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cap.4 • Alexis l’ilota
Capitolo 4
Alexis l’ilota
Il primo a riprendere conoscenza fu Lorenzo.
In realtà il merito del suo risveglio fu di una capretta la quale, prima di allora, non aveva mai assaporato la bontà dei lacci di una scarpa da ginnastica. Quel nuovo gusto, decisamente più saporito della solita erbetta, le piacque a tal punto che avrebbe volentieri proseguito, masticando anche il resto della scarpa, se non fosse stato per la reazione di Lorenzo.
Quando, infatti, il ragazzo si sentì mordere l’alluce, scalciò violentemente e, resosi conto di quello che stava accadendo, incominciò a gridare contro la capretta, cercando di allontanarla. Smise solo quando sentì la punta di un bastone premergli sulla schiena.
«Lascia stare la mia capretta altrimenti te ne pentirai!» urlò una voce di ragazzo.
Lorenzo alzò le braccia come se avesse avuto un fucile puntato dietro le spalle.
«Non volevo farle del male, ma semplicemente allontanarla dalla mia scarpa!» si giustificò.
«Chi sei? Da dove vieni? Non ho mai visto nessuno vestito in quel modo. Sei una spia degli spartiàti? Se così fosse non scamperesti alla furia del mio bastone!»
«Ti prego, non mi colpire!» supplicò Lorenzo. «Io non ho nulla a che vedere con gli spartiàti. Non ne conosco nemmeno uno. So solamente, avendolo ascoltato dalla maestra Martina, che essi hanno ingiustamente reso schiavi gli iloti».
«Deve essere una donna molto saggia questa maestra Martina! Girati, non ti colpirò».
Lorenzo tirò un sospiro di sollievo e si voltò. Gli si parò allora davanti un ragazzo della sua età che indossava un chitone, cioè una specie di tunica di lana grezza.
«Mi chiamo Alexis e sono un ilota» disse il ragazzo mostrando un bel sorriso. «Aiuto mio padre nei lavori agricoli. Quando ho un po’ di tempo porto a pascolare Zoe, la mia capretta, quella che stavi spaventando con le tue grida».
«Scusami Alexis, non volevo farle del male. Il fatto è che dopo aver viaggiato nel tempo con il sidecar di Adriano… sai, noi siamo dei giornalisti inviati della Gazzetta di Clio…» iniziò a spiegare, molto confusamente, Lorenzo.
«Viaggiare nel tempo? Sidecar? La Gazzetta di Clio? E chi è Adriano?» domandò perplesso l’ilota.
«Capisco, non è facile credere alla mia storia. Magari più tardi ci torneremo su… Comunque, io sono Lorenzo» disse stringendo la mano ad Alexis, «e non sono arrivato da solo. Con me viaggiano anche Camilla, una mia compagna di classe, e Adriano, un mio amico inventore».
«Dove sono ora?»
«Già, dove sono? Mi piacerebbe tanto saperlo» sospirò Lorenzo grattandosi la testa.
«Descrivimeli un po’» chiese curioso Alexis.
«Camilla è molto carina. Ha i capelli castani, gli occhi verdi ed è vestita di rosa. Mentre Adriano è più grande di noi, è alto, magro e con un ciuffo di capelli castani…»
«Ah ah ah ah ah!» scoppiò a ridere Alexis.
«Perché ridi?»
«Dai, vieni con me» rispose il ragazzo facendo segno al nuovo amico di seguirlo.
Attraversarono una radura, a tratti brulla e pietrosa, a tratti verdeggiante, tutta olivi, siepi
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di alloro e prati erbosi. In lontananza si intravedeva il profilo di mura, di case e di templi.
«Come si chiama quella città?» chiese Lorenzo indicando la città davanti a sé.
«È Sparta, l’antica Lacedemone».
«Sparta? Allora quel il fiume è l’Eurota, mentre quel monte è il Taigeto…»
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«Proprio così».
«E in che anno siamo?»
«Che domande mi fai? Siamo nel secondo anno dopo la settantanovesima olimpiade».
“Dunque, le Guerre persiane sono terminate da una ventina d’anni, per cui siamo intorno al 460 a.C.” dedusse Lorenzo il quale, tirati fuori dallo zainetto cartoncini e pastelli, si era messo a disegnare il profilo di Sparta.
«Qualche minuto e ho finito».
«Fai con calma. Che cosa sono quelle bacchette che colorano così bene il tuo strano papiro?»
«Si chiamano pastelli».
«Sei proprio bravo a usare quei pastelli» disse con ammirazione Alexis.
Ripreso il cammino, dopo un quarto d’ora di marcia i due arrivarono nei pressi di una capanna.
Appena dentro quella modesta abitazione anche Lorenzo scoppiò a ridere.
«Ah ah ah ah ah! Mi sembrate due salami» esclamò rivolto ai compagni di viaggio.
In effetti Alexis aveva fatto davvero un buon lavoro. Usando corde di canapa aveva legato Camilla e Adriano, mani e piedi, a uno dei quattro pali che tenevano in piedi la capanna. Per non
farli urlare aveva tappato loro la bocca usando della stoffa di lino.
«C’è poco da ridere!» gridarono quando furono liberati.
«Presto, scappiamo da qui! Dobbiamo ritrovare il sidecar prima che torni il gigante che ci ha legati» disse Adriano tutto preoccupato.
«Tranquilli ragazzi, qui non correte alcun rischio e quel mostro rosso che chiamate sidecar è al sicuro in una grotta qui vicino» disse Alexis sorridendo.
«E lui chi è?» domandò Camilla.
«Il gigante che vi ha legati» rispose scherzando Lorenzo.
«Brutto stupido!» esclamò Camilla inferocita. «Hai visto come hai ridotto la mia tuta rosa? L’avevo acquistata proprio per questo viaggio. Per non parlare dei miei capelli! Dovresti vergognarti di trattare così una ragazza…»
«Calma, calma...» intervenne Lorenzo. «Lui pensava di trovarsi di fronte a spie al servizio degli spartiàti. Sapete, non è facile la vita per gli iloti».
«Certo che lo so. Bene, forse è meglio presentarsi civilmente. Piacere, sono Camilla, redattrice di punta della Gazzetta di Clio».
«Io sono Adriano, inventore. Non c’entro niente
con il loro giornale. Sono qui per altri motivi» sottolineò, allontanando il ciuffo con un soffio, strizzando l’occhio a Camilla e pensando a Kitty.
«E io sono Alexis, contadino e pastore a tempo perso. Vivo qui con mio padre, Nikolaos, che però è quasi sempre a lavorare nei campi. Qualche volta non torna neanche a dormire».
«E tua madre?» chiese Adriano.
«È morta nel partorirmi» rispose il ragazzo abbassando lo sguardo.
«Mi dispiace!» esclamarono in coro.
«Grazie ragazzi, ormai è passato così tanto tempo… anche se la mamma mi manca sempre tanto». E tutti tacquero per un po’.
Poi Alexis riprese a parlare. «Perdonatemi per quello che vi ho fatto, ma anche quest’anno gli Èfori ci hanno dichiarato guerra. Così possono fare di noi quello che vogliono senza correre rischi».
«Spiegati meglio» disse Camilla tirando fuori il suo block notes per prendere appunti.
«Volentieri, andiamo fuori. Ci sono dei tronchi, dove sederci comodamente»; e la comitiva di ragazzi si trasferì all’aperto.
«Come vi avrà detto la vostra maestra Martina…»
«Conosci anche tu la maestra Martina?» chiese stupito Adriano.
«Me ne ha parlato Lorenzo. Deve essere una donna molto brava».
«La più brava!» aggiunse Camilla, «Ma continua, ti prego».
«Dicevo che, dopo essere stati sottomessi da Sparta, per la nostra condizione di schiavi di proprietà della città-Stato, fummo destinati ai lavori domestici e agricoli. Ma non basta. Ogni anno, gli Èfori...»
«E chi sono gli Èfori?» lo interruppe Camilla.
«Sono i cinque membri che costituiscono la più potente magistratura spartana» rispose Adriano.
«Esatto!» riprese Alexis. «Come stavo dicendo, gli Èfori ci dichiarano guerra in modo da rendere lecita ogni forma di aggressione e violenza nei nostri confronti».
«Perché non vi ribellate? Ho letto da qualche parte che siete molto più numerosi degli spartiàti» chiese Camilla, tutta intenta a prendere nota come una vera giornalista.
«Qualche volta ci abbiamo provato. Loro però sono ricchi, potenti, ben armati e molto allenati alla guerra. Sono i guerrieri più forti che si conoscano. Noi invece, siamo dei poveri contadini».
«Che storia triste» pensò ad alta voce Lorenzo.
«Già. Ma ora non pensiamoci. Devo ancora farmi perdonare di averti legata» disse Alexis facendo gli occhi dolci a Camilla. «Che ne dite di mangiare un boccone?»
«Sìììììì!» risposero i tre viaggiatori.
Così Alexis offrì ai suoi nuovi amici un pasto fatto di noci, miele, formaggio e pane secco, che ai ragazzi sembrò davvero un pranzo da re.
Il cibo li aveva messi di buon umore e aveva fatto venir loro voglia di giocare. Ma a che cosa?
«Astragali! Una bella partita con gli astragali è quello che ci vuole» disse Alexis.
«Ma non hai un pallone?» domandò Lorenzo.
«Uffa! Sempre il calcio…» protestò Camilla.
«Vediamo di che si tratta» propose Adriano.
«Ecco, gli astragali sono questi» disse Alexis estraendo da un sacchetto di pelle quattro pietre di diversa forma. «Non sono pietre» precisò Alexis. «Sono ossicini di piedi di animali, di solito di maiali, vitelli o pecore».
«Che impressione!» protestò Camilla.
«Come si gioca?» chiese Adriano.
«A ogni ossicino si attribuisce un punteggio. Poi si lanciano in aria e si tenta di recuperarli con il dorso della mano. Chi riesce a ottenere il punteg-
gio più alto vince» spiegò Alexis.
«Facile!» esclamò Lorenzo impadronendosi degli astragali.
Il primo lancio fu un fallimento. Come il secondo, il terzo, il quarto.
«Fammi provare!» disse Adriano.
«Poi voglio giocarci anch’io!» intervenne Camilla.
Alexis vinse facilmente ogni sfida, ma tutti si divertirono da matti e arrivarono a sera stanchi e felici, tanto che il sonno li rapì facilmente.
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