Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIX N. 2 Marzo-Aprile 2017
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N. 2 Anno XXIX Marzo-Aprile 2017
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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.
Premiata Salumeria Italiana, 2/17
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N. 2
In questo numero: Agenda
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Immagini
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Legislazione
Europa, cibo e trasparenza: la nuova era è iniziata da un pezzo
Sebastiano Corona
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
26
L’orgoglio di fare bene i salumi (anche precotti)
Elena Benedetti
30
San Vincenzo: i sapori della Sila in versione “norcina”
Massimiliano Rella
34
Aziende
Ibis: 50 anni di storia, la qualità premiata e uno sguardo all’innovazione Salumi Bazza: migliorare ancora, migliorare sempre
36 Gian Omar Bison
38
Indagini
Sempre più Dop e Igp
46
Tendenze
Agroalimentare, falsi miti e nuove verità
54
Il ritorno della canapa
Massimiliano Rella
58
Mercati
Tendenze e opportunità del mercato delle salse
Alessandro Togni
62
La Qualità
Lo Speck Alto Adige Igp compie vent’anni e va alla conquista di USA e Canada
64
Consorzio del Prosciutto di San Daniele: in prima linea per il contrasto alle frodi e la tutela della Dop
66
Prodotti tipici
Macellerie d’Italia
La salsiccia gialla modenese
Josette Baverez Blanco 72
Lo strutto, lasciapassare per il gusto
Sebastiano Corona
74
Se il musetto è take away
Gian Omar Bison
78
Speck, salami e schultar, sotto la Creta di Timau
Riccardo Lagorio
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Premiata Salumeria Italiana, 2/17
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Nutrizione
Dieta Mediterranea: si ripensa alle origini per costruire il futuro
Locali di gusto
Nel nuovo locale romano di Santarelli il cuore batte per Amatrice
Massimiliano Rella
88
Panino Lab alla ferramenta, “intercultura” da mangiare
Gaia Borghi
90
Montagnana… prosciutto e altre bontà dentro le mura
Josette Baverez Blanco 94
Il Markthal di Rotterdam: buon cibo, ogni giorno
Massimiliano Rella
Week-end
84
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Rassegne
Pitti Taste n. 12, cresce il salone del gusto e del lifestyle
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Olio
Dimmi cosa mangi e ti dirò che olio scegliere
108
Aceto
Quattro amici in acetaia
Elena Benedetti
114
Vino
Forlì Wine Festival, Emilia-Romagna enoica
Riccardo Lagorio
116
Un percorso alla scoperta dell’Italia migliore
118
Grenache: tanti nomi, un solo vitigno e una grande opportunità per la Sardegna
Riccardo Lagorio
120
I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: pizza e vino
Laura Franchini
124
Tecnologie
Evoluzione nella tradizione
130
Statistiche
Focus sui prodotti Dop e Igp a base di carne
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Libri
Le quattro stagioni del sapore del Cotechino e Zampone Modena Igp
136
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena in cucina
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In copertina: il lardo, ingrediente prezioso per tante ricette della tradizione italiana, anche in primavera (photo © Massimiliano Rella).
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Bio Busti naturalmente è il marchio distintivo dei formaggi biologici del Caseificio Busti. Nata dall’esperienza e dalla passione della Famiglia Busti per le cose buone, Bio Busti naturalmente è una linea pensata per riscoprire i sapori sinceri del latte fresco ed esaltare l’essenza della semplicità e della genuinità. I nostri pecorini sono realizzati con latte biologico certificato, proveniente da allevamenti del territorio tosco-laziale nel pieno rispetto dell’ambiente e del benessere animale. La stagionatura al naturale ed i trattamenti in crosta con ingredienti rigorosamente privi di additivi conservanti, rappresentano un aspetto peculiare della produzione dei nostri formaggi biologici. Anche lo spontaneo sviluppo di muffe in crosta è sinonimo di un processo di maturazione fondato sui valori e sui principi di una cultura biologica.
CASEIFICIO BUSTI S.n.c Via Marconi, 13 A/B - 56043 Fauglia - Loc.Acciaiolo (Pisa) Tel. 050.650565 - www.caseificiobusti.it
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AGENDA Polesine Parmense (PR) Che del maiale non si butti via niente è cosa nota e sostenuta da un’ormai consolidata tradizione secolare che, specie in Italia, ha contribuito a creare una vera e propria cultura fondata sulla lavorazione del suino e sul culto dei prodotti che da essa si ottengono. È per questo motivo che GAMBERO ROSSO e l’ANTICA CORTE PALLAVICINA dei fratelli Spigaroli sono lieti di presentare la quarta edizione di Salumi da Re, il raduno nazionale di allevatori, norcini e salumieri che dal 1 al 3 aprile celebrerà, presso l’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense, il mondo della norcineria di qualità di casa nostra. Il tema principale della tre giorni sarà i “Salumi innovativi”, declinato in incontri, convegni e laboratori dedicati alle nuove frontiere della produzione salumiera. Poi i salumi “Classici”, i “Tradizionali ritrovati” (da pentola e quelli di antiche razze suine) e le specialità salumiere delle zone terremotate. Gli incontri, curati da MARA NOCILLA, giornalista del Gambero Rosso e curatrice della guida Grandi Salumi, vedranno la partecipazione di esperti del settore e saranno scandite da degustazioni di salumi, con vini e birre artigianali in abbinamento. Tra le novità di questa edizione segnaliamo anche il Pork Fest, la festa di apertura del raduno prevista per la sera di sabato 10 aprile. Domenica 2 sarà invece la volta delle migliori gastronomie e botteghe del gusto italiane, che si sfideranno in perizia e precisione nella gara di taglio del prosciutto, sia a mano che con l’affettatrice a volano. www.salumidare.it
L’edizione 2017 di Centomani di questa terra, la grande festa annuale dei soci e amici di CheftoChef Emilia-Romagna Cuochi, si svolgerà lunedì 3 aprile. L’evento, ospitato nel Relais Antica Corte Pallavicina del suo presidente Massimo Spigaroli, è una celebrazione del buon mangiare e bere. Cuochi, produttori, gourmet, esperti del settore agroalimentare si confrontano sul futuro del cibo attraverso un ricco calendario articolato in una decina di forum di approfondimento sulle tematiche riguardanti ristorazione, alimentazione e formazione, 50 coinvolgenti show-cooking con altrettanti chef e il mercato delle eccellenze enogastronomiche dei produttori soci di CheftoChef. Il tutto per dare al pubblico l’opportunità di assaggiare, scoprire, abbinare cibi e pietanze che rappresentano l’eccellenza dell’enogastronomia emiliano romagnola e approfondire quali saranno le necessità alimentari e gastronomiche per il futuro. www.cheftochef.eu
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Verona Dal 7 all’11 aprile Verona apre le porte del quartiere fieristico cittadino per Vinitaly e Sol & Agrifood, l’appuntamento annuale con la produzione enologica italiana ed internazionale e con la rassegna internazionale dell’agroalimentare di qualità che, anno dopo anno, cresce come vetrina dell’eccellenza olivicola ed agroalimentare. Vinitaly è la prima fiera del vino al mondo per superficie espositiva e per numero di operatori esteri e quest’anno offrirà maggiore apertura all’export, occasioni di business e innovazione digitale. Tra le novità dell’edizione 2017 c’è la creazione di una task force di VERONAFIERE per l’internazionalizzazione del vino italiano, soprattutto nei Paesi asiatici, aperta a partnership istituzionali e orientata al business con azioni innovative sia on-line (e-commerce) che off-line (eventi). www.vinitaly.com www.solagrifood.com
Parma Una fiera innovativa, dal format leggero, che coniuga l’esposizione di nuovi prodotti alimentari italiani all’incontro con i buyer esteri e al perfezionamento delle strategie di mercato del settore grazie a workshop e forum. Questa la formula di Cibus Connect che si terrà a Parma dal 12 al 13 aprile. È prevista la partecipazione di oltre 1.000 aziende alimentari italiane selezionate, di centinaia di buyer da Stati Uniti, Asia, Europa nonché dei protagonisti della distribuzione in Italia. Tra gli espositori anche un gruppo di circa 100 produttori di nicchia in un’area targata Slow Food che ha l’obiettivo di aprire nuovi sbocchi di mercato alle piccole aziende che costituiscono i “giacimenti” dei vari territori. Cibus Connect, organizzata da FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE, si svolge nella stessa settimana di Vinitaly e, grazie ad un accordo siglato con Veronafiere, porterà a Parma i buyer internazionali che potranno programmare la visita ad entrambi gli appuntamenti. Appuntamenti che si collocano nel quadro progettuale di promozione e scoperta dei territori e delle aziende per i buyer esteri del programma “Discover the Authentic Italian Taste” promosso da ICE Agenzia. www.cibusconnect.it
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Santa Maria di Sala (VE) Si svolgerà a Villa Farsetti, a Santa Maria di Sala (VE), dal 22 al 25 aprile la 7ª edizione di Formaggio in Villa, l’evento enogastronomico dedicato ad una selezione di produttori di formaggi e salumi, frequentato da chef, giornalisti e un vasto numero di appassionati. Oltre ad essere una bella rassegna dei migliori formaggi nazionali, Formaggio in Villa è anche un salone dell’alta salumeria e una vetrina delle nuove tendenze del food di qualità. L’ingresso al pubblico è gratuito e gli orari sono dalle 10:00 alle 20:00 non stop. www.formaggioinvilla.it
Milano Tuttofood, la fiera internazionale del B2B dedicata al food & beverage organizzata da FIERA MILANO, si svolgerà dal 8 al 11 maggio a Rho, Milano. Con l’edizione 2017 si è intensificata la collaborazione con ITA-Italian Trade Agency, l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane per aiutare i piccoli e medi produttori, che sono la spina dorsale dell’agroalimentare italiano, per andare all’attacco dei mercati esteri. Sono 7 i saloni tematici che compongono la manifestazione fieristica: carne, prodotti caseari, multiprodotto, dolci, bevande, prodotti ittici e congelato. www.tuttofood.it
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#meglioilmeglio
Il Parmigiano Reggiano è tutto naturale, senza additivi e senza conservanti, da sempre. Ed è fatto solo con latte freschissimo della zona d’origine, lavorato entro due ore dalla mungitura, come stabilito dal Consorzio.
www.parmigianoreggiano.it /parmigianoreggiano
@theonlyparmesan
#ParmigianoReggiano
theonlyparmesan
Il Parmigiano Reggiano ti aspetta a TUTTOFOOD, Padiglione 4 TuttoDairy.
IMMAGINI
Zampone e cotechino tutto l’anno, perché no? Il Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena ha presentato il ricettario “Le quattro stagioni del sapore”. I piatti, suddivisi per stagione, sono pensati per invogliare il “lettore” a cucinare e consumare questi due straordinari prodotti non più soltanto durante le festività invernali. Il servizio a pagina 136 (photo © www.modenaigp.it).
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Perché solo un prosciutto così è crudo, è buono, è Modena. Sono le dolci pendenze delle nostre colline e il gentile scorrere del Panaro, tra le province di Modena, Bologna e Reggio Emilia, a conferire al Prosciutto di Modena DOP un sapore così caratteristico e perfettamente equilibrato. I nostri ingredienti? Solo coscia di suino italiano, sale e 14 mesi di paziente stagionatura. Prosciutto di Modena DOP. La nostra dolcezza, sta tutta nell’attesa. Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali
consorzioprosciuttomodena.it
Beneficiario: Consorzio del Prosciutto di Modena Autorità di gestione: Direzione Generale Agricoltura, Caccia e Pesca Regione Emilia Romagna
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Ci sono i piatti classici della cucina modenese, sfiziose ricette con abbinamenti creativi e tanti preziosi consigli e curiosità per tutti coloro i quali vorranno provare a cucinare con l’aceto balsamico tradizionale di Modena: nel libro di ricette di Clara Nese Scaglioni pubblicato dalla casa editrice Franco Cosimo Panini troverete questo e molto altro ancora. Il servizio a pagina 136 (photo Š it.wikipedia.org).
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LEGISLAZIONE
Europa, cibo e trasparenza: la nuova era è iniziata da un pezzo Sono anni ormai che i produttori devono periodicamente mettere mano alle etichette dei prodotti alimentari per fare modifiche imposte dalla legge. La fine non è però vicina, perché dopo gli allergeni, le tabelle nutrizionali, l’elenco delle indicazioni obbligatorie, ora si toglie il velo sull’origine delle materie prime e c’è da scommettere che siamo solo alle prime battute di Sebastiano Corona
Prosciutto crudo di Cuneo (photo © langhe.net).
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l Regolamento UE 1169/2011, come gli addetti ai lavori ben sanno, è un documento vastissimo che ha riformato completamente la normativa comunitaria in merito alle informazioni al consumatore. Questa norma, entrata in vigore a più riprese,
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fa da spartiacque tra due concezioni completamente diverse di trasparenza e comunicazione sul cibo. I primi adempimenti obbligatori li abbiamo visti con l’indicazione degli allergeni in etichetta, ma ne sono seguiti molti altri, ultimo dei quali, a dicembre scorso, quello della
tabella nutrizionale. Il Regolamento non va però considerato un punto di arrivo, perché contiene una serie di disposizioni — forse nell’immediato meno evidenti —, che nel futuro prossimo modificheranno ulteriormente il già lungo elenco delle informazioni che devono essere
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“Storico via libera all’indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari che pone finalmente fine all’inganno del falso made in Italy”: queste le parole usate da Coldiretti nel commentare la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 2017 del decreto “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattierocaseari, in attuazione del Regolamento (UE) n. 1169/2011”. garantite al consumatore. In un’ottica di tutela di chi acquista, sono state infatti introdotte norme che avranno conseguenze rilevanti anche sulle economie dei Paesi coinvolti. Tra queste vi è un’altra importante novità, che è quella della indicazione in etichetta della provenienza della materia prima. Una disposizione che entrerà in vigore con tempi ampi e solo relativamente a determinati settori, ma che segna una strada ben precisa.
Il percorso è in realtà iniziato da tempo. Era infatti il 2002 quando — a seguito dello scandalo della cosiddetta “mucca pazza” — è stato introdotto l’obbligo di indicare la provenienza della carne bovina. A seguire, nel 2003, è stata la volta dell’ortofrutta fresca e poi, nel gennaio 2004, delle uova e del miele. Le ultime, in Italia, prima del Regolamento UE 1169/2011, sono le norme che introducono l’obbligo di comunicare la zona di mungitura o la
Il consumatore ha giustamente l’esigenza di avere maggiori elementi di valutazione per fare un acquisto oculato. I produttori agricoli ritengono invece che il mercato sceglierebbe sempre il prodotto locale se gli si desse la possibilità di riconoscerlo a scaffale. Il che non dovrebbe essere mai dato per scontato
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stalla di provenienza per il latte fresco, il Paese di origine delle carni avicole e poi della passata di pomodoro. Buona parte di queste norme sono state licenziate all’indomani di un’emergenza, ma l’opinione pubblica, sempre più coinvolta da alcune associazioni di categoria e di consumatori, sia in Italia, sia all’estero, è oggi chiaramente schierata per una maggiore trasparenza in etichetta. Trasparenza che prevede, tra le varie cose, il nome del territorio di provenienza della materia prima impiegata, tanto per i prodotti mono-ingrediente, quanto per quelli trasformati. Il consumatore ha giustamente l’esigenza di sapere cosa contiene il proprio piatto e di avere maggiori elementi di valutazione possibile, per fare una scelta d’acquisto oculata. Ma i produttori agricoli ritengono invece che il mercato sceglierebbe sempre il prodotto locale se solo gli si desse la possibilità di riconoscerlo nello scaffale. Certezza questa che, a nostro parere,
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non dovrebbe essere data per scontata. Alla luce di queste considerazioni, il legislatore europeo ha introdotto una serie di novità sul tema. L’articolo 26.3 del Regolamento stabilisce che il Paese d’origine o luogo di provenienza di un prodotto trasformato diventano obbligatori qualora l’omissione possa indurre in inganno il consumatore, relativamente alla provenienza del prodotto e quando il Paese d’origine o di provenienza non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario. In quest’ultimo caso, deve essere indicato il Paese di provenienza dell’ingrediente primario, abbinato a quello del prodotto finito. Questo passaggio necessita però di un regolamento d’esecuzione e di linee guida specifiche che verranno presumibilmente emanate nei prossimi mesi e che contribuiranno a complicare ulteriormente la vita dei produttori, con probabili correzioni delle etichette, le ennesime modifiche degli ultimi tre anni. La questione può infatti apparire chiara, ma in realtà si presta ad una serie di interpretazioni
ed equivoci. Inoltre, deve essere risolto il problema dell’impatto delle norme verticali sull’origine. Nei casi in cui l’ingrediente primario sia la carne, andrebbero infatti applicate le disposizioni dettate dai Regg. n. 1760/2000 e n. 1337/2013 in termini di nascita, allevamento e macellazione dell’animale. L’Italia ha chiesto di semplificare tale obbligo con un’unica indicazione di origine dell’ingrediente primario. L’ultima bozza di regolamento consente all’operatore di scegliere liberamente quale delle opzioni di area geografica utilizzare nell’indicazione di origine/provenienza dell’ingrediente primario. La scelta è tra “UE” oppure “non UE” oppure area geografica trasversale a più Stati, per esempio Mediterraneo; Stato (specifico Stato membro o specifico Stato terzo) e livello geografico sub-nazionale (es: Lombardia). In alternativa si potrà fornire l’indicazione che l’origine dell’ingrediente primario è diversa da quella del prodotto alimentare finale.
L’orientamento europeo sui prodotti lattiero-caseari è invece decisamente più chiaro ed esaustivo e l’indicazione dell’origine in etichetta è ormai obbligatoria Con un comunicato dell’ottobre scorso, il MIPAAF ha reso noto infatti il via libera allo schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine per i prodotti lattiero-caseari in Italia e che vale quindi per latte, burro, yogurt, mozzarella, formaggi e latticini. Restano fuori solo il latte fresco che, come è noto, è già tracciato e i prodotti DOP e IGP perché già ampiamente previsti nei relativi disciplinari. L’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari prevede l’utilizzo in etichetta delle indicazioni relative al Paese di mungitura e il Paese di condizionamento o di trasformazione, e cioè dove è stato condizionato o trasformato il latticino. Per facilitare adempimenti e comunicazioni, qualo-
Anche per la pasta sono previste in etichetta diciture quali “Paese di coltivazione del grano” e “Paese di macinazione del grano” con l’indicazione del nome del Paese UE o non UE e ancora UE e/o non UE, anche nel caso in cui non si abbiano miscele di grano (photo © Sergey Ryzhov – Fotolia).
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L’apertura non è però solo su latte e carni Le richieste si erano fatte sempre più pressanti anche per la pasta. La dicitura sarà anche in questo caso: “Paese di coltivazione del grano” e “Paese di macinazione del grano”, con l’indicazione del nome del Paese UE o non UE e ancora UE e/o non UE, anche nel caso in cui non si abbiano miscele di grano. Ci sarà inoltre l’ulteriore possibilità di aggiungere alle indicazioni di origine, anche la dicitura “con prevalenza….” più il nome del Paese nel quale è stato coltivato almeno il 50% del grano duro che compone il prodotto trasformato. Il decreto prevede altresì la possibilità
SA
ra il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato o trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta indicando il nome del Paese in cui i diversi processi hanno avuto luogo. Si resta comunque sempre nell’ambito statale, senza scendere ulteriormente in dettagli sulle zone esatte di provenienza. Cosa che invece molti produttori avrebbero probabilmente gradito, per differenziarsi ulteriormente dai concorrenti, anche interni. Il decreto in questione avrà ovviamente una valenza solo nazionale e prevede una fase sperimentale dal 10 gennaio 2017 al 31 marzo 2019. Sul suo contenuto si è inoltre espresso il MISE in ben due circolari esplicative che riportano alcuni importanti chiarimenti. Tra questi, il fatto che sono esclusi i prodotti sfusi, imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta. Sono altresì esclusi i prodotti B2B, (ferma restando la previsione di fornire sufficienti informazioni agli operatori) e inoltre la norma non si applica ai prodotti dell’allegato 1 di altri Stati, sia venduti al consumatore tal quale sia prodotti intermedi che ingredienti. Rimane il problema di come risalire alle informazioni del Paese di mungitura del latte contenuto negli ingredienti, qualora le disposizioni della tracciabilità del Reg. UE 178/2002 non lo consentano. È quindi molto probabile che la soluzione sarà quella di limitare l’obbligo al latte utilizzato tal quale, dal soggetto e che questa strada venga intrapresa anche per i formaggi fusi, affettati e grattugiati.
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di indicazione mediante punzonatura, stampigliatura o altro segno su un elenco riportato in etichetta e la dicitura deve essere riportata con un carattere minimo di 2 millimetri. La sperimentazione si attuerà sino al 31 dicembre 2019, ma i pastifici avranno la possibilità di smaltire la merce sino ad esaurimento scorte dei prodotti immessi sul mercato ed etichettati, decorsi 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La nuova disposizione è relativa unicamente alla pasta secca e, per ora, esclude quella fresca. Anche se la direzione appare ormai presa e anche per le altre tipologie di prodotto, sarà probabilmente solo una questione di tempo. L’orientamento europeo è infatti ormai quello di fornire al consumatore l’indicazione d’origine della materia prima, sebbene la Commissione si sia mostrata sinora piuttosto cauta. L’introduzione di nuovi obblighi si tramuterà infatti in costi esorbitanti e complicazioni delle formalità all’interno delle imprese. Costi che, ovviamente, ricadranno sui consumatori finali. Tuttavia, le pressioni degli ultimi anni, alcuni scandali alimentari e la presa di posizione di certi Paesi membri, Italia compresa, sono
state tante e tali che non appare più possibile procrastinare ulteriormente. Il diritto del consumatore di conoscere la provenienza, le caratteristiche e gli ingredienti esatti di ciò che ha nel piatto è cosa sacrosanta. Il timore è però che questo elemento — che in tanti sono certi spianerà la strada dei mercati locali ed internazionali per l’Italia — potrebbe invece rivelarsi non solo una grande delusione ma, addirittura, un problema. Chi crede che la scelta d’acquisto sia sempre orientata sul prodotto locale potrebbe rimanere deluso nello scoprire che gli elementi che fanno la differenza sono invece diversi e che ognuno ha un proprio peso. Potremmo in quell’occasione anche scoprire che queste nuove regole sono fortemente volute anche da altri Stati e da tutti con la stessa idea di porre una sorta di barriera alle produzioni estere, per meglio veicolare quelle locali. I Francesi, per esempio, non sono meno decisi degli Italiani. Ne è prova il progetto d’Oltralpe, in perfetta linea con quello europeo, che impone l’origine obbligatoria sia per il latte venduto tal quale sia per latte e carni utilizzati come ingredienti di altri prodotti alimentari.
I Paesi da indicare, per quanto riguarda il latte, sono sia quello di raccolta, sia quelli di trasformazione e condizionamento (se non coincidono). Anche per l’origine della carne, si dovranno precisare i Paesi di nascita, allevamento e macellazione, (sia essa bovina, suina, avicola, ovina o caprina). L’indicazione dell’origine deve essere riferita al singolo Paese di provenienza, anche se è possibile utilizzare espressioni come UE o extra-UE quando le materie prime risultano avere origini differenziate. L’impatto sull’industria alimentare francese sarà in ogni caso notevole. Ma c’è da scommetterci che ne sentiranno le conseguenze anche molti Stati più o meno vicini. E potremmo ben presto scoprire che la trasparenza che chiediamo a gran voce, allo scopo di potenziare il nostro mercato interno e anche quello internazionale, si potrebbe rivelare un boomerang, soprattutto per le nostre esportazioni in determinati Paesi dove tengono almeno quanto noi a consumare prodotto locale. E sarà qui che si evidenzierà ancor di più il fatto che questa Europa non è unita né coesa. Nemmeno a tavola. Sebastiano Corona
Il Prosciutto di Parma Dop sbarca in India La notizia è stata diramata nelle settimane scorse dal Department of Animal Husbandry indiano tramite l’Ambasciata Italiana in India, comunicando l’approvazione delle modifiche proposte al certificato sanitario per l’esportazione e dichiarando di fatto l’apertura del mercato indiano al Prosciutto di Parma. Si tratta di un risultato che arriva dopo mesi di mediazioni con le autorità indiane che hanno valutato tutta la documentazione scientifica presentata a supporto per dimostrare l’assoluta salubrità e qualità del salume. «Siamo estremamente soddisfatti — ha commentato Vittorio Capanna, presidente del Consorzio — questo è un risultato che rafforza la nostra crescita all’estero e dimostra quanto la nostra strategia legata alla differenziazione dei mercati e all’espansione geografica sia quella giusta. Ora il Consorzio dovrà porre le basi per costruire solide relazioni con gli operatori indiani, ma sarà innanzitutto necessaria una fase iniziale di studio per capire la cultura e le abitudini locali per poi divulgare le caratteristiche del Prosciutto di Parma e il significato della Dop. L’India rappresentava l’ultimo grande mercato ancora non aperto al Prosciutto di Parma — ha concluso Capanna — ha indubbiamente un grande potenziale strategico per tutta l’area asiatica, ma ha bisogno di essere capito e costruito con i tempi giusti, quindi ad oggi è da considerarsi in una prospettiva a lungo termine». >> Link: www.prosciuttodiparma.com
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IL FOOD IN RETE
Social di Elena
2. #PrendiamociGusto
1. La Favola si rifà il look È on-line il sito aggiornato nella grafica e nei contenuti della Mortadella Favola, uno dei prodotti di punta del salumificio modenese MEC PALMIERI. Al link www.mortadellafavola.it potete scoprire le caratteristiche uniche di questo salume incredibile, la sola mortadella insaccata e cotta nella cotenna naturale. Oltre alle belle immagini della “Gallery” e alla descrizione del prodotto, sul sito trovate l’elenco dei ristoranti che propongono la Favola in menu e gli eventi in cui è possibile assaggiarla.
È l’hashtag che accompagna le attività di SLOW FOOD ITALIA lungo tutto il 2017, un anno pieno di appuntamenti e iniziative per difendere il cibo buono, pulito e giusto e far comprendere l’importante ruolo del consumatore in questa direzione. Si inizia l’8 aprile con la 7a edizione dello Slow Food Day, un fitto programma di incontri, feste e degustazioni per conoscere le attività dell’associazione sul territorio. Dal 18 al 21 maggio, nella cornice del Porto Antico di Genova, si svolgerà invece Slow Fish, la manifestazione internazionale organizzata da Slow Food Italia e Regione Liguria dedicata al mondo ittico e alla tutela delle sue risorse. A settembre compirà 20 anni Cheese, l’evento che ogni due anni punta i riflettori sull’affascinante mondo dei formaggi e delle forme del latte. L’appuntamento è nella cittadina piemontese dal 15 al 18 settembre. Il portale www.slowfood.it raccoglie tutte le informazioni e fa da tramite ai vari canali social (in basso, Carlin Petrini, fondatore di Slow Food; photo © slowfoodcolombo.com).
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4. L’Accademia del panino!
3. Shopping in prodotti tipici della Valceno MADE IN VALCENO (www.madeinvalceno.com) è una bottega on-line che offre salumi, formaggi e altri prodotti di nicchia provenienti dalla valle di Valceno, situata a sud-ovest della provincia di Parma. Un gruppo di produttori, norcini, allevatori e viticoltori, ha fatto rete creando una piattaforma web che non solo è vetrina dei loro prodotti di eccellenza ma è anche negozio virtuale, comodo e pratico, per gli acquisti on-line. Bravissimi! (in foto, un salame del Salumificio Bocchi postato su instagram.com/madeinvalceno).
www.accademiapaninoitaliano.it è il sito web della fondazione culturale ACCADEMIA DEL PANINO ITALIANO, costituita “per definire l’identità e promuovere l’unicità del Panino Italiano nel mondo, valorizzandolo fino a renderlo icona del made in Italy”. Si tratta di un progetto articolato che va da uno spazio fisico di 1.200 m2 a Milano per la formazione e il confronto della cultura agroalimentare italiana ad un comitato consultivo che comprende nomi tra cui Davide Paolini, Alberto Capatti, Aldo Colonetti e Anna Prandoni. Un team altamente qualificato che lavora per “collocare il Panino Italiano tra i progetti di design, architettura del gusto e tendenza moda”. Ci aspettiamo grandi cose!
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Gourming: la gastronomia d’eccellenza francese a portata di clic Le eccellenze gastronomiche francesi non sono mai state così vicine anche in Italia ed è grazie a un progetto innovativo che ora è realtà operativa a portata degli operatori del settore. Parigi ha recentemente ospitato il lancio internazionale di Gourming, il progetto di e-commerce del Gruppo Le Duff rivolto a ristoratori, albergatori, grossisti, distributori e professionisti che porta in Europa i prodotti d’eccellenza e specialità dei migliori artigiani transalpini. Dalla panetteria agli insaccati, carni, pesce e frutti di mare, passando per le spezie, Gourming è un e-commerce che già al momento del lancio vanta un patrimonio di 250 produttori, 5.000 prodotti referenziati, 600 specialità regionali, 300 prodotti di agricoltura biologica e 140 prodotti certificati, accumunati dai valori di qualità, sicurezza e tracciabilità. I prodotti provengono da ogni regione della Francia rappresentando così uno strumento unico nella scelta e acquisto delle eccellenze gastronomiche d’Oltralpe. «L’obiettivo — ha affermato Louis Le Duff, presidente e fondatore del Gruppo Le Duff — è dare la possibilità a oltre 15.000 aziende del settore alimentare di superare i confini francesi e di esportare così il loro talento e i loro prodotti. Non bisogna dimenticare che il 75% di queste aziende non esporta o esporta poco all’estero. Oggi il digitale offre possibilità illimitate e ho deciso di creare Gourming con l’obiettivo di connettere in assoluta semplicità produttori, chef e professionisti della gastronomia di tutto il mondo». Avere accesso a questo mercato virtuale è semplice e consente, in pochi clic, di realizzare una vera e propria spesa con prodotti artigianali francesi poco reperibili all’estero. Dopo aver creato un proprio account, si potranno selezionare in tutta comodità i prodotti desiderati utilizzando un motore di ricerca che guiderà il cybernauta passo dopo passo nell’ordine. Oltre a un percorso facilitato fino al carrello, Gourming offre un vero e proprio storytelling, fatto di schede, storie, ricette, approfondimenti, consigli su prodotti, artigiani e luoghi di origine, che prometterà un viaggio su misura alla scoperta delle eccellenze gastronomiche d’Oltralpe, tutte accuratamente selezionate. Le attività di supply chain saranno quindi supportate da esperti di logistica e trasporti per garantire una fornitura regolare e puntuale in tutta Europa. >> Link: www.gourming.com
Avere accesso a questo mercato virtuale è semplice e consente, in pochi clic, di realizzare una vera e propria spesa con prodotti artigianali francesi poco reperibili all’estero.
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PROTETT
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Tradizione di grande Nobiltà
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Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese
L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.
LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per t ertific i uttor prod
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E L A Questa bottiglia da 100 ml
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originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.
con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola
aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.
Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it
AZIENDE
L’orgoglio di fare bene i salumi (anche precotti) di Elena Benedetti
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e radici in Emilia crescono forti e sane, che siano quelle di una vigna di Sangiovese o quelle di una cultura enogastronomica che da queste parti si trasmette di generazione in generazione. Una cultura improntata a dare valore alle tante eccellenze che si possono degustare lentamente in un territorio dove tutto, in realtà, va parecchio veloce. Radici, quindi, fatte di legami famigliari e di aziende che mutano nel corso degli anni, attraversando fasi molto diverse, e nelle
quali ciascun protagonista apporta il proprio contributo e una visione del mondo che gli appartiene. Un bell’esempio di “modenesità” del vivere imprenditoriale è la FERRARI ERIO & C. Spa, che si trova alle porte del capoluogo emiliano patria dello Zampone, del Cotechino e dell’Aceto Balsamico. In una bella giornata di primavera incontriamo PAOLO FERRARI nello stabilimento di via Canaletto, ristrutturato e ampliato nel 1995 con moderne tecnologie per far fronte alla migliore tradizione dei salumi tipici della regione. Con il
Un bell’esempio di “modenesità” imprenditoriale: la Ferrari Erio & C. Spa è altamente specializzata nella lavorazione delle carni suine e nella produzione di salumi
La linea di salumi di punta della Ferrari Erio & C. è rappresentata dai precotti, realizzati seguendo le ricette della tradizione emiliana.
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camice bianco d’obbligo per i continui passaggi in laboratorio, una scrivania con documenti e incombenze urgenti e un telefono che squilla di continuo, l’amministratore delegato gestisce l’azienda insieme alla sorella Patrizia e alla madre, la signora Vanna Seghedoni, 86 anni e una presenza quotidiana in ufficio, a testimoniare la storia di questa realtà, fondata nel 1958 dal marito Erio Ferrari. Se l’incipit di questa avventura negli anni ‘50 fu un macello e l’annessa lavorazione dei salumi, in una dimensione di casa-bottega nella quale la famiglia era coinvolta quotidianamente, oggi — conclusa nel 1995 la divisione relativa alla macellazione — la Ferrari Erio & C. è altamente specializzata nella lavorazione delle carni suine e nella produzione di salumi tipici della tradizione italiana. Primi fra tutti i salumi precotti, «core business di questa attività» sottolinea Paolo Ferrari. L’offerta va dai classici Zampone e Cotechino Modena IGP (per i quali Paolo Ferrari ricopre la carica di presidente del relativo Consorzio di Tutela), stinchi e precotti, cappelli da prete, la produzione di 30/40 quintali di salsiccia fresca a settimana, e ancora salami, ciccioli, coppa di testa, oltre alle produzioni di prosciutti marchiati DOP (prosciutto di Parma e San Daniele). «La materia prima che lavoriamo è carne di suino nazionale e ciò vale anche per salsicce e salame» sottolinea l’AD di Ferrari Erio & C. «La scelta di lavorare un prodotto di qualità medio-alta ci ha consentito di tirarci fuori dalla battaglia del prezzo, garantendo un prodotto d’eccellenza e, non ultimo, di continuare a soddisfare i nostri clienti con quel buon rapporto prezzo/qualità che è da sempre il nostro orgoglio». Per i prodotti con etichetta Ferrari Erio & C. i canali di vendita sono rappresentati dal dettaglio specializzato, l’HO.RE.CA., macellerie e ristorazione, mentre avanza anche la lavorazione conto terzi con prodotti a marchio per grandi aziende. «Tra le novità del nostro laboratorio ci sono due nuovi prodotti, un prosciutto di maialino disossato e pronto da fare al forno o in alternativa già cotto al forno a vapore, e un guancialino precotto, tipo zampone, impreziosito da una glassa di aceto balsamico. La ristorazione ha accolto molto bene questi due prodotti, buoni e veloci da preparare, naturali
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In alto: non mancano le produzioni di prosciutti marchiati Dop, con il prosciutto di Parma e il prosciutto di San Daniele. In basso: tra l’ampia offerta di salami ci sono anche Milano, Cacciatore, Ungherese, tipo Felino, Napoli, tipo Fabriano, la Ventricina e la Spianata piccanti.
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e con carni selezionate» ci conferma Paolo Ferrari. Questa moderna norcineria oggi conta una ventina di dipendenti e un fatturato di oltre 7 milioni di euro. Se lo sguardo rimanda spesso al passato con l’intuito e l’operosità del signor Erio, il lavoro della famiglia Ferrari è proiettato sul futuro con nuovi mercati da conquistare o su cui consolidare la presenza, prodotti innovativi capaci di soddisfare le esigenze della clientela e quell’ostinata voglia di fare le cose bene. Anzi, meglio! Elena Benedetti
Paolo Ferrari, amministratore delegato dell’azienda di famiglia Ferrari Erio & C. di Modena e presidente del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena.
Ferrari Erio & C. Spa Via Canaletto nord 565/A Telefono: 059 310015 E-mail: info@salumiferrari.it Web: www.salumiferrari.it
2016 positivo per Cotechino Modena e Zampone Modena «Quest’anno abbiamo avuto finalmente un po’ di respiro. Dopo una lunga crisi dei consumi che non ha risparmiato neanche noi, finalmente registriamo delle vendite positive. Per quanto riguarda i canali di vendita sicuramente ha funzionato molto bene la Grande Distribuzione. Il dettaglio ha i numeri costanti in questi anni, mentre la regalistica è in calo», è quanto ha affermato Paolo Ferrari, in veste di presidente del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena. Le vendite nel 2016 segnano infatti un segno positivo con +1,5%, rispetto allo stesso periodo del 2015, per un totale di 3.228.811 chili. Forti anche di questi risultati il Consorzio si sta adoperando per offrire al consumatore sempre il meglio. «Stiamo lavorando sul Disciplinare di produzione, cioè l’insieme di regole specifiche cui ogni produttore del Consorzio di tutela deve attenersi affinché il prodotto possa essere riconosciuto con il marchio di Indicazione Geografica Protetta (Igp) europeo, per renderlo sempre più stringente e far sì che lo Zampone Modena e il Cotechino Modena siano realizzati sempre al massimo della qualità». Un Consorzio che dall’autunno cambierà il logo e immagine, anche attraverso una campagna di marketing molto strutturata. «Per noi è molto importante la comunicazione al consumatore» ha proseguito Ferrari. «Stiamo ragionando su nuovi claim da mettere sulle confezioni, che evidenzino i plus del prodotto e contribuiscano a far conoscere le rinnovate caratteristiche di un prodotto dalla lunga tradizione, che nel tempo è stato capace di modificarsi, per incontrare proprio le moderne esigenze del consumatore». Sempre rivolta al consumatore è la festa che ogni anno il Consorzio organizza a Modena, il secondo fine settimana di dicembre. Un appuntamento fisso con la città e che ha trovato in Massimo Bottura il suo testimonial d’eccezione. Lo chef è il giudice che decreta i vincitori del Concorso nazionale rivolto ai giovani chef promosso dal Consorzio, la cui finale si svolge proprio durante la festa. «Siamo già proiettati alla settima edizione della festa, un evento irrinunciabile e importante non solo a livello locale, ma nazionale. Le scuole che arrivano da tutta Italia, la passione dei giovani concorrenti, l’emozione che si respira sono per noi sprone per andare avanti nel formare le nuove generazioni di cuochi e celebrare due prodotti di eccellenza come i nostri» ha concluso Ferrari. (ASS.I.CA.)
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Sincera nella lavorazione e negli ingredienti, Sincer che sono 1 0 0% naturali. Sin Sincera nella qualitĂ dei tagli pregiati car di carne italiana e nel gusto inconfondibile. La Sincera, Sin come tut te le nostre mor tadelle, nasc da una ricet ta semplice e genuina. nasce
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San Vincenzo: i sapori della Sila in versione “norcina” Quattro le linee commercializzate dal salumificio cosentino: la salumeria Silana, i salumi Dop, gli affettati confezionati e una produzione di nicchia ottenuta dal Nero di Calabria, tesa a valorizzare le peculiarità della carne di questa razza autoctona. Per i più golosi? I cacio-salami! di Massimiliano Rella
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l Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo, in provincia di Cosenza, nasce e opera in Sila, il bell’altipiano calabrese da anni tutelato come Parco Nazionale, ricco di foreste di faggi, aceri, abeti giganti ma anche piante officinali ed erbe selvatiche. Il salumificio a conduzione familiare, che oggi vede i quattro
fratelli STEFANIA, VINCENZO, CONCETTA e UMBERTO ROTA impegnati a seguire i diversi rami aziendali, fu fondato dal padre Fernando, depositario di una tradizione di salumeria artigianale tramandatagli a sua volta dal papà Vincenzo. La materia prima, cioè le carni di suino Nero di Calabria e di altre razze ben alimentate, è fornita da
selezionati produttori calabresi e della provincia di Cosenza. La qualità delle carni è uno dei fondamenti dell’azienda, che dedica infatti particolare cura alla provenienza e alla tracciabilità di filiera. Sono quattro le linee commercializzate: la salumeria Silana, i salumi DOP, gli affettati confezionati e una produzione di nicchia ottenuta dal Nero di Calabria,
Pancetta tesa piccante di Nero di Calabria firmata San Vincenzo (photo © Massimiliano Rella).
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‘Nduja piccante di Nero di Calabria (photo © Massimiliano Rella). valorizzando le peculiarità della carne di questa razza autoctona. Il Nero di Calabria ha un mantello bruno, la forma iberico-mediterranea e le orecchie pendenti che tendono a coprire gli occhi. La sua carne pregiata ha meno grasso rispetto ad altri tipi di maiali ed è molto saporita. Dal suino Nero il salumificio San Vincenzo ottiene la prosciuttella piccante, il capocollo stagionato, la pancetta tesa piccante, il guanciale, la ‘nduja, ma anche la salsiccia stagionata e la tradizionale soppressata, sia bianca che rossa, cioè piccante. Il salumificio produce inoltre salumi DOP, da carni selezionate di suini allevati con alimentazione naturale, insaporite con finocchietto selvatico e peperoncino calabrese. E stagionati senza fretta. Una particolarità è rappresentata dai caciosalami, cioè capocollo dolce, spianata e soppressata piccante avvolti da una copertura di caciocavallo, un formaggio semiduro a pasta filata prodotto con latte vaccino, tipico della Sila. Queste golosità irresistibili donano all’assaggio profumi e sapori delicati e molto tentatori. L’azienda occupa oltre 50 dipendenti e ha una capacità produttiva di 500
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quintali di carne lavorata a settimana; dati positivi, tanto più se associati all’analisi dei risultati economici di questa realtà produttiva che presenta un fatturato annuo in crescita. Sul versante della promozione e del marketing l’azienda ha sfruttato una forma di pubblicità innovativa con la presenza di messaggi pubblicitari sulla stampa in quattro stadi italiani. I prodotti sono venduti nel negozio aziendale annesso allo stabilimento e nella Grande Distribuzione, sia al taglio al banco che in confezioni di affettati pronti all’uso. Le esportazioni si dirigono nel Regno Unito, in Canada e Giappone, i principali mercati, ma con possibilità di inserirsi anche in Svizzera, Russia e Albania. Niente è lasciato al caso e all’improvvisazione, nella consapevolezza che anche se la tradizione e l’esperienza sono valori importanti si deve sempre stare al passo con i tempi. L’azienda si presenta così sul mercato internazionale con le certificazioni di qualità IFS (International Featured Standards) Global Markets Food e BRC (British Retailer Consortium) per
l’agroalimentare destinato alla grande distribuzione europea, biglietti da visita di tutto rispetto per imporsi con un adeguato profilo competitivo nel commercio internazionale. L’Ufficio Qualità interno sottopone le materie prime, le spezie, il prodotto finito e le superfici (sia sanificate che non) a centinaia di analisi ogni anno e il laboratorio si impegna costantemente nella ricerca di allergeni e OGM. Massimiliano Rella Nota Lo spaccio aziendale è aperto dal lunedì al venerdì con orario 8:0012:00 e 13:00-16:00, chiuso sabato e domenica. Il sito internet fornisce ai clienti anche un utile ricettario per valorizzare in cucina i prodotti a marchio San Vincenzo. Sono possibili visite su prenotazione.
>> Link: www.sanvincenzosalumi.it
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Ibis: 50 anni di storia, la qualità premiata e uno sguardo all’innovazione
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l 2016 ha segnato l’inizio di un nuovo percorso per Italia Alimentari Spa, la società del gruppo Cremonini specializzata nel mondo dei salumi e degli snack che, rilanciando il marchio Ibis, è pronta a riaffacciarsi sul mercato con tante novità. Ibis è il salumificio storico di Busseto, nel Parmense, che dal 1962 produce mortadelle e pancette e, dal 2002, con l’ingresso nel Gruppo Cremonini, anche salami, prosciutti cotti, culatelli e specialità di Parma. «Chi non ricorda lo spot della mortadella col cuore? Era il 1993 e il salumificio Ibis lanciava la mortadella “Cuor di Paese”, la mortadella “firmata” fetta dopo fetta con un cuore» racconta MAURO FARA, amministratore delegato della società. «Ed è proprio da Ibis, da questo marchio, che Italia Alimentari riparte, facendo un viaggio indietro nel tempo, immergendosi nella campagna emiliana, in quel lembo di terra che sta tra La via Emilia e il Po». L’obiettivo? «Riunire in Ibis un vissuto di più di 50 anni — continua — fatto di persone, territori e sapori, coniugando la salvaguardia del saper fare delle lavorazioni tradizionali coi processi tecnologici all’avanguardia di cui disponiamo».
Italia Alimentari oggi Oggi l’azienda conta, in Italia, tre stabilimenti: quello di Busseto (48.000 m2, dei quali 28.000 coperti), dedito alla produzione della salumeria classica, mortadelle, salami, cotti, coppe e delle specialità di Parma, culatello, culatta, felino; un secondo a Postalesio, in Valtellina (21.000 m2, dei quali 3.000 coperti) dedito alla produzione di bresaole e carpacci; il terzo a Gazoldo degli Ippoliti (88.000 m2, dei quali 20.000), un dipartimento tecnologicamente molto avanzato specializzato nell’affettatura dei salumi e nella produzione di snack.
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«Una territorialità che consente a Ibis e agli altri marchi dell’azienda (come CorteBuona) la produzione di alti volumi di prodotti IGP e DOP, oltre alla possibilità di un assortimento davvero ampio» puntualizza l’AD di Italia Alimentari. Oggi l’azienda, grazie alle certificazioni ottenute, esporta in 50 paesi del mondo e da pochi mesi ha aperto uno stabilimento di affettatura nella zona di Toronto, in Canada. Strategia commerciale: politica multicanale e investimenti in innovazione «In un mercato in cui fare innovazione non è semplice, le novità presentate nel corso del 2016 sono state accolte con interesse, perché in linea con le tendenze legate alle tematiche del benessere e del salutistico ancora in crescita» ci dice Mauro Fara. «Abbiamo infatti presentato la linea Cuor di Natura Ibis. Prosciutto Cotto e Mortadella da taglio con tutti i plus che oggi può avere un salume: solo antiossidanti e conservanti di origine vegetale, carne
100% italiana, senza glutine e lattosio, senza polifosfati e glutammato, conservando un gusto unico». Una linea che oggi si arricchisce del cotto Buono di Natura, che differisce dal primo perché preparato con cosce pesanti europee. «Nel canale tradizionale lavoriamo ancora molto e in tutta Italia e per i prossimi mesi abbiamo in serbo alcune attività promozionali con partner come Amica Chips, Warsteiner e Saclà, volte da un lato a costruire sinergie alimentari per il consumatore finale e, dall’altro, a fidelizzare i nostri clienti». La qualità Ibis premiata «Il 2017 ci ha regalato anche il premio della nuova guida “I Salumi d’Italia” edita da L’ESPRESSO, in cui tre dei nostri prodotti hanno ricevuto il massimo riconoscimento di eccellenza» continua Fara. «Un panel di degustatori composto da sommelier professionisti, chef stellati, esperti norcini e critici gastronomici ha assaggiato centinaia di campioni, valutato per categoria e poi assegnato i tradizionali “spilli” d’osso di cavallo:
Mortadella Cuor di Paese, la mortadella “firmata” fetta dopo fetta con un cuore.
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dai due per i “salumi di buona fattura” ai cinque per le “eccellenze”. Sono state esaminate in tutto 63 tipologie di salumi, di cui 21 DOP, 19 IGP e 23 salumi tradizionali con forti legami territoriali o di grande importanza per diffusione e consumo. Ibis Salumi e Montana, brand storici di Italia Alimentari, hanno ottenuto ancora una volta il massimo riconoscimento d’eccellenza». L’assegnazione dei prestigiosi 5 spilli è andata infatti ai seguenti prodotti così descritti dalla guida: • Culatta di Busseto Ibis, un salume prestigioso, con produzione esclusiva nei comuni di Busseto e Soragna. “La cotenna e la sugna consentono una maturazione equilibrata. Morbido, dolce e persistente, dal gusto pieno e dal profumo invitante, intenso. La fetta è di un bel rosso rubino. Perfetta degustata con la focaccia tipica della Bassa parmense, la sana merenda di una volta”; • Mortadella Bologna Igp Gran Ducato Ibis, “dedicata ai cultori di questo straordinario salume, che amano i sapori autentici e raffinati. Dal gusto rotondo ed elegante, aromaticità tipica e delicata, indossa un vestito rosato tenue. Il profumo coinvolge i sensi e introduce l’assaggio dolce e croccante. Lunghissima la persistenza”; • Bresaola della Valtellina Igp Montana, prodotta con la ricetta valtellinese più tipica ed antica. “Una bella fetta dal colore rubino caratterizzata da sottili marezzature interne. Il profumo è invitante e delicato, le note speziate ben misurate accarezzano il palato donando un perfetto equilibrio dolce sapido. Ottima persistenza, con retrogusto coerente e aromatico”.
Italia Alimentari Spa Sede legale: Via Europa 14 43011 Busseto (PR) Web: www.italiaalimentari.it www.ibis-salumi.com www.cortebuona.it
In alto: la cantina di stagionatura dei culatelli. In basso: lo stabilimento di Busseto (PR).
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Salumi Bazza: migliorare ancora, migliorare sempre Alla base dei prodotti di questo salumificio padovano un’attenta scelta delle carni, nessun conservante, legatura manuale, un pizzico d’attenzione a novità tecnologiche e spazio alla nuova generazione, preparata e appassionata. Questi gli ingredienti della ricetta di un successo che cresce negli anni di Gian Omar Bison
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igliorare ancora, migliorare sempre. È un mantra che il piccolo e medio imprenditore veneto, concentrato a palla sulla produzione, meno, solitamente, sulla comunicazione ed il marketing, recita quotidianamente. È un modus vivendi prima ancora che operandi proprio anche dei BAZZA di
Terrassa Padovana (PD), macellai e salumieri di lungo corso. Templari della qualità delle carni e della norcineria del senza: i salumi sale, pepe e spezie senza additivi di Giovanni Bazza, figlio di Luciano, una vita tra le carni. Insaccati senza conservanti (nitrati e nitriti di sodio e di potassio), antiossidanti, coloranti, emulsionanti. «Abbiamo affinato un
metodo — afferma Giovanni — che ci permette di controllare lo sviluppo batterico e che prevede lavorazioni settimanali dall’ingresso della materia prima al lunedì fino allo stoccaggio dei salumi nelle stanze dedicate all’asciugatura e poi alla stagionatura. Il sabato si sterilizza tutto e lunedì si riprende il ciclo da zero evitando promiscuità tra
Grandi riconoscimenti al cotechino precotto del Salumificio Bazza. Il sistema di cottura utilizzato è la tindalizzazione, come per lo zampone.
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Il salame dei Bazza è prodotto in maniera artigianale, senza conservanti, coloranti, emulsionanti… Imprescindibile l’insacco in budelli naturali e la legatura a mano.
Clienti? Enoteche, gastronomie, macellerie, ristorazione, considerando che il 40% del prodotto viene venduto all’estero: Svezia,Danimarca,Francia, Olanda e Giappone. Dai Bazza troviamo il salame naturale e con aglio, la soppressa, l’ossocollo, la lonza, la pancetta, la coppa e, da cucinare, cotechino, zampone e bondiola
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carni e insaccati e contaminazioni». La carne utilizzata è del classico suino pesante padano di una cooperativa di allevatori di Cremona. Si insacca solo in budelli naturali di manzo e la legatura dei salumi viene fatta esclusivamente a mano. Clienti? Enoteche, gastronomie, macellerie, ristorazione, considerando che il 40% del prodotto viene venduto all’estero: Svezia, Danimarca, Francia, Olanda e Giappone. Dai Bazza troviamo il salame naturale e con aglio, la soppressa, l’ossocollo, la lonza, la pancetta, la coppa e, da cucinare, il cotechino, lo zampone e la bondiola. I cugini macellai primi clienti Macellerie, si diceva, e non poteva che essere il cugino Mirko Bazza, titolare col fratello Renzo della beccheria di Terrassa Padovana Bazza Angelo (via Roma 41, telefono: 049 5384343, e-mail: macelleria.bazza@virgilio.it), padre e ancora primo supervisore, il primo cliente. «Gli insaccati di Giovanni sono in assoluto i migliori per qualità e naturalezza del prodotto. Non lo dico io ma la mia clientela». Una bottega storica, che Angelo inaugurò nel 1973 dopo aver gestito dal
1962 un altro punto vendita nello stesso comune. Mirko ci lavora dal 1983 dopo un diploma in ragioneria e dal 2000 anche il fratello Renzo. «La salubrità e la qualità della carne è sempre stato il nostro pallino. I clienti — sottolinea Mirko — si fidano di noi al punto che, ricordo, in pieno periodo “mucca pazza”, abbiamo avuto un sensibile aumento delle vendite». Dagli allevamenti di Piove di Sacco (PD) acquistano femmine, soprattutto scottone e di razza Blonde d’Aquitaine, la Garronese. «Ci piace come vengono alimentate a secco e la particolare cura del benessere animale con spazi di stabulazione superiori alla media. E questo poi si riverbera nella qualità delle carni alle quali poi applichiamo un sistema particolare ed un periodo lungo di frollatura». Il bovino occupa il 50% del venduto e il restante è equamente distribuito tra suino ed avicolo, in particolare pollo a collo nudo. «E poi teniamo molto — sostiene Mirko — ad avere una proposta attenta e curata sia sul quarto anteriore che sul cosiddetto quinto quarto bovino. Sono ancora nella tradizione culinaria del territorio e intendiamo coltivare
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Per la produzione delle pancette viene utilizzato solo il cuore. La carne è massaggiata a mano con una miscela di sale, spezie e aromi naturali, e lasciata a riposo in apposite vasche “per il tempo che merita” raccontano i Bazza. per quanto possibile le nostre radici gastronomiche». Di ristomacelleria o ampliamenti non se ne parla, «ma, al di là dei preparati — conclude —, vogliamo crescere nella piccola gastronomia. È un’evoluzione, crediamo, ineludibile per una clientela molto più dinamica e con poco tempo per cucinare». La tecnologia più avanzata a servizio dell’antica tradizione Chi invece ha bisogno di spazio è
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Giovanni. Dai cento quintali di carne lavorata nel primo anno di attività, ai quattrocento dieci anni fa dopo il primo ampliamento del salumificio con nuove celle e laboratori, ai novecento attuali ne corre di lavoro e ne serve di superficie. «Non che si intenda aumentare la produzione. Gli addetti attuali sono cinque e cinque resteranno. Ma certamente — evidenzia — avere una gestione più agevole e funzionale del lavoro, dello stoccaggio della materia prima e del prodotto finito ed anche
della logistica. Abbiamo già individuato il posto e presto inizieremo a lavorarci». I premi che relegano i Bazza nell’olimpo dei salumi nazionali non si contano. Ma c’è ne uno in particolare che ha fatto incetta di riconoscimenti ed è certamente tra i prodotti di punta: zampone e cotechino precotti con un sistema di cottura specifico e indicato per preservare le caratteristiche organolettiche del prodotto. Si chiama tindalizzazione e consiste in uno specifico processo di pastorizzazione. Segue imbustamento e, dopo venti minuti di immersione della busta in acqua bollente, il salume è pronto da mangiare. Con Giovanni in azienda la moglie Nicoletta e il figlio Enrico di 25 anni, laureato in Scienze e tecnologie alimentari, al quale già si deve un contributo importante nella razionalizzazione dei processi produttivi ma anche nelle tecniche di lavorazione e conservazione. Gian Omar Bison Salumificio Bazza Via Fossetta 3 35020 Terrassa Padovana (PD) Telefono: 049 9501066 E-mail: info@salumibazza.it Web: www.salumibazza.it/it
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Lardo Magno: da Antica Foma, il sogno proibito dei golosi Non uno, non due, bensì almeno sette, otto, nove lardi privati della cotenna e uniti per dar vita ad un salume opulento, ricco che più ricco non si può. Un lardo “magno” nel nome come nel gusto, giustamente sapido, profumato, delizioso. Un prodotto di alta salumeria ricercato dai buongustai, allontanatosi oramai da tempo da quell’alone di povertà che ne contrassegnava le origini: il lardo in passato era infatti destinato soprattutto all’alimentazione degli strati più bassi della popolazione, che necessitavano di calorie ed energia in abbondanza per affrontare le lunghe e pesanti giornate di lavoro. Inoltre, la facilità di conservazione anche senza le moderne tecnologie lo rendeva disponibile tutto l’anno. Oggi non è più così e il lardo è rientrato nelle cucine delle case e dei ristoranti non tanto come “insaporitore”, quanto come protagonista, da gustare a fette sottilissime sui crostini di pane caldi, con il miele di castagno, sulle uova, per avvolgere le capesante. In abbinamento ai crostacei, gamberi, scampi, mazzancolle, ne contrasterà la dolcezza regalandovi una vera e propria esplosione di gusto. Il salumificio Antica Foma di Nonantola (MO), produttori e selezionatori di specialità alimentari dal 1939, ha di recente aggiunto questo nuovo straordinario prodotto alla già vasta gamma di salumi proposti dall’azienda. Per la produzione del Lardo Magno i lardi, ricavati da suini italiani, aromatizzati con salvia e rosmarino, vengono sottoposti insieme alla fase di stagionatura che avrà una durata di circa 6 mesi. Grande attenzione nella realizzazione del prodotto viene posta nel mantenimento della giusta proporzione tra grasso e magro. Il risultato finale, del peso di circa 15 chili intero, viene commercializzato in pezzi da 7,5 chili. >> Link: www.anticafoma.it
Citterio presenta il restyling della linea di affettati “bio” e riduce del 60% la plastica della vaschetta che diventa in carta riciclabile Citterio, leader nella produzione di salumi dal 1878, continua ad investire sul biologico con un’offerta sempre più evoluta, caratterizzata da un forte legame col territorio e dal rispetto per l’ambiente. E lo fa a partire dal packaging della linea Citterio “bio”, che si presenta con un look rinnovato nei colori e con un logo più moderno e leggibile. La linea “bio” di Citterio è anche sostenibile perché tutti gli affettati sono confezionati in vaschette in carta riciclabile, con un basso contenuto di materiale plastico. «Quello del biologico è un settore in fermento, destinato a crescere — si legge in un comunicato dell’azienda — per questo motivo abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi investendo in soluzioni sostenibili. Abbiamo lavorato sul packaging, riducendo gli elementi plastici del 60%, e siamo intervenuti sulla parte di visual, con l’obiettivo di mettere in evidenza le migliori caratteristiche di un prodotto ottenuto dalle migliori carni biologiche». La qualità degli affettati “bio” Citterio è garantita da un prodotto che ha origine da animali nutriti con mangime proveniente da agricoltura biologica e OGM free e allevati in ampi spazi esterni. La trasparenza è un altro valore che contraddistingue la linea Citterio bio: tutto il percorso produttivo, rigorosamente biologico, è controllato e certificato, descritto dettagliatamente da etichette chiare dove viene riportata l’origine della materia prima e la rintracciabilità di ogni singola vaschetta. La gamma “bio” di Citterio è composta da: prosciutto cotto 100 grammi; prosciutto di Parma DOP 80 grammi; prosciutto crudo 80 grammi; bresaola della Valtellina IGP 80 grammi; speck 80 grammi; petto di tacchino al forno 80 grammi.
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Sempre più DOP e IGP Focus sulle filiere del “14º Rapporto 2016 Ismea – Qualivita” sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP-IGP-STG
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a qualche anno l’ISMEA pone grande attenzione al comparto delle produzioni agroalimentari e vinicole a Indicazione Geografica (IG), nel tentativo di contribuire allo sviluppo di filiere strategiche per l’agroalimentare italiano. Tale attenzione alimenta una sistematica attività di monitoraggio realizzata in collaborazione con la Fondazione Qualivita per la stesura di rapporti quale questo;
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ma anche la realizzazione di studi specifici e la messa a punto di strumenti operativi a supporto dell’attività dei Consorzi di tutela e degli operatori del settore. L’obiettivo è di contribuire allo sviluppo sistemico del comparto delle IG attraverso più strumenti: conoscenza del mercato e circolazione delle informazioni; sviluppo delle competenze e delle capacità manageriali nei Consorzi e nelle aziende; promozione di coesione e organizzazione interna per meglio
rispondere al mercato, coglierne le opportunità e fronteggiarne i rischi. Questo 140 Rapporto sulle produzioni DOP, IGP e STG è volto a definire le dimensioni e i contorni del comparto e a coglierne l’andamento, anche alla luce di quanto sta accadendo a livello internazionale, dove le difficoltà di conseguire sostanziali progressi verso un riconoscimento delle IG a livello multilaterale, indicano la strada dei negoziati bilaterali tra UE e Paesi Terzi
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Sui mercati esteri il volume d’affari conseguito con l’export del food italiano Dop e Igp ha raggiunto nel 2015 i 3,1 miliardi di euro (+17% su base annua): risultato considerevole rispetto alla pur consistente crescita (+7,8%) delle esportazioni complessive dell’agroalimentare nazionale. Quella degli ortofrutticoli è la categoria più ampia come numero di prodotti certificati (110 su 291), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne forniscono il maggior contributo al giro di affari del settore (oltre l’84% del valore complessivo alla produzione Dop e Igp). Segnaliamo sul fronte export anche gli aceti balsamici, che coprono una fetta consistente (24%) del made in Italy certificato. In foto un punto vendita dell’insegna statunitense Whole Foods Market, che vende parecchi prodotti italiani Dop e Igp, tra formaggi, aceti, vino e olio (photo © wholefoodsmarket.com). come l’alternativa più efficace per garantire la protezione delle IG italiane nei mercati di destinazione. Su questo fronte, l’UE ha concluso (o sta negoziando) accordi con molti partner commerciali importanti che includono la tutela delle IG, come quello con il Canada (CETA), recentemente entrato in vigore. Un esempio delle opportunità offerte da tale accordo è l’autorizzazione concessa ai produttori italiani — dopo ben 20 anni e benché in regime di coesistenza con altri marchi simili — di utilizzare sul mercato canadese denominazioni come “Prosciutto di Parma DOP” o “Prosciutto di San Daniele DOP”. I benefici ottenibili grazie al riconoscimento internazionale valorizzano l’importanza di un supporto tecnico e informativo sulle dinamiche negoziali e sulla candidabilità delle nostre
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IG ad accedere alle liste dei prodotti tutelati dagli accordi. Al 2016 l’Italia è ampiamente il Paese al mondo che vanta il maggior numero di certificazioni, con 814 prodotti iscritti nel registro UE, di cui 291 prodotti alimentari e 523 vini, a cui si sono aggiunti i riconoscimenti di altre tre denominazioni a fine anno. Un sistema che garantisce qualità, sicurezza e trasparenza anche grazie all’azione dei 247 Consorzi di tutela riconosciuti dal MiPAAF: 137 per i prodotti agroalimentari certificati e 110 per i vini DOP e IGP. Nei prossimi anni non sarà difficile conservare questo primato, che pure assume importanti contorni simbolici. Piuttosto, la vera sfida sarà promuovere e favorire la diffusione in altri Paesi — dentro e fuori l’UE — del modello di produzione agroalimentare
di qualità legata al territorio, come valore culturale oltre che economico, in linea con principi etici e sociali condivisi a livello globale da una quota crescente di consumatori. Questo vuol dire che lavorare al riconoscimento della qualità agroalimentare rafforzando il sistema delle Indicazioni Geografiche non significa solo valorizzare i “beni privati” prodotti dalle imprese italiane, aiutandole a fare reddito e a posizionarsi in modo favorevole nella catena globale del valore; ma anche essere dalla parte dei consumatori e dei cittadini del mondo, agevolando la produzione di un “bene pubblico” da essi sempre più richiesto. Un motivo in più per confermare su questo terreno l’impegno di ISMEA». Raffaele Borriello Direttore generale Ismea
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Il valore dell’agroalimentare di qualità Le stime sui dati 2015 elaborate nel 14o Rapporto Ismea-Qualivita mostrano un settore IG Food & Wine con una produzione che vale 13,8 miliardi di euro (+2,6% sul 2014), una partecipazione del 10% al fatturato complessivo dell’industria alimentare nazionale e un trend che sembra quasi inarrestabile sul fronte dell’export, che sfiora il +10% sul 2014, attestandosi sui 7,8 miliardi di euro complessivi, pari al 21% dell’export agroalimentare italiano.
Al 2016 l’Italia è ampiamente il Paese al mondo che vanta il maggior numero di certificazioni, con 814 prodotti iscritti nel registro UE, di cui 291 prodotti alimentari e 523 vini, a cui si sono aggiunti i riconoscimenti di altre tre denominazioni a fine anno. Un sistema che garantisce qualità, sicurezza e trasparenza anche grazie all’azione dei 247 Consorzi di tutela riconosciuti dal MiPAAF: 137 per i prodotti agroalimentari certificati e 110 per i vini DOP e IGP.
«I settori del Bio e quello delle produzioni Dop e Igp, in Italia, coinvolgono oggi, nel solo comparto agroalimentare, più di 140.000 operatori e oltre 50 organismi di controllo riconosciuti, per un mercato nazionale che vale al consumo circa 15 miliardi di euro» dichiara Mauro Rosati, direttore generale Fondazione Qualivita.
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Scenario UE ed Extra UE L’Italia è il Paese con maggior numero di prodotti IG nel mondo e detiene anche il “record” di nuove registrazioni nel 2016: 13 prodotti IG (di cui 2 Dop e 11 Igp). Seguono Francia (10), Croazia e Spagna (entrambe con 7), Germania (5), Portogallo (4). I Paesi del Mediterraneo si confermano nucleo centrale delle IG europee, con Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia che da sole detengono il 71% delle denominazioni food e l’80% dei prodotti IG wine. Fra i Paesi Nordeuropei si distinguono Germania e Regno Unito, mentre fra i Paesi dell’Est Europa confermano un ruolo attivo Croazia e, soprattutto per il comparto wine, Bulgaria e Romania. Nel corso del 2016, inoltre, sono stati registrati quattro prodotti IG in Thailandia, Turchia, Cambogia e Rep. Domenicana, pertanto raggiungono quota 23 le denominazioni food iscritte nel registro delle Indicazioni Geografiche da parte di Paesi Extra UE.
Wine I vini DOP e IGP contano 523 riconoscimenti, una superficie iscritta pari a 494.000 ettari e una produzione che arriva intorno al 50% del vino totale prodotto in Italia. La produzione di DOP e IGP nel 2015 è stata di oltre 23 milioni di ettolitri, per 2,84 miliardi di bottiglie (+2,4% sul 2014) e 7,4 miliardi di euro di valore alla produzione. L’export di vini DOP e IGP ha raggiunto nel 2015 14,1 milioni di ettolitri (+4,5%) per un giro d’affari da 4,7 miliardi di euro (+7,7%) e una quota dell’87% rispetto ai 5,4 miliardi complessivi delle esportazioni italiane di vino. Le prime dieci DOP rappresentano il 53% della produzione totale a volume e il 58% a valore: le prime cinque denominazioni (Prosecco DOP, Conegliano Valdobbiadene – Prosecco DOP, Chianti DOP, Asti
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DOP e Chianti Classico DOP) con più di 900 milioni di euro di valore alla produzione dello sfuso coprono oltre il 40% del totale. Nelle IGP le prime cinque indicazioni (Delle Venezie IGP, Veneto IGP, Terre Siciliane IGP, Toscano IGP e Emilia IGP) raggiungono complessivamente 439 milioni di euro di valore alla produzione dello sfuso e coprono oltre il 69% del totale. Formaggi I formaggi sono la principale categoria delle DOP e IGP in termini di volume d’affari, con un valore alla produzione di quasi 3,6 miliardi di euro per un’incidenza del 56% sul totale del comparto food. Anche a fronte di un aumento del +2,3% della quantità certificata, la categoria registra un leggero calo rispetto al 2014 a livello di valore (–1,6% alla produ-
zione, –0,1% al consumo). La quantità esportata, pari al 34% della produzione certificata, mostra risultati che migliorano quelli già eccellenti del 2014: con oltre 1,6 miliardi di euro, l’export cresce del +5,7% e rappresenta il 51,2% del totale delle esportazioni del comparto. Le principali denominazioni — Grana Padano DOP, Parmigiano Reggiano DOP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP — rappresentano da sole oltre l’80% della produzione della categoria. I risultati migliori in termini di trend si registrano per la Mozzarella di Bufala Campana DOP (+21,7% valore, +8,8% volume) e il Pecorino Romano DOP (+62,4% valore, +25,1% volume). Le esportazioni hanno fatto segnare aumenti rilevanti per la maggior parte delle principali denominazioni, con incrementi percentuali spesso in doppia cifra.
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Prodotti a base di carne I prodotti a base di carne rappresentano la seconda categoria delle DOP e IGP per giro d’affari, con un valore alla produzione di 1,8 miliardi di euro per un’incidenza del 28,7% sul totale del comparto food. La categoria registra leggeri trend positivi rispetto al 2014 a livello di valore (+0,6% alla produzione, +1,2% al consumo), a fronte di una sostanziale stabilità come produzione certificata (–0,1%). L’export, che copre una quota del 17,1% della produzione, mostra risultati eccellenti: con 498 milioni di euro, le esportazioni balzano del +18,9% rispetto al 2014, che già aveva mostrato risultati in crescita, e rappresentano il 16% del totale delle esportazioni del comparto food. Prosciutto di Parma DOP, Mortadella Bologna IGP, Prosciutto di San Daniele DOP e Bresaola della Valtellina IGP rappresentano oltre l’80% della categoria in volume e per valore alla produzione. Fra le produzioni maggiori, le variazioni più consistenti si registrano per la Mortadella Bologna IGP (+14,4% valore, +3,4% volume), Speck
Alto Adige IGP (+8,5% valore, +7,3% volume) e Cotechino Modena IGP (+16,0% valore, –0,6% volume). Le esportazioni hanno aumenti rilevanti, per la maggior parte delle principali denominazioni, con incrementi percentuali spesso in doppia cifra, talvolta perfino in tripla. Aceti balsamici Pur registrando nel 2015 trend flessivi per alcune variabili, gli aceti balsamici mantengono un ruolo di rilievo nel mondo delle DOP e IGP italiane, con un valore della produzione di 377 milioni di euro per un’incidenza del 6% sul totale del comparto food certificato. In particolare, gli aceti balsamici registrano flessioni in termini di quantità prodotta, che quindi si è attestata a 93 milioni di litri (–4,6% rispetto al 2014), cui è corrisposto un analogo calo in valore (–4,2%). D’altra parte sono positivi i risultati in termini di valore al consumo (+37,1%) e soprattutto per l’export, che assorbe la gran parte della produzione nazionale (80%) e nel 2015 ha seguito una dinamica assolutamente positiva: con
752 milioni di euro le vendite all’estero sono cresciute infatti del 73,8% su base annua, arrivano ad esprimere il 24% del totale delle esportazioni del food DOP e IGP, contro una quota del 16% rilevata nel 2014. È l’Aceto Balsamico di Modena IGP a guidare il comparto, rappresentando circa il 99% dei volumi certificati, dei valori alla produzione e dell’export. Oli di oliva Gli oli di oliva DOP e IGP italiani mostrano nel 2015 un valore alla produzione di 71 milioni di euro, per un’incidenza del 1,1% sul totale del comparto food. La numerosa e capillare presenza di riconoscimenti (42 DOP e 3 IGP) in tutte le aree a vocazione olivicola non basta a far esprimere al comparto tutta la sua potenzialità, limitando a poco più del 2% i volumi certificati rispetto al totale prodotto nazionale. Nel 2015, comunque, la categoria ha recuperato rispetto ai risultati della difficile annata precedente, con una quantità certificata superiore alle 10.000 tonnellate (+4,8%
A livello regionale l’Emilia-Romagna possiede il maggior numero di certificazioni food (45 Dop, Igp e Stg), mentre la Toscana conta il maggior incremento (3 nuove denominazioni registrate nel 2016). Il valore complessivo alla produzione ammonta a 13,8 miliardi di euro, pari al 10% del fatturato totale dell’industria alimentare italiana. In termini di export, il settore contribuisce per oltre il 21% all’ammontare complessivo delle esportazioni agroalimentari nazionali (in foto, stagionatura del Prosciutto di Parma Dop).
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Il settore vitivinicolo Dop e Igp registra una produzione certificata di 2,84 miliardi di bottiglie e un valore alla produzione dello sfuso di 7,4 miliardi di euro (+5,8%), aspetti che, insieme all’aumento del valore all’export del +7,7%, sono sostenuti in particolare dall’ottimo trend del “Sistema Prosecco”, che con un +57% sul 2014 stima un valore alla produzione dello sfuso di oltre 600 milioni di euro (in foto, uno scorcio delle colline vitate del Chianti; photo © Fotolia). sul 2014). Nello stesso anno i prezzi degli oli DOP, soprattutto pugliesi, sono arrivati a livelli record, e questo ha fatto salire il valore alla produzione a 71 milioni di euro, per un +26,8% rispetto al 2014. Il settore degli oli DOP e IGP risulta fortemente concentrato: i primi tre prodotti per valore alla produzione — rispettivamente Terre di Bari DOP, Toscano IGP e Val di Mazara DOP — rappresentano oltre il 62% del totale, mentre, considerando il valore dell’export, la quota complessiva delle tre IG sale ad oltre l’84% del prodotto certificato. Carni fresche Le carni fresche sono una categoria formata da cinque denominazioni (4 IGP e 1 DOP) che raggiunge un valore alla produzione complessivo di oltre 87 milioni di euro, per un’incidenza del 1,4% sul totale del comparto food. Rispetto al 2014, il valore complessivo di tale categoria ha registrato una crescita del +9,0%, spiegata dal rialzo
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delle quotazioni all’origine, a fronte di un calo del –3,1% delle quantità certificate. Al consumo, il valore delle carni fresche certificate cresce di quasi tre punti percentuali, grazie ai riscontri di mercato particolarmente positivi dell’Agnello di Sardegna IGP e dell’Abbacchio Romano IGP. Le vendite estere di carni fresche certificate rappresentano ancora una nicchia molto piccola (meno dell’1% del food DOP e IGP esportato), interessando tra l’altro il solo segmento ovino. Ciò nonostante, nel 2015 l’export della categoria ha registrato una crescita del +6,8% in valore e del +9,8% in quantità. Altre categorie Il patrimonio agroalimentare certificato italiano comprende ulteriori filiere produttive su tutto il territorio nazionale: dai prodotti della panetteria e pasticceria, alle paste alimentari, dalle spezie (zafferani) agli altri prodotti di origine animale, dai pesci e molluschi fino alle Specialità Tradizionali Garantite (STG).
Un paniere estremamente variegato, in cui trovano spazio prodotti della tradizione enogastronomica italiana per una produzione certificata il cui valore all’origine si attesta intorno ai 12 milioni di euro complessivi, con un’incidenza dello 0,2% sul totale del comparto food. I risultati migliori in termini di trend si registrano per lo Zafferano dell’Aquila DOP (più che decuplicato in un anno, raggiunge 1,7 milioni di euro), per la Pasta di Gragnano IGP (superate le 26.000 tonnellate di prodotto certificato nel 2015), per la Piadina Romagnola IGP (oltre 9.700 tonnellate certificate per un +41% sul 2014), per il Pane Casareccio di Genzano IGP, il Panforte di Siena IGP e i Ricciarelli di Siena IGP. Fonte: 14º Rapporto 2016 Ismea-Qualivita sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP-IGP-STG >> Link: www.qualivita.it www.ismea.it
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TENDENZE IPSOS e Tuttofood mettono a confronto operatori e consumatori
Agroalimentare, falsi miti e nuove verità
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n un settore essenziale come l’agroalimentare, un sano confronto tra consumatori e operatori è importante per allineare le aspettative dei primi con le intenzioni dei secondi. Un passaggio ancora più fondamentale per una manifestazione di riferimento nel proprio settore, come Tuttofood, in programma a Fiera Mila-
no da lunedì 8 a giovedì 11 maggio prossimi, che ha commissionato a IPSOS una ricerca per comprendere fino a che punto i trend individuati dagli operatori corrispondono ai desiderata dei consumatori, in modo da valorizzare al massimo il momento espositivo e sviluppare un’offerta più efficace. IPSOS ha sottoposto le stesse domande a un
campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 18 e i 65 anni e ad un campione di espositori e buyer di Tuttofood. È stato così possibile comparare le opinioni dei due target sui prossimi cinque anni del settore agroalimentare. Il quadro che emerge è di sostanziale accordo.
Inarrestabile il boom del biologico, prevista una forte crescita per i surgelati pronti al consumo e i surgelati pronti da cuocere, bene i salumi affettati in vaschetta: è quanto risulta da una ricerca commissionata da Tuttofood a IPSOS che mette a confronto consumatori e operatori. In crescita anche pasta, prodotti a base di pesce e piatti/sughi pronti (photo © Hasloo Group).
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Crescono il biologico e i surgelati ready to cook. Bene i salumi affettati Il biologico continuerà il suo boom: nella prima metà del 2016 ha fatto registrare un tasso di crescita del 20% a valore e il suo peso nella nostra spesa continua ad aumentare, passando in un solo anno dal 2,5% al 3,1% del valore del carrello. Un trend che sembra inarrestabile: il 39% dei consumatori indica proprio questa categoria come quella che aumenterà maggiormente il suo peso nei nostri carrelli nei prossimi 5 anni. Forte crescita in vista anche per i surgelati pronti al consumo, indicati dal 35% dei consumatori, e i surgelati pronti da cuocere (28%): il 51% dei consumatori indica almeno uno dei due, mettendo quindi i surgelati al centro del prossimo futuro. In crescita anche pasta (23%), prodotti a base di pesce (22%) e piatti pronti/sughi pronti (21%). Gli operatori concordano con queste ipotesi e vedono un futuro particolarmente importante per i surgelati pronti al consumo. In calo troviamo soprattutto i prodotti a base di carne, indicati dal 35% dei consumatori, che sembrano quindi continuare il trend decrescente che li caratterizza da una decina d’anni a questa parte. In questo quadro è però bene evidenziare come dei prodotti a maggior contenuto di servizio (come i salumi affettati) hanno mostrato un trend di vendite a valore positivo nell’ultimo anno. Visti in possibile calo dai consumatori anche oli e grassi vegetali (24%), bevande dolci ed energy drink (21%), alcolici (18%) e latticini o derivati del latte (16%), tutte evidenze che, insieme ai prodotti visti in aumento, delineano un carrello della spesa orientato a salute e benessere, almeno nelle intenzioni.
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Salute e benessere, ma anche servizio e prezzo Il paradigma di salute e benessere vale per tutti, anche per coloro che, per scelta o per obbligo, seguono delle diete specifiche, eliminando alcuni ingredienti. Proseguono infatti il loro trend positivo le vendite a valore dei prodotti senza glutine (+20,6%) e dei prodotti senza lattosio (+7,1%). I consumatori pensano che la vera innovazione alimentare sia nei prodotti per intolleranze e diete specifiche (38%), in forte crescita rispetto al passato. Ritroviamo l’innovazione anche con l’attenzione alle radici locali (indicata dal 28% dei consumatori), l’attenzione alla sostenibilità della filiera (28%), e l’utilizzo di etichette più esaustive (26%). Gli operatori concordano su queste evidenze, ma rispetto ai consumatori pongono maggiore enfasi sui nuovi formati dei prodotti come innovativi. Questa evidenza, unita alla maggiore attenzione per i surgelati pronti al consumo, evidenzia come gli operatori siano coscienti dell’importanza della “servitizzazione” nel settore alimentare: uno studio della dottoressa Guia Beatrice Pirotti (SDA Bocconi – Claudio Demattè Research Division) ha evidenziato come le aziende alimentari maggiormente orientate al servizio abbiano ottenuto migliori risultati economici negli ultimi 10 anni. Negli acquisti alimentari, l’attenzione nei prossimi cinque anni sarà sempre concentrata principalmente su due aspetti: prezzo, indicato dal 56% dei consumatori, e qualità, indicato dal 50%, con un consumatore su quattro che le indica entrambe. Molto importanti per i consumatori saranno anche le materie prime utilizzate (44%) e la fiducia verso il paese di provenienza (44%). Temi più direttamente legati alla sostenibilità
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Dalle prescrizioni religiose alle opportunità di mercato Essere osservanti anche a tavola. In una società multietnica, dove crescono i fedeli di confessioni che prevedono diversi tipi di prescrizioni alimentari, è un’esigenza sempre più sentita. E che permette di coniugare l’etica con il business, rappresentando una nicchia di mercato in costante aumento. È il caso dei cibi kosher, come vengono definiti gli alimenti conformi ai dettami della religione ebraica. Si calcola che oggi i fedeli dell’ebraismo siano circa 14 milioni in tutto il mondo e almeno 45.000 in Italia. Benché non tra le più numerose, la comunità ebraica italiana è la più antica dell’Europa occidentale — risale infatti alla presenza degli ebrei nella Roma imperiale — e ha contribuito a plasmare l’identità del nostro Paese fino dai tempi della Venezia dei Dogi o della Corte estense di Ferrara. Ampliando lo sguardo all’estero, il target si accresce in maniera considerevole: l’American Jewish Committee calcola ad esempio che rispetti le regole kosher un sesto dei circa 5,3 milioni di ebrei che vivono negli USA (la più grande comunità fuori da Israele), quasi 900.000 consumatori. Ma in realtà il mercato è molto più ampio, come spiega il Rabbino MOSHE SAADOUN, che segue per l’Italia le certificazioni di Services International Kosher Supervision, presente anche a Tuttofood 2017. «La certificazione kosher viene concessa solo dopo ispezioni molto severe da parte di rabbini specializzati e implica una particolare attenzione tanto agli ingredienti quanto ai metodi di lavorazione. In linea di massima la certificazione è tanto più difficile da ottenere quanto più numerosi sono gli ingredienti di un prodotto: il kosher si riallaccia dunque anche al tema della “etichetta corta”, prodotti semplici con ingredienti genuini». Su molti mercati la certificazione viene quindi percepita come una sorta di “bollino di qualità anche dai non ebrei”. «Si stima che solo in America del Nord siano almeno 70-80 milioni i consumatori che acquistano abitualmente prodotti kosher come garanzia di qualità – prosegue il Rabbino Saadoun — per questo la nostra presenza in fiera sarà all’insegna della certificazione anche come modo per incrementare il fatturato. L’Italia, assieme alla Germania, è il Paese che mostra più interesse anche per il suo forte orientamento all’export: infatti sono oltre 500 le aziende italiane che abbiamo già certificato. Il made in Italy agroalimentare è molto apprezzato nei mercati più sensibili al kosher e possedere la certificazione rappresenta senz’altro un vantaggio competitivo. In Israele, un mercato molto dinamico, il 90% della popolazione preferisce prodotti kosher. Qui la certificazione è regolata per legge e la nostra organizzazione può fornire supporto per ottenerla». Ma cosa significa esattamente kosher? Letteralmente, il termine si traduce con “permesso, appropriato, corretto” e indica le norme che stabiliscono quali cibi siano leciti e in che modo vadano preparati. Alcuni animali, come il maiale — ma anche crostacei e molluschi — non sono permessi tout court; la carne in generale non può essere mischiata con il latte e sono prescritte precise regole di macellazione rituale. Inoltre, anche per i vegetali, le norme possono riguardare le modalità di raccolta e preparazione. Si tratta di regole piuttosto complesse e, oggi, in particolare per i prodotti lavorati, i consumatori che desiderano rispettarle preferiscono in genere affidarsi ad una certificazione.
non sono ancora driver importanti nelle scelte alimentari, anche se il 34% dei consumatori sostiene che l’attenzione alla sostenibilità della filiera aiuti a determinare la percezione di qualità dei prodotti. Il driver principale nella percezione di qualità, nei prossimi cinque anni, sarà la regionalità, indicata dal 46% dei consumatori, seguita dalla qualità intrinseca delle materie prime (35%), la sostenibilità, la qualità della preparazione (32%), che però non possono fare a meno di un’etichettatura dettagliata (25%). Gli operatori, sempre d’accordo
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con i consumatori sul quadro generale, pongono più attenzione proprio al tema della sostenibilità, che sarà sempre più un elemento di distinzione. Il tema della regionalità e delle eccellenze locali è cruciale per un paese come l’Italia, che ha nel made in Italy uno dei suoi punti di forza. L’export agroalimentare nel 2016 ha raggiunto i 38,4 miliardi di euro, ma questo valore è probabilmente limitato dal fenomeno dell’Italian sounding, che produce un giro d’affari da 54 miliardi di euro. Il problema è molto chiaro sia a operatori che consumatori: il 61% di questi ultimi pensa che l’Italian sounding
sia molto diffuso e rappresenti un grave problema per i prodotti italiani, il 10% pensa invece che potrebbe diventarlo nel prossimo futuro. Confondersi sull’origine di un prodotto guardando il packaging è piuttosto facile, o almeno è quello che pensa il 79% dei consumatori, e in media al 32% dei consumatori esteri è capitato almeno qualche volta di comprare un prodotto che si è rivelato non essere italiano, con picchi in India e negli Emirati Arabi Uniti. >> Link: www.tuttofood.it
Premiata Salumeria Italiana, 2/17
Il ritorno della canapa Olio, semi e farina: l’azienda Fattorie Tenute del Roero di Baldissero d’Alba, in provincia di Cuneo, scommette sulla Canapa sativa recuperando un’antica tradizione per rilanciarla sul mercato di Massimiliano Rella
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anapa in tavola. E non ci riferiamo a tovaglia e tovaglioli ma all’alimentazione! La Fattoria Tenuta del Roero sta recuperando un’antica tradizione per rilanciarla sul mercato. A Baldissero d’Alba una famiglia di imprenditori, titolari del marchio d’olio Goccia d’Oro, i fratelli Ruata, ha scommesso sulla canapa e l’olio prodotto dai semi di questa pianta, utilizzando una varietà autoctona. Il Piemonte contadino del dopoguerra era famoso per la coltivazione della canapa utilizzata per produrre
corde e tessuti, poi l’avvento del nylon segnò la fine di questo comparto agricolo che oggi, però, è in via di rinascita in particolare per gli usi alimentari. La pianta è la Canapa sativa, introdotta in Europa probabilmente nel secondo millennio a.C. e già coltivata anche in Italia nel I secolo a.C., ma diffusasi di più solo nel Medioevo, specialmente in Pianura padana. Nel secolo scorso la superficie coltivata con questa varietà aumentò fino agli anni Trenta, per poi diminuire progressivamente. I Ruata hanno riscoperto questa produzione
e nella loro azienda, proprio accanto ad una grande piantagione di canapa, hanno installato un nuovo e specifico impianto di molitura, unico in Italia. I Ruata cominciarono a coltivare canapa cinque anni fa, inizialmente con la varietà francese Futura, poi sostituita dalla canapa autoctona Carmagnola, una specie non monoica — cioè non “ermafrodita”, ma con esemplari di sesso maschile e femminile — coltivata su una media di 50 ettari a conduzione biologica certificata (superficie che cambia a seconda della rotazione per la
Coltivazione di canapa presso la fattoria Tenute del Roero (photo © Massimiliano Rella).
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Tra le specialità a base di canapa sperimentate con successo dall’azienda piemontese ci sono i semi per le decorazioni alimentari, usati, per esempio, per insaporire pane e biscotti, e i semi decorticati per insalata o da mangiare tostati, dal sapore che ricorda la nocciola. Poi la farina, integrale e senza glutine, e un pesto con basilico
Semi di canapa decorticati e non e farina di canapa nella fattoria Tenute del Roero a Baldissero d’Alba (photo © Massimiliano Rella).
fertilità dei terreni). Dai semi di Canapa sativa ottengono un olio vergine, al naso fruttato e spiccatamente erbaceo, in bocca dolce, delicato, con sentori di fieno e nocciola, di bassa acidità. Si può usare crudo per insaporire zuppe, creme di verdura e insalate, sul pane fresco o sulla bruschetta, ma anche su crudi di pesce per un gusto insolito oppure su un classico piatto di pasta integrale con pomodoro crudo. La produzione di semi di canapa si aggira sui 70-80 quintali e la resa in olio è di circa il 20%. Il prodotto si aggiunge alle tante referenze di produzione aziendale, dall’olio extravergine d’oliva biologico, ai non filtrati, ai monocultivar, agli oli di semi di vinacciolo, di riso, di mais, di girasole e altri. L’olio di semi
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di canapa è venduto anche in farmacia ed erboristeria come prodotto naturale e salutare. Tra le specialità a base di canapa sperimentate con successo dall’azienda piemontese un’altra novità sono i semi per le decorazioni alimentari, usati, per esempio, per insaporire pane e biscotti, e i semi decorticati per insalata o da mangiare tostati, dal sapore che ricorda la nocciola. Un altro prodotto interessante è la farina di canapa 100% integrale, senza glutine, di colore scuro e dal gusto pronunciato, ottima insieme alla farina di grano per preparare pane, pasta fatta in casa, biscotti e dolci, che potrebbe anche rappresentare un’utile risorsa per chi soffre di intolleranze al
glutine. Ne producono in media 500 quintali l’anno. Tra i condimenti i Ruata fanno un pesto con basilico Genovese DOP e semi di canapa. Il prezzo di una bottiglietta d’olio di semi di canapa da 0,250 l è di € 14,00; la farina di canapa costa 5,00 €/kg. L’azienda accoglie i visitatori dal lunedì al venerdì, in orari d’ufficio. Massimiliano Rella Fattoria Tenuta del Roero F.lli Ruata Spa – Goccia D’oro Frazione Baroli 107 12040 Baldissero d’Alba (CN) Telefono: 0172 40811 E-mail: info@gocciadoro.it Web: www.gocciadoro.it
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Trionfi Honorati: la Vallesina riscopre una coltura stupefacente “Non ha bisogno di nulla, non ti chiede nulla, ma in compenso ti copre, ti scalda, ti sfama”: così descrive la canapa ANTONIO TRIONFI HONORATI, un lavoro a Roma come architetto lasciato una quindicina di anni fa per dedicarsi all’agricoltura e oggi titolare con la sorella Giulia (che si occupa dal 2004 del Caseificio Piandelmedico dove produce formaggi freschi, semi-stagionati o stagionati tradizionali, ma anche prodotti di nuova invenzione come il blu di latte crudo di bufala) dell’omonima azienda di famiglia a Jesi. Quella di Antonio e della coltivazione della canapa è un’avventura iniziata per caso, durante la ricerca di colture alternative a quelle tradizionali, con l’idea in testa di trovare un prodotto nuovo, che si differenziasse da quelli già presenti sul mercato. Eppure, dati storici alla mano, quella della canapa è una vera e propria coltura tradizionale della Vallesina: dalla fine dell’Ottocento, infatti, le Marche erano una regione in cui si produceva comunemente cordame con la canapa e le corde vallesinesi servivano tutto il Regno d’Italia. Jesi in particolare era la capitale delle corde: pare infatti che nel XIX secolo armasse con vele e cordame la flotta inglese e si racconta che tutte le famiglie che avevano figlie da maritare facessero il corredo con la fibra di canapa, seminandola apposta. L’Italia, fino a metà degli anni ‘50 del Novecento, era la seconda produttrice mondiale di canapa dopo l’URSS, prima addirittura per qualità di prodotto. Da lì in poi il declino. Nel 1975, col “decreto Cossiga”, la canapa venne messa ufficialmente fuori legge, per essere poi riammessa con una circolare del Ministero nel 1997. Solo dal 2002, però, venne data la possibilità di coltivare canapa con il solo obbligo di comunicazione, non più autorizzazione. «Negli ultimi anni c’è stata una forte spinta alla scoperta delle proprietà della canapa» racconta Antonio alla redazione di ML Magazine (www.mlmagazine.it). «Questo è l’alimento in natura che ha la maggiore quantità di Omega 3 e Omega 6 nella proporzione ideale per l’assunzione da parte del corpo umano. La canapa è un prodotto molto bilanciato: si pensi che con 3 grammi di olio di canapa al giorno si ha un fabbisogno nutrizionale eccellente, perché si assume la giusta dose di Omega 3 e Omega 6 quotidiana. L’olio è anche un antinfiammatorio naturale: funziona come supporto alla medicina nei casi di morbo di Chron o per la psoriasi; i suoi effetti benefici sono certificati da lavori scientifici e da pubblicazioni (il valore del seme di canapa è stato riconosciuto in Italia dal Ministero della salute nel 2009). Inoltre, vi si possono fare case e vestiti, o anche le bioplastiche e i pannelli isolanti. La canapa è utilizzata anche per la fitodepurazione dei terreni dai metalli pesanti. La varietà di usi è incredibile, non si butta niente della pianta e noi non buttiamo nemmeno la foglia, con cui facciamo il pesto di canapa». La canapa — si legge ancora nel sito aziendale — “si adatta bene alle nostre latitudini ed evita sprechi energetici per i trasporti. Non ha bisogno di pesticidi, né di diserbanti ed è di facile coltivazione. Velocissima nella crescita, soffoca tutte le altre piante, svolgendo una funzione di diserbo naturale del terreno. Si adatta a tutti i suoli permettendo il recupero di zone non utilizzate. Svolge una funzione di fitodepurazione, cioè di disinquinamento dei terreni contaminati. La pianta assorbe le sostanze tossiche, compresi i metalli pesanti, e li fissa nelle foglie, rendendo comunque utilizzabile la fibra”. L’azienda Trionfi Honorati oggi produce olio di semi di canapa, farina, pasta e anche formaggi, oltre a prodotti di uso cosmetico, dai saponi alle creme. Az. Agraria Trionfi Honorati Via Piandelmedico 101 60035 Jesi (AN) E-mail: info@trionfihonorati.it Web: www.trionfihonorati.it A sinistra: formaggio prodotto con la canapa (photo © Azienda Honorati).
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MERCATI
Tendenze e opportunità del mercato delle salse di Alessandro Togni
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l mercato delle salse chiude il 2016 con una crescita dei volumi pari allo 0,6% a totale Italia, a fronte di una lieve battuta d’arresto nel fatturato (–0,2%, circa 500.000 euro) dovuto ad un calo generale del prezzo medio. Per quanto riguarda le tipologie, continua il trend positivo della maionese, la più importante, con oltre
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il 52% del fatturato: volumi in crescita del 1,5% e fatturato del 0,2%, grazie soprattutto ai canali iper e discount e al Nord-Italia. In crescita il numero di referenze e in calo il prezzo medio a totale Italia (–1,3%). Frena invece il ketchup, che rappresenta la seconda tipologia più importante con circa il 18% del fatturato: in calo del 2,4% a volume
e del 1,9% a valore, con una crescita del prezzo medio e della promozionalità dello 0,6%, in controtendenza con le altre tipologie presenti sul mercato. Il calo è trasversale a tutti i canali e le aree, ad eccezione del discount e del Nord Est, che registrano trend positivi. Prosegue l’andamento negativo per la senape, con un calo del fatturato
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del 1,3%, a fronte di una stabilità dei volumi. Crescita di fatturato invece nel Centro Italia e nei discount, grazie a un calo del prezzo medio e all’aumento del numero medio di referenze. Ottime performance per la salsa barbecue, con crescita dei volumi del 7,4% e del 3,1% a valore, grazie soprattutto ad un importante aumento del referenziamento e
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ad un calo dei prezzi medi. La crescita è trasversale a tutti i canali e le aree, con un contributo maggiore dato dal Sud Italia e dai super e dai discount. Per quanto riguarda le tipologie minori, assistiamo a totale Italia a un importante calo per la salsa tonnata (–6,1% volume; –6,4% valore) e per la cocktail (–7,5% volume; –7,5% valore),
a fronte di una crescita in tutte le aree e canali per lo yogurt (+56,1% volume; +46,5% valore). In generale, cala la promozionalità, in particolare nei super e nei liberi servizi, e cresce l’assortimento (+0,5 ref., 10,9 di media), soprattutto negli iper (+6,0), super (+1,6) e nei discount (+1,4), con un livello più alto per la maionese e il ketchup. A livello di aree, la 1 (Nord Ovest) resta la principale, con oltre il 30% delle vendite (sia a volume che a valore) e con un andamento stabile rispetto all’anno precedente. L’area 4 (Sud Italia) si conferma la seconda come importanza nei volumi (circa il 22%, in crescita del +0,2%), evidenziando tuttavia una flessione a valore (–1,3). In calo del –1,0% il fatturato dell’Area 3 (Centro). L’area 2 (Nord Est) è l’unica a crescere in fatturato (+1,6%) e a volume (+3,3%). Considerando invece i canali distributivi, in termini di fatturato e di volumi, calano le grandi superfici (iper e super). La crescita dei volumi è sostenuta, infatti, dai negozi tradizionali e in particolare dai discount, con una crescita del +8,5% e coprendo quasi il 24% delle vendite totali. Le ottime performance dei discount sono imputabili al prezzo medio inferiore alle grandi superfici, insieme a un assortimento in espansione e a un’intensità promozionale in crescita, seppur ancora inferiore rispetto ai livelli della grande distribuzione. In conclusione, si assiste a un andamento positivo dei volumi, condizionato dalle buone performance di tutte le tipologie, in particolare della maionese. Per questa tipologia si evidenzia un aumento a livello assortimentale, grazie non solo alle nuove referenze bio e light, ma anche alle vegan e free from (senza glutine, additivi, coloranti, addensanti, ecc…). La nuova tendenza sembra quindi essere verso prodotti bio e salutistici, come senza glutine, vegani, vegetariani e tutto il filone free from: è proprio in questa direzione che si possono cercare nuove opportunità di crescita ed espansione per tutto il mercato delle salse. Alessandro Togni Fonte: Nielsen Insights Nielsen Italia, www.nielsen.com Nota Photo © petrrgoskov – Fotolia.
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LA QUALITÀ
Lo Speck Alto Adige Igp compie vent’anni e va alla conquista di USA e Canada
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l Consorzio Tutela Speck Alto Adige festeggia con grande soddisfazione i primi vent’anni trascorsi da quando l’Unione Europea ha riconosciuto allo speck la denominazione a Indicazione Geografica Protetta. La certificazione IGP rappresenta, per i consumatori, la garanzia di portare in tavola un prodotto sicuro, di elevata qualità e gusto genuino. Un riconoscimento fondamentale per lo Speck Alto Adige, che ha permesso di garantire e tutelare la bontà e la genuinità di questo prodotto che oggi è un vero e proprio simbolo di gusto e tradizione altoatesino. In questi vent’anni, grazie al suo gusto inconfondibile e alla sua versatilità in cucina, lo Speck Alto Adige IGP si è
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affermato sul mercato sia nazionale che internazionale. La significativa crescita dell’export, che ha raggiunto nel 2016 il 33,2% delle vendite globali, conferma infatti che lo Speck Alto Adige IGP è il prestigioso ambasciatore della genuina qualità della regione. Trattandosi di uno dei prodotti più esportati della salumeria italiana, lo Speck Alto Adige è diventato anche un esponente di rilievo della qualità e bontà dei prodotti italiani. Per rafforzare questa posizione nel prossimo triennio lo Speck Alto Adige IGP, insieme all’Asiago DOP ed al Pecorino Romano DOP, sarà il testimone nei più importanti mercati dell’America del Nord. Infatti, parteciperà al progetto “Enjoy, it’s from
Europe”, dedicato a promuovere i migliori prodotti agricoli dell’UE in questi importanti mercati d’Oltreoceano. Nel 2016 sono state prevalentemente le confezioni da scaffale a conquistare i consumatori. La confezione da scaffale è il format che si addice ai ritmi della vita moderna che richiedono soprattutto praticità e comodità di utilizzo. La vendita dello speck preaffettato in piccole confezioni, in particolare quella da 100 grammi, è infatti aumentata del 18% rispetto al 2015. >> Link: www.speck.it Nota Photo © F. Blickle.
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Consorzio del Prosciutto di San Daniele: in prima linea per il contrasto alle frodi e la tutela della Dop
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l Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha positivamente preso atto dell’operazione intrapresa dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per mezzo dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi (ICQRF) per difendere le produzioni a
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Denominazione di Origine Protetta, intervenendo su alcune imprese del settore suinicolo per la fornitura di materiale genetico agli allevamenti del circuito della DOP. Le azioni di indagine sono partite nelle regioni di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Il Consorzio, che è organismo incaricato
dallo Stato della tutela del marchio “prosciutto di San Daniele”, aveva da tempo attivato i contatti con il Ministero sul tema e già nel corso del 2016 aveva informato sia l’Ispettorato Centrale che quello periferico del Nord Est. A inizio febbraio, infatti, ha avuto luogo un primo intervento eseguito in alcuni allevamenti
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del Veneto da parte del Consorzio in collaborazione con l’Istituto Nord Est Qualità (INEQ), proprio per accertare l’eventuale utilizzo fraudolento di tipi genetici non conformi al disciplinare della DOP, avvalendosi di un test per risalire attraverso il DNA alla matrice genetica degli animali. Il prosciutto di San Daniele è una produzione tipica a Denominazione di Origine Protetta ai sensi del Reg. (CE) n. 1151/2012 e registrato tra le DOP dell’Unione Europea ai sensi del Reg. (CE) n. 1107/96, tutelato dalla Repubblica Italiana con la Legge n. 30 del 14 febbraio 1990. Tutto ciò testimonia che un prosciutto crudo per potersi chiamare “San Daniele” deve essere stato prodotto sottostando a rigorose prescrizioni produttive e igienico sanitarie, sulle quali controlla l’INEQ a garanzia del consumatore e della qualità finale del prosciutto. Il prosciutto di San Daniele viene prodotto esclusivamente con carni provenienti dall’Italia ed in particolare da suini nati allevati e macellati in 10 Regioni più precisamente in Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Marche, Umbria, Toscana, Lazio e Abruzzo. Il suinetto viene tatuato entro un mese dalla nascita e, in seguito, la sua storia viene documentata da una completa certificazione e dai relativi tatuaggi sulle cosce, che garantiscono anche formalmente la provenienza dello stesso sino al momento in cui le carni divengono materia prima per la produzione di prosciutti. Durante l’allevamento il suino può mangiare solamente determinati alimenti (prevalentemente di origine vegetale) che sono elencati in maniera tassativa dalla normativa vigente e dal disciplinare di produzione. In Italia si producono circa 9 milioni di suini all’anno, che sono destinati principalmente alla produzione di prosciutti DOP. Tali animali sono tutti nati ed allevati nel nostro Paese e sono sottoposti a rigorosi controlli dalla nascita fino alla macellazione dalle Autorità sanitarie e dai sistemi di controllo preposti e sorvegliati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Commercializzazione tutelata Il mercato canadese apre finalmente le porte al Prosciutto di San Daniele DOP chiamandolo col suo nome! Sembra incredibile ma, fino all’ultima recente
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approvazione del CETA, l’accordo economico e commerciale tra Unione Europea e Canada, il prodotto friulano doveva essere esportato sotto il nome di “Authentic Italian Prosciutto”, perché, negli anni ‘70, un’azienda canadese aveva registrato il marchio “San Daniele”. Dalla sua entrata in vigore (aprile 2017), l’accordo consentirà la coesistenza dei due marchi sul mercato — il “San Daniele canadese” e il Prosciutto di San Daniele originale — con i relativi simboli di identificazione sulle confezioni. Per il consumatore sarà quindi più facile acquistare il prodotto desiderato. «Si tratta di un accordo di buon valore per il Prosciutto di San Daniele DOP perché la tutela del nostro prodotto permette di sostenere il settore e incentivare l’export» spiega MARIO CICHETTI, direttore del Consorzio del Prosciutto di San Daniele. «Per noi si tratta di un importante passo avanti che apre nuove opportunità di crescita sul mercato canadese, grazie ai valori condivisi con l’ampia e radicata comunità di origine italiana che conta 140.612 residenti nel paese, pari quasi al 3% dei circa 9 milioni di Italiani residenti all’estero».
Crescita a doppia cifra per il preaffettato La produzione del Prosciutto di San Daniele DOP relativa all’anno 2016 ha riportato una crescita di un punto percentuale rispetto all’anno precedente, con 2.719.094 cosce di suino avviate alla lavorazione. Rispetto al 2015, la produzione di preaffettato in vaschetta ha segnato indici molto positivi, con oltre 350.000 prosciutti affettati (+6,8%). Con 20.089.109 vaschette certificate pari a una crescita del +7,2% sull’anno precedente, il preaffettato si è riconfermato, quindi, il trend di vendita più performante per il San Daniele, perfettamente in linea con le nuove modalità di consumo. Negli ultimi tre anni si è registrata una crescita a due cifre di questa modalità di offerta, che garantisce una fruibilità semplice, immediata, pratica e veloce del prodotto, rispondendo alla necessità dei consumatori di avere in casa un prodotto fragrante e sempre pronto da gustare. I dati dell’intero comparto, rilevati da NIELSEN ed elaborati da ISMEA, hanno registrato una flessione generale degli acquisti domestici di salumi (–1,6%
in volume su base annua) in controtendenza rispetto alla lieve crescita delle vendite di prosciutto crudo, in generale. Nel 2016 la quota di mercato del prosciutto di San Daniele risulta pari al 12,5% in volume e al 15% in valore, sul totale del prosciutto crudo. In questo scenario, per quanto riguarda le vendite, il San Daniele DOP ha riscontrato una crescita del +0,9% in volume e del +3,7% in valore, rispetto al 2015. Anche sul fronte export, il 2016 è stato un buon anno con una crescita del +6%. Le esportazioni hanno avuto infatti un peso pari al 17% delle vendite totali del prodotto. La quota nei Paesi della UE vale il 60% delle esportazioni, con Francia, Germania, Belgio, Svizzera, Austria e Regno Unito principali mercati di riferimento in Europa. Per quanto riguarda i mercati extracomunitari, il valore dell’export è pari al 40%, con Stati Uniti, Australia e Giappone come principali aree di vendita. Le esportazioni del preaffettato in vaschetta hanno fatto registrare una crescita del +16%, con un valore del 21% sul totale export. >> Link: www.prosciuttosandaniele.it
2016, anno da record per il pane di Altamura Dop Nel 2016 la produzione del pane di Altamura Dop ha superato le 440 tonnellate, con un aumento del 17,89% rispetto al 2015. I dati sono confermati da “Bioagricert”, organismo di certificazione riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole. Dal 2003, anno del riconoscimento della Dop a livello comunitario, mai si erano toccati picchi di produzione così elevati. Il 2016 ha segnato anche un significativo aumento delle quote di mercato per l’intero comparto altamurano, con un aumento di oltre il 30% se si considera l’intero triennio 2014‐2016. Questa crescita assume un valore ancor più importante se si prendono in considerazione il calo del consumo di pane in Italia, le truffe alimentari e le attività di concorrenza sleale (quello Dop altamurano sembra essere il pane “più imitato” d’Italia). «I dati (sulla produzione) relativi al 2016 sono il frutto del lavoro svolto nell’ultimo un triennio dal Consorzio e i suoi associati che — spiega il presidente del Consorzio, Luigi Picerno — hanno dato vita a un rinnovato spirito di squadra, condividendo obiettivi di crescita ed interventi». Quello del pane di Altamura Dop è uno dei comparti dell’economia locale che decisamente può dare nuova linfa agli attori della filiera. Si va verso la qualificazione dell’offerta, nonché verso scelte d’acquisto sempre più consapevoli da parte del consumatore, pertanto il Consorzio e i suoi associati devono dare risposte adeguate. «C’è tanto ancora da migliorare — commenta il direttore del Consorzio, Pasquale Lorusso — abbiamo bisogno di incrementare le attività di vigilanza contro comportamenti ingannevoli e quelle di informazione dei consumatori. I risultati raggiunti sinora sono un punto di partenza e non d’arrivo, ad un prodotto di nicchia possono corrispondere numeri ben più significativi». >> Link: www.panealtamuradop.it
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Prosciutto di Modena Dop: alla conquista del monte Fuji! Il Consorzio del Prosciutto di Modena Dop negli ultimi anni si è distinto per il suo impegno nella promozione di questa eccellenza della nostra salumeria — l’unico tra i prosciutti italiani ad avere una stagionatura minima di 14 mesi — sia sul fronte nazionale che su quello internazionale. E adesso punta ad Oriente. «Sebbene in Giappone il prosciutto di Modena fosse del tutto sconosciuto, abbiamo potuto riscontrare sin da subito grandi apprezzamenti e giudizi più che positivi verso il nostro prodotto, tanto che i buyer stanno già dimostrando fattivamente il loro interesse» racconta la vicepresidente del Consorzio Giorgia Vitali, appena rientrata da un viaggio nel Paese del Sol Levante. Produzione stabile e attenzione all’export Il Prosciutto di Modena Dop ha chiuso il 2016 con una produzione stabile rispetto al 2015 (72.000 cosce avviate alla produzione). Il segmento del preaffettato continua ad essere un canale importante che assorbe all’incirca il 15% della produzione totale, grazie alla sua praticità di utilizzo, ma che nell’anno appena concluso ha fatto registrare una leggera flessione. Infatti, nel 2016 il consumatore è tornato ad orientarsi principalmente verso il banco taglio, soluzione questa che gli ha permesso di contenere i costi. «Il 2016 è stato un anno con luci ed ombre — ha affermato Davide Nini, presidente del Consorzio — poiché se da un lato il mercato interno ha mostrato di essere ancora in sofferenza, dall’altro è stato un anno di grandi soddisfazioni se guardiamo alle prospettive che si sono aperte sui mercati esteri. Mi riferisco in particolare al mercato USA, le cui autorità, lo scorso agosto, hanno riconosciuto l’idoneità all’esportazione di alcune nostre aziende consorziate che hanno potuto così finalmente avviare la produzione destinata all’export». Per quanto riguarda i Paesi dell’Unione Europea, il prosciutto di Modena risulta molto apprezzato in Germania, in Inghilterra e in Francia, Paese questo dove è stato introdotto il prodotto preaffettato in un’importante catena della GDO. Il crudo di Modena è un alimento sano e nutriente, prodotto senza l’utilizzo di additivi e conservanti, bilanciato nell’apporto di proteine, grassi e vitamine. E buono, molto buono. >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it
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La salsiccia gialla modenese di Josette Baverez Blanco
Il particolare colore della salsiccia gialla modenese si ottiene dall’utilizzo dello zafferano, sia nel budello che nell’impasto di carne di maiale finemente macinata (photo © yuliiaholovchenko – Fotolia).
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iatto di gran rilievo nella tradizione culinaria modenese dal Rinascimento alla fine del Settecento, la sulzezza zala bouna e fina fu poi messa da parte a favore del cotechino e dello zampone. La sua preparazione fu di pertinenza dell’Arte dei Beccai fino alla metà del Cinquecento, quando fu affidata ai Salsicciai e Lardaroli che si riunitisi in corporazione autonoma. I Salsicciai, infatti, divisi da numerosi conflitti di interesse dai Beccai, riuscirono ad ottenerne l’indipendenza con la redazione dei propri statuti, la cui consultazione mette bene in evidenza quanta importanza ha sempre avuto la carne di maiale in questa regione dove scarseggiavano i cereali.
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Tagliata, lavorata, conservata in tanti modi per usi vari, questa carne diventava lardo salato, pancetta, mortadella, coppa, prosciutto, salame e, per un consumo più immediato, salsiccia rossa o gialla, entrambe realizzate con le migliori parti del maiale ma condite in modo diverso. L’insaccato della salsiccia gialla deve il suo colore dorato all’uso dello zafferano sia per la colorazione dei budelli che mescolato all’impasto con formaggio di forma, uova e buone spezie. Nel 1530, ANDREA DELLA CAPPELLINA, notaio a Nonantola, scrisse “Conti e memorie domestiche”. Lo si può visionare presso l’Archivio Abbaziale del paese. Più che un registro da notaio, appare come un brogliaccio
manoscritto su cui l’autore riporta atti notarili, conti personali e famigliari, calcoli sui possedimenti e, quello che più ci interessa, ricette e segreti. La prima ricetta è proprio quella della salsiccia gialla (“A fare bona salziza zala”) che ritroviamo anche nel ricettario “Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale” (1549, pubblicato un anno dopo la scomparsa dell’autore a Ferrara dagli editori Giovanni de Bughait ed Antonio Hucher) di CRISTOFORO DI MESSISBUGO. Andrea della Cappellina mette in risalto nella preparazione dell’insaccato di carne de porcho il grande uso delle spezie dolci (zenzero, cannella, chiodi di garofano) e di un’erba, il Senuezorio, non più conosciuta ma che fa pensare
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delle nozze di Alfonso II d’Este, la città di Modena fece un omaggio al sovrano in generi alimentari vari fra cui 17 chili di “salcizzotti zalli” ben conosciuti ed apprezzati dai ferraresi! Sappiamo che i cicli della storia si susseguono con un’inevitabile alternanza e ripetizione e che questo vale anche dal punto di vista gastronomico. Anche oggi in tanti cercano di ritrovare e rivalorizzare i prodotti del territorio, gli usi e costumi dei nostri antenati, lo slow food con i suoi profumi e la sua carica affettiva. Si è sempre di più alla ricerca di radici in un mondo dove tutto è mutevole a grande velocità, di calore in un ambiente esistenziale sempre più asettico e freddo, perciò non ci stupisce che un editore come ELIS COLOMBINI abbia pubblicato il libro di PAMELA TAVERNARI “Ricette e segreti. Il registro cinquecentesco di Andrea della Cappellina e la salsiccia gialla di Modena” nella collana Aemilia/ Appunti, e qualche ristorante emiliano abbia deciso di inserire la salsiccia gialla nel suo menu. Josette Baverez Blanco
PAMELA TAVERNARI “Ricette e segreti. Il registro cinquecentesco di Andrea della Cappellina e la salsiccia gialla di Modena” Colombini Editori 2014 40 pp. — € 9,00
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ad un’erba medica. È probabile quindi che la salsiccia gialla non fosse solo buona di sapore ma se ne vantassero anche benefici per la salute. La ricetta di CRISTOFORO DI MESSISBUGO è molto simile a questa, ma con dosaggi diversi: “Sacizza gialla. Piglia libre vinticinque di carne di porco grasso, et è meglio nel cossetto, e pestala molto bene colla pestarolla, poi piglia libre due di formaggio piasentino grattato, e di pevere pesto oncia una e mezza, di zaffrano pesto uno ottavo, e incorpora bene ogni cosa insieme con oncie quindici di sale, e spugnegiala molto bene. Poi acconcia le budelle di quella maniera che si fan quelle delle mortadelle gialle, e poi impasta la tua salcizza, e serà perfettissima”. Nel trattato del Messisbugo, così come in altri tra Cinquecento e Seicento, vengono riportati anche poemi eroicomici che ricordano la salsiccia gialla, messa in satira nel 1630 da BELLEROFONTE CASTALDI (“In lode della salsiccia di Modena”). Rammentiamo, per sottolineare la prelibatezza di questa salsiccia, che nel 1565, in occasione
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Lo strutto, lasciapassare per il gusto Protagonista di una cucina d’altri tempi, è stato per decenni bandito dalle dispense, nella convinzione che fosse dannoso a linea e salute. Oggi è sdoganato da uno studio che lo mostra più sano di altri grassi di Sebastiano Corona
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a qualche tempo a questa parte gira sul web un divertentissimo video in cui un uomo, sul punto di addentare i cibi più diversi, viene continuamente redarguito da una voce fuori campo che via via gli comunica che il prodotto che ha nel piatto è nocivo. Così, mentre scorrono i minuti e si susseguono i tentativi di “nutrirsi”, il malcapitato, condizionato da questa o quella ricerca, è costretto ad abbandonare la tavola
digiuno, perché qualunque cosa provi a mangiare, secondo le più svariate teorie, farebbe male. Il video è forse un’esagerazione, ma rende molto bene ciò che ormai è insito nel nostro quotidiano: veniamo continuamente tirati per la giacchetta per seguire quel regime alimentare o quell’altro e sempre con argomentazioni valide e supportate da dati scientifici. Succede quindi con puntualità svizzera che vengano demonizzati a turno dei prodotti che
fino a poco tempo prima godevano di ottima reputazione e, viceversa, che si riabilitino in cucina e al supermercato sostanze che per anni erano state vituperate e messe alla pubblica gogna. È questo ad esempio il caso dello strutto, un grasso che ha contribuito a scrivere le più belle pagine della storia della cultura gastronomica di molti Paesi europei e che per molti anni sembrava essere stato bandito dalla cucina per una serie innumerevole di motivi.
Lo strutto si ottiene dalla fusione dei grassi presenti nel tessuto adiposo del maiale. In passato veniva comunemente utilizzato per friggere, negli impasti e nella panificazione o come semplice condimento (photo © Joanna Wnuk – Fotolia).
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Passione per la carne per tradizione.
Sfogliatella napoletana. Lo strutto è presente nel disciplinare di questo dolce tipico campano (photo © Valentino Cazzanti – Fotolia). Lo strutto ha origine animale e, in tempo di veganesimo e vegetarianesimo, non può avere il favore dei laboratori produttivi e delle dispense. In più, per decenni le sue qualità sono state svilite a favore degli oli vegetali, considerati più leggeri, meno grassi e meno impattanti per la nostra salute. È stato praticamente detto tutto e il contrario di tutto fino ad un recente studio della Montfort University di Leicester, che ha fatto rapidamente il giro del mondo, che ha dimostrato che in fase di cottura — e più precisamente nella frittura — lo strutto si mostra decisamente meno nocivo di alcuni oli vegetali che invece diventerebbero — al di sopra di una certa temperatura — straordinariamente dannosi, al punto da essere cancerogeni. Se ci accingiamo a friggere, faremmo quindi molto meglio a scegliere il burro e, meglio ancora, lo strutto, soprattutto grazie al suo elevatissimo punto di fumo, che raggiunge anche i 250 gradi. Non è nostra intenzione avviare una discussione su argomenti così delicati e che, di volta in volta, vengono messi in discussione da prestigiosi studi di università di fama internazionale. Certo è che il punto di equilibrio si trova nel consumare ogni cosa con moderazione e nel condurre uno stile di vita, nel suo
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complesso, sano. La morale in questo caso è però anche un’altra: finalmente cibi come lo strutto, da tempo demonizzati e schivati dal consumatore, possono essere finalmente riabilitati, almeno nel loro impiego in piccole quantità. Un posto d’onore nella cucina del passato Che un tempo lo strutto avesse un ruolo di assoluto rilievo nella cucina e nella dispensa della nostra nonna non è infatti solo un vago ricordo che alberga nelle menti degli amanti della buona tavola. La prova provata è il fatto che tuttora compaia come ingrediente indispensabile nelle ricette di prodotti tradizionali tra i più apprezzati nel Belpaese. Questo grasso, particolarmente utilizzato nel Centro Sud, ma molto gradito anche nel Settentrione, era un tempo indispensabile nella preparazione dei salumi. Difficilmente, inoltre, il palato rimaneva deluso da una frittura con lo strutto, che si trattasse di cibi salati o di dolci. Tuttora questo grasso animale compare in disciplinari di prodotti pregiati come la coppia ferrarese o i culurgionis d’Ogliastra IGP o in dolci come le seadas sarde, le sfogliatelle napoletane e i cannoli siciliani, che allo strutto devono la consistenza e la friabilità. E la lista non finisce qui. A
questo grasso dal colore bianco intenso si devono anche bontà come il pasticciotto leccese, il gnocco fritto e la piadina romagnola. Prodotti meravigliosi, figli della più alta espressione culinaria delle nostre regioni, che non potrebbero essere così gustosi se tra gli ingredienti utilizzati non vi fosse il tanto vituperato strutto. Il suo impiego rende più gustoso ogni piatto e ha inoltre la capacità di conferire una straordinaria friabilità a frolle, pasta sfoglia, taralli, biscotti, ciambelle, pizza e persino il pane. Insomma, la moderazione nell’utilizzo è d’obbligo, ma il ritorno alle vecchie ricette della nonna, senza variazioni sul tema, non farà pentire nessuno per il risultato ottenuto.
Il suo impiego rende più gustoso ogni piatto e conferisce una straordinaria friabilità a frolle, pane, biscotti, pasta sfoglia, pizza. Per non parlare dei prodotti della nostra cucina regionale
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Unione di storia e tradizione Ma la riabilitazione dello strutto nelle dispense non è solo un ritorno al gusto. Diviene anche un omaggio alla tradizione e alla storia. Un tempo non c’era angolo d’Italia in cui, a scadenza, non si uccidesse il maiale. Lo si faceva a turno con i vicini, vuoi per motivi legati alla conservazione dei cibi, vuoi per darsi una mano reciprocamente e scambiarsi quei tagli da consumare subito. Quando questo rito aveva luogo — perché di rito vero e proprio si trattava — la preparazione dello strutto era una fase topica. Poiché del maiale non si buttava via niente, il grasso veniva diviso in due diverse tipologie. Il primo, quello sottocutaneo e normalmente comprensivo di cotenna, era destinato al consumo diretto, dopo salagione e stagionatura, diventando lardo da servire a fette, la classica pancetta o il guanciale. Il resto veniva invece tagliato a pezzetti e mischiato ad altri ritagli di risulta, per essere poi cotto a fuoco lento per alcune ore. Una volta fatta evaporare la poca acqua contenuta, il grasso rilasciava lo strutto, man mano rimosso e deposto in contenitori adatti alla sua conservazione (che dopo il raffreddamento doveva comunque avvenire sempre ad una bassa temperatura). La parte rimanente, invece, composta dai pezzetti oramai ridotti a piccole palline di color ambra più o meno intenso, aveva un altro destino. Mischiati a spezie o aromi, a seconda della tradizione locale, i ciccioli — questo il loro nome più diffuso — erano e sono tuttora un gustosissimo piatto da consumare da solo o come ingrediente per torte salate, pane speciale “ingrassato”, frittate… Cibi molto noti sono fatti con i ciccioli: dalla polenta alla farinella al migliaccio campano, dalla chisola al gustosissimo pani cun gerba sardo. E ancora: la cicciolata di Parma e la spianata modenese, solo per citarne alcuni. Insomma, i ciccioli erano e sono a tutt’oggi utilizzati universalmente da Nord a Sud, da Est ad Ovest. Vengono serviti in mille modi, a seconda delle usanze locali. Sono naturalmente ipercalorici e vanno pertanto consumati con moderazione, ma sono anche la prova che le nostre nonne sapevano cosa fosse il gusto. Pertanto, seppur con attenzione, strutto e ciccioli possono ritornare in cucina, con orgoglio e passando dalla porta principale. Sebastiano Corona
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“Vecchia Malga” storica azienda nata nel 1969, con la sua presenza sul territorio bolognese è diventata un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione di materie prime, prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con l’occhio”, i punti vendita del brand, con il loro concept coinvolgente, rendono il cliente protagonista di un viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. I negozi “Vecchia Malga” portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. Perfette guide, i membri dello staff “Vecchia Malga” accompagnano il cliente in un percorso di storia, tradizione e valori di una volta che culmina con la degustazione delle eccellenze presenti nel punto vendita. “Vecchia Malga” è diventata parte integrante dell’economia bolognese grazie anche all’ubicazione in zone strategiche della città quali il centro storico e l’Aeroporto Marconi, punto nevralgico da cui partire per far conoscere le eccellenze enogastronomiche locali in tutto il mondo.
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MACELLERIE D’ITALIA Salumificio Macelleria Nogara a Sovizzo (VI)
Se il musetto è take away di Gian Omar Bison
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LIDE TONELLO, moglie e spalla di UMBERTO NOGARA dal 1955, ricorda ancora che nel 1969, quando aprirono insieme la loro macelleria a Sovizzo (VI), le salsicce di maiale si vendevano a mille lire al chilo, ottocento le morette (carne e
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frattaglie). Da allora il Salumificio Macelleria Nogara, oggi gestito dai fratelli EMILIANO, GIORGIO e TIZIANA, è diventato un punto di riferimento, tra le rivendite di carni e insaccati a Nord Est d’Italia, tanto nella salumeria quanto nella cucina take away, proposta con tipologie
diverse di prodotti sottovuoto e preparati gastronomici. Ma andiamo con ordine. Prima di Umberto il padre e, prima di lui, il nonno si sono sempre occupati di mediazione di animali da carne, in particolare maiali che venivano valutati e poi acquistati vivi nelle stalle del Vi-
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centino e poi rivenduti ai norcini e alle beccherie del territorio berico. «Siamo partiti nel 1969 — ricordano Umberto ed Elide — sempre in questi immobili, ma la macelleria era metà dell’attuale. Da subito abbiamo attivato il salumificio ed il macello, quest’ultimo attivo fino a che i
A sinistra: il bancone con alcuni dei salumi a marchio Nogara. In alto: Emiliano, Giorgio e Tiziana Nogara. limiti dettati dalle normative europee ce lo hanno permesso. All’inizio solo maiali e pollame e poi piano piano anche bovini». Negli anni Ottanta i primi lavori di restauro, ampliamento e messa a norma di macelleria e laboratori di trasformazione ma anche l’ingresso dei rampolli di famiglia in bottega. «Non abbiamo mai pensato a fare altro — ricordano i fratelli Nogara — dall’impiego nell’attività di famiglia. Ci piaceva, ci piace ed abbiamo raccolto la sfida per aumentare la qualità e, con essa, nel tempo, il volume d’affari. Ci piace selezionare gli animali rispettando i tempi di giusta maturazione e controllare personalmente la filiera produttiva». E da qui la scalata dal cliente di paese al gourmand, dal mercato rionale all’HO.RE.CA. Gli introiti aziendali sono equamente ripartiti tra i ricavi della macelleria e del salumificio. A farla da padrone è certamente il maiale, del quale si lavorano in alta stagione 1.500 kg di carne (10 suini circa) a settimana, tra fresca e stagionata. Fatto cento il monte carne lavorato all’anno, un 40% è di
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carne bovina, 40% suina, 20% avicola. Il bovino, solo femmine, viene acquistato presso l’azienda agricola Damati di Badia Calavena (VR) nei monti lessini, dove si allevano Sorane di razza francese che vivono per lo più al pascolo. Da maggio ad ottobre in alpeggio di alta montagna e poi progressivamente verso valle vengono nutrite a base di foraggio solo parzialmente integrato con sali minerali (sale grosso). Nel periodo più freddo il ristallo e la dieta con fieno e integrazione di cereali. Da sei anni circa i suini vengono acquistati a Gazzo (PD), presso la società agricola Suilla dei fratelli Biasia, terza generazione di allevatori specializzati nel maiale. Per quanto riguarda l’avicolo si servono dell’azienda agricola Etrelli di Castelgomberto (VI), 10 ettari di allevamento con macello dove quotidianamente vengono lavorati polli, galletti, faraone, anatre, galline, capponi, germani, oche e piccioni. Sempre per l’avicolo sono referenti le aziende Scudellaro di Candiana (PD) e Persegato di Santo Stefano (VR).
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La buona tavola… da portar via «Il salto importante — dicono i Nogara — c’è stato otto anni fa circa quando abbiamo iniziato a cucinare. Da allora abbiamo ampliato ed affinato la gamma di preparati che ci hanno portato a creare prodotti destinati anche alla sola ristorazione specializzata, alle enoteche o wine bar. Da ultimo, oltre alla porzione sottovuoto di bollito, abbiamo iniziato a produrre anche la giardiniera. E va alla grande». Ma andiamo a vedere la proposta Nogara, dei quali ho assaggiato il bollito, il loro take away prêt-à-manger per eccellenza (cappello del prete, musetto e lingua salmistrata) e il musetto (cotechino) al broccolo fiolaro di Creazzo (VI), ortaggio tipico di questo territorio a marchio DE.CO. Una delizia. Nella linea take away “Via Nogara” troviamo, come detto, la giardiniera fresca sottolio, fatta settimanalmente con verdure di stagione, e poi il pasticcio classico al ragù, di verdure, al radicchio di Treviso, d’anatra. A ciò si aggiunge il musetto artigianale cotto in forno a bagnomaria e spellato a caldo pronto dopo 20 minuti di rigenerazione. E poi c’è la produzione di prosciutto Veneto DOP, il crudo fumé (affumicatura con legna di faggio e 18 mesi di stagionatura), coppa e lardo aromatizzati, guanciale e lonzino fumé, speck alto, salame e pan-
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In alto: i locali del Salumificio Macelleria Nogara. In basso: Umberto e la moglie Elide. cetta salamata, sopressa e bocconata (salume con grana grossa). Per concludere, la bondiola di Sant’Agata, antica ricetta di norcini vicentini che prende il nome dalla festività della santa che cade il 5 febbraio perché era l’ultimo insaccato fresco che consumavano le famiglie dei contadini quando ancora si macellava il maiale a dicembre: prodotta con l’impasto base del musetto (carne magra e grassa
della testa del suino), è arricchita da un inserto di lingua leggermente salmistrata di maiale e di guanciale fresco salato. Gian Omar Bison Salumificio Macelleria Nogara Via Martiri Libertà 16 36050 Sovizzo (VI) Telefono: 0444 551001 E-mail: info@macellerianogara.it Web: www.macellerianogara.it
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Speck, salami e schultar, sotto la Creta di Timau di Riccardo Lagorio
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otto la Creta di Timau un altro miracoloso riscatto della campagna sulla città. Meglio: della periferia sul centro. Protagonista MASSIMO MENTIL, laureato di belle speranze nella Milano dei primi Duemila, con un’occupazione di prestigio nel settore finanziario, che non ha saputo resistere al richiamo di una borgata di 400 abitanti: è ritornato sui monti a continuare l’attività del nonno e del padre, macellai e norcini. Isola linguistica dove fino agli anni ‘50 la comunicazione avveniva in dialetto carinziano, Timau ha gerani
fioriti e ordinati sui davanzali e nei giardini delle case. L’indirizzo della macelleria: ovunque ti trovi, è di facile arrivo. La sua fondazione risale al 1958 e il piccolo spazio dove le carni fanno bella mostra di sé non sembra essere cambiato molto. «Acquistiamo per lo più le parti anatomiche che ci servono: la quantità di carne che vendiamo fresca non ci consente di acquistare mezzene. I suini sono friulani, anzi macellati in Carnia», mette in risalto. Abilità ed esperienza, umiltà e competenza del padre FLAVIO sono i fondamenti che fanno tornare i turisti e
riescono a trattenere i locali dalla tentazione di frequentare la distribuzione organizzata. Ma contribuisce anche la scelta che ricade su carni di animali allevati in regime semibrado e alimentati con prodotti naturali. «Solo così possiamo ancora offrire un servizio in questo luogo», continua. Tuttavia, questa bottega diventa unica quando scende in campo l’arte norcina, favorita dall’aria dell’alta valle del fiume But. Le frequenti perturbazioni seguite da giornate di sole scintillante, con un’escursione di umidità notevole, esercitano un benefico influsso sulla carne, promuovendo
Il schultar, la spalla del suino affumicata tipica di questa zona d’Italia.
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su ogni fibra un lento massaggio che agevola la salatura. Lo speck, ottenuto dalla coscia del suino, viene lavorato con sale, pepe ed erbe montane lasciandolo essiccare per una settimana. La stagionatura si protrae per un periodo variabile tra 4 e 6 mesi. La variante che più attrae l’attenzione dei clienti è il ruka speck, elaborato con la groppa del suino, caratterizzato da morbidezza e dolcezza superiori. Poi l’ossocollo, che stagiona in 90 giorni e si distingue per delicatezza organolettica, e la pancetta, che di giorni a stagionare ne passa almeno 60. Ma è il salame a marcare la differenza e convincere i clienti austriaci a oltrepassare il passo di Monte Croce Carnico. «Da noi il salame è un salume raffinato, prodotto con carni scelte. I nostri vicini utilizzano le parti meno nobili per questo insaccato: si tratta di una scelta di cultura», continua. La limitata intensità dell’affumicatura — tutti i salumi vengono appesi in una stanza dalle pareti ormai annerite — qualifica i salumi dei Mentil. Il processo non deve nascondere il gusto della carne matura e la combustione del faggio esercita una esaltazione del gusto della materia prima. «L’innovazione tecnologica deve sostituire le antiche pratiche o fungere da strumento per aiutare le tecniche produttive? Questo è ciò che mi chiedevo quando abitavo a Milano», comprova Massimo Mentil, aprendoci con fierezza l’antico affumicatoio al piano superiore e mostrandoci un termostato che segna calore e umidità all’interno della stanza. «Se le tecnologie si utilizzano applicate alla trasformazione del cibo, queste debbono essere da mero supporto, affinché si eviti che il cibo diventi industriale, cioè uguale ovunque»,
La macelleria di Flavio e Massimo Mentil si trova quasi al centro della strada principale di Timau. Sono tante le specialità che richiamano la clientela in bottega, in particolare il schultar, la spalla del suino affumicata, e la varhackara, un pesto ottenuto tritando vari salumi, in prevalenza lardo, speck, pancetta affumicata, salame e guanciale. si risponde. «Quando abitavo a Milano sognai che la facciata del laboratorio fosse ben dipinta e la bottega non si dovesse chiudere per l’avanzare dell’età di mio padre e a causa della mia assenza. Ora che la facciata del laboratorio sarà presto conclusa, quel sogno, che realmente ebbi, si è concretizzato e non tornerei più indietro», riferisce del mantico presagio. A Pasqua molti Austriaci, ma non solo loro, arrivano per il schultar. È la spalla del suino affumicata, la cui lavorazione peculiare e rigorosa ne esprime l’unicità di gusto: la spalla è lasciata riposare almeno una giornata prima di trattarla con sale, pepe e
A Timau vanno fieri per un prodotto davvero singolare: la “varhackara”, un pesto ottenuto tritando in prevalenza lardo, poi speck, pancetta affumicata, salame, guanciale. Il macinato è opportunamente mescolato e si conserva in orci di pietra. Si consuma come gustoso antipasto spalmato su pane caldo e crostini, o come condimento per minestroni e sughi
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le consuete essenze di monte. In tale condizione rimane per alcuni giorni. Segue l’affumicatura, che può durare da 10 a 15 giorni per un periodo anche di 3 ore al dì, e una stagionatura anche di 6 mesi. Si consuma previa bollitura in acqua salata con una focaccia dolce. Malgrado queste peculiarità, a Timau vanno fieri per un prodotto davvero singolare: la varhackara. Si tratta di un pesto, una crema ottenuta tritando salumi, in prevalenza, lardo, poi speck, pancetta affumicata, salame, guanciale. Un metodo per non gettare gli avanzi, insomma. Il macinato è opportunamente mescolato e si conserva in orci di pietra. Si consuma come gustoso antipasto spalmato su pane caldo o crostini, ovvero come condimento per minestroni e sughi. Il ritorno di Massimo Mentil sulle sue montagne ne ha segnato il recupero, forse la consacrazione tra i prodotti tipici da salvaguardare. Anche da queste pagine parte il tam tam. Riccardo Lagorio Salumi e Sapori di Timau Via Maria Plozner Mentil Loc. Timau – 33026 Paluzza (UD) Telefono: 0433 779008
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NUTRIZIONE
Dieta Mediterranea: si ripensa alle origini per costruire il futuro Nuovo slancio alla ricerca da altri modelli alimentari associati a salute e benessere. Cecilia Ranza di Nutrition Foundation of Italy intervista Andrea Ghiselli del Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
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er la Dieta Mediterranea, consacrata come modello planetario di salute, è tempo di riflessioni. Non soltanto perché ha perso negli anni le sue caratteristiche originarie, vale a dire frugalità e composizione a favore degli alimenti della terra, rispetto ai cibi di origine animale; ma anche perché è stato dimostrato che non si tratta del solo modello alimentare in grado di garantire benessere e di di-
fendere la salute. Ultima ragione, ma non per importanza, perché la focalizzazione sul modello alimentare mediterraneo potrebbe essere ritenuta persino un freno all’evoluzione della ricerca in campo nutrizionale. La International Foundation of Mediterranean Diet (IFMeD) infatti parla non a caso di MedDiet 4.0 (DERNINI S. et al., Public Health Nutr. 2016; 22:19), precisando che i concetti di dieta sana e di modello di vita sostenibile si
applicano a tutte le culture alimentari, mediterranee e non, purché siano riconducibili a 4 punti di riferimento comuni: 1. benefici nutrizionali e di salute scientificamente dimostrati; 2. ridotto impatto ambientale e ricchezza della biodiversità; 3. alto valore socioculturale del cibo; 4. ritorno economico locale. In pratica: l’alimentazione mediterranea delle origini è corretta, ma non è
Oggi si parla di Med Diet 4.0, un nuovo “concetto” di alimentazione che prevede sia lasciata da parte la connotazione esclusivamente mediterranea del nostro tradizionale modello di dieta e che vengano riunite sotto un ombrello comune le altre e diverse abitudini nutrizionali sane (photo © Dick Patrick Studios, www.prweb.com). 84
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è già emergenza. Egli descrive la dieta dei napoletani, sottolineando il prevalente consumo di pane e pasta nei vari formati, con abbondanza di verdure di stagione, legumi e olio extravergine di oliva. Anche frutta e formaggio (questo in quantità moderate) fanno parte dell’alimentazione quotidiana osservata da Keys, insieme al vino. La carne è invece un lusso, consumata infatti dalle classi agiate quasi quotidianamente. Ma, poiché occorreva dare rigore scientifico alle osservazioni, Keys pensa a un grande progetto di monitoraggio: il Seven Countries Study, avviato nel 1958 per comprendere quale relazione ci fosse tra comportamento alimentare e prevalenza di malattia coronarica». Il professor Andrea Ghiselli. la sola. La Med Diet 4.0 prevede che sia lasciata da parte la connotazione esclusivamente mediterranea e che vengano riunite sotto un ombrello comune le altre e diverse abitudini nutrizionali sane. Ne parliamo con ANDREA GHISELLI, dirigente di ricerca del Centro di Ricerca per gli Alimenti e Nutrizione del CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Roma. La lunga marcia della Dieta Mediterranea si apre negli anni ‘50 del secolo scorso con Ancel Keys. Che cosa dobbiamo ricordare? «Quando arriva in Italia Keys dirige, da un decennio, il laboratorio di Igiene e Fisiologia al Dipartimento di Salute Pubblica dell’Università del Minnesota: la sua anima di ricercatore è profondamente colpita dalla minima mortalità per infarto in Campania. Non gli ci vuole molto per cogliere le abissali differenze tra i consumi alimentari medi dell’area che lo ospita e le abitudini alimentari statunitensi, dove l’incidenza di infarti
Il Seven Countries Study si è evoluto nel tempo e continua a produrre risultati. Qual era il nucleo iniziale? «Keys aveva capito già allora che era necessario includere nel confronto, oltre a diverse zone del bacino mediterraneo (Montegiorgio in Italia, Creta e Corfù in Grecia, l’area di Spalato in Dalmazia), anche altre regioni del Nord Europa (Finlandia e Olanda) e Paesi più lontani come il Giappone (in cui sono stati arruolati abitanti di un’area rurale e di un villaggio di pescatori). In questo modo sarebbe stato possibile mettere in luce (come è poi avvenuto) che il concetto di beneficio nutrizionale e di salute si correla ad abitudini alimentari e stili di vita che, pur diversi, sono riconducibili a principi fondanti comuni». Procediamo in parallelo: che cosa ha capito per primo Keys e quali sono le acquisizioni attuali? «Keys ha il merito di aver osservato per primo il legame tra eccessivo consumo di grassi saturi (a quel tempo derivati quasi totalmente da grassi animali) e aumento del rischio di infarto:
nelle aree a prevalente e alto consumo di grassi animali (Stati Uniti in testa) era maggiore la mortalità per infarto; dove i prodotti della terra rappresentavano la fonte principale di energia (con un trascurabile contributo dai prodotti animali) si osservavano valori più bassi di colesterolo nel sangue e una mortalità cardiovascolare nettamente inferiore. Ieri come oggi il minimo comune denominatore delle diete salutari, cioè le diete dei centenari, è l’apporto prevalente (non assoluto, però) di prodotti vegetali che, ad esempio, nel 1961 era pari all’80% e più della dieta complessiva in area mediterranea, mentre nei Paesi occidentali arrivava a malapena al 60%. Ci sono Paesi lontani dal Mediterraneo come la Cina o il Giappone nei quali il 90% dell’energia viene da fonti vegetali. Questo è il punto di vista corretto: considerare non tanto gli alimenti, quanto i nutrienti e le fonti. Se guardiamo così alla dieta, anche i risultati del China Study, in cui emerge la netta minore mortalità nella Cina rurale rispetto a quella cittadina, piuttosto che le indicazioni mimadigiuno di Walter Longo, rientrano perfettamente nel quadro. Del resto, tutte le raccomandazioni internazionali fanno riferimento ad un modello alimentare prevalentemente vegetale, in cui le ridotte quantità di prodotti animali servono per prevenire le carenze di nutrienti che inevitabilmente comporta un’alimentazione di soli vegetali. Un consiglio in una frase: nutriti, non troppo, per lo più vegetale». Quali conclusioni e indicazioni scaturiscono da questa evoluzione? «Tre considerazioni emergono su tutte: 1. lo studio della Dieta Mediterranea ha senz’altro aperto la strada alla comprensione dei principi fondanti
Il CREA – Alimenti e Nutrizione è uno dei 12 Centri di ricerca CREA ed è impegnato nella valorizzazione tecnologica e nutrizionale dei prodotti agroalimentari e nella tutela della salute del consumatore, con particolare riferimento alla prevenzione del rischio di malattie correlate all’alimentazione e alla qualità, funzionalità e sostenibilità alimentare. L’attività del Centro rappresenta un importante riferimento sia per l’industria agroalimentare nazionale che per la popolazione italiana. >> Link: nut.entecra.it
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di un’alimentazione mirata al mantenimento di benessere e salute a lungo termine. Il rispetto verso chi ha esplorato per primo questi territori di conoscenza è dovuto, ma la realtà attuale è diversa. Per la ricerca nutrizionale si tratta di uno stimolo non indifferente: significa che il concetto di Dieta Mediterranea, oggi, non è più il solo da cui trarre spunti costantemente fertili; 2. non ha più senso legare l’alimentazione corretta alla territorialità mediterranea: se Keys avesse studiato l’alimentazione scandinava originale, avrebbe ottenuto gli stessi risultati in termini di salute. L’alimentazione scandinava delle origini (quella che oggi è stata codificata come Nordic Diet) elenca pappa d’avena (il “porridge” anglosassone), mele, pere, le varietà locali di cavoli, tuberi, rape, carote, barbabietole, pastinaca. I risultati in termini di prevenzione cardiovascolare che emergono da questo modello alimentare sono gli stessi della Dieta Mediterranea indagata dal Seven Countries Study. Nella dieta scandinava delle origini mancano olio extravergine di oliva e vino, sostituiti da birra e sidro; 3. il modello alimentare mediterraneo delle origini, quindi, va benissimo per le aree in cui gli alimenti di origine mediterranea sono graditi, coltivabili, reperibili, sostenibili. Attenzione: non è una mera promozione del concetto di “km zero”; piuttosto la presa d’atto che, nelle diverse culture alimentari, è opportuno ricercare i comportamenti nutrizionali corretti, basati prima di tutto su principi di frugalità. Dieta Mediterranea, cioè, non si identifica con il tripudio calorico che sembra emergere dalle “piramidi alimentari” o dalle immagini proposte dalla rete, digitando “dieta mediterranea”. Frugalità prima di tutto basata, come ribadito più volte, su alimenti vegetali, da integrare con cibi di origine animale, per assicurare la completezza richiesta dall’organismo umano. Cecilia Ranza (a cura di) NFI-Nutrition Foundation of Italy www.nutrition-foundation.it (Fonte: AP&B, Alimentazione, Prevenzione & Benessere, n. 1/2017)
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LOCALI DI GUSTO
Nel nuovo locale romano di Santarelli il cuore batte per Amatrice di Massimiliano Rella
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n bancone tutto dedicato ai prodotti di Amatrice e di altri comuni colpiti dal terremoto dell’Italia centrale. «Un aiuto concreto a paesi con una tradizione agroalimentare e norcina di qualità,
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ma anche un legame affettivo con una terra di cui siamo originari». A parlare è ANTONIO SANTARELLI, noto produttore di vini con la cantina Casale del Giglio, nell’agro Pontino. L’ultima iniziativa di Santarelli è l’apertura del Collegio,
nuovo ristorante e bar aperitivi nel cuore di Roma, negli spazi della vecchia enoteca di famiglia, lo storico Vini & Oli di piazza Capranica. La cucina affidata allo chef ALESSANDRO CECERE privilegia proposte di territorio, come
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In basso a sinistra: i locali del Collegio (photo © Livia Mucchi). In alto: battuta di manzo al coltello con olive itrane, acciughe, scalogno, capperi di Pantelleria e prezzemolo (photo © Doriana Torriero). In basso: gnocco riccio di Amatrice (photo © Livia Mucchi).
pasta e fagioli, gricia, fettuccine al ragù di agnello, ma anche qualche piatto dal tocco internazionale. Tra le ricette della casa, poco conosciuto ai romani, c’è lo gnocco riccio di Amatrice, in realtà una variante delle orecchiette pugliesi conosciute dagli amatriciani ai tempi della transumanza e ricreate un po’ più grandi. In una delle due sale del locale c’è anche un bancone a vista tutto dedicato a formaggi e salumeria dell’Italia centrale, con un posto di rilievo ai guanciali di Amatrice, alle vere mortadelle di Campotosto, presidio Slow Food (come quelle di Berardi), fino al prosciutto di Bassiano. Un altro aspetto originale de Il Collegio è la presenza di un bar per cocktail e aperitivi, diretto dal bartender romano EMANUELE BROCCATELLI, che ci propone,
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anche in abbinamento a qualche piatto, una lista di cocktail d’autore. In carta dei vini, invece, oltre a Casale del Giglio, la padrona di casa, 160 etichette con una forte presenza di vini laziali. Al Lazio è dedicata anche una carta dell’olio, con 12 etichette di aziende delle cinque province regionali. Massimiliano Rella Collegio – Vini Liquori & Cibo Piazza Capranica 99/100 00186 Roma Telefono: 06 69940992 E-mail: info@collegioroma.com Web: www.collegioroma.com Nota Aperto da martedì a domenica; orario: 12:00-02:00.
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Panino Lab alla ferramenta, “intercultura” da mangiare A due passi dal Mudec, il Museo delle culture di Milano, in zona Tortona, un locale che in pochi anni ha conquistato residenti e turisti puntando su materie prime eccellenti, ingredienti ricercati, fantasia, racchiuse dentro il più semplice e squisito dei contenitori: “il panino” di Gaia Borghi
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ar diventare una passione un mestiere: è questo lo spirito con cui oramai quattro anni CARLO ZERBI ha deciso di lasciare il proprio lavoro nell’area del controllo di gestione di una grande azienda e aprire Panino Lab, un locale che, come si intuisce immediatamente dal nome, sul panino creativo ha costruito la propria
originale proposta di ristorazione fuori casa. Una sorta di “mini laboratorio del panino” (il locale è in effetti non molto grande, con una trentina di posti a sedere in tutto, più qualche altro all’esterno fruibile durante la bella stagione), in cui fantasia e creatività, ricerca della qualità e leggerezza, vengono racchiuse con gusto tra “due fette di pane”. «La
passione per il cibo mi accompagna fin dall’infanzia» mi dice Carlo. «Ogni viaggio, ad esempio, per me è sempre stata l’occasione per scoprire un nuovo prodotto, un sapore sconosciuto, sia da solo che con la mia famiglia. Panino Lab nasce dal desiderio di condividere queste “esperienze gastronomiche” senza arrivare ad aprire un ristorante
La mortadella artigianale Igp si sposa alla crema di pistacchio di Bronte e all’olio al tartufo bianco di Acqualagna: è il panino “Emilia” di Panino Lab a Milano.
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vero e proprio. Mi interessava infatti una formula di accoglienza che fosse più semplice da gestire sotto diversi aspetti, per intenderci, ma dove io e i miei collaboratori potessimo ugualmente sbizzarrirci a livello di “contenuti”: Panino Lab rende possibile tutto questo». Il risultato è sotto ai miei occhi: un indirizzo, “nascosto” dietro l’insegna di una vecchia ferramenta (la storica Ferramenta Viganò del 1927, con gli utensili incorniciati ad abbellire anche le pareti interne), che oggi è diventato un punto di riferimento in questa zona di Milano per una pausa pranzo veloce, un aperitivo o una cena informale. Easy sì, ma non troppo. «Tento sempre di scovare qualche ingrediente con cui stupire la mia clientela» racconta Carlo.«Il mio criterio di scelta? A parte il gusto personale, cerco di premiare i produttori che lavorano bene, che siano piccole realtà artigianali o aziende di dimensioni maggiori. Nutrirsi bene, fare attenzione a ciò che si mangia, è importantissimo, a partire dal “semplice” panino».
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In alto: gli interni del locale con gli utensili della vecchia ferramenta incorniciati alle pareti. In basso: sullo sfondo il “Brest” e, in primo piano, il “Puglia”, panino con buzzonaglia di tonno, burrata di Andria, pomodorini di Pachino semi secchi Igp e pepe nero. Sul menu si trovano una quindicina di proposte, compresa almeno una per i clienti vegani, che possono variare nel corso dell’anno. Il pane è a lievitazione naturale, realizzato con pasta madre, farine macinate a pietra e sale marino integrale. Il “contenuto”, invece, è rappresentato dalle tante eccellenze
alimentari del nostro straordinario Paese e non solo, prodotti tipici tutelati dai marchi europei di qualità o presidi Slow Food. Ed è così che in “Emilia”, ad esempio, la mortadella artigianale Igp si sposa alla crema di pistacchio di Bronte e all’olio al tartufo bianco di Acqualagna; nella “Muccia”, il ciauscolo
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Cerchiamo di limitare gli ingredienti, mi dice il titolare di Panino Lab Carlo Zerbi, tre, massimo quattro, divertendoci a sperimentare gli accostamenti e privilegiando la commistione regionale, con qualche tocco di internazionalità
Da Panino Lab non mancano i toast. La versione “Royale” è una delle più amate dagli habitué.
marchigiano incontra lo squacquerone di Romagna DOP mantecato con la rucola; nel “Bosco” la slinzega della Valtellina e la Fontina valdostana DOP si arricchiscono coi funghi porcini della Lunigiana; nel “New Hemingway”, lo jamón serrano va a braccetto con il pomodoro datterino bio, le acciughe e il burro della Normandia. E ancora, il “Grigna”, con salsiccia magra cruda di Marco d’Oggiono, scaglie di Parmigiano Reggiano DOP e crema di rosmarino o il “Brest”: sgombro siciliano, formaggio cremoso alle erbe, carpaccio di limone, pepe nero e, a richiesta, l’aggiunta di capperi di Pantelleria. «Cerchiamo di limitare gli ingredienti — continua Carlo — tre, massimo quattro, divertendoci a sperimentare gli accostamenti e privilegiando la commistione regionale, con qualche tocco di internazionalità». Approfittiamone, sembra volerci suggerire Carlo Zerbi. Perché il panino unisce, sempre: unisce le persone nella convivialità del gustare insieme un pasto semplice, veloce, ma mai banale. Unisce
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ingredienti all’apparenza diversissimi, creando nuovi e straordinari sapori senza che sia necessario padroneggiare tecniche di cucina all’avanguardia o possedere attrezzi costosissimi. E, quasi più della Nazionale di calcio, unisce il Nord al Sud d’Italia, facendoci provare anche prodotti lontani dalle nostre tradizioni nazionali che, come per magia, scopriamo legarsi alla perfezione con quelli che per anni abbiamo acquistato nella bottega sotto casa. Tutti i panini sono preparati al momento e — ottima idea — sono disponibili sia nella versione intera che a metà (half). A completare l’offerta di Panino Lab ci sono i toast — la versione “Royale” è una delle più amate dagli habitué — qualche insalata, la zuppa del giorno e i “cichetti”. «I cichetti rappresentano la mia personalissima “risposta” alle tapas» dice divertito Carlo. «Vuoi mettere qualche tartina con porchetta di Ariccia IGP con la salsa verde o con il gorgonzola DOP e la paprika? Questo sì che è un aperitivo!».
Personalmente non posso resistere al “Charlotte”, il vero panino americano con pulled pork, la classica spalla di maiale cotta a bassa temperatura per oltre sei ore, salsa BBQ e peperoncino. «Devi tornare ed assaggiare il “Bánh mì” allora» mi suggerisce Carlo. «Si tratta del tipico panino vietnamita con pancetta, carne di maiale o pollo, coriandolo e verdure sottaceto. Stiamo pensando ad una ricetta precisa, al nostro Bánh mì insomma, e poi lo inseriremo in menu». Io sono già convinta. Gaia Borghi Panino Lab Via Montevideo 8 – 20144 Milano Telefono: 02 22220034 E-mail: info@paninolab.it Web: www.paninolab.it Nota Orari di apertura del locale: lunedì e domenica 12:00 – 15:00; dal martedì al sabato 12:00 –15:00 e 18:00 – 24:00. Possibilità di consegna a domicilio.
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WEEK-END
Montagnana… prosciutto e altre bontà dentro le mura di Josette Baverez Blanco
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l 2017 ci ha regalato un inverno talmente gradevole, nella Pianura Padana, da invogliarci a girovagare invece di andare a sciare! A metà gennaio, eccoci quindi approdare nel Veneto, a Montagnana, per partecipare alla Festa del Maiale (12 -15 gennaio). Il rito è quello consacrato dalla tradizione: si uccide il maiale all’inizio dell’anno per poi lavorare le sue carni e conservarle in modo idoneo, mangiando i diversi insaccati nel corso dei mesi a venire.
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In questa regione, l’allevamento del maiale ha un’origine antichissima. Ci sono documenti che citano un commercio di carni di suino conservate e destinate ai mercati romani nel III secolo a.C. Questa pratica durò fino alla caduta dell’Impero Romano, ma l’allevamento dei suini rimase in uso presso le famiglie di contadini, così come si continuarono a tramandare e si perfezionarono le tecniche di conservazione della sua carne. Non conoscevo questa stupenda città medioevale di circa 10.000 abitanti,
il cui centro storico è interamente circondato dalle mura. Il paese ha vissuto una storia molto complessa, oltre ad episodi naturali drammatici come tutta questa zona, segnata da numerose e violente inondazioni. Motta Aeniana, castrum sulla Via Annia, ci ha accolti con questa splendida cerchia muraria, la Rocca degli Alberi e la porta Legnago, il castello di San Zeno, il Duomo pregiato e la Piazza Maggiore affollatissima. Tutto da visitare dopo aver assistito alla dimostrazione dell’antica usanza della
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ne rivela già il sapore e l’aroma. Ha un particolare processo di produzione nel quale si succedono il raffreddamento per eliminare dalla coscia grasso e cotenna, la salatura in celle ad elevata umidità con temperatura tra 0 e 5 °C, la sosta su pianali per 15 giorni, una seconda sosta di 3-4 mesi in celle frigorifere per una ulteriore disidratazione e per bloccare lo sviluppo di eventuali microorganismi. Seguono come sempre il lavaggio e l’asciugatura prima del trasferimento in ambienti aerati, dove i prosciutti sostano per 3-4 mesi a 20 °C. Interessante la tappa successiva, quella della stuccatura, cioè la copertura delle parti magre con una pasta commestibile a base di farina e pepe. Il prosciutto si troverà in commercio, disossato o meno, 12 mesi dopo l’inizio
macellazione, “far su el mas’cio”, come si dice da queste parti. In piazza Vittorio Emanuele, tra gli stand gastronomici, tante proposte culinarie da degustare: risotto alla veneta, salsicce ai ferri, cotechini, ossi di mas’cio e salumi di tutti i tipi, in particolare il prosciutto dolce d’Este, cittadina sempre della provincia di Padova che dista pochi chilometri e che vanta questa prelibatezza. Dal sapore particolarmente delicato, ha un peso che varia dagli 8 ai 10,5 chili. Il suo colore rosa intenso
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della lavorazione e merita di essere conosciuto e assaporato! Come in tutte le sagre, non mancavano il mercatino, le rievocazioni storiche, i canti e i balli: sorprendente invece il “Raduno di Tabarri sul liston”, esposizione e sfilata delle lunghe mantelle tipiche di questi luoghi. La premiazione teneva conto della loro storicità, eleganza e qualità. Andare per sagre è un momento magico per la conoscenza del territorio e dei suoi prodotti non sempre ben commercializzati. Mettete in calendario quindi la prossima festa del prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP che si terrà proprio a Montagnana dal 19 al 28 maggio. Sarete incantati e deliziati da storia, arte e gastronomia. Josette Baverez Blanco
A sinistra: scorcio delle mura di Montagnana. Alla città di Montagnana è stata conferita la Bandiera arancione per le sue bellezze storiche e per la valorizzazione dei prodotti tipici; inoltre, fa parte dell’Associazione I borghi più belli d’Italia (photo © Fotolia). In alto: prosciutto crudo dolce d’Este (photo © www.fuoriporta.org).
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Il Markthal di Rotterdam: buon cibo, ogni giorno di Massimiliano Rella
“B
uon cibo, ogni giorno”: annuncia lo slogan del MARKTHAL di Rotterdam. Una promessa mantenuta dal più grande mercato coperto dei Paesi Bassi, una struttura a ferro di cavallo con interni spettacolari e scenografici. Progettato dallo studio di architettura MVRDV, ospita da un paio d’anni un centinaio di banchi tra prodotti freschi, negozi di alimentari, ma anche 8 ristoranti e 228 appartamenti. Una casa dentro al mercato? Ebbene sì. Anche questo: gli appartamenti hanno un affaccio interno e uno esterno sulla città.
Una gigantesca opera d’arte dedicata al cibo Sotto l’arco del Markthal si passeggia e si fa la spesa di prodotti locali e internazionali, si prende un aperitivo, si fa uno spuntino veloce o ci si siede sulla terrazza di un ristorante. Ma sempre “circondati” da una spettacolare volta artistica, che ci invita a puntare lo sguardo all’insù. Per “decorare” la volta sono stati impiegati 4.500 pannelli in alluminio: è la più grande opera d’arte contemporanea nei Paesi Bassi, intitolata The Horn of Plenty, cioè “la Cornucopia”, opera degli artisti
olandesi Arno Coenen e Iris Roskam. L’effetto è un tripudio di frutti, verdure, fiori e fantasie dai colori sgargianti e dall’impatto scenico sorprendente. L’originale decorazione nasce dall’assemblaggio gigantografico di stampe digitali in cinque strati realizzati con un programma Pixar Animation che produce effetti tridimensionali. Perché uno spazio così innovativo dedicato al cibo? Ci risponde l’ex chef PASCAL MARTENS, oggi proprietario di uno dei più frequentati banchi del mercato. «A Rotterdam è cambiato qualcosa da qualche anno. Le persone
L’esterno del Markthall a Rotterdam (photo © Roy Poots).
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Interni del Markthall, nuovo e impressionante mercato del cibo a Rotterdam, con ristoranti, uffici e appartamenti in un’unica struttura progettata da Arno Coenen e Iris Roskam (photo Š Massimiliano Rella).
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“Goed eten, elke dag”: annuncia lo slogan del Markthal di Rotterdam. Una promessa mantenuta dal più grande mercato coperto dei Paesi Bassi, una struttura a ferro di cavallo con interni spettacolari e scenografici. Progettato dallo studio di architettura MVRDV, ospita un centinaio di banchi tra prodotti freschi, negozi di alimentari, 8 ristoranti e 228 appartamenti
Pascal Martens, ideatore e proprietario del Fresh Food Friends, negozio gastronomico e ristorante all’interno del mercato coperto di Rotterdam (photo © Massimiliano Rella). sono disposte a comprare buon cibo e anche a pagarlo bene, piuttosto che accontentarsi di quello economico». Martens ne è così convinto da aver realizzato nel Markthal il Fresh Food Friends (www.freshfoodfriends.nl), un negozio gastronomico più barristorante che riunisce sotto un’unica insegna i migliori distributori di alimenti in Olanda, fornitori dei più importanti ristoranti. Raccoglie, vende e utilizza in sintesi i prodotti di quattro marchi: la carne della macelleria Nice to Meat; il pesce fresco di Schmidt Zeevis; il
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pollame di Treuren Wild & Gevogelte; gli ortaggi e la frutta di Rungins. Il locale si sviluppa su due livelli: un isola di banconi e vetrine con le specialità e un angolo bar dove consumare i piatti del giorno; al “piano” superiore si trova invece la terrazza ristorante. Si può scegliere tra menu di pesce, carne, polpette al tartufo, bistecche, ostriche, ecc… Pochi metri più in là il banco del Cromwijk Kaasdok (telefono: +31 0186 692430) vende formaggi, ben 120 tipi, anche olandesi come il De
Rotterdamsche Oude, un formaggio con marchio registrato creato in città per competere con un formaggio simile di Amsterdam. Oppure: il Belegen Komijnen, aromatizzato ai semi di cumino; l’Extra Belegen, stagionato oltre 30 mesi; il Gouda, prodotto nell’omonimo villaggio nel sud dell’Olanda; e altri. Prima di aprire il banco nel Markthal la FAMIGLIA C ROMWIJK vendeva solo all’estero ma la nuova esperienza si sta rivelando interessante per il loro giro d’affari. «Sta andando benissimo oltre le aspettative — ci dice Nathalie,
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Sotto l’arco del Markthal si passeggia e si fa la spesa, si prende un aperitivo, si fa uno spuntino veloce o ci si siede al ristorante. Ma sempre avvolti da una spettacolare volta artistica che ci invita a puntare lo sguardo all’insù. Per decorarla sono stati impiegati 4.500 pannelli in alluminio: è la più grande opera d’arte contemporanea dei Paesi Bassi
Una forma di De Rotterdamsche Oude, il formaggio con il marchio di Rotterdam, esposto al Markthal (photo © Massimiliano Rella). la figlia dei proprietari — tanta gente, tante vendite. Ogni giorno in questo mercato scenografico sembra festa». Un entusiasmo condiviso da LACHLAN ANDERSON-FRANK, dell’ufficio relazioni del Markthal. «Riceviamo circa 125.000 persone a settimana, ma ci sono giorni con oltre 18.000 visitatori», dichiara. La soddisfazione è giustificata per un progetto costato la bellezza 175 milioni di euro d’investimenti privati. Ma continuiamo il giro. Tra i salumi ci incuriosiscono i prodotti di Monsieur Saucisson (www.monsieursaucisson.nl), un
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banco con 35 tipi di salami artigianali della Francia del sud, dal salame con rosmarino a quello di carne di fagiano al cognac, fino al salame aromatizzato ai semi di finocchio e olive. In un Paese e in una città così multietnica poteva mancare un ristorante italiano? A gestirlo, però, è un giovane chef di Rotterdam, JENS VAN BUREN, appassionato di life style e gastronomia made in Italy. Il Fellini (www.fellini-rotterdam.nl), questo il nome del locale che si ispira al concetto di “dolce vita”, è su due piani, ha interni moderni, uno spazio
bar e la cucina parzialmente a vista. Naturalmente c’è una grande fotografia del Maestro che dall’alto della sua arte vede sfilare pizza e piatti di spaghetti. Il locale rimane aperto anche oltre la chiusura del Markthal (alle 20:00) grazie a un secondo ingresso sulla strada esterna alla struttura del mercato. Massimiliano Rella De Markthal Ds. Jan Scharpstraat 298 3011 GZ Rotterdam Web: www.markthal.nl
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Primavera in Franciacorta, corsi di cucina e picnic fra le vigne In Franciacorta per gustare sapori, colori, atmosfere della primavera. E per scoprire in libertà antichi borghi, paesaggi tappezzati da vigneti, piccoli e grandi tesori d’arte e storia, pregiati vini di questa terra a ridosso del lago d’Iseo, fra le mete più amate da enoturisti e wine lovers italiani e stranieri. La primavera invita ad uscire e ad immergersi nella natura. Ed ecco, quindi, le pedalate sulle due ruote lungo cinque itinerari eno-ciclo-turistici dedicati ciascuno a una tipologia di Franciacorta e le passeggiate tematiche ad anello nei luoghi più interessanti della Franciacorta dal punto di vista naturalistico ed ambientale: le mappe con i percorsi sono scaricabili dal sito www.stradadelfranciacorta.it, dove si trovano anche gli indirizzi di chi noleggia mountain bike, biciclette elettriche a pedalata assistita e city bike, delle guide naturalistiche ed escursionistiche a cui ci si può rivolgere per farsi organizzare dei tour su misura, delle strutture attrezzate per accogliere i cicloturisti. E ancora: picnic e wine trekking fra le vigne, workshop fotografici, tour in vespa o su auto d’epoca (con un apripista esperto ad indicare i percorsi), corsi di cucina con focus sugli abbinamenti dei cibi con le varie tipologie di Franciacorta, dog trekking nei vigneti, golf. Per chi vuole trascorre qualche giornata ritemprante e golosa in Franciacorta, approfittando magari dei numerosi ponti festivi di questa stagione, vengono organizzati week-end enogastronomici con visita, oltre che alle cantine, anche ai laboratori di piccoli produttori agroalimentari di qualità, week-end sportivi con escursioni guidate in bicicletta o a piedi (anche per appassionati di nordic walking), week-end “Acqua & Terra”, che includono una tappa sul lago d’Iseo dove degradano le colline della Franciacorta e a Monte Isola, l’isola lacustre abitata più grande d’Europa. Per accogliere gli enoturisti, le cantine sono aperte al pubblico anche durante il fine settimana per visite guidate seguite da degustazioni di Franciacorta. Chi è appassionato di arte e storia, può visitare il Monastero medievale di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, l’Abbazia Olivetana di Rodengo Saiano decorata con opere dei grandi pittori della Scuola bresciana rinascimentale, il Convento dell’Annunziata di Rovato, oasi di pace che conserva capolavori d’arte e da cui si gode uno straordinario panorama sulla Franciacorta, il Maglio quattrocentesco di Ome ancor oggi in funzione (un vero e proprio museo vivente, dove si possono conoscere da vicino la storia e i metodi di lavorazione del ferro, antichissimo mestiere di queste terre), il Castello di Bornato. Per gli amanti della natura, una tappa imperdibile è la Riserva naturale delle Torbiere del Sebino, che in tarda primavera si copre di una straordinaria fioritura di rosate ninfee. Quasi 4 km2 di acqua, canne e vegetazione palustre, dove hanno trovato il loro habitat ideale migliaia di uccelli: un’oasi naturalistica unica nel suo genere in Europa. >> Link: www.stradadelfranciacorta.it
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
RASSEGNE
Pitti Taste n. 12, cresce il salone del gusto e del lifestyle
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aste, il viaggio più trendy e atteso dell’anno attraverso l’universo del cibo, si è chiuso con successo lo scorso 13 marzo, dopo una tre giorni che ha visto gli spazi della Stazione Leopolda di Firenze gremita di visitatori e immersa in un clima frizzante e vivace. «Una delle migliori edizioni di Taste di sempre, per la qualità e la selezione delle aziende partecipanti, e al tempo stesso degli operatori del settore intervenuti, tutti di altissimo profilo, pronti a scoprire novità e avviare contatti di business» ha dichiarato AGOSTINO POLETTO, vicedirettore di Pitti Immagine, organizzatore dell’evento nato dalla collaborazione
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con il giornalista Davide Paolini. Il tema di quest’anno, Hipster Coffee, col suo ricco programma di eventi, mostre fotografiche, installazioni, presentazioni di libri, contest e talk, ha acceso i riflettori sui diversi modi di vivere e gustare una delle bevande più amate al mondo, strizzando l’occhio al trend della cultura hipster. Grande attenzione anche per i Taste Ring del gastronauta Paolini, seguitissimi come sempre, e per gli eventi in calendario negli spazi di Alcatraz, al Teatro dell’Opera e per i quasi 100 appuntamenti, sempre più creativi e sorprendenti, che hanno animato la città di Firenze per il FuoriDiTaste.
Pitti Taste è una tre giorni all’insegna del gusto e del cibo di qualità, fra prodotti tipici e sapori nuovi, assaggi e laboratori in un programma fitto di appuntamenti. Focus principale di questa edizione, il caffè
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I numeri di Taste 2016 A parlare per primi ci sono i numeri: il salone, giunto alla 12a edizione, ha messo a segno ancora una volta una crescita, senza rinunciare a qualità e selezione: 380 le aziende presenti, a fronte delle 340 del 2016. L’affluenza complessiva dei buyer ha raggiunto le 5.300 presenze (+6% rispetto allo scorso anno); in crescita sia il fronte italiano sia le presenze dall’estero. In testa gli Stati Uniti (+10%), Germania (+60%), Giappone (+16%), Cina (moltiplicati i suoi numeri) e Olanda. Per il Regno Unito un +9% in termini di operatori registrati. Complessivamente questa edizione di Taste ha visto 15.800 presenze totali,
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grazie anche a un pubblico molto qualificato di cultori e appassionati del food, che in tre giorni di manifestazione sono stati all’incirca 10.500, in linea con i risultati di partecipazione di un anno fa. Novità di questa edizione è stato il Taste Shop in Piazzale Gae Aulenti: in tre giorni sono state presentate 2.180 tipologie di prodotto, vendendo più di 20.200 pezzi. Arrivederci al 2018 Prossimo appuntamento con il salotto italiano del mangiare bene e stare bene Taste n. 13, dal 10 al 12 marzo 2018.
1) Numeri in crescita per Taste, giunta alla 12ª edizione la manifestazione si conferma un evento del gusto e della food culture internazionale imperdibile. 2) L’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO) ha portato a Taste 2017 la nuova linea di prodotto Il Goccio (photo © Federica Cornia). 3) Il Salumificio Mannori di Prato. A banco assaggi di finocchiona, würstel artigianali e mortadella di Prato IGP (photo © Federica Cornia). 4) Il Cacio di Caterina, Caseificio il Fiorino, Roccalbegna, Grosseto (photo © Federica Cornia).
>> Link: www.pittimmagine.com
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1) Marcello Palmieri e Paolo Veronese allo spazio del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 2) L’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI) con un’ampia offerta di salami per tutti i gusti. 3) La Villani Salumi di Castelnuovo Rangone (MO). 4) Sempre presente a Firenze la Macelleria Zivieri: da sinistra, Aldo e Fabrizio Zivieri insieme a Lorenzo Biagioni e Stefano Catania. 5) Bonfatti Salumi di Renazzo (FE). 6) Il salmone Upstream di Claudio Cerati da Parma. 7) Massimo Mancini del Pastificio Agricolo Mancini di Monte San Pietrangeli, Fermo (photo © Federica Cornia).
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1) I Tartufi di Stefania Calugi da Castelfiorentino (FI). 2) I prosciutti Dok Dall’Ava di San Daniele del Friuli (UD). 3) Dalla Spagna lo jamón ibérico de bellota La Flor de Isamor. 4) La ventricina dell’azienda Agricola Fracassa, nel cuore della tradizione della norcineria italiana a Sant’Egidio Alla Vibrata (TE). 5) Da Lucera (FG), l’Agricola il Paglione di Albano Maria Costanza, in foto con la famiglia. 6) Il colorato allestimento della De’ Magi di Castiglion Fiorentino (AR). 7) I formaggi firmati La casera, Verbania-Trobaso (VB). 8) La Sangiolaro Bio della Ghezzi Alimentari di Vinci, Firenze (photo © Federica Cornia).
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Il Fiorino festeggia i suoi primi 60 anni Musica, applausi, vino, un trionfo di formaggi e, immancabile, la torta finale: il caseificio Il Fiorino, chiuso il primo giorno a Taste, ha festeggiato così i 60 anni d’attività lo scorso 11 marzo al ristorante Konnubio in via dei Conti, in pieno centro a Firenze. Per i numerosi invitati l’assaggio dei formaggi aziendali è stato accompagnato dai piatti preparati per l’occasione dalla chef Beatrice Segoni, allieva di Gianfranco Vissani. Il menu ha visto sfilare a buffet crema catalana con Peperoncino di Maremma (pecorino aromatizzato con polvere di peperoncino erotico Capsicum Baccatum) e chips croccanti, crocchette di polenta e Pecorino Toscano DOP fresco con cipolla caramellata, sformati di ricotta con speck croccante, millefoglie di patata con Pecorino al tartufo, risotto con Pecorino allo zafferano, noci e pere caramellate, cannelloni di guancetta con Cacio nero e spuma di Cacio Nero, crème brûlée con Riserva del Fondatore e mele al calvados. Un compleanno speciale che ha celebrato non solo il ragguardevole traguardo dei 60 anni del caseificio ma anche i numerosi successi e riconoscimenti ottenuti dall’azienda nel 2016, un anno davvero da record. Basti pensare che lo scorso novembre il Fiorino è entrato nell’olimpo dei migliori caseifici del mondo conquistando una pioggia di medaglie al World Cheese Awards, l’evento internazionale più prestigioso per il settore dei formaggi. Tra i 3.000 formaggi in concorso provenienti da 30 Paesi, Il Fiorino ha conquistato i premi più ambiti con due Super Gold per “La Riserva del Fondatore”, pecorino stagionato nelle cantine naturali della famiglia, e per il “Fior di Natura”, formaggio biologico semistagionato realizzato con caglio vegetale. La giuria del premio ha inoltre assegnato a Il Fiorino due medaglie d’oro per “La grotta del Fiorini” e per il “Pecorino Toscano Dop stagionato”, un argento per il “Marzolino d’Etruria” a latte crudo e un bronzo per il Pecorino al tartufo stagionato. «Siamo orgogliosi dei premi ottenuti» ha dichiarato Angela Fiorini. «Successi come questo sono il frutto di una sinergia vincente tra più elementi: la qualità eccelsa del nostro latte, prodotto esclusivamente in Maremma, e la lavorazione artigianale, che coniuga la tradizione con l’innovazione». I festeggiamenti per l’azienda toscana continueranno nel mese di maggio a Tuttofood a Milano e durante tutta l’estate. Inoltre, è previsto il lancio sul mercato di un nuovo formaggio dedicato alla nonna di Angela, “pietra miliare dell’azienda e donna dalle grandissime capacità casearie”. Famiglia, tradizione, innovazione: la storia del Caseificio Il Fiorino continua rispettando i principi su cui è stato fondato. Buon compleanno dunque, tanti auguri! (in foto, Angela Fiorini col marito Simone Sargentoni e le figlie durante i festeggiamenti al ristorante il Konnubio; photo © Paolo Lazzeroni). La Storia. È il 1957 quando Duilio Fiorini, padre di Angela, fonda il primo stabilimento che, grazie alla prima caldaia “moderna” e al generatore di vapore per scaldare il latte, consentono di produrre un formaggio e una ricotta che incontrano subito il favore dei primi clienti. Già sessanta anni fa l’azienda mostrava le caratteristiche che ha ancora oggi: innovazione, legame con il territorio, attenzione alla qualità del prodotto. Nel 1962 viene scavata all’interno delle rocce di Roccalbegna la grotta naturale di stagionatura. Da questi ambienti escono, ancora oggi, alcuni dei prodotti più prestigiosi dell’azienda: il pecorino “Riserva del Fondatore”, il pecorino “Grotta del Fiorini” e il “Cacio di Caterina”, formaggi dal gusto inconfondibile acquisito grazie all’aerazione naturale, alla temperatura e al riposo. La stagionatura in grotta consente, inoltre, di far sviluppare quelle muffe naturali che senza trattamenti danno un ultimo inconfondibile tocco al prodotto. È il 1989, quando la famiglia Fiorini decide di aprire un nuovo stabilimento, più grande, moderno e fuori dal paese. Con il nuovo caseificio il prodotto migliora e nell’azienda si concretizza il passaggio generazionale con il cambio di testimone da Duilio alla figlia Angela che guida oggi l’azienda. >> Link: www.caseificioilfiorino.it
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Fettuccine Day, la ricetta di Alfredo sublimata dal burro Occelli Il 7 febbraio negli Stati Uniti, e nello storico ristorante di Roma “Alfredo alla Scrofa”, si celebra il National Fettuccine Alfredo Day, evento con cui si festeggia la nascita delle “Fettuccine Alfredo”. Nel 1914 Alfredo Di Lelio trasformò la precedente bottega di oli e vini in un vero e proprio ristorante e con le sue fettuccine conquistò anche due divi di Hollywood, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, la fidanzatina d’America, che nel 1920 si trovavano a Roma in luna di miele. Al loro ritorno in patria, i due attori contribuiranno a rendere famose le fettuccine di Alfredo e manderanno in dono al ristoratore una coppia di posate d’oro con la loro dedica: “To Alfredo, the King of the noodles”. La ricetta è molto semplice ma impone ingredienti di assoluta qualità: fettuccine fatte rigorosamente a mano e, appena scolate, mantecate direttamente al tavolo dei clienti con burro e Parmigiano Reggiano. Ora il ristorante è gestito da Veronica Salvatori e Mario Mozzetti, che portano avanti la tradizione di Alfredo. Marcello Mozzetti ha raccontato il ruolo del burro in questa storica ricetta: «utilizzare un buon burro è fondamentale perché non deve avere odore di formaggio, deve essere delicato e non invadente per non dare acidità alla pasta. Il burro è la base del piatto, l’ingrediente su cui si adagiano le fettuccine. Dopo anni di ricerca di ingredienti di qualità rigorosamente italiani mi sono letteralmente innamorato del burro Occelli tanto da non poterne fare a meno». Come le fettuccine Alfredo, anche il burro di Beppino Occelli è apprezzato a livello internazionale. La lavorazione dei classici panetti con i tradizionali calchi che rappresentano alcuni simboli della montagna rendono il burro Occelli buonissimo dentro e anche bello fuori. «Porgiamo un ringraziamento speciale alla famiglia Mozzetti in particolare Marcello per averci reso partecipi di questa bellissima festa» hanno dichiarato alla Occelli Agrinatura, l’azienda di Farigliano (CN) di proprietà di Beppino Occelli da cui escono questo burro straordinario e meravigliosi formaggi, vere e proprie opere d’arte, orgoglio del made in Italy nel mondo. >> Link: www.occelli.it
cantinadellavolta.com
“il Metodo Classico nobilita
il lambrusco di
Sorbara” Christian Bellei
OLIO
Dimmi cosa mangi e ti dirò che olio scegliere 8 Italiani su 10 non sanno abbinare l’olio d’oliva al cibo. Ogni pietanza, invece, vuole il suo olio, che deve possedere criteri ben precisi al fine di esaltarne le caratteristiche. Dal pesce bollito alla carne grigliata, dalle zuppe di legumi alle insalate miste, ogni piatto ha bisogno della sua variante. Informarsi è la prima regola
L’olio d’oliva in cucina è un amplificatore di sapori: se usato bene esalta e valorizza le caratteristiche di una pietanza (photo © anistidesign – Fotolia).
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L’olio d’oliva è un vero e proprio ingrediente: occorre prestargli quindi molta attenzione (photo © WavebreakmediaMicro – Fotolia).
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e un tempo era il vino a dover essere studiato da enologi e giudicato dai sommelier in base alle caratteristiche organolettiche, oggi è l’olio extravergine di oliva a richiedere un’accurata selezione, al fine di esaltarne tutte le sue proprietà. Ma gli Italiani lo conoscono veramente? “L’oro verde del Mediterraneo” ha un ruolo definito nella nostra cultura culinaria, eppure accade che, soprattutto a casa, non venga utilizzato nel modo giusto. Una cultura antica, oggi internazionale Dalla Sicilia alla Puglia all’Umbria, l’Italia è da sempre uno dei massimi produttori d’olio extravergine di oliva. Secondo la mitologia, fu Atena a piantare il primo ulivo sulla Terra, albero che per millenni avrebbe dato con i suoi frutti un succo adatto alla preparazione di cibi, alla cura del corpo e alla guarigione delle malattie. «Nella cultura culinaria italiana l’olio extravergine di oliva è molto importante, perché esalta i sapori e completa tutti i nostri piatti» afferma MARINA SOLINAS, assaggiatrice professionista di una
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delle più importanti organizzazioni di settore. «Può essere utilizzato sia in cottura, perché non copre i sapori, ma soprattutto a crudo, perché esalta le verdure come l’insalata, ma anche la zuppa di legumi, la carne e il pesce grigliati. L’utilizzo a crudo alla fine di una cottura serve per esaltare il piatto ed è importantissimo utilizzare l’olio giusto. In cottura non deve mai essere utilizzato ad altissime temperature, per non raggiungere il punto di fumo. È una regola generale. Lo studio e la cultura dell’olio extravergine di oliva sono molto importanti e non devono essere trascurati. Dagli Stati Uniti al Canada fino a Cile, Taiwan e Giappone ogni anno le organizzazioni finalizzate alla formazione di assaggiatori ricevono tantissime persone che arrivano da tutto il mondo per studiare le caratteristiche di questo prodotto. Possiamo dire che la cultura dell’olio è diventata internazionale». Quali sono gli errori più comuni che commettono gli Italiani con questo prodotto? Utilizzare sempre lo stesso tipo di olio e pensare che l’olio amaro sia di cattiva qualità: è quanto emerge da uno studio
condotto da Casa Coricelli, l’osservatorio sulle tendenze nel mondo dell’olio e della cucina dell’omonima azienda umbra, condotto mediante la metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su circa 2.500 Italiani e su panel di 80 esperti tra cui chef e assaggiatori professionisti d’olio, attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community dedicate al settore per capire che rapporto hanno gli Italiani con l’olio. L’errore più comune commesso dai nostri connazionali è appunto quello di utilizzare sempre lo stesso tipo d’olio (82%). In cottura per saltare le patate, a crudo sull’insalata, sulla carne rossa o sul pollame: utilizzare l’olio sbagliato rischia di rovinare un prodotto di qualità se usato in cottura e rischia di essere sprecato se leggero e abbinato a gusti forti. Un altro grave errore degli Italiani è pensare che un olio amaro sia cattivo (76%), perché ritenuto sgradevole al palato. Al contrario, l’olio extravergine amaro è indice di qualità e personalità. Pensare che l’olio extravergine di oliva non faccia bene, perché troppo grasso (65%) è un altro degli errori più comuni. L’olio infatti è un grasso
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allo stato puro, per cui non esistono oli leggeri e oli pesanti nel senso calorico del termine: ogni olio sviluppa 900 Kcal per 100 grammi di prodotto. Ma l’olio di oliva, rispetto ad un olio di semi ad esempio, oltre ad essere nutriente, è salutare e naturale. Viene spremuto meccanicamente e, quando esce dal percorso estrattivo, è “vivo”, praticamente un succo di frutta. Il suo effetto sul nostro corpo è totalmente benefico. Gli Italiani conoscono effettivamente l’olio di oliva? Il 78% degli Italiani non sa distinguere tra le varie tipologie di olio extravergine di oliva disponibili sul mercato. Se non fosse per l’etichetta, che molti non guardano, le differenze che caratterizzano un olio rispetto all’altro non verrebbero percepite da quasi nessuno. Ben il 65% pensa che l’olio extravergine venga ottenuto da una semplice spremitura, mentre la maggior parte subisce dei processi attenti e accurati non solo di filtrazione, ma soprattutto di combinazione tra varie tipologie di extravergine al fine di creare la “ricetta” scelta. Infine, il 48% degli Italiani non conosce l’effetto negativo della luce e del calore sull’olio. Per questo molte volte lo tengono a breve
distanza dal piano cottura, rovinando in parte il prodotto. I trucchi per conservarlo alla perfezione Per il 78% degli esperti l’aspetto più importante è il contenitore, che deve essere in vetro scuro. Nella conservazione dell’olio d’oliva il problema principale è l’irrancidimento, dovuto alle reazioni di degradazione ossidativa. Per questo motivo si sono affermate le bottiglie in vetro scuro, perché capaci di schermare in parte gli effetti negativi della luce. Al secondo posto, per mantenere inalterata la qualità del prodotto, è fondamentale tenerlo alla larga da fonti di luce (75%), perché accelera le reazioni di degradazione ossidativa e, allo stesso tempo, da fonti di calore (72%). L’olio extravergine d’oliva va conservato in luoghi freschi e asciutti, in ambienti con escursioni termiche non eccessive (con temperatura compresa tra i 15 e i 20°C). In questa situazione la qualità del prodotto resta integra. Un amplificatore dei sapori «L’olio ha un ruolo fondamentale in cucina — afferma CHIARA CORICELLI, direttore commerciale dell’azienda olearia Pietro Coricelli — un ruolo non da condimento,
ma da ingrediente. È un amplificatore di sapori: non inserire il giusto extravergine all’interno di una ricetta può andare a pregiudicare il risultato di gusto della ricetta stessa. Oggi l’Italiano medio inizia ad evolversi e vuole sperimentare, ma senza una buona cultura legata al prodotto rischia di neutralizzare i sapori di un piatto. L’olio non filtrato, robusto, cosiddetto “contadino”, è buonissimo, ma utilizzato in cottura è sprecato. Per noi l’importante è offrire un pacchetto prodotti utile per qualsiasi esigenza. Come il vino, anche l’olio di oliva ha tante tipologie. Dobbiamo aumentare la cultura di prodotto, perché se nel vino è andata avanti anni luce, nell’olio fa ancora fatica». «L’olio extravergine di oliva è un vero e proprio ingrediente» conferma DANIEL CANZIAN, chef del ristorante Daniel di Milano e executive chef del Marchesino nel 2008. «Non è più un semplice elemento di “contorno”, usato per insaporire o ungere: è la base sulla quale si fonda la cucina mediterranea e per questo i cuochi come me, molto attenti a valorizzare le componenti di ogni piatto, non ne possono certo fare a meno. Le principali caratteristiche sono enfatizzate dal loro utilizzo: un olio extravergine d’oliva si può usare per rosolare, sof-
Olive pugliesi (photo © Angelo Chiariello – Fotolia).
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friggere, ma serve anche per donare spessore; un olio extravergine fruttato serve per dare il tocco finale a una preparazione: penso, ad esempio, a un pesce crudo oppure a un pomodoro. Una ricetta che consiglio per esaltare le proprietà dell’olio è con spaghetti integrali, cacio, pepe e pistacchi. È un piatto semplice, gustoso e sano, perfettamente equilibrato: l’uso dell’olio extravergine di oliva ne intensifica l’effetto salutare, oltre a legare tutti gli ingredienti». Come valorizzare alcuni aspetti dell’olio extravergine di oliva in cucina: qualche consiglio Extravergine fruttato leggero, dolce È un olio equilibrato, come ad esempio l’olio ligure, fruttato, ma dolce. Si può abbinare a qualsiasi tipo di pesce dal sapore delicato. Extravergine fruttato medio Se andiamo sulla carne bianca andiamo su un medio fruttato, non qualcosa di troppo amaro, però utilizziamo un olio a metà di questa scala. Si può usare anche sul pesce, ma magari più saporito come salmone, cernia, oppure del formaggio come le caciotte. Può essere legato anche ai dolci, come la cioccolata fondente. Extravergine fruttato intenso, amaro Se saliamo ancora con il fruttato possiamo pensare ad una zuppa di legumi o a della carne rossa grigliata. La fiorentina si abbina perfettamente con un olio pugliese. Se utilizziamo un tipico olio ligure il suo sapore si spegne: sarebbe uno spreco. Se invece utilizziamo un olio più fruttato e più amaro, che non è mai da considerarsi un difetto, anzi è molto più salubre, allora va bene sulle carni rosse. Extravergine fruttato aromatico Ideale per i primi piatti: si tratta di un olio particolare, tipo l’olio siciliano, con un fruttato aromatico e mediamente tendente all’amaro. Quello più dolce sarebbe sprecato perché non si sentirebbe. Se ci sono le verdure nel piatto serve qualcosa di più aromatico, con più profumo che possa valorizzarle. Fonte: ANAPOO Associazione Nazionale Assaggiatori Professionisti Olio di Oliva www.anapoo.it
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ACETAIA
Olio Garda Dop e pesce di lago: al via Valtenesi con Gusto Dal 10 marzo al 12 maggio nei ristoranti bresciani del lago va in scena Valtenesi con Gusto, un evento promosso dal Consorzio di Tutela Olio Garda Dop, in collaborazione con Associazione Valtenesi con Gusto, East Lombardy, Comunità del Garda, Lago di Garda Lombardia e Strada dei Vini e dei Sapori del Garda, per far conoscere l’olio gardesano certificato in abbinamento al pesce d’acqua dolce e ai vini dei territori Valtenesi e Lugana. Nei menu dei ristoranti partecipanti ci saranno pesci tipici di queste acque come il coregone, il luccio di lago, il lavarello. Non mancheranno anche altri prodotti locali come i frutti del sottobosco, il tartufo e i formaggi dei caseifici dell’Alto Garda. «Sulle rive del Garda — spiega Andrea Bertazzi, presidente del Consorzio di Tutela Olio Garda Dop — ci sono secoli di storia e tradizione gastronomica. Il nostro impegno è certificare e promuovere un olio Dop che è sinonimo di qualità e provenienza per il consumatore. Un olio delicato ed elegante che con la sua leggerezza si abbina perfettamente ai piatti con il pesce di lago». Segnatevi i prossimi appuntamenti: venerdì 7 aprile al Ristorante Le Antiche Rive di Salò con l’olio dell’Azienda Agricola Manestrini di Soiano del Lago (BS); venerdì 21 aprile al Ristorante Sostaga di Navazzo di Gargnano con l’olio della Cooperativa Agricola di San Felice del Benaco; venerdì 28 aprile al Ristorante Villa Luisa di San Felice del Benaco con l’olio di Paolo Vezzola olivicoltore di San Felice del Benaco; venerdì 5 maggio all’Osteria dei Poeti con l’olio dell’Azienda Agricola Rocca Pietro & Rita di Salò; venerdì 12 maggio all’Osteria La Miniera di Gardola di Tignale (BS) con l’olio dell’Azienda Agricola Poggioriotto di Bagnolo Mella. Tutte le serate saranno al costo unificato di € 30,00. Per l’iscrizione contattare i ristoranti. >> Link: www.oliogardadop.it
Trota fresca da cucinare con spezie e aromi (photo © Alex Green – Fotolia).
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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
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ACETO
Quattro amici in acetaia di Elena Benedetti
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coprire un prodotto andando all’origine della sua storia, respirandone i profumi e lasciandosi guidare nell’assaggio da chi, anno dopo anno, se ne prende cura con una passione tramandata dalla generazioni che lo hanno preceduto. Naturalmente parliamo di aceto balsamico, quello che si produce in una miriade di piccole e piccolissime acetaie modenesi, nelle batterie di botti che riposano per decenni nelle soffitte delle case, in campagna come in città. Botti regalate per la nascita di un figlio, ereditate da famigliari, curate con una devozione che solo da queste parti ha
un senso profondo di identità e appartenenza a un territorio unico. Quali sono gli ingredienti? Serve una terra che dà uve adatte alla preparazione di un mosto cotto, poi legni profumati di botti realizzate da mani esperte, un clima che oscilla tra le rigidità dell’inverno e il caldo afoso e umido dell’estate e poi, non ultimo, un sacco di tempo. Ne sa qualcosa LUIGI ALBERTI, classe ‘43, con all’attivo 46 anni ritagliati al lavoro e alla famiglia nella sua acetaia di Baggiovara, appena fuori Modena. Siamo in un’acetaia privata, nella quale dall’antico vigneto di uve di Trebbiano
davanti alla casa di campagna si passa direttamente ai locali dell’interno, che oggi ospitano una quarantina di botti. «Siamo partiti nel 1971 e ad ogni evento di famiglia abbiamo aggiunto una batteria nuova» mi racconta Luigi mentre arrivano quattro ospiti speciali. Si tratta di quattro chef-ristoratori che sono venuti ad assaggiare un prodotto speciale, l’aceto balsamico del signor Luigi. Una lezione privata per comprenderne il processo di lavorazione, farsi guidare nei vari assaggi, imparare a coglierne i sentori dei vari legni e degustarlo con un buon pezzo di Parmigiano Reggiano Dop e un calice di Lambrusco.
Gerald Aberdeen, chef sudafricano attualmente di stanza a Londra al ZSL London Zoo con la società di catering CH&Co, Ali Palmieri, chef e titolare di 21 Restaurante a Zahara de los Atunes, nel sud dell’Andalusia a pochi chilometri da Tarifa, Alessandro Bulgarelli, titolare del ristorante pizzeria Nuova Duomo di Mirandola (Modena), il produttore di aceto balsamico Luigi Alberti, e Massimo Gibertoni, titolare di due locali, il Flambär Bread & Beer di Castelfranco Emilia (MO) e Flam Bar à vin, nel cuore di Modena. Quattro amici legati da una bella amicizia che scambiano idee ed esperienze nella propria formazione professionale. In questo modo anche il pomeriggio trascorso a parlare con Luigi Alberti nella sua acetaia di famiglia è stato importante per cogliere la magia di un prodotto vivo, come è l’aceto balsamico, fatto di uve, mosto, legno e tanta cura.
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A sinistra: Ali Palmieri all’assaggio in acetaia. A destra: una batteria di botti a riposo nell’acetaia privata di Luigi Alberti.
Amici anche in cucina. Foie gras e verdure cucinate da Ali Palmieri nel suo 21 Restaurante. Il nome è legato all’abitudine di Ali di cambiare il menu il 21º giorno di ogni mese (instagram.com/21restaurante_ali_ – www.21restaurante.com). Gnocco fritto, salumi e formaggi, burger, paste con ingredienti freschi di stagione e tante birre del Flambär Bread & Beer di Massimo Gibertoni (instagram.com/flambarbistrot – www.flambarbistrot.com). Alla pizzeria ristorante Nuova Duomo di Alessandro Bulgarelli non solo pizza, ma anche tanto pesce, carne e piatti della cucina tradizionale emiliana (facebook.com/nuovaduomomirandola). Cucina d’autore quella di Gerard Aberdeen, lo chef sudafricano che collabora con la società londinese di catering CH&Co.
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VINO
Forlì Wine Festival, Emilia-Romagna enoica di Riccardo Lagorio
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al Centesimino alla Cagnina passando per l’uva Longanesi e la Fortana. E tanto Sangiovese. È in questo panorama che la straordinaria varietà di vitigni autoctoni e produzioni enologiche emiliano-romagnole si sono messe in mostra per il terzo anno consecutivo durante il Forlì Wine Festival (FWF; sapeur.it), da venerdì 27 a domenica 29 gennaio presso il polo fieristico della città di San Mercuriale. Una cinquantina gli espositori, alcuni dalle regioni limitrofe, con la presenza di numerose realtà che difficilmente varcano la soglia della propria azienda in cerca di appassionati e clienti. Per conoscere i quali il FWF rappresenta così un’opportunità speciale. Delle oltre 200 etichette presenti, molte hanno conquistato per genuinità e franchezza di gusto, assai lontane dagli artifizi commerciali che talvolta si riscontrano in manifestazioni analoghe. A questa categoria corri-
spondono ad esempio il Baccanello di CLAUDIO MARCONI (claudio.marconi@ cssforli.it). Dopo avere esercitato per una decina d’anni l’attività di agronomo, Marconi si è ritirato con la moglie in collina, tra i 450 e 500 di altitudine di Predappio. Dei 2,5 ettari coltivati, quasi la metà sono destinati a Sangiovese, con esposizione a sud. Bicchiere dai risvolti violacei, al naso è pieno e in bocca rivela piacevole sapidità. Di colore intenso rubino il Bagnolo di Rachele, della CANTINA CASA MORA (vinicasamora.it), ancora Sangiovese in purezza, ancora Predappio. Arriva sul mercato da un’azienda che coltiva meno di 2 ettari: vino che comunica intenso profumo di viola e bocca ampia di frutta rossa. Ideale per piatti di carne d’anatra e agnello. Un capitolo a parte merita la presenza dell’Azienda Agricola Longanesi. DANIELE LONGANESI appartiene alla quarta generazione di agricoltori che nel fondo
di Boncellino, accanto a Bagnacavallo, nel Ravennate, hanno all’inizio fortuitamente e dagli anni Settanta con piena coscienza e impeto ripreso la coltivazione di uva che oggi porta il nome della famiglia proprio per il recupero di cui è stata protagonista (longanesiburson.com). Quasi un laboratorio da cui sbocciano Bursôn Etichetta Nera e Rambëla. Il primo è di uva Longanesi
Forlì Wine Festival si svolge all’interno di Sapeur, la Fiera del Prodotto Tipico di Qualità di Forlì (photo © Fotolia).
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L’Emilia-Romagna offre una straordinaria varietà di vini. Questa terza edizione del festival forlivese è stata quindi un’occasione preziosa per appassionati, esperti e per tutte le persone desiderose di accostarsi al mondo dell’enologia con un atteggiamento di scoperta, apprendimento e meraviglia Oltre cento varietà di vini a disposizione e poi laboratori didattici, degustazioni guidate, incontri con esperti del settore tenuti in collaborazione con “ONAV EmiliaRomagna”: questo è stato il Forlì Wine Festival 2017 (photo © Livio Marzocchi). di cui almeno il 50% appassita per 40 giorni. Una vinificazione tradizionale con macerazione in vinacce per 15 giorni e maturazione in botti da 500 litri per un anno e in botte grande per altri 12 mesi. Si ottiene un bicchiere rosso granato con riflessi violacei, ad elevata alcolicità, profumi di frutta matura, pepe e chiodi di garofano e gusto marcato e persistente, adatto per piatti a base di selvaggina. Rambëla è frutto della vinificazione di uva Famoso, di colore
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paglierino chiaro e note floreali intense. Carni di coniglio, pesce e piadina sono gli abbinamenti ideali. Tra le uve a bacca bianca la Spergola, coltivata nel territorio Reggiano, in particolare sulle colline di Scandiano, si è rivelata negli ultimi anni assai adatta per la vinificazione spumante. Il Metodo Classico Spergola Colli di Scandiano e Canossa Doc Vigna al vento della SOCIETÀ AGRICOLA ALJANO (www.tenutadialjano.it) possiede colore giallo paglierino, bollicine persistenti e sottili, naso di gelsomino e lievito anche grazie agli oltre 40 mesi che il vino trascorre affinandosi in bottiglia. La bocca richiama sentori di mandorla e mela che ben si sposano con crostacei e Parmigiano reggiano DOP. Dalla bassa Reggiana i Lambruschi presentati dalla FERRETTI VINI (ferretti vini.it) raccontano di ancestrali metodi di coltivazione. Le vecchie viti di Maestri, Salamino, Marani e Grasparossa, alcune maritate agli olmi, si vinificano per ottenere il Caveriol Ros, privo di lieviti selezionati e ottenuto senza processo di chiarifica e filtrazione. Violaceo con spuma generosa colpisce l’olfatto per le note intense di cuoio su leggere note fruttate che si percepiscono in bocca. La delicata astringenza permette di abbinarlo alle paste condite con ragù di cacciagione e carni alla griglia. Con Rotildo, vino dedicato a un
locale suonatore di sassofono che intratteneva i soci della CANTINA SOCIALE DI FORLÌ E PREDAPPIO (cantinaforlipredappio.it), si ritorna ad un Sangiovese di forza e carattere. L’annata 2011 si è caratterizzata per colore rubino profondo e consistente, note spiccate di frutti rossi al naso e potenza, calore e morbidezza al palato. Tannini ancora ben svolti per un vino da lungo invecchiamento. Anche Negar dell’Azienda Formaggini & Peveri (formagginivini.it) si presta a lunga vita. Le viti sono quelle di cinquant’anni fa, le uve Barbera e Bonarda vengono raccolte a perfetta maturazione e lasciate riposare per almeno due settimane in cassette di legno coperte. La vinificazione avviene spontaneamente in vasche di cemento senza controllo di temperatura né rimontaggi. Trascorsi due inverni il vino raggiunge naturale stabilità maturando in serbatoi d’acciaio. Colore violaceo intenso a cui si deve il nome, profumo di cuoio e spezie, bocca ben equilibrata tra tannini e frutta rossa matura. Sorprende che molti dei vini raccontati si possono acquistare a meno di 10 euro, pochi superano i 12, compreso l’ottimo Pignoletto Doc Colli Bolognesi di ALESSANDRO FEDRIZZI (fedrizzivini@gmail. com) che da Zola Predosa nel Bolognese dimostra quanto si possa bere bene senza svenarsi. Salute! Riccardo Lagorio 119
Un percorso alla scoperta dell’Italia migliore Schenk Italian Wineries racconta i territori italiani attraverso i propri vini, inimitabili ambasciatori del “buon gusto” made in Italy
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l territorio italiano è un mosaico di eccellenze vitivinicole. Ogni regione ha una storia da raccontare e Schenk Italian Wineries interpreta al meglio la bellezza e i sapori di queste terre attraverso vini ormai apprezzati e riconosciuti come ambasciatori del miglior made in Italy. Dall’Alto Adige alla Sicilia, passando per Veneto, Toscana, Abruzzo e Campania, da anni la nostra azienda ha creato un legame
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sempre più profondo con queste realtà particolarmente vocate alla coltivazione della vite, con l’obiettivo di esprimerne la ricchezza attraverso vini di carattere, ottenuti con un’attenzione particolare verso l’ambiente e rispettando standard qualitativi molto elevati». Così ci racconta DANIELE SIMONI, amministratore delegato di Schenk Italian Wineries, tra le più significative realtà vitivinicole a livello nazionale. Fondata nel 1952 a Reggio Emilia,
nel 1960 ha trasferito la propria sede a Ora (BZ), dove è nata la prima cantina legata al territorio di produzione: questo è stato il primo passo verso il progetto “Italian Wineries”, che ha visto l’azienda, storicamente dedicata alla lavorazione del vino sfuso e all’imbottigliamento, diventare produttore, dapprima con lo sviluppo di marchi “territoriali” di alto livello in Alto Adige, Toscana, Veneto, Sicilia, Piemonte, Puglia e Abruzzo, poi con
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In basso, a sinistra: vigneti nell’area di Conegliano Valdobbiadene, dove nascono gli spumanti Bacio della Luna. In basso, a destra: la sede aziendale di Schenk Italian Wineries a Ora, Bolzano (photo © Pierpaolo_Romano_2016).
l’acquisizione delle cantine “Bacio della Luna” a Vidor – Valdobbiadene (TV) e “Lunadoro” a Valiano di Montepulciano (SI). Un percorso evolutivo intrapreso nel tempo, e tuttora in essere, che ritiene fondamentali il radicamento sul territorio e lo stretto legame con la tradizione, coadiuvati dall’utilizzo strategico delle opportunità che il progresso tecnologico mette a disposizione per operare in modo sostenibile, sia dal punto di vista aziendale sia da quello ambientale. «Sostenibilità e rispetto per l’ambiente sono pilastri fondamentali nell’attività di Schenk Italian Wineries» spiega Simoni. «Il forte legame con i territori nei quali operiamo ci ha portato ad avere un’attenzione sempre maggiore verso la valorizzazione delle relative peculiarità, ancora troppo sconosciute. Motivo, questo, che soprattutto all’estero rende più difficile a livello generale un posizionamento nella fascia medio-alta del vino italiano. Da qui, il nostro impegno per diffondere la cultura della qualità, con ogni azione e in ogni contesto». Schenk Italian Wineries avvalendosi di uno staff di agronomi ed enologi altamente specializzati, di un controllo qualitativo costante, certificato annualmente dagli enti IFS e BRC, e di un team dedicato alla ricerca di nuovi prodotti, tendenze e packaging, è in grado di proporre vini di qualità superiore, espressione originale delle varietà di terra, sapori e tradizioni che solo l’Italia può offrire.
Quattro i marchi aziendali del Territorio: • Kellerei Auer (Alto Adige), linea di eccellenti vini caratterizzati da mineralità, struttura ed aromi unici; • Bacio della Luna (www.baciodellaluna.it), raffinata linea di spumanti prodotti nella rinomata area del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG; • Lunadoro (www.nobilelunadoro.it), rossi unici che nascono nel cuore di Montepulciano e rappresentano, con la loro identità nobile, il naturale risultato di un forte legame con la terra; • Gergenti, eccezionali vini espressione della viticoltura siciliana, unica al mondo quanto a condizioni pedoclimatiche. Celebri nel mondo, più volte sul podio dei grandi concorsi internazionali, anche i marchi Premium di Schenk Italian Wineries, frutto di importanti collaborazioni con produttori locali di alto livello: Amicone, Boccantino, Brunilde di Menzione e Rivani. Tutti i marchi prodotti da Schenk Italian Wineries, “vivono” nel Wine Point situato a Ora presso la sede aziendale, in provincia di Bolzano, dove è possibile acquistare direttamente ogni vino del gruppo. «Uno dei punti di forza di Schenk Italian Wineries sta anche nell’essere parte di un grande gruppo solido e strutturato, Schenk Group, nato a fine ‘800 e oggi titolare di cantine anche in Svizzera, Francia, Spagna, con una solida rete commerciale in Germania, Belgio e Regno Unito» conclude Simoni. «Questo rende Schenk Italian Wineries una realtà agile e molto competitiva sul mercato internazionale, con prospettive di crescita sempre maggiori, per far conoscere in tutto il mondo la ricchezza del vino italiano».
Schenk Italia Spa Via Stazione 43 39040 Ora (BZ) Telefono: 0471 803311 E-mail: schenk.italia@schenk.it Web: www.schenkitalia.it
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Grenache: tanti nomi, un solo vitigno e una grande opportunità per la Sardegna di Riccardo Lagorio
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renache, Garnacha, Cannonau, Alicante, Tocai rosso, Garnatxa. Tanti nomi per indicare uno stesso vitigno, tra i più coltivati al mondo, 378.000 ettari, di cui 250.000 in Spagna, 91.000 in Francia e 15.000 in Italia, di cui la metà in Sardegna. Giocoforza che il V Concorso mondiale Grenache du
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monde, organizzato dal CIVR – CONSEIL INTERPROFESSIONNEL DES VINS DU ROUSSILLON, si tenesse in Sardegna. Terra dove il vino è di casa da millenni, come testimoniano i rinvenimenti di vinaccioli e ambienti adatti alla pigiatura dell’uva nei siti nuragici di Duos Nuraghes di Borore e Sa Osa di Cabras, abitati tra il XV e il XII secolo a.C.
Pare ormai assodato che l’origine della Grenache sia l’Aragona. Da qui venne esportata nella Rioja, verso il sud della Francia, al bacino del Mediterraneo e all’Australia anche per la capacità a resistere all’oidio. Grazie agli eclettici vini del Priorato di Terragona la Garnacha è stata riscoperta per prospettive ancora ignorate in grado
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studi sul DNA, è possibile individuare similitudini e differenze tra le varietà presenti», ha spiegato ANGELO COSTACURTA dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino raccontando la storia delle Grenaches e della loro diffusione in Spagna, Francia e degli scambi che si sono susseguiti nel tempo. Tutto ciò ha portato ha una variabilità tra le Grenaches. Clima, composizione del terreno, metodi di coltivazione e produzione sono i fattori che determinano queste differenze. È così per tutti i Grenaches, Cannonau compreso. Lo ha evidenziato il moderatore della conferenza tecnica ANTONIO FARRIS dell’Università di Sassari, sottolineando tra l’altro come le tecnologie più moderne permettano al Cannonau, prima considerato problematico rispetto ad altre varietà, di essere coltivato in tutto il mondo. «Si tratta di un vitigno poliedrico che dà un grande vino con diverse espressioni. Peraltro adeguati metodi di coltivazione fanno la differenza nella qualità dei prodotti». A questo proposito è importante far fronte ai problemi che i cambiamenti climatici possono causare: un aspetto sul quale si è concentrata HÉLÈNE TEIXIDOR dell’Institut Coopératif du Vin Pyrénées-Roussillon. Una delle zone dove il Cannonau ottiene risultati migliori è la vallata di Oddoene in comune di Dorgali (NU). Già conosciuto questo territorio in epoca
di dare vita a prodotti affascinanti e di inattesa delicatezza. In seno al Concorso mondiale, venerdì 10 febbraio, Alghero è stato palcoscenico di una conferenza tecnica dove si sono alternate le tante voci a favore della viticoltura mediterranea e del Cannonau in particolare. «Grazie a tecnologie sempre più raffinate negli
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romana con una statio dell’itinerario Antoniniano dall’evocativo nome di Vinìola, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso il Comune di Dorgali ha provveduto ad assegnare porzioni parcellizzate della vallata di Oddoene in enfiteusi, tanto che tale pratica ha finito per coinvolgere oltre 300 residenti e coprire 200 ha. Questo sistema di distribuzione della terra permise inoltre la creazione nel 1951 di una Cantina Sociale (cantinadorgali.it), che al V concorso mondiale si è aggiudicata due medaglie d’oro con Fuili (Igt Isola dei Nuraghi, 2012) e Hortos (Igt Isola dei Nuraghi, 2011). Va sottolineato come le degustazioni, che hanno coinvolto 100 giurati suddivisi in 20 giurie, erano tassativamente anonime e ad ogni commissario veniva chiesto di valutare i campioni sotto gli aspetti visivo, olfattivo, gustativo e fornire una valutazione complessiva del vino assaggiato. La medaglia d’oro è spettata ai vini che hanno raggiunto un punteggio tra 88 e 100, quella d’argento tra 85 e 87,5, il bronzo a chi avesse ottenuto almeno 84 punti. «Il termine Cannonau è del resto generico: la Sardegna offre immense sfaccettature pedologiche e climatiche che si convertono in stili assai diversi», ha sottolineato GIOVANNI PINNA, enologo di Sella & Mosca (sellaemosca.it), vincitrice di una medaglia d’oro con una
A sinistra: il complesso nuragico di Barumini, in provincia di Medio Campidano, dove sono stati trovati semi di uva destinata a vino. In alto: lungomare di Alghero.
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In alto: al V Concorso “Grenache du monde” le degustazioni hanno coinvolto 100 giurati suddivisi in 20 giurie. In basso: un momento della conferenza tecnica ad Alghero. Doc Alghero Rosato 2016. «Nella zona di Alghero, ad esempio, il Cannonau gode dell’influenza del mare e del vento, che ne esalta gli aspetti sapidi e lo ingentilisce. All’interno della Sardegna il Cannonau è un vino più strutturato», ha continuato. «Negli ultimi 10 anni si sta riscoprendo la peculiarità del Cannonau, ma è innegabile che abbia sofferto un periodo di oblio quando i mercati ricercavano vini dai lunghi passaggi in barriques. In effetti la tendenza che pare
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oggi conquisti i consumatori è quella di avere vini franchi e schietti, in linea con la propensione dei produttori sardi di Cannonau. Mi auguro che questo possa essere lo spunto per percorrere nuovi progetti finalizzati a tutelare e valorizzare questo vitigno e tutti quelli coltivati dagli agricoltori sardi», ha affermato in questo senso MARIA IBBA, direttore di Laore Sardegna, l’Agenzia regionale per lo sviluppo in agricoltura. «Grenaches du monde è un’importante opportunità per la Sardegna per farsi
conoscere come destinazione enoturistica e genuina». Vini autentici, quindi. Un po’ come un’altra medaglia d’oro italiana, il Tai Rosso Doc Colli Berici Montemitorio dell’AZIENDA DAL MASO di Montebello Vicentino (dalmasovini. com): pieno, speziato, armonico. Incetta di medaglie del prezioso metallo ai produttori francesi della Doc Banyuls, i cui vitigni si coltivano su ripidi terrazzamenti che danno sul mare (vins-cotevermeille.com), e agli spagnoli della Doc Campo de Borja (docampodeborja.com). A questo proposito l’Aquilon 2012 di BODEGAS ALTO MONCAYO (bodegasaltomoncayo.com), da viti che hanno tra i 60 e i 100 anni di età, ha particolarmente colpito per potenza e ampiezza in bocca: carnoso ma fresco, dal grande equilibrio eppure con elevata concentrazione di sapore. La prossima edizione del Grenaches du monde si svolgerà in Catalogna. MERITXELL SERRET, assessore all’Agricoltura della Catalogna, ha raccolto il testimone per l’organizzazione nel territorio della Doc Terra Alta che si estende tra l’Ebro e il confine con l’Aragona, in provincia di Tarragona. Questa zona è la patria di un tipo di Grenache non coltivato in Sardegna, il Grenache bianco. «La
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I numeri del V Concorso mondiale delle Grenache 684
I vini in concorso
7
Paesi (Francia, Spagna, Italia, Libano, Repubblica di Macedonia, Sudafrica, Australia)
2
Paesi partecipanti per la prima volta: Sudafrica e Libano
122
Cantine italiane partecipanti
204
Vini italiani in concorso
104
Cantine sarde partecipanti
184
Vini sardi in concorso
100
Giurati (professionisti del vino, enologi, giornalisti specializzati, di nazionalità tedesca, americana, inglese, australiana, belga, coreana, spagnola, francese, greca, olandese, italiana, giapponese, libanese, lituana e slovena)
I numeri del Cannonau in Sardegna 26.500
Ettari di vitigni coltivati
7.600
Ettari di Cannonau coltivati
2.230
Ettari di Cannonau Doc coltivati
5.500
Ettari di Cannonau coltivati nelle province di Nuoro e Ogliastra
122.000
Quintali di uva Cannonau prodotti
90.000
Ettolitri di vino Cannonau
9 milioni
Bottiglie
40 ettolitri
Resa per ettaro
Elevata capacità di innovazione obbe adeguamento veloce agli obblighi legislativ i in continuo cambiamento
Palmares V Concorso Mondiale Grenache Spagna
55 oro
41 argento
12 bronzo
Francia
28 oro
22 argento
1 bronzo
Sardegna
18 oro
21 argento
5 bronzo
3 argento
1 bronzo
Altre regioni 3 oro italiane Macedonia
1 bronzo
Australia
1 bronzo
Sudafrica
1 bronzo
ricchezza della varietà di vino è la vera ricchezza dei territori ed è intrinseca alla cultura e alla gastronomia delle zone dove viene coltivato», ha detto. Mentre JOAN ARRUFÍ PEIG, il presidente del Consorzio di Tutela Terra Alta con sede a Gandesa (doterraalta.com), intervistato telefonicamente, ci ha spiegato che in questa porzione di terra iberica la vite si pianta su terrazzamenti naturali che godono di un clima mediterraneo con forti influssi di clima continentale: l’oscillazione termica va dai -6 ai +38 gradi con scarsa piovosità. I terreni sono prevalentemente limosi e calcarei, tanto da poter fornire un’acidità e una mineralità adatta all’invecchiamento
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malgrado la Garnacha bianca esprima aromi fruttati di albicocca, pesca e note di ananas. «La Doc Terra alta è nata nel 1982 e oggi raggruppa 51 produttori che possiedono fondi da 2 a 8 ettari. La Doc copre la superficie di 12 comuni. Dopo avere compiuto una campagna promozionale nel mercato americano per tre anni, oggi vogliamo che anche in Spagna si conosca questo vino unico, soprattutto perché la globalizzazione richiede sempre più unicità». Appuntamento quindi al VI Concorso mondiale delle Grenaches dall’11 al 14 aprile 2018 in provincia di Tarragona, Spagna. Riccardo Lagorio
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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: pizza e vino di Laura Franchini
L
a pizza. Subito dopo la mamma, in Italia viene la pizza. E noi ci azzardiamo a proporre vini in abbinamento con uno dei più grandi vanti gastronomici del nostro Belpaese, non senza un poco di soggezione. La pizza per gli Italiani (ma non solo…) è un’istituzione. Universalmente nota e oltre modo amata, questo piatto ha fatto la storia della ristorazione e del gusto. Una storia lunga e complessa, che vede diverse interpretazioni anche dell’etimologia del nome stesso. La pizza porta però con sé una certezza: la sua origine napoletana. Una ricetta alle volte bistrattata e non all’altezza della sua storia e del suo valore, nutritivo e di gusto, ma che a casa nostra conserva
fortunatamente ancora tante proposte e locali in linea con la tradizione e il rispetto delle materie prime, senza sacrificare né tipicità né il lato creativo. Un piatto unico, delizia del palato e del portafoglio, portabandiera del nostro Paese nel mondo, come il vino. Difficile consigliare una sola tipologia di vino, soprattutto se consideriamo le innumerevoli “versioni” della pizza, i tanti e diversi ingredienti che vanno nella farcitura, il tipo di mozzarella utilizzato, le eventuali spezie aggiunte. Le varianti come sappiamo sono tante; cercheremo quindi di proporre vini adatti alle pizze più classiche ed altri destinati a creazioni più sfiziose, senza mai dimenticare che la pizza non è solo gusto e piacevolezza, ma anche divertimento e allegria.
Pizza e vino, si può? Si deve! La pizza è quel disco di pasta bellissimo a vedersi che sa mettere tutti d’accordo, andando incontro anche ai gusti più difficili. Innumerevoli le versioni, non perdete l’occasione di accompagnare i momenti conviviali in cui la gustate con un buon bicchiere 126
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La pizza rappresenta da sola un pasto completo ad un buon prezzo: irresistibile da tutti i punti di vista. Difficile consigliare una sola tipologia di vino per questo piatto: occorre infatti considerare le singole varianti (photo Š Bernd Juergens).
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Trentapioli Asprinio d’Aversa DOC Brut 2015 Martusciello Abbinamento didattico e didascalico, filologicamente corretto, anche per questioni geografiche, certamente riuscitissimo. Un calice di spumante prodotto con metodo Martinotti, quello di Salvatore Martusciello, imprenditore vinicolo con una lunga storia alle spalle, chiamata Grotta del Sole, che ora ha deciso, con la moglie Gilda, di intraprendere un proprio percorso produttivo. Le uve di questo calice provengono da vigneti ad alberata, di tradizione nel territorio, e a ciò deve il suo nome, alla scala formata da trenta pioli utilizzata per salire sull’alberata, alta 15 metri. Le uve vengono raccolte manualmente e il nettare ricavato matura sui propri lieviti in autoclave per circa 50 giorni per essere poi imbottigliato ad inizio dicembre. Un calice di armonica freschezza, adattissimo per aperitivi e cene a buffet, che si presta perfettamente all’abbinamento con la mozzarella di bufala campana DOP, in tutte le sue vesti, anche morbidamente adagiata su una fragrante pizza.
Salvatore Martusciello Via Spinelli 4 80010 Quarto (NA) Telefono: 348 3809880 E-mail: info@salvatoremartusciello.it Web: www.salvatoremartusciello.it
Lambrusco di Sorbara DOC Leclisse 2015 Cantina Paltrinieri Siamo a Sorbara, in provincia di Modena, esattamente in località “Cristo”, nella culla del Lambrusco di Sorbara. Una cantina che da tre generazioni si è dedicata a questo vitigno, consapevole della grande tradizione e, soprattutto, possibilità di queste uve. Utilizzate in purezza per questo vino, prodotto con il Metodo Charmat lungo, per concentrare ed esaltare le note olfattive e l’armonia del palato. Il risultato è un calice lindo ed intenso nei profumi, estremamente tipici di fragolina di bosco e rosa canina, violetta di campo e leggeri ricordi balsamici, piacevolissimi ed altrettanto tipici. La spiccata e tradizionale freschezza lo rende adatto agli abbinamenti coi salumi del territorio e la cucina regionale, cotechini e zamponi, tagliatelle al ragù e cannelloni ripieni di ricotta. Una freschezza ed una schiuma morbida che ben si abbineranno ad una pizza croccante, condita con pomodorini di Pachino e mozzarella fiordilatte.
Soc. Agr. Paltrinieri Gianfranco Via Cristo 49 41030 Sorbara (MO) Telefono: 059 902047 E-mail: info@cantinapaltrinieri.it Web: cantinapaltrinieri.it
Lambrusco di Modena Spumante Brut Metodo Classico 2010 Cantina della Volta Christian Bellei, figlio di Francesco, ha il Metodo Classico nel DNA, nella storia della sua famiglia. Una passione che lo ha portato ad esprimersi anche con le uve del territorio, ottenendo risultati eccellenti. Siamo nelle terre alluvionali del Lambrusco di Sorbara, raccolte esclusivamente a mano nella seconda metà del mese di settembre. Il mosto viene sottoposto a chiarifica seguita da fermentazione alcolica in tini d’acciaio a temperatura controllata. Dopo un’attesa di almeno sei mesi, viene addizionato di lieviti accuratamente selezionati e imbottigliato. Le bottiglie terminano la rifermentazione poste orizzontalmente a temperatura costante di 12 °C. Dopo il remuage e il successivo dégorgement si procede con l’aggiunta del liqueur d’expédition. Ne otterremo un calice ampio e pieno, dal perlage fine con note di amarene e fragoline di bosco, armoniosa la sorsata e l’equilibrio dell’acidità. Ovviamente perfetto negli aperitivi, si presta ottimamente ad accompagnare una pizza fragrante, con mozzarella e mortadella.
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Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com
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Bardolino DOC Classico Chiaretto 2015 Raval
Azienda Agricola Raval Via Raval 1 37011 Bardolino (VR) Telefono: 045 7236569 E-mail: info@agriturismoraval.it Web: www.agriturismoraval.it
Nel cuore della denominazione Bardolino, ad un passo dal meraviglioso Lago di Garda, si trova questa cantina, fondata nel 1985 da Nello Rossi, che ancora oggi segue con precisione i suoi vigneti e le attività produttive, per garantire continuità di gusto e risultati. Il Chiaretto già dal nome evidenzia la sua caratteristica rosata, che tanto successo sta ottenendo in Italia e nel mondo. Le uve con cui viene prodotto sono le stesse del Bardolino: Corvina, Rondinella, Molinara e Negrara. Si presenta di un bel rosa petalo questo calice, ricco all’olfattiva di note fruttate di lamponi e ciliegie, ricordi vegetali e balsamici, pepe verde lontano ed erbe di campo. Al palato entra morbido, con una buona spalla acida a corredo, equilibrato il grado alcolico, armonico. Particolarmente adatto agli aperitivi, si presta benissimo all’abbinamento col pesce, ma noi suggeriamo di provarlo con la pizza, magari condita con pomodori pelati, melanzane e scaglie di Parmigiano.
Verdicchio di Matelica DOC Vigneti B 2017 Belisario
Belisario Via Merloni 12 62024 Matelica (MC) Telefono: 0737 787247 E-mail: belisario@belisario.it Web: www.belisario.it
Azienda vocata alla produzione del Verdicchio di Matelica, che declina in diverse versioni, tutte estremamente convincenti. Il vino scelto per questa degustazione, prodotto in piccolissima quantità, non è certo banale, ma ha carattere e struttura adatti ad abbinarsi a piatti strutturati e dal gusto deciso. Prodotto con uve biologiche di Verdicchio clone matelicese in purezza, effettua la vinificazione utilizzando la complessa tecnica dell’iperossigenazione, quindi in totale assenza di solforosa, e matura almeno fino a aprile. Il risultato è un vino di spessore, dalle note intense e raffinate di frutta e ginestra, ricordi di spezie chiare e fieno. È morbido, rotondo, persistente e di carattere, suadente la sorsata, lunga e pulita. Adatto a lasagne e primi piatti elaborati, sarà perfetto con una pizza ben condita con mozzarella, salsiccia, cipolla e cime di rapa.
Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Spumante Brut Rive di Farra di Soligo Col Credas 2015 Adami
Adami Via Rovede 27 31020 Colbertaldo di Vidor (TV) Telefono: 0423 982110 E-mail: info@adamispumanti.it Web: www.adamispumanti.it
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Uve Glera in purezza per questo splendido calice, che prende il nome dai vigneti di alta collina, denominati localmente “Le Rive”, prodotto dalla cantina Adami, fondata nel 1920 da Abele Adami. Adriano Adami ne ha raccolto il testimone e continua quella forte vocazione spumantistica dell’azienda, che oggi produce 750.000 bottiglie con uve provenienti da circa 50 ettari di vigneto, 12 dei quali a conduzione diretta (gli altri sono di piccoli viticoltori legati storicamente alla cantina). Il calice si presenta di un bel giallo paglierino, dal perlage fitto e fine, persistente. Al naso sprigiona note fruttate di mela verde e pere acerbe, a corredo note di glicine ed acacia. La degustazione è armonica, al palato la schiuma è morbida e fresca, lunga ed elegante, corrispondente. Se nel rito dell’aperitivo è a casa sua, così come sui piatti di pesce, è con la pizza che sorprende positivamente. Una semplice margherita sarà perfetta, ma il consiglio è di provare una pizza condita con salsa di pomodoro, filetti di tonno sottolio e spolverata di pistacchi tostati.
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TECNOLOGIE La collaborazione tra Fumagalli e CSB-System va avanti da oltre quindici anni
Evoluzione nella tradizione
“E
voluzione nella tradizione”. È questo il motto di CESARE FUMAGALLI della Fumagalli Industria Alimentari Spa, nata agli inizi del Novecento a Tavernerio, comune in provincia di Como, e sempre rimasta un’azienda di famiglia. Fortemente legata alla tradizione del territorio, la sua specificità è fin dalla sua creazione quella della trasformazione delle carni suine in prodotti sia insaccati che cotti. Nel corso dei decenni ha costruito un suo sistema denominato “Filiera Fumagalli”, interamente e direttamente gestita dalla società, perché la qualità dei prodotti
e l’adeguamento alle nuove esigenze nutrizionali del consumatore, sono valori essenziali per l’azienda lombarda. Filiera controllata 100% italiana Fumagalli Spa possiede, gestisce e controlla direttamente tutte le fasi produttive: dall’allevamento alla macellazione, dalla trasformazione delle carni alla stagionatura. Una filiera che essendo gestita da un unico soggetto, non documenta solo la rintracciabilità o il percorso della materia prima, ma garantisce un controllo costante sulla stessa. FRANCESCO PIZZAGALLI lo spiega
così: «Noi possediamo un nostro nucleo genetico. A Nerviano, vicino Milano, curiamo i nostri allevamenti di moltiplicazione e di ingrasso. Garantiamo controlli sull’alimentazione dei nostri
Mario Santi, Cesare Fumagalli e Francesco Pizzagalli.
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Premiata Salumeria Italiana, 2/17
Lo stabilimento Fumagalli a Tavernerio in provincia di Como. maiali, applichiamo le migliori condizioni di benessere degli animali e siamo attenti alle problematiche legate all’impatto ambientale. Nella sede storica di Tavernerio svolgiamo macellazione e lavorazione delle carni, prelievi campione e controlli di laboratorio, stagionatura, affettamento e confezionamento. Nello stabilimento di Langhirano invece, zona vocata alla produzione prosciutto di Parma, vi è il nostro centro di disosso, lavorazione e stagionatura del prosciutto crudo oltre al confezionamento dei prodotti stagionati. Mi lasci dire con un certo orgoglio, che è un sistema unico e tra i pochi in Europa. In Italia abbiamo già ricevuto parecchi riconoscimenti». Un unico piano di gestione e controllo di tutte le fasi della filiera, dunque, completamente informatizzato ed integrato, che si avvale del supporto del software gestionale modulare CSB-System e della collaborazione ormai ventennale con l’omonima azienda veronese. «Sin da subito il progetto di informatizzazione ha coinvolto i settori Acquisti, Magaz-
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zino, Produzione, Vendite, Controllo Qualità, totale Tracciabilità, EDI verso clienti e fornitori e Peso-prezzatura integrata» interviene MARIO SANTI, che già nel 1998, assieme a Cesare Fumagalli, seguì l’accurata analisi dei processi produttivi che avrebbe portato poi all’implementazione del CSB-System. Il progetto in sintesi Il CSB-System segue ogni fase della filiera: dall’allevamento dei suini e loro macellazione al sezionamento e composizione delle ricette con scarico automatico dei vari magazzini, fino alla preparazione, confezionamento e distribuzione dei prodotti finiti. Il modulo Acquisti garantisce un controllo affidabile di quantità e qualità delle merci in entrata; un collegamento diretto tra le informazioni relative agli ordini e alle distinte di accettazione merce permette una verifica immediata di quanto ordinato e quanto effettivamente consegnato dal fornitore. La gestione del Magazzino, tramite apposito modulo completo di
inventari e statistiche per lotti, giacenze, date e partite, assicura all’azienda una produzione perfettamente pianificata e una maggiore efficienza nell’evasione ordini nel reparto vendite. Il controllo della produzione si attua con iniziative concrete quali formazione continua dei fornitori e degli operatori, utilizzo di innovative tecniche di produzione, sistema di controllo della produzione certificato, in riferimento a standard internazionalmente riconosciuti (BRC Global Standard – livello A), ambienti di produzione igienicamente controllati e controlli accurati dell’intero processo di produzione. Il tutto anche con il supporto dell’apposito modulo Produzione e Controllo Qualità integrato. Rintracciabilità trasparente e sicura con il CSB-System Il CSB-System assicura l’assoluta trasparenza della tracciabilità dei prodotti della linea di “filiera controllata Fumagalli”. Particolare attenzione è prestata al mantenimento dell’identificazione dei
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Un unico piano di gestione e controllo di tutte le fasi della filiera, dunque, completamente informatizzato ed integrato, che si avvale del supporto del software gestionale modulare CSB-System e della collaborazione ormai ventennale con l’omonima azienda veronese. «Mi lasci dire con un certo orgoglio, che è un sistema unico e tra i pochi in Europa. In Italia abbiamo già ricevuto parecchi riconoscimenti»
Il CSB-System assicura l’assoluta trasparenza della tracciabilità dei prodotti della linea di “filiera controllata Fumagalli”. Particolare attenzione è prestata al mantenimento dell’identificazione dei lotti di suini macellati. I differenti tagli anatomici ottenuti dalla macellazione vengono singolarmente codificati. È così garantita la tracciabilità per le successive fasi di lavorazione
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lotti di suini macellati. I differenti tagli anatomici ottenuti dalla macellazione vengono singolarmente codificati. È così garantita la tracciabilità per le successive fasi di lavorazione. Anche le materie prime in arrivo vengono dotate di etichette di entrata merci, contenenti le informazioni su codice e nome articolo, data di entrata, quantità, locazione magazzino, fornitore e codice lotto. Durante l’elaborazione finale del lotto, nell’ambito del processo produttivo, il codice lotto viene inserito nei terminali mobili. A partire da questo momento, i dati relativi alle mezzene e/o materie prime lavorate vengono collegati in modo univoco al rispettivo lotto di produzione. I prodotti finiti si possono coordinare in modo univoco ad una produzione. «Grazie al coordinamento dei lotti produzione, alle ricette inserite nel CSBSystem e alla rintracciabilità completa del lotto per l’intero processo produttivo fino al prodotto finito — precisa Mario Santi — noi siamo in grado di garantire la totale rintracciabilità downstream e upstream: premendo un tasto si identificano in pochi istanti sia le mezzene utilizzate e i fornitori delle materie prime impiegate sia l’acquirente finale del prodotto. In altre parole, la rintracciabilità “dalla terra alla tavola” permette di ricostruire tutto il percorso di un animale o di un alimento, compresi i suoi ingredienti. Quest’ultimi sono riportati nelle distinte base, dove, per ogni referenza, è possibile imputare oltre agli ingredienti anche i costi diretti (es. la manodopera) e indiretti (es. energia elettrica, ammortamento dei macchinari), ponendo così le basi della Contabilità industriale». La pesoprezzatrice e gli impianti di etichettatura ricevono le informazioni tramite CSB-System. Anche il calcolo dei valori nutrizionali è direttamente gestito nel e dal CSB-System. La sicurezza nel piatto: Controllo Qualità integrato nel CSB-System Il modulo messo a disposizione dal CSB-System permette di identificare, valutare e controllare, i potenziali rischi che si possono manifestare nei differenti processi produttivi aziendali e consente di comunicare all’interno ed all’esterno dell’organizzazione le
informazioni relative agli aspetti della sicurezza alimentare. Solo così si realizzano prodotti sicuri, ottemperando all’obiettivo primario della Fumagalli: la serenità del consumatore. Per soddisfare un segmento di mercato in costante crescita, con consumatori che richiedono garanzia di rispetto dell’ambiente, dal 2006 Fumagalli porta avanti una linea interamente Bio, una filiera a sé, che garantisce il pieno rispetto della genuinità dei prodotti, e che si attiene alle specifiche normative comunitarie in merito. Le Vendite con il CSB-System Una rete capillare di vendita consente alla Fumagalli Spa di essere presente nelle principali catene della GDO e di raggiungere in tempi brevi i migliori negozi al dettaglio sul territorio nazionale. Grazie alla rapidità e alla razionalizzazione nella preparazione delle offerte, nell’accettazione, gestione e contabilizzazione degli ordini e pianificazione dei giri, il CSB-System ha permesso di migliorare il servizio al cliente. Le statistiche messe a disposizione dal gestionale, inoltre, sono dei validi supporti sia per analisi dettagliate su GDO, agenti, zone e così via sia per controllo di costi e margini. «Organizzare, legare, gestire e controllare i differenti attori della filiera, dall’allevamento degli animali al consumatore finale, per soddisfare le richieste del cliente e superare così le sue stesse aspettative: è questa la mission della filiera Fumagalli» sintetizza Cesare Fumagalli. La CSB-System è onorata di potere essere il partner informatico di riferimento di Fumagalli Industria Alimentari Spa.
Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
Premiata Salumeria Italiana, 2/17
STATISTICHE
Focus sui prodotti Dop e Igp
a base di carne
Crostino con prosciutto crudo e capperi (photo Š zi3000).
134
Premiata Salumeria Italiana, 2/17
Premiata Salumeria Italiana, 2/17 – 0,6 16,9 0,0
12.042
3.725
3.481
2.404
3.695
2.024
12.150
189.558
Speck Alto Adige IGP
Prosciutto Toscano DOP
Salame Felino IGP
Prosciutto di Norcia IGP
Salamini italiani alla cacciatora DOP
Cotechino di Modena IGP
(*) Il dato non include la bresaola.
Totale (*)
Altri
7,7
27.287
Prosciutto San Daniele DOP
2,3
3,1
3,5
7,3
–3,4
3,4
38.152
Mortadella Bologna IGP
–3,9
84.600
Diff. % 2015/14
Prosciutto di Parma DOP
Anno 2015
Produzione certificata (t) Diff. % 2015/14 5,4 3,4 –10,3 17,7 3,5 – 6,2 — 115,5 397,1 –7,1 6,0
Volumi esportati (t) 17.305 5.341 3.547 4.094 372 696 n.d. 1.108 202 1.010 33.676
1.609
98
16
42
20
30
30
103
287
317
667
Valore alla produzione (mln di €)
Rapporto ISMEA-Qualivita 2016: focus sui prodotti Dop e Igp a base di carne
483
16
n.d.
20
n.d.
n.d.
8
41
57
81
260
Valore alla produzione esportata (mln di €)
18,9
–11,1
—
174,2
—
—
31,7
49,8
–10,9
147,8
3,8
Diff. % 2015/14
Diff. % 2015/14 0,2 5,1 –3,8 8,6 – 6,2 3,1 3,0 –1,8 — 20,2 1,2
Valore al consumo (mln di €) 2.166 444 768 246 85 37 53 55 n.d. 208 4.062
Fonte: elaborazione su dati Rapporto ISMEA-Qualivita 2016.
0,5
13,5
16,0
5,2
3,4
5,6
3,5
8,5
–7,8
14,4
–5,0
Diff. % 2015/14
SPECIALISTI NELLA SANIFICAZIONE AGROALIMENTARE
Tanti fanno pulizie industriali.
Master
è l’impresa specializzata nella pulizia di macchinari e reparti di lavorazione dell’industria agroalimentare. In Emilia-Romagna Veneto, Lombardia.
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LIBRI
Le quattro stagioni del sapore del Cotechino e Zampone Modena Igp
L
a collezione dei ricettari del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena si arricchisce di un nuovo volume: “Le quattro stagioni del sapore”. 116 ricette provenienti dalle scuole alberghiere italiane che hanno partecipato al concorso nazionale di cucina promosso dal Consorzio e che ha visto trionfare l’IPSSAR Buscemi di San Benedetto del Tronto con la “Mela rozza dei Sibillini con cotechino Modena Igp in porchetta e anice verde di Castignano”. I piatti sono suddivisi per stagione in quanto quest’anno i ragazzi si sono cimentati nel tentativo di destagionalizzare il prodotto, consumato solitamente durante le festività ma che, come dimostrano le tante preparazioni, si presta ad un uso, soprattutto il cotechino, molto più frequente. In inverno, per esempio, la
scuola IPS Giuseppe Ravizza di Novara propone la “Millefoglie di polenta con cotechino Modena Igp e tomino croccante, chiffonade di verdure e miele di castagno”. In primavera possiamo farci tentare dal “Cotechino Modena Igp ai sapori della Valnerina” dell’IPSSART G. De Carolis di Spoleto (ricetta che tra l’altro si è aggiudicata il secondo posto nel contest nazionale). In estate la scelta potrebbe ricadere sul “Cotechino Modena IGP dell’Adriatico”, dove all’insaccato viene abbinato addirittura il pesce. Del resto la scuola è l’IPSSAR di Pescara, dove il mare è di casa. La zucca, tipica dell’autunno, è invece uno degli ingredienti del “Cotechino Modena IGP in carrozza con chutney di zucca” dell’ISIS Leopoldo II di Lorena di Grosseto. Il ricettario è scaricabile anche dal sito www.modenaigp.it
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena in cucina
L
a casa editrice FRANCO COSIMO PANINI presenta Cucinare con l’aceto balsamico tradizionale di Modena, un libro raffinato che raccoglie squisite ricette di CLARA NESE SCAGLIONI, frutto di anni di esperienza e passione in cucina. L’ingrediente principe che le accomuna è l’aceto balsamico, orgoglio della tradizione culinaria modenese e che grazie al suo inconfondibile sapore, pieno e vellutato, rende indimenticabili tutti i piatti, dagli antipasti ai dolci. Da sempre appassionata di cucina, Clara Nese Scaglioni è stata stimata allieva di grandi cuochi italiani tra cui GUALTIERO MARCHESI e GIANFRANCO VISSANI. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti e nel 1991 ha fondato a Modena la delegazione del Club del Fornello. In questo libro, l’autrice affianca i piatti
136
classici della cucina modenese a sfiziose ricette con abbinamenti creativi e offre preziosi consigli e curiosità a tutti coloro che vorranno provare a cucinare con il balsamico. Il libro si apre con un contributo di LUCA GOZZOLI, Gran Maestro della Consorteria Aceto Balsamico Tradizionale, che in una approfondita introduzione racconta le origini e le caratteristiche di questo “oro nero”, unico e straordinario. Il libro è elegantemente illustrato da PIA VALENTINIS e GIANCARLO ASCARI. Così come l’aceto balsamico è un dono esclusivo e prezioso, così è questo libro che, attraverso le sue ricette, trasmette l’amore per il cibo, per una cucina autentica che nasce dalla gratitudine verso la propria terra e le sue tradizioni. Un libro che non può mancare nelle cucine di tutti gli appassionati del buon cibo.
CLARA NESE SCAGLIONI Cucinare con l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Franco Cosimo Panini Editore 128 pp. – € 18,00 www.fcp.it
Premiata Salumeria Italiana, 2/17
Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .
Bacio della Luna Spumanti s.r.l. Via Rovede, 36 31020 Colbertaldo di Vidor TREVISO info@baciodellaluna.it www.baciodellaluna.it Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Millesimato
Pinot Vino Spumante Extra Dry Rosè
Prosecco DOC Vino Spumante Extra Dry
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