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Prodotti tipici Mai provato il biroldo? Chiara Papotti

Bervini, il meglio dal mondo, pastrami compreso

Punta di petto bovino, sale, pepe, rosmarino e timo: quella che ammirate in foro è la versione del pastrami prodotta dalla Ala carni del Gruppo reggiano Bervini nel suo stabilimento di Ala in provincia di Trento. La ricetta arriva direttamente da un viaggio in Québec fatto oltre 30 anni fa da Renzo Bervini, presidente dell’omonimo Gruppo. Il taglio per la preparazione della tipica Viande fumée à la montréalaise o Smoked meat, come viene più semplicemente chiamato il pastrami da quelle parti, è infatti la punta di petto, il Beef brisket per intenderci, mentre negli Stati Uniti si utilizzano solitamente tagli più grassi ed una speziatura più accentuata, con la presenza di pepe, paprika, chiodi di garofano, aglio, coriandolo…

La punta di petto è un taglio generalmente piuttosto fi broso, ricco di tessuti connettivi, che necessita di lunghe cotture; è adatto ad esempio per il bollito e deve essere quindi di qualità elevata perché il pastrami che se ne ricaverà resti morbido e gustoso. Per questa versione pregiata parliamo di carne di bovino adulto selezionata e grain fed. La punta di petto viene immersa in salamoia, la si asciuga per bene e la si cosparge interamente di spezie, sale, pepe, rosmarino e timo, massaggiandola affi nché penetrino all’interno il più possibile. Seguono l’affumicatura e la cottura a vapore.

Prima del sottovuoto il pastrami è ripulito dall’eccesso di spezie rimasto in superfi cie, così la carne risulterà più dolce e sarà maggiormente gradita alla maggior parte dei nostri connazionali, non così abituati ad imbottire i propri panini con la carne quando non si tratti di insaccati, hamburger o della mitica fettina di pollo panata. Tagliato a fette piuttosto spesse si può gustare così, al naturale, con un contorno di insalata di patate condita con yogurt arricchito con erba cipollina e prezzemolo o con la classica coleslaw a base di cavolo cappuccio, carote e maionese. Per mangiare il pastrami come ripieno di un sandwich, un toast, un bun o tra due fette di pane preferibilmente “nero”, integrale o di segale (il tipico sandwich americano), meglio tagliare invece le fette molto sottili, magari usando l’affettatrice al posto del coltello (photo © Massimiliano Rella).

>> Link: www.bervini.com

43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

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