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Prosciutto e melone: cucinatevi l’estate Giorgia Fieni
Photo © Isabella – stock.adobe.com
CICCIOLI FROLLI,
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snack della tradizione
di Nunzia Manicardi
Ormai l’aperitivo e l’apericena sono diventati ovunque un rito irrinunciabile, e non soltanto nel fi ne settimana, dei consumatori più o meno giovani. Perché allora non accompagnarli con uno stuzzichino appartenente alla nostra tradizione gastronomica più antica, autentica e gustosa?
Avanti, allora, con i ciccioli frolli, delizia del palato! Lisci, così come sono in origine, con l’aspetto di salatini e quindi di un vero e proprio fi nger food, oppure sbriciolati all’interno di bocconcini di focaccia o, perché no, pure di polenta fritta. Tanto, lo sappiamo, durante gli aperitivi non si bada troppo alle calorie.
Anche nel caso dei ciccioli frolli, ad ogni modo, qualunque sia la loro preparazione sarà suffi ciente mangiarne con moderazione, accompagnandoli con l’altrettanto tradizionale Lambrusco che mette allegria. Alla faccia e alla salute di chi snobba i prodotti di casa nostra!
I ciccioli frolli sono una specialità tipica dell’Emilia-Romagna, dove però quelli emiliani si differenziano leggermente dai “fratelli” romagnoli che sono più piccoli, quasi della dimensione di un fi occo di mais, e non vengono pressati e compressi durante la cottura, come richiede invece la tradizione emiliana.
Emilia-Romagna innanzitutto, perché questa è la patria del maiale. I ciccioli frolli tuttavia sono diffusi anche in molte altre regioni italiane, pressoché in tutte, dato che l’allevamento del maiale — anche soltanto di un unico capo — rientrava un tempo nella basilare economia domestica contadina insieme con quello degli animali da cortile.
Prendono nomi diversi a seconda dei luoghi, nomi che quasi sempre sono riconducibili a “ciccia”, “grasso” o “lardo”. Qualche esempio: grasëtte in Piemonte; greppole in Lombardia; cicines o fricis in Friuli; sfrizzoli nel Centro Italia; lardinzi o frittole in Campania; cicoli in Capitanata; frittuli in Sicilia…
Nella tradizione contadina, uniti alla polenta, costituivano un ottimo pasto. Venivano anche sbriciolati nell’impasto di pane, focaccia, pizza e gnocco per renderli più saporiti. Quest’usanza si conserva tuttora: in Umbria, per fare qualche altro esempio, si prepara la torta ’n ch’i ciccioli o la pizza co’ li sfrizzoli, in Irpinia la pizza pe’ frittole o pane con le cicole, in Puglia la pizza coi cicoli; nelle Marche i grasselli, che si facevano sul fuoco del camino in una padella di ferro posta su un treppiede, adesso si acquistano nelle norcinerie artigianali e poi si aggiungono all’impasto di pizze e schiacciate rustiche preparate in casa.
I ciccioli frolli si ottengono dalla fusione dei grassi del maiale e dalla fi ltratura dello strutto. Si preparano nel seguente modo: si mettono in un pentolone gli scarti del maiale ottenuti dalla sua macellazione e tagliati a piccoli pezzi. Si tratta di tutti i pezzi grassi e della testa, cioè di tutto lo strato adiposo estratto e ripulito dalla cotenna. Si fa cuocere a fuoco basso per alcune ore, mescolando di tanto in tanto, in modo che il grasso si sciolga perfettamente facendo evaporare l’acqua in esso contenuta e che si amalgami con la carne residua. Si continua a cuocere fi nché il composto non viene a galla sotto forma di tocchetti di colore rosa tendente al dorato. Si spegne il fuoco e si fi ltra il composto utilizzando tradizionalmente uno strofi naccio di cotone (un tempo tessuto in casa) che in Emilia-Romagna prende il nome di burazzo.
La parte che cola è lo strutto, la parte solida che rimane sono i ciccioli.
Lo strutto quindi va anch’esso conservato con cura per i tanti altri usi alimentari a cui è dedicato, soprattutto per friggere alimenti quali il gnocco. I ciccioli vanno invece messi in una pressa dove nella parte inferiore sono state posizionate alcune foglie d’alloro e un po’ di sale. Più vengono pressati e più diventano duri.
Alla fi ne della pressatura, che serve a togliere un po’ di grasso, va aggiunto altro sale, poi li si lascia raffreddare. In alcune zone vengono insaporiti con l’aggiunta di aromi quali chiodi di garofano, cannella, pepe, noce moscata. Ogni norcino li personalizza, in genere a seconda del gusto proprio o dei suoi commensali o clienti.
Dopo la torchiatura possono essere lasciati in formella oppure sbriciolati a caldo. Comunque li si prepari, sono ottimi consumati freschi, addirittura dopo poche ore dalla loro produzione, però si conservano fi no a due mesi, ma solo in luoghi particolarmente freschi, asciutti e lontani da fonti di luce e di calore.
In commercio sono reperibili in diversi formati, anche come sottili torte secche, e spesso in vaschette salva freschezza che consentono una conservazione un po’ più lunga.
Esistono, come sempre nella nostra Italia, diverse varianti locali tra cui vogliamo ricordare quella calabrese. Qui, dove il nome più comunemente usato è curcuci, i ciccioli sono la parte che rimane dalla bollitura delle frittole, cioè di tutte le parti del maiale non usate per gli insaccati o per il lardo secco, unitamente a una parte di grasso, ossia di sugna, che si liquefà in questa bollitura.
Nunzia Manicardi
Pizza coi grasselli, dalla tradizione contadina marchigiana (photo © www.charmen.it).