Le donne ce la fanno sempre

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Un libro che guida alla riscoperta del variegato mondo femminile per donare a tutte le donne la coscienza delle proprie qualità.

Katia Vignoli Nata nel 1961, vive e lavora a Lodi. Psicoterapeuta e giornalista, è anche docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia e alla Scuola di Naturopatia dell'Istituto Riza. È conduttrice d’esperienza di corsi di formazione per le aziende e workshop dedicati alla salute psico-fisica. Cura da anni la rubrica “Dalla parte di lei”, su Riza psicosomatica.

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Katia Vignoli LE DONNE CE LA FANNO SEMPRE

Le donne hanno pazienza, intuito, capacità strategiche, conoscenza del corpo e senso della natura. Soprattutto nei momenti più difficili sanno dimostrare le proprie capacità.

RIZA

Le donne hanno grandi doti, di cui sono ricche per natura, o che hanno dovuto sviluppare per affrontare i tanti compiti da sempre a loro affidati.

Katia Vignoli

LE DONNE CE LA FANNO SEMPRE COME UTILIZZARE LE POTENZIALITÀ DEL FEMMINILE PER SUPERARE I DISAGI DELLA VITA

RIZA 07/06/12 16:04



INDICE

Introduzione Le donne sanno come fare per “nutrire la vita”

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La pazienza Speranza e attesa, non sopportazione infinita

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L’intuito Il “sesto senso” delle donne

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La strategia del femminile La capacità di “tessere la tela”

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A proposito di maternità Elogio delle madri imperfette

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Il rapporto col corpo In sintonia con il proprio essere fisico

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Le donne e la natura Ritrova il tuo talento istintivo

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INTRODUZIONE

Le donne sanno come fare per “nutrire la vita”

U

na delle espressioni cinesi più familiari è “yang sheng”, che significa “nutrire la vita”, ovvero aver cura di mantenere e dispiegare il potenziale di vita di cui siamo investiti. Credo che sia proprio questo che una donna autentica fa: nutrire la vita, custodirla ed espanderla. Forse mai come in questo momento di emergenza, in cui le risorse scarseggiano in ogni dove, urge rimettere in atto questa competenza, utilizzando le funzioni che fin dai primordi sono riconosciute alla donna: la pazienza, l’intuito, la capacità strategica, la maternità, la corrispondenza con la natura, la conoscenza del corpo, modi di essere che dispiegano le forze per fare al meglio quel che è da fare, curandosi di mantenere vivo il terreno, invece che spremerlo fino a esaurimento. 9


Nutrire la vita e nutrire la propria natura è la stessa cosa e le donne, olistiche per conformazione, lo sanno bene: la sostanza con cui alimentiamo le nostre radici riverbera nella ricchezza dei nostri frutti; preservare la nostra essenza e portarla a piena realizzazione fa fiorire insieme a noi la vita tutta. Lo stiamo facendo? Me lo chiedo da donna ascoltando le donne, lavorando con loro: sapere cosa è da fare non significa farlo. La difficoltà di conciliare tutto ci fa arrivare stremate a fine giornata; il mito della bellezza per sempre sta derubando le nostre facce di espressività e carattere; la grazia, la misura, la gentilezza sembrano diventate virtù di altri tempi e poco funzionali rispetto all’aggressività alla quale ci sentiamo obbligate per difendere il nostro territorio; e anche se al Principe Azzurro non crediamo più, la paura di restare sole ci fa cadere troppo spesso nelle grinfie del Principe Nero. Molte di noi si chiedono se non sia una pretesa eccessiva ambire a una vita completa, in cui affetti, lavoro, inclinazioni personali, possano convivere in uno spazio armonico; e nell’incertezza accettano di pagare pedaggi che non sono richiesti, per gratificarsi poi con tutto quello che alla fine non serve. Alla luce di ciò credo sia tempo di riappropriarci dello sguardo attento e intento della Dea, il principio attivo che feconda la vita e trasforma le cose. Sentimenti, desideri, proiezioni mentali, retaggi, pregiudizi, senso di inadeguatezza, fretta, paure non devono distoglierci dall’occupare il posto che ci spetta e ci aspetta. 10


A farci da controcanto in questo viaggio insieme sono le voci sparse delle donne che hanno fotografato anche per noi istantanee del mondo variegato del femminile; scrittrici e poetesse che l’hanno accolto, indagato, svelato e protetto. A ciascuna di loro la psicologia è debitrice di colore e di profondità. Facciamo nostra la stessa urgenza con cui ce l’hanno raccontato, come testimoni di una storia che intimamente ci riguarda e che ci invita a viverla tutta, in ogni sua sfumatura, senza tagli e sacrifici inutili. Non è più tempo di rimandare!

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Troppa paura di sbagliare Scrivendo per la rivista “Figli Felici”, constato di continuo quanto le madri oggi siano ossessionate dalla paura di sbagliare. Nelle loro richieste di consigli e nelle ammissioni di stanca inadeguatezza confidata senza filtri al giornale, si legge il timore di commettere errori talmente grandi da compromettere l’equilibrio dei figli ed esporli in futuro ai pericoli più temuti, ovvero la droga, l’alcol, le cattive compagnie… A sorprendere è che a metterle in crisi siano figli ancora piccoli, spesso in età prescolare, eppure ben capaci con le loro prese di posizione e comportamenti fuori standard di innescare dubbi e far ricorrere senza troppi indugi al parere dell’esperto. “In cosa sto sbagliando? Dove ho sbagliato?”, è la domanda che ridonda nella testa e nelle lettere che arrivano in redazione. Per paura di non aver capito bene chiediamo altre spiegazioni e troppe spiegazioni dispensiamo ai figli, alimentando così la polemica infinita che strema noi e agguerrisce loro. Non credo fosse così per le nostre madri. Eccessive, severe, critiche, scomode, pasticcione, umorali, si accettavano così, forti dell’immunità di cui per diritto ogni madre gode. Non gliene importava un granché di esser perfette, manco ci provavano e non si sarebbero mai sognate di confrontarsi con un esperto per capire se erano sulla strada giusta o no. Certo che ci conoscevano, ci avevano fatto, carne nella carne, cos’altro serviva? Quanto a noi, le figlie, ci tenevamo senza troppe rampogne la madre che il destino ci aveva assegnato, chissà se la fricchettona, la borghese, la massaia, la sognante, l’intellettuale o la bambolona con la bocca a cuore, e come da copione la combattevamo, senza però alcuna velleità di vittoria, perché vincere avrebbe messo fine al gioco e giocare serviva, eccome se serviva, per irrobustire il nostro femminile e 95


fargli finalmente spazio per accoglierlo. Madri ingombranti le nostre, madri lunghe, madri dense, “una grande pianura dove abbiamo camminato a lungo senza coglierne la misura… una grande marcia senza fine” (M. Duras, “Quaderni della guerra e altri testi”, ed. Feltrinelli, pag. 272). Madri che hanno vissuto senza freno la passione che avevano per noi, spesso senza esser benedette dalla calma che la maternità di suo prodiga, e che, come accade in ogni passione, ci hanno nutrito di una realtà talmente viva e vera e unica, da farcela sembrare sogno. Madri capaci di dirti quel che nessuno aveva il coraggio di dirti, darti quel che nessuno aveva la generosità di darti, chiederti quel che nessuno si sarebbe sognato di chiederti. Madri che ti facevano preferire la sopravvivenza all’aver ragione. Madri così possono essere anche pericolose, molto pericolose ma non più di quelle che prima di abbracciare un figlio o di mollare un ceffone si chiedono cento volte se sia il momento giusto per farlo. Certe mattine d’inverno mia madre ci portava al mare. A scuola andavamo bene, una giornata di vacanza ce la potevamo prendere, tagliava corto alle nostre deboli rimostranze, sollecitando me e mia sorella a finire in fretta la colazione, così da poterci godere un’ora di sole in più sulla spiaggia generosa della Romagna. La mitica Dyane arancione, che da lì a poco si sarebbe riempita di carta di caramelle, giornalini, briciole e cassette di musica era pronta a un’altra avventura segreta, perché segreta doveva essere, sennò che avventura era? Il mare d’inverno, trasgressione nella trasgressione e i piedi che sulla sabbia umida lasciavano impronte che avremmo ricalcato al ritorno, attente a non sbordare. Godendoci la fuga fino all’ultimo casello, sosta concessa all’ultimo grill a dieci chilometri da casa perché era ancora 96


festa, solo una volta rientrate avremmo studiato cosa raccontare a mio padre e alle maestre, autorità indiscusse e gabbate; una balla inventata bene ci voleva, originale ma non troppo, perché a esagerare con l’immaginazione si finisce sempre male. Era la stessa madre che mi faceva rifare un tema anche cinque volte se non era scritto al meglio, che mi faceva sentire cretina quando volevo qualcosa solo perché la volevano gli altri e che quando si eclissava nei suoi silenzi diventava inaccessibile se pure a un passo: mamma sei arrabbiata? Mamma che cos’hai? Ma, tra luci e ombre, non ho un ricordo di lei che ancora non pulsi di vita vera e dopo tanti anni non mi faccia ridere, sorridere, commuovere o restare semplicemente lì, in una bolla d’intimità sospesa e mai finita. Invece di comprargli un altro giochino elettronico, in un giorno qualsiasi porta tuo figlio via con te e mostragli il tuo mondo a colori. I bambini come le donne adorano le sorprese e comincia tu a fargliene, senza spiegare, senza chiedergli se è d’accordo o no. Nascondigli il cellulare e la play-station, vuotagli lo zaino, perché possa riempirlo di un’altra storia. Forse l’unica cosa da temere è non lasciare niente di vibrante ai figli, qualcosa che sia carne pulsante, cuore che batte: l’unicità di un gesto, un passo di danza improvvisato, un pianto sconsolato o una risata irrefrenabile, un no gridato con la stessa determinazione con cui bocceresti una legge sbagliata, un sì di pace detto senza condizioni. Credo che il bello sia legato a filo doppio al vero. Cerca di essere per tuo figlio la prima palestra in cui allenarsi e abituarsi al vero, fagli respirare il profumo fresco della spontaneità così da imparare fin da piccolo a fiutare la muffa della finzione a distanza e non esserne sedotto: a una madre autentica si perdonano tante cose, ma una madre finta, anche se non commette errori, ti rende orfano. È questo che un figlio fa fatica a perdonare. 97


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