la Majella: un concentrato di biodiversità anche a tavola Concentrato di spiritualità, luogo di eremi, conventi e abbazie, ma anche e soprattutto area di incredibile bellezza naturalistica, entrato a far parte della lista dei geoparchi UNESCO, il Parco Nazionale della Majella è un unicum sul territorio abruzzese. Il Parco, nei suoi 75 000 ettari, ospita il secondo massiccio più alto del gruppo montuoso — la “Maiella Madre” — 6 aree faunistiche dedicate alle specie di maggiore importanza e 2 giardini botanici, a Sant’Eufemia a Maiella e Lama dei Peligni. Nel suo territorio, che si estende su 39 comuni, trovano sede oltre 2300 specie floristiche e il 45% dei mammiferi italiani. Un concentrato di biodiversità che si esprime anche a tavola, nei prodotti che nascono dentro il Parco Nazionale della Majella e nelle zone limitrofe. Aglio rosso di Sulmona, Broccolo riccio, Salsicciotto Frentano e Ventricina del Vastese e miele… Produrre miele alle pendici della Majella è un’arte. Occorre conoscere alla perfezione le essenze e seguire il ritmo delle stagioni. Da questi loghi vengono alcuni tra i migliori mieli d’Italia, come quelli prodotti dall’Apicoltura Bianco di Guardiagrele (CH). L’azienda conduce il nomadismo apistico, seguendo l’andamento stagionale e territoriale delle fioriture. «Quando in quelle località stanno per sbocciare i fiori, portiamo le nostre api in villeggiatura» racconta Alfonso Bianco (in foto). «Questa moderna transumanza viene effettuata di notte quando le api sono negli alveari. Carichiamo l’apiario sul camion dopo il tramonto, lo spostiamo di notte e il mattino seguente le api sono già libere e operative. Le bottinatrici escono dalle loro casette e trovano un ambiente nuovo, dove si orientano in fretta e trovano nuova fioritura. È grazie a questa alleanza con l’apicoltore che le api possono produrre più miele di quanto occorre loro per superare l’inverno e lasciare l’eccedenza all’uomo». Un motivo di riuscita per l’azienda è il progetto di monitoraggio dei mieli e dei pollini all’interno del Parco Nazionale della Majella, realizzato dall’Ente Parco nel 2010-2011. L’obiettivo è quello di avere risonanza nella marcatura del territorio, attraverso lo studio del carico mellifico esistente, in grado di valorizzare maggiormente i mieli di Millefiori di montagna e Lupinella, recuperando l’antica foraggera leguminosa ed incentivando il rinnovo dei prati da sfalcio. Nel marzo 2016 la rivista Gambero Rosso ha inserito il Millefiori dell’Apicoltura Bianco tra i 14 migliori d’Italia: “Raccolto nel Parco Nazionale della Majella, in un areale di bottinaggio tra i 700 e i 1400 metri d’altezza, ricco di prati stabili, bosco e pascolo arido. Commercializzato nel circuito Eataly, è un miele che si avvicina molto a un uniflorale di agrumi. È chiaro, giallo pallido, cristallizzato ma morbido, con cristalli medio-grandi scioglievoli e tutt’altro che ruvidi. Le note al naso e al palato sono quelle tipiche e centrate della zagara e dei fiori bianchi, fresche, inebrianti e pervasive, accompagnate da ricordi di frutta estiva e da una dolcezza importante, stemperata da una lieve vena sapida. Molto buono, esuberante, piacevole e persistente, e che non stanca il palato” (fonti: www.gamberorosso.it, www.apicolturabianco.it).

quindi, non posso che pensare di suggerirvi di partire per un percorso impegnativo, importante, e, in questo momento storico, anche fortemente simbolico, per via delle diverse realtà territoriali e delle culture locali che vi si incontrano che, grazie ad un solo e unico itinerario, è comunque possibile coniugare e unire fattivamente. Vi propongo dunque di andare a muovere passi e pensieri sul Cammino della pace, un lungo sentiero, attraverso Abruzzo, Molise e Puglia, dal nome così altamente evocativo che pare subito necessario avviarsi. Si tratta di un tragitto di recente costituzione, e ancora in fase di sviluppo e di definizione, ma con la grande vocazione di candidarsi a “primo cammino interculturale e interreligioso”, il quale

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si sviluppa su 3 regioni, 29 comuni, per oltre 500 km totali da percorrere in 29 o più tappe. Si parte dal meraviglioso scrigno della Basilica di Collemaggio, poco fuori dalle cinta murarie de L’Aquila, città bellissima (e allo stesso tempo dolorosissima, a causa delle tuttora visibili ferite inferte dal terremoto del 2009), e si procede nell’entroterra, attraversando lo stupefacente Parco Nazionale della Majella, che costituisce una vera e propria immensa oasi naturale, con diverse specie vegetali, rare specie di animali, alte vette, altipiani tondeggianti e indimenticabili panorami mozzafiato. Si giunge poi, piano piano, passo dopo passo, verso un mare sempre luccicante, affacciandosi così alla

meravigliosa e romantica Costa dei trabocchi. Si continua quindi, in direzione Sud, calpestando gli incantevoli tratturi, antichissime vie d’erba battuta, caratteristiche della zona tra l’Abruzzo, Molise e Puglia, lungo le quali, sin dall’epoca pre-romana e fino ad un paio di secoli fa, i pastori spostavano stagionalmente le proprie greggi. Infatti, la transumanza del bestiame, principale risorsa del meridione contadino, seguiva tradizionalmente percorsi netti e rigorosi: in estate ci si trasferiva dalle aride zone del Tavoliere delle Puglie ai freschi pascoli montani dell’Abruzzo, mentre in autunno si percorreva il cammino inverso. E così voi, sulla traiettoria di questi lunghi e sconfinati tratturi, proseguirete verso Sud-Est, scorgendo in lontananza

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il profilo di antiche abbazie, di eremi, di borghi disabitati e di luoghi sconfinati in cui regna assoluto solo il silenzio, trovandovi ad un certo punto, quasi improvvisamente, sul promontorio del Gargano, il quale vi accoglierà come in un immenso abbraccio luminoso e appoggiato sul mare. Ed è proprio seguendo il luccichio del mare, che mai tradisce i viandanti che lo scorgono all’orizzonte, che arriverete alla fine di questo lungo e impegnativo Cammino della pace che si conclude a Monte Sant’Angelo, e precisamente in un luogo simbolico quale la chiesa di San Michele Arcangelo, primitivo tempio pagano, successivamente assunto a santuario cristiano e unanimemente considerato il primo di tutta la cristianità, meta di pellegrini a

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partire almeno dal VI secolo, e oggi anche patrimonio UNESCO. A conclusione, occorre ribadire che non sarà un cammino facile. La strada è lunga, i sentieri sono spesso anche impervi e non sempre riconoscibili, e inoltre il grado di difficoltà a tratti è anche alto. Tuttavia, si può fare, anzi, si può e si deve fare. E comunque, come sempre, come su tutti gli itinerari, si comincia solo con il primo passo, e con il coraggio e la voglia di camminare. E poi, infine, mi viene da dire che è proprio avviandoci sul Cammino della pace che dovremmo avere sempre presente, come faceva Aristotele, che i passi e i pensieri si muovono meglio se si muovono assieme. Elena Simonini

La Basilica Santuario di San Michele Arcangelo si trova a Monte Sant’Angelo, sul Gargano, in provincia di Foggia. Il Santuario viene comunemente indicato come “Celeste Basilica”, in quanto non consacrato dagli uomini ma dallo stesso Arcangelo Michele.

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Cammino di Santiago, nasce il passaporto gastronomico Chi percorre il Cammino di Santiago di Compostela lo fa per “ritrovare se stesso”, cercare un contatto diretto con la natura, mettersi alla prova… Ma lungo gli 800 km distribuiti su tutta la penisola iberica c’è anche un’offerta enogastronomica da non sottovalutare. Anche per questa ragione, tra le varie iniziative che vedono protagonista il secolare pellegrinaggio, ci piace rimarcare quella realizzata dall’Ente per il turismo di Spagna per il 2022, ovvero il passaporto gastronomico, che coinvolge le regioni dei Paesi Baschi, Asturie, Cantabria, Castiglia e Leon, Galizia, Rioja Navarra. Si tratta di un’opportunità per viandanti e turisti di soffermarsi nei tanti ristori dislocati lungo l’itinerario e assaporare le diverse specialità cucinate con materie prime tipiche di queste zone. Una volta che ci si è saziati, il passaporto potrà essere timbrato e, già con tre timbri, registrandosi sul portale dedicato (www.caminodesantiago. gal), tentare la fortuna per vincere i premi in palio, tra eccellenze enogastronomiche e soggiorni. L’offerta culinaria che si incontra lungo il Cammino è davvero vasta e muta da zona e zona. Nei Paesi Baschi, ad esempio, non si può non iniziare il proprio viaggio senza i pintxo o il marmitako, uno stufato di pesce con patate e ortaggi, o il Bacalao al pil pil che si caratterizza per la salsa realizzata emulsionando la pelle del pesce e l’olio. Tra i piatti da provare la porrusalda, uno stufato a base di porri e patate, e il sukalki, fatto con patate e zancarrón (ossobuco), da cui prende il nome il principale concorso gastronomico della regione. Per quanto riguarda i dolci, non si può non assaggiare la cuajada, a base di latte di pecora, il goxua o il pastel vasco, base di pasta frolla e crema pasticciera. La regione delle Asturie è terra ricca di tesori considerati patrimonio UNESCO. Qui c’è un’offerta enogastronomica che si compone di piatti come la fabada: una zuppa di fagioli a cui si aggiunge la morcilla affumicata (in foto), un saporitissimo sanguinaccio, il choricín (salamino speziato con paprica) e altri derivati dal maiale. Tra le esperienze da non perdere, la degustazione del Sidro di mele e dell’Ostrica del Eo o del tagliere regionale più ampio del mondo con ben 50 tipi di formaggi elaborati con latte di vacca, capra o pecora di cui 5 sono DOP-IGP. Uno degli itinerari più spettacolari del Cammino è quello “del Nord” che costeggia la Cantabria. La regione è famosa per il formaggio realizzato con un attento processo di stagionatura. Ce ne sono di diversi tipi, da quello elaborato con la crema del latte a quello più piccante tipico di Tresviso e Bejes o gli affumicati a Áliva o Pido. La tappa finale del cammino è in Galizia. La zona è nota per il pulpo à feira, cotto in grandi pentoloni e poi lasciato intiepidire appeso, per l’empanada gallega, una focaccia ripiena, magari di tonno e verdura. E passando al dolce spazio alla tarta de Santiago a base di farina di mandorle. Nella regione di Rioja infine è il vino il protagonista. L’itinerario francese del cammino si snoda per circa 60 km mentre il viandante si ritrova circondato da campi di cereali e distese di filari. Sono 500 le cantine dove si possono degustare le etichette conosciute a livello internazionale (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © Alex Salcedo).

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LANZAROTE, Cochinilla, Aloe e Queso di Massimiliano Rella

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In alto: la raccolta della cocciniglia dalle pale del cactus. Il colore rosso di questo insetto fitofago viene trasformato in colorante per l’industria cosmetica, tessile e alimentare (E120). A sinistra: “Cactus”, scultura di César Manrique davanti al Jardín de Cactus, nel villaggio di Guatiza, un’ex cava da cui si estraevano lapilli di sabbia vulcanica da spargere sulle aree coltivate per trattenere l’umidità.

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anzarote non è soltanto l’isola dei vini e del pesce, ma anche uno scrigno di saporiti formaggi e di “stranezze” dell’agricoltura, come la Cochinilla. La cocciniglia è un insetto fitofago da cui si ricava un colorante naturale rosso carminio per uso tessile, cosmetico e alimentare (E120). Arrivò dal Centro e Sud America con la colonizzazione spagnola, a metà ‘500, e la sua raccolta e produzione fece la fortuna dei villaggi di Guatiza e Mala, detti i “villaggi dei professori”, perché coi soldi guadagnati da questa attività le famiglie poterono permettersi di mandare a studiare i figli fuori dall’isola di Lanzarote, tanti all’Università. Questi piccoli insetti si raccolgono con una speciale paletta asportandoli dalle pale dei cactus, molto diffusi nell’arcipelago delle Canarie, nelle zone dal clima più secco. Il colorante E120 si usa nelle conserve vegetali, nelle marmellate, nei gelati, nelle bibite e nei tipici salsiccioni “rossi” (salchichón). È probabilmente il colorante con le migliori caratteristiche tra i naturali e questo ne spiega il prezzo. Scoperto durante la colonizzazione spagnola dell’America, i contadini canari, prima ancora delle banane e dei pomodori, si specializzarono nella coltivazione di questo insetto “pigmentoso”. Ma, con i tempi moderni, la

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produzione è stata messa in crisi dai coloranti sintetici e così oggi, se il Perù è il principale produttore con 300.000 kg l’anno, a Lanzarote rimangono circa 250 coltivatori e la produzione è limitata a 20.000 kg l’anno. Uno spaccato su questa interessante storia della cocciniglia è testimoniato in una sezione del Museo dell’Aloe, dell’azienda ALOE PLUS LANZAROTE (Ctra. Jameos del Agua 2, Punta Mujeres, tel. +34 928 848603, aloepluslanzarote.com), proprietaria di quattro piantagioni di Aloe barbadensis Miller, una delle oltre 300 specie di questa famiglia di piante — diffuse anche a Lanzarote — considerate curative e preziose per la produzione di cosmetici e creme per la cura del corpo, saponi e di integratori alimentari per aiutare la digestione. L’aloe è utilizzata anche per rafforzare il sistema immunitario e come regolatore dell’apparato digestivo. Originaria della penisola arabica e del Sud-Est dell’Africa, la pianta si è adattata molto bene nel Sud Europa e alle Canarie, dove viene coltivata a filari nella cenere vulcanica; necessita di una temperatura stabile, scarse piogge, suolo poroso o vulcanico, condizioni che favoriscono lo sviluppo delle proprietà benefiche e quella della Canarie è considerata tra le migliori. Le piantagioni biologiche sono certificate dall’ICCA

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Museo dell’Aloe, sezione sulla cocciniglia; insetto fitofago trasformato in colorante cosmetico, tessile e alimentare (E120).

(Instituto Canario de Calidad Agroalimentaria). Le piante di Aloe barbadensis Miller maturano in tre anni e crescono allargandosi verso l’esterno: di anno in anno vengono tolte 6-8 foglie più esterne, subito lavorate per estrarre la polpa ed evitare i fenomeni d’ossidazione. Le foglie lunghe e grasse vengono spuntate e sfilettate con l’asporto della corteccia e della parte esterna più amara, quella ricca di aloina, sostanza che oltre certe quantità è tossica per l’uomo. Viene utilizzato dunque soltanto il “filetto” di polpa, lavato, pulito e trasformato. La visita gratuita al Museo comprende una dimostrazione in campo sulla raccolta della polpa e del succo di aloe. Un’altra specialità di Lanzarote è il formaggio di latte crudo di capra, anche affumicato naturalmente o ricoperto da uno strato di paprika o gofio, una farina di cereali misti tostati. Ad esempio alla QUESERÍA FLOR DE LUZ (Camino Barranco s/n, San Bartolomé, tel. +34 681 643544, e-mail: queseriaflordelaluz@ hotmail.com), la produttrice colombiana LUZ NELIDA PAQUE RODRÍGUEZ e il figlio CARLOS lo fanno artigianalmente con latte crudo della capra autoctona Majorera. I Paque Rodríguez, arrivati alle Canarie tempo fa, vendevano il latte del loro allevamento di 350 capre ad altri caseifici, poi nel 2015 hanno deciso di aprire il loro, una piccola azienda nella campagna desertica e brulla, con

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Dimostrazione dell’estrazione della polpa dell’Aloe vera (Aloe barbadensis Miller).

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I formaggi della Quesería Flor de Luz: Pañuelo e semi-curado con paprika affumicata, Lingote pressato a mano e semi-curado natural.

Il casaro Carlos Castro Paque, della Quesería Flor de Luz.

bar e terrazza per le degustazioni. La Majorera, presente a Lanzarote, Fuerteventura e Gran Canaria, è un ruminante dal pelo corto, sensibile al freddo «ma ben adattabile al caldo, alimentato con cereali ed erba secca; l’abbondanza di quella verde gli fa gonfiare lo stomaco», ci dice il giovane Carlos. Buona produttrice di latte ricco di caseina e dal buon rendimento in formaggio è considerata una razza di qualità, mediamente fa 2 litri al giorno, ma se ben trattata e alimentata, cresciuta in spazi aperti e sani, può arrivare a 4 litri. Mamma Luz e il figlio producono vari formaggi a latte crudo: il queso azul, il fresco (7 giorni di stagionatura), il tierno (tenero, 7-15 giorni), il semi-curado (15-90 giorni), il curado (oltre 3 mesi); formaggi al naturale diversi per stagionatura oppure aromatizzati, ad esempio alle erbe provenzali, alla paprika affumicata, al pepe nero; il Lingote (a lingotto) pressato a mano o il Pañuelo, fatto scolare e pressato in un fazzoletto di tela, da cui prende la forma. Prezzi € 12,00-15,00 per forme di circa 600 grammi. Visite e degustazioni su prenotazione: € 15,00, € 18,00, € 28,00 con menu di carne e formaggi di capra. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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FORMAGGIO

SAN SIMÓN DA COSTA DOP, INCANTESIMO GALIZIANO di Riccardo Lagorio

orghi minimi che spuntano tra eucalipti e betulle, il fragore del mare ormai lontano. Curva dopo curva è lecito aspettarsi che dal bosco esca uno gnomo, un unicorno, una fiera ignota. Colline appena animate da qualche vacca incuriosita, più che intimorita, dal brontolio del motore. Mentre in cammino in Galizia si fanno incontro luoghi d’incantesimo e appena appena ti estranei dalla strada si odono voci, non solo del vento. Esiste ancora, profondo ovest del continente, il rustico valore dell’accoglienza e di piatti contadini. Tra i formaggi, il San Simón da Costa, con Denominazione di Origine Protetta, vanta alcune interessanti peculiarità che riguardano in particolare la forma e il metodo di conservazione. Lo producono una decina di caseifici di ridotte dimensioni. La zona di produzione del latte vaccino che diventerà formaggio DOP è la cosiddetta Terra Chá, nella provincia di Lugo. La compongono 9 Comuni e la località che richiama il nome stesso del formaggio si trova nel municipio di Vilalba. Proprio la betulla, al fumo che si sprigiona dalla combustione di segatura e ramaglia, è legato uno dei tratti distintivi del formaggio. «Dalla notte dei tempi il formaggio, questo formaggio a forma di piramide dagli spigoli arrotondati, viene affumicato con fumo di betulla. Ma c’è un lungo procedimento che si deve seguire per ottenere l’elasticità e insieme la rigidezza, il gusto burroso, un poco sapido e sfiorato da una lontana aci-

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Cristina Román Candamil, Queixería Don Gabino di Vilalba.

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Il San Simón da Costa DOP è un formaggio che vanta origini antichissime e fu prodotto per la prima volta nella provincia di Lugo, in Galizia. Deriva da una miscela di latte di mucca di razza Frisona, Bruna alpina e Rubia gallega. Il formaggio viene sottoposto ad affumicatura con la combustione di scaglie di betulla dove non è presente la corteccia. dità» spiega Cristina Román Candamil, casara e proprietaria della Queixería Don Gabino (www.dongabino.es). Una storia di vecchia data quella del San Simón da Costa, di cui il re Alfonso XIII provò certo interesse per la produzione e la forma (e la sostanza) durante la Esposizione dei formaggi di Madrid nel 1913. Nel 1932 Casa Lhardy, uno dei templi della gastronomia di Madrid, visto il grande successo del San Simón da Costa al concorso nazionale di formaggi sottoscrive un contratto di fornitura di mille chilogrammi al mese. Nei decenni successivi si intensificano le notizie relative alla produzione e alla

distribuzione del San Simón da Costa in tutta la Spagna. «Il procedimento per ottenere il formaggio è piuttosto lungo e complesso» riferisce Cristina Román Candamil. «Il latte proviene da vacche di razza Rossa galiziana, Frisona o Bruna alpina e dopo l’arrivo in caseificio viene portato e mantenuto a 63 °C per un’ora e mezzo a bagnomaria. Dopo avere aggiunto i fermenti necessari all’acidificazione del latte si attende che la temperatura raggiunga i 33 °C, momento giusto per far partire la coagulazione con caglio di vitello». Alle usuali procedure di rottura della cagliata, alle dimensioni di un

Dalla notte dei tempi questo formaggio a forma di piramide dagli spigoli arrotondati viene affumicato con fumo di betulla. Ma c’è un lungo procedimento che si deve seguire per ottenere l’elasticità e insieme la rigidezza, il gusto burroso, un poco sapido e sfiorato da una lontana acidità, spiega Cristina Román Candamil, della Queixería Don Gabino

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cece, e di scolo del siero la cagliata viene plasmata con la forma e la dimensione adeguata all’ottenimento del formaggio. Mani svelte compiono l’operazione lavorando la cagliata, resa duttile dall’addizione di acqua a 44 °C anche aiutandosi con dei panni di cotone. Dopo la pressatura si agisce sul formaggio creando manualmente la forma appuntita. «La salatura avviene in salamoia per un periodo di 10 ore benché il Disciplinare della DOP indichi un massimo di 24 ore. Segue la stagionatura per almeno 45 giorni, che scendono a 30 per le pezzature più piccole. Nel nostro caseificio la stagionatura è di 60 giorni, avendo cura di pulire dalle muffe e mantenere tornito a forma di piramide il formaggio con un apposito coltello». Trascorso questo tempo il formaggio viene sottoposto ad affumicatura. Il periodo in cui rimane nell’affumicatoio dipende dalle condizioni ambientali e può variare da poche ore, se il clima è secco, a una decina di ore. Si effettua sempre e comunque grazie alla combustione di scaglie di betulla dove non è presente la corteccia. «Pensiamo che ciò si debba mettere in relazione al fatto che nei secoli passati in queste terre si producessero zoccoli di legno di betulla. Gli scarti della lavorazione si usavano per affumicare il formaggio» rivela. Il Disciplinare della DOP prevede due formati: grande, il cui peso varia da 800 grammi a 1,5 kg, con un’altezza variabile tra 13 e 18 cm, e piccolo, detto bufón, dal peso compreso tra i 400 e gli 800 grammi, alto da 10 a 13 cm. La forma grande può essere venduta anche a metà, purché siano evidenti i marchi di tutela della DOP; la forma piccola non può essere messa in commercio se non intera. L’affumicatura conferisce al formaggio un colore esterno bruno, una crosta di circa 2 mm di spessore dura a causa dell’affumicatura. La pasta si presenta bianco vaniglia, pressoché priva di occhiature, semidura e poco elastica. «Originario di un passato antico sopravvive solo nei nostri piccoli villaggi»: un prodotto che continua a garantire a queste lande della fine del mondo un’occupazione e una vita appaganti. Riccardo Lagorio

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LO CHEF DELL’OLIO

INSIEME ALLA SCOPERTA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI QUALITÀ di Fabrizio Bertucci

iao, sono Fabrizio Bertucci e sono cinque anni, quattro mesi, due giorni e dodici ore che non compro una bottiglia di olio al supermercato». Si fa per ridere, ovviamente. Sono davvero Fabrizio Bertucci, chef Euro-Toques Italia (associazione fondata da GUALTIERO MARCHESI nel 1986) e Sommelier dell’olio FIS (Fondazione Italiana Sommelier), e sono onorato di iniziare la mia collaborazione con PREMIATA SALUMERIA ITALIANA, che spero si protragga nel tempo e, soprattutto, che si nutra di contenuti che interessino i suoi preziosi e competenti lettori. La mia carriera di cuoco, un giorno, anzi un bel giorno, ha incontrato il corso di Sommelier dell’olio, pensando fosse semplicemente un’integrazione necessaria. Ma in realtà è stata una svolta. In Italia abbiamo circa 600 Cultivar (acronimo anglosassone da Cultivated Variety) di olive e attraverso la mera spremitura meccanica di queste, varietà per varietà, ogni regione esprime il suo olio extravergine di qualità con la sua storia, i suoi profumi, i suoi sentori ed i suoi sapori. Racconteremo storie di produttori, di lavoro in campo, di data e metodo di raccolta e di molitura, di conservazione, di caratteristiche organolettiche e di tecnica di degustazione per coglierne tutte le sfumature e di abbinamento con

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le pietanze. Ovviamente non tralasciando le proprietà nutraceutiche di questa meravigliosa medicina che è l’olio extravergine, con un occhio ai costi, confrontandoli con altre produzioni della Comunità europea e non, cercando di portare per mano il consumatore comune (io, per esempio, prima di entrare in contatto con questo mondo) a capire perché un olio in scaffale può costare 3 euro e 90 in offerta e un altro, di qualità, costa 12, 15, fino a 30 o 40 euro al litro. Sveleremo parole chiave, quali estratto a freddo, frantoio a due o tre fasi, macine e fiscoli, invaiatura, olivi secolari, coltivazione tradizionale, intensiva e super-intensiva, filtraggio, decantazione, sansa, strippaggio… e chi più ne ha più ne metta. Fino ai luoghi comuni, quali «questo olio è troppo acido per me», quando in realtà lo percepiamo semplicemente come piccante e amaro, fino al famoso “olio di mio cugino”, che è sempre il migliore, non fosse altro che per il fatto che non abbiamo altri parametri gustativi. Concludendo, l’obiettivo che ci poniamo in queste righe è di avvicinare il consumatore all’olio extravergine di qualità senza tediarlo con lezioni di chimica, grafici e formule, semplicemente raccontando la realtà e, attraverso eventi, metterlo realmente in condizione di assaggiare l’olio vero e scegliere.

Nel ringraziarvi per l’attenzione, entro già nel merito lasciandovi con un breve racconto che vi farà sorridere. C’era un ragazzino, Fabrizio, e c’era sua madre che aveva sempre due bottiglie di olio… «Questo è quello del supermercato per cucinare, l’altro invece è quello di zio, da usare a crudo». A me, il secondo non piaceva. E condivo l’insalata o la bruschetta con quello del supermercato. Oggi ho capito perché. Zio (il mio, ma credo tutti gli zii o cugini dell’epoca…) aveva trenta piante, la prima Panda (quella quadrata alla quale aveva tolto i sedili posteriori), il cappello di paglia, il sigaro, i baffi ed il fazzoletto legato al collo. Raccoglieva le olive (a terra) all’Immacolata, sì, l’8 dicembre, stramature per avere più resa, ma già quasi marce, poi le chiudeva in un sacco di iuta e aspettava il suo turno al frantoio con la Panda sotto al sole. Poi la molitura, senza filtraggio, “perché torbido è più rustico”. E poi le bottiglie le conservava alla luce o vicino ai fornelli, o in dispensa al fianco dei detersivi, alcune non tappate bene. Vi ho raccontato una compilation di errori, causa del mio malessere quando ero nei paraggi di quell’olio. Ci abbiamo scherzato, ma, in un paese dove tutti abbiamo almeno una bottiglia di olio in casa, non devono avvenire e, credetemi, è semplice. A presto, il vostro Chef dell’Olio.

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OLIO

OLI, UOMINI E TERRITORI Torna la Guida agli extravergini 2022 di Slow Food Italia, giunta alla sua 23a edizione. 125 collaboratori hanno recensito 750 aziende segnalando 1.180 extravergini di qualità 134

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a Guida agli Extravergini 2022, a cura di Slow Food Italia, ha fatto il suo debutto in società a Firenze a Palazzo Vecchio nel mese di aprile. Una sede prestigiosa per una guida che «col passare degli anni — sottolinea Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia —, si è imposta all’attenzione del pubblico e degli olivicoltori diventando uno strumento indispensabile per i consumatori che vogliono districarsi nel complesso e articolato mondo dell’olio, un prodotto così importante e così quotidiano e per le aziende produttrici di extravergine d’oliva buono, pulito e giusto, che possono così farsi conoscere e costruire un necessario dialogo tra loro e con gli acquirenti».

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Il presidio nazionale Slow Food dell’Olio extravergine è una testimonianza del fatto che l’olivicoltura basata su oliveti secolari di cultivar locali e portata avanti con tecniche produttive sostenibili è fortemente a rischio. Al tempo stesso, si propone di richiamare l’attenzione sulla qualità degli oli prodotti, attraverso l’etichetta narrante, ovvero una descrizione dettagliata del processo che rende peculiari e inconfondibili certe produzioni.

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I numeri dell’Italia dell’olio Giunta alla sua 23a edizione, grazie ad una rete di 125 collaboratori, che non sono solo esperti degustatori, ma persone presenti sul territorio, che conoscono le aziende dall’oliveto alla bottiglia, la Guida offre uno spaccato dell’Italia dell’olio completo e ricco di particolari. Nell’edizione 2022 sono raccontate 750 realtà tra frantoi, aziende agricole e oleifici (120 novità a testimonianza di un settore molto vivace), recensiti 1.180 oli tra gli oltre 1.500 assaggiati. Cresce il numero delle aziende che certificano in biologico l’intera filiera (536 oli certificati) e aumentano i produttori (126 per 164 oli) che hanno aderito al presidio Slow Food Olio extravergine italiano, il progetto che promuove il valore ambientale, paesaggistico, salutistico ed economico dell’olio, che tutela oliveti antichi, cultivar autoctone e raggruppa produttori che non adoperano fertilizzanti di sintesi e diserbanti chimici. Non mancano i riconoscimenti classici: la Chiocciola indica le aziende (35) che si distinguono per il modo in cui interpretano i valori produttivi (organolettici, territoriali e ambientali) in sintonia con la filosofia Slow Food; il Grande Olio (72) è attribuito agli extravergini che si sono distinti per particolari pregi dal punto di vista organolettico e perché ben rispecchiano territorio e cultivar. A queste caratteristiche, il premio Grande Olio Slow (107) aggiunge il riconoscimento dedicato alle pratiche agronomiche sostenibili applicate.

Menzioni speciali A questi riconoscimenti si aggiunge il premio speciale dedicato alla memoria di DIEGO SORACCO, attivo leader di Slow Food sin dalle origini dell’associazione e grande appassionato ed esperto di olio, per lunghi anni curatore della guida. Quest’anno il premio non va ad un olio, ma all’idea e all’azione di Nicola Solinas, titolare di Masoni Becciu (www.masonibecciu.it), azienda di Villacidro (SU), e produttore del presidio dell’Extravergine, che per aiutare gli olivicoltori colpiti dal disastro degli incendi che, nella scorsa estate ha distrutto buona parte del patrimonio olivicolo sardo del Montiferru, si è dato subito da fare, sostenuto da tutta la rete di Slow Olive e dalla guida, per una raccolta fondi e ha attivato i vivaisti della zona per donare olivi alle persona danneggiate. «Siamo felici di collaborare per il secondo anno con Slow Food alla Guida agli extravergini e all’assegnazione di questo importante premio» ha

Guida agli extravergini 2022 Come scegliere e dove trovare un buon extravergine Edizioni: Slow Food editore Collana: Guide Slow 448 pp. Prezzo al pubblico: € 18,00 Prezzo on-line: € 17,10 Prezzo soci Slow Food: € 14,40

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L’extravergine ha un colore compreso tra il giallo e il verde, in funzione della maggior presenza di caroteni (giallo) o di clorofille e feofitine (verde). Questi pigmenti variano in base alla maturazione, alla cultivar, al tipo di lavorazione e conservazione, ecc… (photo © Pasquale Comegna). spiegato ROCCANDREA IASCONE, responsabile comunicazione di RICREA. «L’olio d’oliva infatti è una delle eccellenze italiane che viene conservata in imballaggi d’acciaio, che rappresentano una vera e propria cassaforte della natura poiché proteggono il prodotto dagli agenti esterni custodendolo al meglio e preservandone tutte le qualità. Dopo l’utilizzo inoltre, le latte e i fusti in acciaio si riciclano al 100% e all’infinito, e costituiscono un perfetto esempio di economia circolare». Infine, tre menzioni speciali, una nuova sezione della guida, in collaborazione con BioDea, che premia oli accomunati dall’obiettivo di salvaguardare la biodiversità e creare al contempo prodotti di qualità, anche in condizioni difficili, talvolta estreme. «La condivisione di finalità di BioDea e Slow Food è volta a un’agricoltura sostenibile nella tutela dell’ambiente, nell’interesse dell’agricoltore, custode della porzione di terreno che coltiva e nell’interesse del consumatore che si alimenterà in maniera sana» sottolinea FRANCESCO BARBAGLI, CEO di Bio-Esperia, titolare del marchio BioDea. «Il consumatore è consapevole che nel momento in cui si nutre ha contribuito, con la sua scelta del

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prodotto, alla salvaguardia dell’ambiente e degli operatori di filiera. Conferire menzioni speciali significa riconoscere all’olivicoltore gli sforzi e gli impegni profusi per la salvaguardia delle colture autoctone nel pieno rispetto della natura facendosi custode della biodiversità lasciando alle generazioni successive il benessere del pianeta». Per il 2022 i riconoscimenti sono stati assegnati a: * olio Diodoros frutto del progetto di recupero avviato all’interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento gestito dall’azienda Val Paradiso (olivi secolari di una varietà minore la Piricuddara che vanno ad aumentare la bellezza di questo sito archeologico, www.valparadiso.it); * olio monovarietale Rosciola dell’azienda Oro delle Donne di Marino, Roma, come esempio di attenzione alla biodiversità olivicola che ogni territorio può esprimere con le proprie cultivar ottimi risultati (orodelledonne.business.site); * Lavra, olio varietale prodotto a Cellina di Nardò dall’azienda Caliandro e frutto della lotta quotidiana contro la Xylella combattuta con metodi naturali (www.oliolavra.com).

Che olio ci aspetta? Il focus sull’annata olivicola Com’è stata l’annata 2021? «Purtroppo, dobbiamo nuovamente evidenziare una costante negativa di questi ultimi anni, molto più pericolosa e indecifrabile di altre: il clima» sottolinea Francesca Baldereschi, curatrice della guida. «Se, sino a qualche anno fa, era una preoccupazione per i contadini, ora è un’emergenza. Fenomeni atmosferici anomali e violenti stanno vanificando in pochi anni l’evoluzione e l’acclimatamento millenario delle centinaia di varietà dell’olivo nel Mediterraneo». Infatti le avversità meteorologiche non hanno colpito a macchia di leopardo come avveniva un tempo, ma hanno caratterizzato tutta la Penisola con grande siccità in estate e forte instabilità primaverile che non ha favorito lo sviluppo vegetativo dell’olivo e, poi, le gelate che si sono abbattute, in modo particolare, nel Nord, riducendo la produzione ai minimi termini. Nel complesso la produzione è stata inferiore sia rispetto alle aspettative sia rispetto alle potenzialità. Circa 315.000 tonnellate l’olio prodotto, un 15% in più rispetto all’annata precedente, contraddistinta da un raccolto scarso. Importante ripresa al Sud e in Puglia in particolare — nonostante certe aree siano ancora colpite dalla Xylella — che ha contribuito a riportare il saldo produttivo complessivo in campo positivo. «La guida, da sempre, vuole essere anche un invito per andare a visitare queste realtà che fanno parte di un settore strategico per il made in Italy che concorre a disegnare il volto paesaggistico della nostra nazione» aggiunge Barbara Nappini. «Questi consigli di acquisto e visita oggi sono ancora più importanti, perché ci portano a contatto con la natura, a scoprire borghi bellissimi della nostra Penisola, incontrare comunità e realtà produttive straordinarie. Questa, quindi, è una guida sempre più indirizzata a creare relazioni: tra produttore e consumatore, tra luoghi e prodotti». Quando programmate una gita, quindi, non dimenticate di andare a trovare anche un produttore di olio tra quelli segnalati: tra questi, infatti, ben 236 offrono ristorazione e 344 possibilità di alloggio (fonte: Slow Food Italia, www.slowfood.it).

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Aceto Balsamico di Modena BIOLOGICO

ACETAIA

ORGANIC ORG

BIOLO BIOLOGIQUE

Acetaia Leonardi che da sempre coltiva le proprie vigne scegliendo metodi naturali, presenta una nuova gamma per rispondere alla domanda sempre crescente di prodotti certificati biologici. Nasce così LEONARDI , una famiglia completa di prodotti rivolta ai mercati specializzati che garantiscono al consumatore un metodo di coltivazione che consenta di trattare terreni e vigneti senza l’uso di pesticidi chimici, concimi sintetici e senza organismi geneticamente modificati, garantendone così la massima qualità e sicurezza.

Vi invitiamo a visitare la Corte, l’Antica Acetaia e il Museo, dove, da più di 130 anni, i migliori Balsamici invecchiano in una riserva di botti unica al mondo. Visite guidate e Degustazioni tutti i giorni dalle 9 alle 19

www.acetaialeonardi.it

www.facebook.com/AcetaiaLeonardi - www.instagram.acetaialeonardi1871.it


Photo © fotominopoli

VINO

SANA SLOW WINE FAIR 2022: LA RIVOLUZIONE DEL VINO BUONO, PULITO E GIUSTO di Federica Cornia

he il vino sia buono non basta più. Sostenibilità ambientale, tutela del paesaggio, ruolo culturale e sociale delle aziende vitivinicole nel territorio in cui operano: il valore del vino è molto di più che il piacere edonistico legato alla degustazione. Il vino è il prodotto di un’agricoltura che aiuta territorio, paesaggio e società. È il prodotto agricolo che ha maggior visibilità e riconoscibilità e che può essere elemento trainante e propulsore di una rivoluzione all’insegna della sostenibilità e della

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cura nella gestione di risorse e territorio a livello globale. Questo in sintesi il messaggio e i presupposti della prima edizione di Sana Slow Wine Fair che si è svolta a Bologna, dal 27 al 29 marzo 2022. Edizione che si inserisce nel solco di un percorso tracciato a partire da almeno 15 anni fa, quando nel 2007 a Montpellier, in Francia, produttori di vino provenienti da tutto il continente si riunirono per Vignerons d’Europe. Era la prima volta che accadeva ed è stato il primo passo di un viaggio che

ha portato alla nascita di Slow Wine e dell’omonima guida alle cantine, presto diventata punto di riferimento nel panorama nazionale, poi alla stesura del Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto. Ad aprire la manifestazione CARLO PETRINI, DON LUIGI CIOTTI e MARIO TOZZI che si sono fatti portavoce dei temi discussi durante gli incontri on-line precedenti alla fiera, sintesi della rivoluzione nel mondo del vino che la Slow Wine Coalition desidera portare avanti. Oltre 6.000 appassionati, buyer e professionisti

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hanno visitato le 542 cantine arrivate dall’Italia e da 18 Paesi del mondo e partecipato alla tre giorni di conferenze, masterclass, dibattiti, ma soprattutto di dialogo sui temi cardine del Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto, sottoscritti da tutti i partecipanti alla manifestazione. «Ora che i protagonisti della Slow Wine Coalition si sono finalmente incontrati e confrontati, abbiamo più strumenti e maggiore consapevolezza per affrontare le sfide del futuro del mondo del vino». Così GIANCARLO GARIGLIO, coordinatore della Coalition, traccia il bilancio di questa prima edizione di Sana Slow Wine Fair. «Solo insieme possiamo affrontare al meglio la transizione ecologica e far sì che la viticoltura guidi progetti che uniscono elementi di sostenibilità ambientale, difesa del paesaggio e crescita sociale e culturale. D’altronde la viticoltura è sempre stato un settore all’avanguardia nel campo agricolo e lo deve essere oggi a maggior ragione», continua Gariglio. Tra i buyer i Paesi più presenti quelli del nord Europa, con in testa Germania e Danimarca, e Stati Uniti.

La Slow Wine Coalition e il Manifesto per il vino buono, pulito e giusto La Slow Wine Coalition è una rete mondiale che riunisce tutti i protagonisti della filiera per mettere in atto una rivoluzione del vino all’insegna di sostenibilità ambientale, tutela del paesaggio e crescita sociale e culturale delle campagne. Le fondamenta per la nascita di questa comunità sono state gettate a Bologna l’11 ottobre del 2020 con la presentazione da parte di Slow Food del Manifesto per il vino buono, pulito e giusto durante le giornate di Sana Restart. Quel decalogo si è ispirato alle riflessioni di centinaia di vignaioli riuniti a Montecatini e Firenze nel 2009 per la seconda edizione di Vignerons d’Europe. Non vuole essere un documento chiuso, ma un punto di partenza intorno al quale confrontarsi e discutere. Grazie a questa carta, a cui ispirarsi, Slow Food intende riunire tutti i protagonisti della filiera intorno alla consapevolezza che il ruolo del vino non può essere più solo quello edonistico legato al piacere della degustazione, ma seguirà sempre di più la via di un’autentica sostenibilità ambientale, della tutela del paesaggio e della crescita culturale e sociale dei territori del vino (fonte: www.slowfood.it).

L’impegno per la transizione ecologica Centrale, negli incontri che si sono svolti a Sana Slow Wine, è stato il tema della crisi climatica, i cui effetti si manifestano ad esempio nella siccità straordinaria che condiziona sempre di più le annate vinicole. Molte le pratiche di sostenibilità ambientale che si possono mettere in campo: la necessità di abbassare l’impronta idrica nella produzione del vino, l’importanza di preservare la vitalità del suolo per combattere fenomeni dannosi come l’erosione, il dilavamento e l’impoverimento della vita biologica. Trainante il ruolo del viticoltore nella tutela del paesaggio e nell’applicazione di pratiche quali l’agroecologia e la multifunzionalità. E infine, il ruolo sociale che svolgono le cantine, dai progetti di condivisione dei macchinari, delle strutture produttive e della manodopera, alla crescita culturale dei territori grazie al coinvolgimento delle popolazioni locali. L’appuntamento alla seconda edizione con Sana Slow Wine Fair è dal 26 al 28 febbraio 2023. Federica Cornia

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VINITALY,

VINO, MIXOLOGY & DINTORNI di Federica Cornia

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a 54a edizione di Vinitaly ha espresso un’anima sempre più orientata al business, con i wine lover giunti da tutto il mondo nella città medievale palcoscenico naturale di questa manifestazione fieristica leader a livello internazionale. Vinitaly 2022 ha registrato il record storico di incidenza di buyer stranieri in rapporto al totale ingressi: i 25.000

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operatori stranieri (da 139 Paesi) rappresentano infatti il 28% del totale degli operatori arrivati in fiera (88.000). E ciò al netto della fortissima contrazione — legata alle limitazioni pandemiche agli spostamenti internazionali — degli arrivi da Cina e Giappone, oltre ovviamente ai buyer russi. Un contingente che pesa complessivamente per circa 5.000 mancati arrivi ma che non ha

L’edizione 2022 di Vinitaly ha registrato il record storico di incidenza di buyer stranieri in rapporto al totale ingressi

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1) Lo spazio di Schenk Italian Wineries che tra le tante novità ha presentato anche il Metodo Classico Bacio della Luna, brut già vincitore della silver medal all’International Wine Challenge 2021. 2) Alessio Bompani e Antonella Garuti di Garuti – Cantina dal 1920 di Sorbara (MO). 3) Angela Sini di Cantina della Volta di Bomporto (MO). 4) Cantine Giacomo Montresor di Verona. 5) Pietro Borroni, Presidente e CEO di Tenute Stefano Farina. 6) Roberta Pirronello e Giovanna Freno di Il Mallo a Pozza di Maranello (MO).

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1) Jacopo Melia di Fattoria Paradiso a Bertinoro (FC). 2) Lo stand di Casali Viticoltori di Scandiano (RE). impedito la rimodulazione dell’assetto partecipativo di una manifestazione che in chiave nazionale ha anche ribilanciato le presenze del Centro-Sud — in rialzo — con quelle del Nord. Sul fronte delle presenze estere, nel testa a testa tra USA e Germania la spuntano i primi che confermano la leadership nella classifica delle nazioni presenti. Terzo rimane il Regno Unito, mentre il Canada subentra alla Cina nella quarta posizione, davanti alla Francia. Seguono Svizzera, Belgio, Olanda, Repubblica Ceca e Danimarca. Bene, nel complesso, le presenze dal continente europeo, che hanno rappresentato oltre due terzi del totale degli esteri. Ottime anche le performance di Francia, Svizzera, Belgio e Olanda che vedono aumentare il numero degli operatori rispetto alle passate edizioni. Si consolidano inoltre le presenze dei Paesi del Nord e dell’Est, con in evidenza Finlandia, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovenia e Romania. In ambito extraeuropeo, tengono Paesi come Singapore, Corea del Sud, Vietnam; in crescita l’India. Infine, anche se con valori assoluti contenuti, si dimezzano le presenze dall’Oceania mentre più che raddoppiano quelle dall’Africa. Mixology In tema di tendenze tra le novità di quest’anno ricordiamo l’area Mixology che ha registra il tutto esaurito e fatto da trend setter sull’evoluzione delle abitudini di consumo, dagli aperitivi ai cocktail low o free alcol. Il vino irrompe sempre di più nel mondo nei drink mixati, anche in virtù di una crescente domanda dei giovani verso calici meno alcolici e più facili da bere.

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L’indagine dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly sul mercato americano, da sempre vero incubatore di tendenze, ha infatti evidenziato come le nuove generazioni “miscelino” sempre di più il vino con le nuove bevande socializzanti. Una sorta di spritz o Bellini 4.0, fatto di ready to drink, di nuovi cocktail come il Negroni con il vermouth o il Red splash — a base di tequila, vino rosso, limone, lime e agave —, di vino aromatizzato alla frutta (come l’Asti al pompelmo rosa) all’esordio qui a Vinitaly. Un’arte, quella della miscelazione, che sintetizza in sé innovazione e nuove competenze, con una generazione di giovani bartender ispirata da modelli ed esempi che hanno fatto la storia della disciplina nel corso degli ultimi vent’anni. E sono queste figure, veri e propri chef della miscelazione, che dettano nuove tendenze e costumi del settore, mettendo sempre al primo posto la qualità del prodotto, sia nella rinascita di drink storici che nelle nuove sperimentazioni. È in tale contesto che viene riscoperta la grappa, tradizionale dopo-pasto dall’identità demodé, che viene svecchiata e rinnovata in ottica di miscelazione. Allo stesso modo, nei cocktail spazio anche a kombucha e saké, una valorizzazione dal sapore cosmopolita che si spinge verso nuove frontiere del gusto. E l’originalità la fa da padrona anche dal punto di vista visivo, con i bicchieri che smettono di essere semplici strumenti per diventare parte della composizione e il ghiaccio che assume un ruolo da protagonista reinventandosi in sfere o diamanti. E come nel mondo del vino, anche la mixology conosce una crescita delle preparazioni free e low alcol, con risultati lontani dai classici e noiosi analcolici: la cura e la

ricercatezza di questi drink raggiungono quelle dei tradizionali cocktail alcolici, per garantire qualità e raffinatezza a qualsiasi livello di gradazione. Sol&Agrifood Anche quest’anno all’interno di Vinitaly si è svolto Sol&Agrifood, il salone delle specialità agroalimentari di qualità, suddivise in tre macro aree: food, olio extravergine di oliva e birre artigianali. Target dell’area espositiva sono stati buyer e operatori HORECA alla ricerca di specialità alimentari attraverso percorsi sensoriali e degustazioni. La tradizione e il meglio della gastronomia nazionale sono state celebrate al primo piano del Palaexpo con il Ristorante d’Autore a cura di MARCO GATTI de Il Golosario. Per quattro giorni, quattro chef si sono alternati per offrire i grandi piatti della cucina made in Italy in versione moderna e gourmet con DANIEL CANZIAN, lo chef patron dell’omonimo ristorante di Milano; SAIMIR XHAXHAJ, chef del ristorante La Canonica di Verona, il patron del ristorante Cavallino Bianco di Polesine Zibello (PR) LUCIANO SPIGAROLI e CRISTINA CARBONE del ristorante Manuelina di Recco (GE). Novità dell’edizione 2022 è stato Simply Gourmet – Italian fine food & bar, il progetto di VERONAFIERE in stile Food Court Premium con una grande area “esperienziale” dove due tra i più rinomati catering italiani, Papillon di Milano e La Dogaressa di Venezia, hanno declinato un menu di carne e un menu di pesce con attenzione all’italianità del piatto. L’appuntamento è con la prossima edizione di Vinitaly il 2-5 aprile 2023 sempre a Verona. Federica Cornia

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I 130 anni di Montresor La cantina Montresor, noto marchio dell’Amarone della Valpolicella, ha festeggiato i 130 anni di storia dalla fondazione, avvenuta nel 1892 per opera di GIACOMO MONTRESOR, e per l’occasione ha lanciato una speciale Riserva di Amarone Docg 2012, presentata durante il Vinitaly. Si tratta di una bottiglia speciale, in 6.000 pezzi, che ricorda un’intuizione dello stesso fondatore, il quale pensò a una bottiglia satinata, da lui disegnata, per poter conservare meglio il vino durante il trasporto via mare verso gli Stati Uniti, mercato che Montresor conquisterà lentamente. Le tre generazioni successive hanno poi sviluppato l’azienda facendo conoscere i vini Montresor in tutto il mondo. Dalla prima bottiglia di Recioto Rustego secco del ‘46, alla presentazione in Canada nel ‘69 di quella che è divenuta un’icona dei vini veronesi in nord America: l’Amarone della Valpolicella in bottiglia satinata. Più di recente, a partire dal 2019, Montresor ha realizzato un nuovo impianto d’imbottigliamento, un nuovo fruttaio per l’appassimento delle uve per l’Amarone, una bottaia completamente ristrutturata e una nuova area di cantina.Totale dell’investimento 3,5 milioni di euro. Oggi i vini Montresor sono commercializzati in 56 Paesi del mondo. >> Link: www.vinimontresor.com

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BEVANDE

Il gin nasce in Italia di Giovanni Ballarini

l ginepro, in particolare il ginepro comune (nome scientifico Juniperus communis L.), è un arbusto il cui nome, Juniperus, da Junix = giovenca e pario = do alla luce, deriverebbe dalla sua (presunta) caratteristica di facilitare il parto delle giovani vacche o perché produce sempre giovani germogli. I suoi fiori dioici con ovuliferi globosi dopo la fecondazione formano una coccola detta impropriamente bacca, grossa 5/8 mm, carnosa, e dalla quale si ricava un’essenza medicinale usata in cucina e, soprattutto, per preparare il Gin che, contrariamente a quanto si ritiene solitamente, è tra i primi distillati alcolici e soprattutto ha un’origine se non esclusiva perlomeno prevalentemente italiana.

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Distillati medicamentosi di ginepro La tecnica distillatoria è già nota ai Babilonesi, ad antichi Egizi e Greci e patrimonio dei sacerdoti e di pochi adepti in Egitto durante l’epoca ellenistica romana. Trasmessa agli Arabi, i distillati di alcool (denominazione araba) e preparati con le tecniche dei medici arabi andalusi applicate al vino, in Occidente si diffondono intorno al X secolo grazie alla Scuola Medica Salernitana. Oggi riteniamo che i distillati alcolici di ginepro, quasi primi proto-gin, siano prodotti in Italia, a Salerno, dove l’alcol originato dal vino è distillato insieme a coccole di ginepro per concentrare le sue proprietà e farne un medicamento stabile, facilmente

trasportabile e utilizzabile tutto l’anno. Ancora oggi al ginepro sono attribuiti effetti utili nel trattamento di disturbi dispeptici. In una raccolta di trattati del 1055, il Compendium Salernitanum, si parla di un distillato di vino infuso con bacche di ginepro. Nei secoli successivi i distillati alcolici di ginepro e ottenuti da diverse origini vegetali si diffondono nelle scuole mediche europee, dove sono modificati. Nel 1269, nel volume enciclopedico Der naturen bloeme volkeren, il dott. JACOB VAN MAERLANT (1235-1300) cita gli effetti benefici di un decotto di bacche di ginepro e vino e, un secolo dopo, JAN VAN AALTER descrive gli inebrianti effetti del Jenever. È questa la prima menzione della bevanda, in quanto il

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Il gin è un distillato secco che deriva dalla distillazione di un fermentato di frumento ed orzo, in cui viene lasciata macerare una miscela di erbe, spezie, piante e radici, ovvero i cosiddetti “botanicals”. In questo insieme di erbe e spezie spiccano le bacche di ginepro, che caratterizzano particolarmente la bevanda in termini di gusto e aroma. È da queste che trae origine il nome della bevanda. (photo © 2019 Gordon Bell).

termine Gin risale al medico di Anversa PHILIPPUS HERMANNI, che nel libro Een Constelijck distileerboeck (1552), menziona l’Aqua juniperi. Verso la metà del ‘600 nell’Università di Leida FRANCISCO DELLA BOE (1614-1672), meglio noto come FRANCISCUS SYLVIUS, usa il Gin, coccole (bacche) di ginepro distillate in alcool, per curare la febbre delle Indie orientali. Terapia e nutraceutica del ginepro Oggi scarso è l’interesse per un uso terapeutico o nutraceutico del ginepro. RAJINDER RAINA e collaboratori [RAJINDER RAINA, PAWAN K. VERMA, RAJINDER PESHIN, HARPREET KOUR (2019), Potential of Juniperus communis L. as a nutraceutical in human and veterinary medicine,

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HELIYON, Vol. 5, Issue 8, e02376] partendo dalle osservazioni e credenze empiriche europee e asiatiche, ritengono che il ginepro sia sicuro per la maggior parte degli adulti se assunto per via orale in quantità medicinale a breve termine o quando inalato come vapore o applicato sulla pelle in piccole aree, mentre la somministrazione orale dell’olio di ginepro per lungo tempo o in dosi elevate può essere pericolosa, causare problemi renali e irritazione dell’intestino, influenzare la pressione sanguigna e abbassare troppo la glicemia. Sarebbero quindi necessari nuovi studi clinici per supportare l’uso di questo prodotto naturale come nutraceutico. In modo analogo, ovvero sulla necessità di ulteriori ricerche, si era espresso il

Final report on the safety assessment of Juniperus communis Extract, Juniperus oxycedrus Extract, Juniperus oxycedrus Tar, Juniperus phoenicea extract, and Juniperus virginiana Extract, and Juniperus virginiana (INT. J. TOXICOL., 20 Suppl. 2, 41-56, 2001). Diffusione del Gin Dall’Olanda il Gin si diffonde in Inghilterra, raggiungendo il massimo della produzione quando, nel 1690, GUGLIELMO III D’ORANGE vieta l’importazione di distillati stranieri, primo fra tutti il cognac dei Francesi, utilizzando le eccedenze di cereali per la produzione di alcool che è destinato alle distillerie di Gin e che in questo modo diviene il principale liquore inglese. Inizialmente prodotto col

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Il Montgomery Martini di Ernest Hemingway Moltissimi sono i cocktail nei quali entra il Gin — Gin Gin Mule o London Mule, Gin Lemon, Gin Fizz, Tom Collins, Tuxedo, Cocktail Milano, Paradise, Black Mamba Kiss, Alexander, Bramble, Singapore Sling, Ramos Gin Fizz, Negroni, Gin Tonic — ma uno è entrato nella legenda e merita un cenno: il Montgomery Martini di Ernest Hemingway (1899-1961). A Venezia, in Calle Vallaresso, al portone numero 1323, vi è l’Harry’s Bar di Giuseppe Cipriani, locale frequentato da Truman Capote, Peggy Guggenheim, Joe DiMaggio, Frank Lloyd Wright, Gary Cooper, Charlie Chaplin, Orson Welles, Gian Carlo Menotti, Georges Braque e nel quale il tavolino in fondo a sinistra, dal 1949 al 1950, è riservato a Hemingway. Riconosciuto da tutti come il re dell’Harry’s Bar, l’unico a potersi dire amico di Giuseppe Cipriani, lo scrittore americano inventa il Montgomery Martini che ancora oggi si trova in menù all’Harry’s Bar. Si tratta della versione “strong” del classico Dry Martini ed è così chiamato da Hemingway per la proporzione di Gin e Vermouth da mescolare, che doveva essere la stessa utilizzata dal Generale Bernard Law Montgomery (1887-1976) nella battaglia di El Alamein (1942): 15 soldati inglesi per un italiano o tedesco, lo stesso rapporto tra le truppe amiche e nemiche che il generale consigliava prima di partire all’assalto. Ingredienti e dosi dell’Hemingway Martini Quindici parti di Gin (6 cl) e una parte di Vermut Dry (0,4 cl), ghiaccio, buccia di limone. La preparazione del cocktail è identica a quella del Martini Dry: raffreddate una coppetta con del ghiaccio, versate un goccio di Vermut nel mixing glass pieno di ghiaccio, rimescolate e versate il Gin. Rimescolate dolcemente. Buttate il ghiaccio dalla coppetta e versate aiutandovi con uno strainer (colino). Strizzate la buccia di limone sopra il cocktail e servite. Esistono anche altre due ricette: Hemingway Martini Dry, nel quale il Vermut è gettato prima di aggiungere il Gin, e Hemingway Martini Dry, senza Vermut e solo Gin… Asciutto ed impegnativo, l’Hemingway Martini è adatto a chi ama il Gin quasi liscio, un cocktail per duri (photo © repeatingislands.com).

nome di Genever, poi abbreviato in Gin e tale è considerato ancora oggi, quando l’Unione Europea lo classifica nelle diverse categorie di Gin, Gin Distillato, London Dry Gin, Spiriti aromatizzati al ginepro, trovando un ampio uso nella preparazione di cocktail. Diversi tipi di Gin Il Gin Distillato (Distilled Gin) si ottiene distillando un alcool al 96% assieme a bacche di ginepro eventualmente con altri aromi naturali o simili a quelli

naturali. Il prodotto finale deve avere almeno il 37,5% di alcol e prima di essere imbottigliato può essere diluito o con acqua o addizionato con altro spirito rettificato. È classificato come Gin Distillato anche il Plymouth Gin prodotto nell’omonima cittadina e da una sola distilleria. Il London Gin è come il Gin Distillato ma non sono aggiunti altri aromi oltre quello del ginepro e può essere prodotto ovunque nel mondo. Le coccole sono messe a macerare per un periodo non

Quanto azzurro d’amori e di ricordi, Gin, infido liquor, veggo ondeggiare, nel breve cerchio onde il mio gusto mordi: o dolci selve di ginepri, rare, a cui fischian nel grigio ottobre i tordi, lungo il patrio, selvaggio, urlante mare! (Gin e ginepri, Giosuè Carducci)

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superiore alle 24 ore nell’alcool e poi ridistillate in una singola seduta (oneshot) in un alambicco di tipo tradizionale. Può essere inserita la dicitura Dry se vi è l’aggiunta di dolcificante con un massimo di 0,1 g/l. L’Old Tom Gin è una versione più dolce del London Dry Gin, usando sciroppo a base di glucosio, e serve per il popolare cocktail Tom Collins. I liquori aromatizzati al ginepro non sono Gin e sono prodotti con aromi naturali, o identici a quelli naturali, e devono avere un rapporto alcol/volume del 30%. Rientra in questa categoria il Genever popolare per i cocktail. Non è un Gin neanche lo Sloe Gin, infuso con prugnole selvatiche, liquore dolce con una gradazione alcolica solitamente intorno al 28%. Gin oggi in Italia In Italia il ginepro continua ad avere un successo in cucina come aromatizzan-

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te, cambiando però le modalità d’uso rispetto al passato, quando le coccole di ginepro erano usate soprattutto nella cucina delle carni e come condimento in cottura di frattaglie, fegato, intestino, cuori, polmoni. Erano particolarmente indicate per le carni nere della selvaggina, in particolare cinghiale, cervo e anatra, con l’avvertenza di rimuoverle prima del servizio, per la loro consistenza dura e la tendenza a sbriciolarsi. Il Disciplinare UE n. 110 del 2008 prescrive che nei Gin il sapore del ginepro sia predominante, anche se questo non è attualmente verificabile nei prodotti presenti sul mercato, anzi ne esistono alcuni in cui questo sapore è decisamente troppo blando e che quindi non dovrebbero neppure essere chiamati Gin. Il Gin è ritornato sulle tavole degli Italiani in due modalità: la prima è nella preparazione di cocktail da aperitivo e la seconda è come digestivo a fine pasto. Nel 1800, col diffondersi del Pranzo alla Russa, permane l’opinione che lo stomaco sia una pentola che cuoce e per questo vada riempito secondo un certo ordine, iniziando da un “aperitivo” e terminando con un “digestivo”, idea che sarà cambiata dalle ricerche di fisiologia sperimentale. L’aperitivo nasce a Torino nella bottega di liquori di ANTONIO BENEDETTO CARPANO (1751-1815), che nel 1786 inventa il Vermut, prodotto con vino bianco addizionato ad un infuso di oltre trenta tipi di erbe e spezie, e da allora la “speciale bevanda” è stata esportata in tutta Europa e poi nel mondo, divenendo con l’appellativo di Martini l’aperitivo per eccellenza, da bere liscio o come base di tanti cocktail dove è presente anche il Gin. L’aperitivo è un rito che si svolge come pre-cena, inteso come pausa relax post lavoro, accompagnato da stuzzichini vari. Nuove varianti si prolungano oltre l’orario di cena, sotto il nome di apericena, in cui con un piccolo costo aggiuntivo è possibile degustare finger food di tutti i tipi come sostituto alla cena stessa. Il digestivo è invece una bevanda alcolica bevuta al termine di uno dei pasti principali, pranzo o cena, magari abbondante, per facilitare la digestione. Nella cultura enogastronomica italiana sono considerati digestivi amari e distillati, Gin compreso. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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TECNOLOGIE

L’M-ERP di CSB-System per supportare la mobilità interna ed esterna Con la soluzione M-ERP di CSB-System i processi diventeranno più efficienti, favorendo decisioni più veloci ed attendibili razie ad applicativi mobili, è oggi possibile per chiunque ottimizzare il proprio lavoro laddove in passato vi erano solitamente degli sprechi di tempo. Lavorare fuori e dentro lo stabilimento, sempre e ovunque, richiamare tutte le informazioni necessarie allo svol-

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gimento del proprio lavoro sull’intera filiera: con l’M-ERP del CSB-System è possibile. Tutte le funzionalità del gestionale CSB-System sono disponibili su apparecchiature mobili e in web con le stesse prestazioni. Ovunque si vada si è accompagnati dal software aziendale: tutti i dati vengono inseriti

on-line e messi a disposizione dell’ERP centrale in maniera diretta, mobile, flessibile ed efficiente. La maggiore mobilità all’interno dello stabilimento, infatti, evita molteplici inserimenti degli stessi dati e dona un maggiore controllo del processo. Con la soluzione M-ERP di CSB-System i processi diventeranno più

Uno dei punti vendita di Fish’s King.

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In alto: l’azienda casearia Ponte Reale. A destra: Eurochef Italia Spa a Sommacampagna (VR).

efficienti, favorendo decisioni più veloci ed attendibili. Massima mobilità ed efficienza con l’M-ERP A prescindere dal dove e quando, tramite CSB M-ERP che funziona sia con applicativi Windows che Android, l’utente è in grado di rilevare ed elaborare i dati di qualsiasi processo dove questi si generano. I dati sono così comunicati direttamente all’ERP centrale, con conseguente risparmio di tempo e riduzione degli errori. CSB M-ERP per il ricevimento merci Con le proposte di acquisto predisposte centralmente nell’ERP CSB-System, viene supportato l’intero processo dall’articolo per fornitore fino al controllo dell’arrivo della merce. Alla Fish’s King, storica realtà specializzata nell’importazione e distribuzione di prodotti surgelati nel settore HO.RE.CA. e retail, già da anni

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ormai impiegano questa soluzione. «Con la gestione mobile degli ordini di acquisto — spiega il dott. VINCENZO FORTUNIO, responsabile degli acquisti italiani ed esteri — noi riordiniamo gli articoli dei nostri punti vendita campani direttamente tra le corsie e riceviamo le forniture in completa mobilità, ottimizzando tempi e controlli». CSB M-ERP per il magazzino L’esempio più celebre dell’impiego di M-ERP è sicuramente la gestione

automatizzata, rapida e attendibile dell’intera movimentazione di magazzino; quindi non solo tutti gli ordini di carico e scarico ma anche la gestione degli inventari. «Informazioni chiare, sempre disponibili, sempre aggiornate. Procedure flessibili e facili da usare. Per noi è essenziale — spiegano alla UNICOOP FIRENZE CENTRO FRESCHI DI PONTEDERA perché — così riduciamo al minimo i tempi di formazione del personale in magazzino e soprattutto riduciamo gli errori».

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Fase di lavorazione da Agricola Lusia. CSB M-ERP per picking e vendita L’utilizzo di una soluzione mobile consente di ridurre il dispendio di tempo ed i margini di errore nell’evasione degli ordini, con percorsi ottimizzati e verifica on-line delle richieste specifiche del cliente (ad esempio, consegna con scadenza minima non inferiore a 3 mesi) e rilevazione uscita merci. «Da quando abbiamo implementato l’MERP per picking e vendita, abbiamo ridotto in maniera significativa i tempi operativi e gli errori» afferma LUIGI REGA, responsabile commerciale della Ponte Reale, azienda casearia dove la più antica tradizione si coniuga con concetti all’avanguardia come sostenibilità e responsabilità d’impresa. Infatti, «le nuove procedure di preparazione ordini, semplici da usare ma allo stesso tempo flessibili e complete, hanno migliorato la nostra routine lavorativa perché così abbiamo alleggerito lo stress dei periodi di superlavoro». Anche da EUROCHEF ITALIA, azienda specializzata nella produzione e vendita di piatti pronti di gastronomia per la ristorazione, la Grande Distribuzione e il consumatore finale, «l’implementazione dell’M-ERP di CSB-System ci ha fornito

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la soluzione ad alto valore aggiunto che cercavamo. Con una sola azione abbiamo inciso positivamente su mobilità, controllo e produttività». CSB M-ERP per la produzione Attraverso il collegamento delle bilance, degli scanner e di tutte le periferiche necessarie, sulla base delle ricette inserite e degli ordini di produzione esistenti si possono ricomporre gli ingredienti di una ricetta, le cui quantità vengono scaricate dai conti di giacenza di magazzino. «Potrei riassumere In tre parole la completa ottimizzazione dell’operatività in produzione: flessibilità, velocità e controllo» dice ISABELLA GAMBIN di Agricola Lusia, azienda veneta specializzata nell’approvvigionamento, confezionamento e distribuzione di agrumi. E continua, «Il valore aggiunto deriva dai dati sempre aggiornati in tempo reale e sempre corretti. Aspetto questo che ci consente di avere performance migliori anche nelle vendite». Per concludere Avere un unico fornitore di ERP e M-ERP è sicuramente conveniente, perché consente all’azienda di formare gli utenti su un unico software e di avere un unico

referente per le soluzioni sia fisse che mobili. In breve, i vantaggi: • inserimento e visualizzazione delle informazioni in tempo reale; • integrazione di periferiche per automatizzazione parziale o completa di processi aziendali complessi; • eliminazione del cartaceo; • riduzione degli sprechi di tempo causati da doppi inserimenti; • ottimizzazione delle prestazioni delle risorse umane sull’intera filiera.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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ALBERTO GRANDI Denominazione di Origine Inventata Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani Edizioni: Mondadori 192 pp. – € 11,00

ALBERTO CAPATTI, ELENA FAVA (a cura di) Figurine di gusto Delizie per la gola e gli occhi dalla natura all’industria Edizioni: Franco Cosimo Panini 224 pp. – € 25,00

ALBERTO CAPATTI Piccolo atlante dei cibi perduti Storie di cucina dimenticata Edizioni: Slow Food Editore 192 pp. – € 16,50

Il Parmigiano Reggiano più simile a quello creato secoli fa dalla sapienza dei monaci emiliani? È il Parmesan prodotto in Wisconsin, USA. E quella meraviglia dolce e succosa che si chiama pomodoro di Pachino? Un ibrido prodotto in laboratorio da una multinazionale israeliana. Tutto quel gran sbattersi per definire il vino DOC, DOP o IGP in base a millenarie tradizioni dei vigneti? Un nobile intento, che finge di non sapere che nell’800 un parassita distrusse tutte le vigne presenti sul territorio italiano e europeo, obbligando i nostri viticoltori a usare viti non autoctone e innesti vari. ALBERTO GRANDI, dell’Università di Parma, svela il marketing dietro al successo dell’industria gastronomica italiana. I tanti prodotti tipici italiani, gran parte dei piatti e la stessa Dieta Mediterranea sono certo buonissimi, ma le leggende di storia e sapienza che li accompagnano sono invenzioni degli anni ‘70: è in quel momento che imprenditori e coltivatori si alleano per inventare una presunta tradizione millenaria del nostro cibo e il conseguente storytelling per sostenerla. Un libro, questo, che farà arrabbiare, ma, forse, anche ragionare, tutti coloro che sono fideisticamente innamorati del grande mito della tipicità italiana.

Figurine di gusto affronta il tema del cibo e dell’alimentazione così come è stato raccontato dalle figurine fin dalla metà del XIX secolo. In quegli anni la nascente industria alimentare le sfrutta infatti come veicolo promozionale per illustrare al pubblico alimenti pensati, per la prima volta, per la lunga conservazione, una vasta distribuzione e una facile preparazione. Prodotti come l’estratto di carne liofilizzata, il latte condensato, la tapioca o le tavolette di cioccolato diventano così protagonisti delle figurine, che spiegano le loro proprietà benefiche e principi nutritivi e mostrano gli stabilimenti in cui venivano realizzati e imballati. Ma il rapporto tra le piccole cromolitografie e il cibo non si esaurisce certo qui: i “cibi di strada” e le ricette tipiche spesso oggi dimenticate sono frequentemente stati il soggetto di numerose serie, insieme a panoramiche sulla storia dell’alimentazione dei popoli. Tra le pagine di questo libro, come in un’Esposizione Universale che attraversa i secoli e i continenti, il lettore incontrerà così ghiottonerie e prelibatezze, frutti dei campi e cibi conservati, ricette antiche e tavole imbandite.

Il gioco del cibo dimenticato o ricordato è all’origine di questo piccolo atlante: 80 schede-racconto riportano in vita cibi e ricette del ‘900 (apparentemente?) scomparsi. La seconda parte è dedicata alle nonne, attraverso i ricettari che le vedono protagoniste, prime custodi nell’immaginario popolare di una cucina senza di loro condannata all’oblio. I cibi dimenticati danno continuità alla nostra storia e ci permettono di intuire non soltanto che cosa siamo stati, ma soprattutto che cosa siamo e cosa saremo. Quasi un giallo, un mistero, un elenco di stranezze, della nonna o di qualche ristoratore modaiolo, ma poi neanche tanto strano a bene vedere… Il loro nome attira l’attenzione, perché misterioso come bighelloni e broccioli, o perché esagerato e fantasioso come le uova di pavoncella, suggerite per una cena galante in un ricettario afrodisiaco del 1910. Le fonti sono le più varie: i brustulli, ad esempio, vengono dal Dizionario delle cose perdute di FRANCESCO GUCCINI. Le schede si susseguono in ordine alfabetico, dall’abalon al pane perduto, nomen omen, fino a uno yogurt usato insolitamente (ILARIA RATTAZZI nel 1981: “Vi siete presi una sbronza, mangiate dello yogurt”).

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Tre libri Denominazione di Origine Inventata – Figurine di gusto Piccolo atlante dei cibi perduti

5min
pages 152-156

Bevande Il gin nasce in Italia Giovanni Ballarini

8min
pages 144-147

Vino Sana Slow Wine Fair 2022: la rivoluzione del vino buono, Federica Cornia pulito e giusto

3min
pages 138-139

Olio Oli, uomini e territori

6min
pages 134-137

Il gusto di camminare Sul cammino della pace. Muovendo passi e pensieri attraverso Elena Simonini Abruzzo, Molise e Puglia

9min
pages 120-125

Formaggio San Simón da Costa Dop, incantesimo galiziano Riccardo Lagorio

2min
pages 130-131

Week-end Il picnic è servito

7min
pages 116-119

Marca by BolognaFiere riparte con una grande edizione

6min
pages 108-115

Fiere Torna Taste ed è subito successo

12min
pages 98-107

Tutto il biologico, oggi Nonno Andrea, Azienda Agricola Biodiversa Gian Omar Bison

6min
pages 70-73

Brevi storie di cibo lento Tarese Alessia Morabito a velocità contemporanea

3min
pages 22-25

Mercati Segno + per la Bresaola della Valtellina IGP

9min
pages 74-79

Speciale CIbus Cibus 2022 si conferma la piattaforma permanente dell’agroalimentare italiano

15min
pages 44-57

Alla scoperta di una delle fi liere DOP più corte d’Italia, Elena Benedetti

3min
pages 62-63

Belle Botteghe Salami morbidi e ricette identitarie Riccardo Lagorio

8min
pages 80-83

L’argjel friulano Roberto Villa

2min
pages 90-91

Interviste Salumifi cio Mec Palmieri: più forti del terremoto

4min
pages 40-43
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