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Virtus e humanitas
nota bene
timeo ne tu facias tibi. I qua ire coepisti et in isto te vitae habitu compone placide, non molliter. Faciet autem cor firmum adsidua meditatio, si non verba exercueris sed animum, si contra mortem te praeparaveris, adversus quam non exhortabitur nec attollet qui cavillationibus tibi persuadere2 temptaverit mortem malum non esse. Libet3 enim, Lucili, virorum optime, ridere ineptias Graecas, quas nondum, quamvis mirer, excussi.
1. quod: “cosa che”. 2. tibi persuadere: di persuaderti. 3. Libet: mi piacerebbe
Lo sponsor Traducendo questo testo, hai scoperto la parola sponsor, che tanto si usa in italiano pensando di far ricorso alla lingua inglese: è in realtà latino puro! Indica il “garante, colui che fa una promessa”: si lega a spons, spontis, “volontà” come al verbo spondeo, “prometto solennemente”. In latino sponsus è il promesso sposo come sponsa la promessa sposa: in italiano gli sposi, come gli sponsor, si impegnano e promettono, si legano a qualcuno e garantiscono il rispetto di accordi precisi. Ma sposarsi è più impegnativo che sponsorizzare!
PAROLE di IERI, PAROLE di OGGI
Virtus e humanitas
Il testo in apertura affronta il tema della virtus, una qualità che rimanda, nella radice, alle qualità del vir, l’uomo non nella sua caratterizzazione sessuale (quello è il mas, maris), ma in quella mentale e valoriale. Nella cultura della Roma arcaica, la virtus è, innanzitutto, legata alla guerra, momento fondamentale per la costituzione dello stato di Roma: sono il coraggio e la forza a definire il modello di uomo che è in primis guerriero. Nel corso della II guerra punica la virtus è divinizzata accanto all’honos, l’onore, che è ciò che si raggiunge con la fama di un’azione valorosa riconosciuta dal corpo sociale. È con Cicerone, in pieno ellenismo, che il concetto di virtus si adatta ad una nuova visione dell’umano, quella dell’humanitas che contempla, oltre alle qualità militari, altri valori come la iustitia, la fortitudo, la temperantia e che era stata elaborata nel Circolo degli Scipioni. Con Seneca, un pensatore innovativo per l’importanza che assegna alla dimensione interiore, il concetto di virtus si avvicina a quel concetto complessivo di perfezione morale che sfocerà nel cristianesimo, con un’elaborazione strutturata di virtù nella distinzione di virtù cardinali e teologali. In epoca rinascimentale la virtus, in scrittori come Machiavelli, riprenderà la sua fisionomia laica e pagana come spazio dell’umano non condizionato dalla presenza di Dio, in opposizione a fortuna, come espressione del caso e del destino. Salvatore Natoli è un filosofo che nel suo Dizionario dei vizi e delle virtù, a partire dal pensiero dei latini, recupera il loro lessico, oggi inedito, per scoprirne l’attualità: ciò che lo affascina è che la risposta morale degli antichi prescinde da una ricerca metafisica per radicarsi in un terreno fondamentalmente umano. Dopo tutto la parola “uomo” deriva dal latino homo che condivide la radice con humus, “terra”: l’uomo è essere terreno. Dalla stessa radice deriva la parola humanitas già ricordata.