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cap.12 • L’intervista

Capitolo 12

L’intervista

Il mattino seguente i nostri viaggiatori furono svegliati dal canto degli uccelli e dal profumo dei dolci al miele che Nicostrata aveva fatto preparare apposta per loro.

La colazione fu servita in un angolo del cortile, all’ombra di una grande pianta di fico, circondato da vasi di terracotta che contenevano fiori di mille colori, soprattutto iris, narcisi e uno strano fiore rosso che sembrava la cresta di un gallo.

Tutto ciò ricordò ai tre ragazzi da dove erano venuti, i nomi delle strade del quartiere, la scuola di viale Delle Rose, gli amici, i genitori, nonno Giacinto e nonna Margherita. Questo fece venire loro una gran voglia di tornare a casa.

Nessuno lo disse chiaramente, ma l’aria era 101

quella di quando sta per terminare un lungo e avventuroso viaggio: da una parte si è felici per l’esperienza fatta, dall’altra si prova una certa gioia per il rientro.

Tuttavia, c’era ancora da svolgere il compito più importante della missione: intervistare Pericle.

Nonostante avessero già raccolto tanto materiale per il loro giornale, mancava il pezzo più importante, l’articolo che avrebbe probabilmente fatto vincere alla Gazzetta di Clio il sospirato premio.

Mentre Camilla, Adriano e Lorenzo erano presi da questi pensieri e dalla bontà della colazione, uno schiavo annunciò che Sofocle li aveva preceduti e ora li aspettava sull’Acropoli.

«Il padrone mi ha dato l’ordine di accompagnarvi. Seguitemi!» disse l’uomo.

Dopo quasi mezz’ora di cammino, finalmente arrivarono a destinazione. L’Acropoli si presentò come un grande cantiere: centinaia di schiavi, sotto l’occhio vigile di guardie armate e guidati da architetti e artisti, lavoravano alla ricostruzione di quella parte così importante della città che era stata, anni prima, distrutta completamente dai Persiani.

In lontananza, proprio nelle vicinanze di un

enorme tempio in costruzione, si intravedeva Sofocle che parlava con due uomini, uno dei quali era robusto, fiero, e con la testa molto grande, quasi sproporzionata rispetto al corpo, sormontata da un elmo altrettanto grande.

«Quello è Pericle!» esclamò emozionatissima Camilla.

«Come fai a dirlo?» chiese Adriano.

«La maestra Martina ci ha raccontato che lo prendevano in giro chiamandolo testa di cipolla».

«Non dire stupidaggini!» esclamò incredulo Lorenzo.

«Non è una stupidaggine. Chiedilo alla maestra! Ma non perdiamo tempo, avviciniamoci».

«Mi tremano le mani al pensiero di fare il ritratto all’uomo più celebre della storia greca» aggiunse Lorenzo.

«Su ragazzi, coraggio, è arrivato il vostro momento» disse Adriano.

Ma, in un attimo, l’emozione si trasformò in paura.

«Chi siete? Dove credete di andare? Chi vi ha dato il permesso di avvicinarvi al grande Pericle?» urlò un soldato a capo di una pattuglia di militari.

Il servo che accompagnava i ragazzi tentò disperatamente di spiegare come stavano le cose, ma inutilmente.

«Arrestateli! Chiarirete tutto dopo qualche giorno di prigione» proseguì il comandante delle guardie.

Camilla si rese conto che l’unico modo di uscire da quella brutta situazione era di attirare l’attenzione di Sofocle. Allora iniziò, sotto lo sguardo sbalordito dei suoi amici, a strillare e a scalciare come una pazza e, quando un soldato cercò di tapparle la bocca, la ragazza gli morse una mano con una tale forza che il militare emise urla ancora più forti di quelle di Camilla.

Fu allora che lo stesso Pericle intervenne. Bastò un suo gesto per fermare le guardie, le quali si trasformarono miracolosamente in gentili accompagnatori.

«Pericle, questi sono i ragazzi di cui ti ho parlato» disse Sofocle.

«Scusate per i modi bruschi delle mie guardie del corpo, ma fanno solamente il loro dovere. Tu devi essere Camilla» dedusse il grande ateniese.

«Sì signore, sono la giornalista di punta della Gazzetta di Clio. Lui invece è Adriano, il mio braccio destro, mentre lui, Lorenzo, è il disegna-

tore ufficiale di questo reportage».

«Lo so, mi ha detto tutto il mio amico Sofocle. A dire il vero non ho compreso bene né da dove venite né che cosa volete, ma mi siete simpatici e questo basta. E poi tu, signorina, hai proprio un bel caratterino…» disse sorridendo Pericle.

«Ha in mente di farti domande molto imbarazzanti» aggiunse Sofocle.

«Ah ah ah ah!» rise Pericle. «Sono proprio curioso di sentire che cosa vuoi chiedermi… Ma prima di iniziare la nostra chiacchierata vi presento Fidia».

«Il più grande scultore e architetto di tutta la Grecia… è un piacere conoscerla» disse Lorenzo che, essendo un grande appassionato di arte, sapeva molto bene chi fosse quello straordinario artista.

«Fidia» disse Pericle mostrando il tempio in costruzione, «sta realizzando le sculture di questa grande opera che si chiamerà Partenone in onore della dea Atena Parthénos, nostra protettrice».

«Ricordo bene la storia della nascita di questa meravigliosa città!» intervenne Adriano, che si era sentito messo un po’ in disparte. «Gli dèi Poseidone e Atena, una volta che l’ebbero fondata,

si misero a litigare sul nome da darle. Allora decisero di far scegliere ai cittadini. Poseidone donò loro del sale e un toro promettendo il suo aiuto in battaglia. Atena, invece, offrì un bellissimo ulivo e promise agli abitanti saggezza, intelligenza e pace. E i cittadini scelsero quest’ultima, chiamando così Atene la loro città».

«Bravo. È così che è andata. Per questo Atene è destinata a dominare il mondo conquistandolo con la sua sapienza e la sua bellezza» disse Pericle, mentre Lorenzo era già a buon punto con il ritratto dell’uomo, raffigurato con alle spalle il Partenone in costruzione.

«Si dice che alla fine dei lavori l’Acropoli costerà l’incredibile somma di 2000 talenti. Non le sembra una cifra esagerata?» chiese Camilla senza troppi complimenti.

«La ricostruzione dell’Acropoli e l’edificazione del Partenone, che sarà il tempio più bello mai visto, rappresentano la chiusura di una dolorosissima ferita causata dai Persiani che hanno saccheggiato, bruciato e distrutto questa città. Atene si è sacrificata per sconfiggere l’esercito di Serse ed è giusto che i suoi cittadini e quelli delle città alleate contribuiscano alla nascita della più bella e imponente Acropoli del mondo».

«A questa impresa collabora anche Sparta?»

«Come ti viene in mente ragazza mia? Qualche anno fa con Sparta abbiamo firmato una specie di pace, ma non credo che durerà a lungo. L’altra notte ho fatto un sogno bruttissimo: Sparta ci attaccava, facendo così esplodere una lunga e sanguinosa guerra che incendiava tutto il Pelo-

ponneso. Mah! È che siamo troppo diversi, tante cose ci dividono» disse Pericle con preoccupazione.

«Per esempio?» chiese Camilla che trascriveva tutto quello che diceva il suo celebre intervistato.

«Innanzitutto l’educazione dei giovani. Loro vogliono che i ragazzi diventino tutti guerrieri. Per carità, in questo compito riescono benissimo. Non sarò certo io a negarlo. Tutti sanno che cosa sono stati capaci di fare alle Termopili, guidati dal grande Leonida, un vero eroe. Ma niente poesia, niente arte, niente musica per i giovani spartani, solo addestramento militare. Ecco, mentre Sparta è una grande caserma, Atene è un’opera d’arte in cui gli uomini vivono nella democrazia, quindi liberi».

«Gli uomini, non le donne!» esclamò con un tono di sfida Camilla, che non aspettava altro che una buona occasione per approfondire l’argomento.

«Avevi ragione Sofocle. È proprio una ragazzina impertinente» disse Pericle sorridendo all’amico. «Ma non ho paura di risponderti. Hai ragione Camilla, alle nostre donne sono vietate tante cose. Sono destinate solo ai lavori domestici, che però non vanno sottovalutati. Filare, tessere, organizzare il lavoro delle schiave e soprattutto allevare

i figli. Le donne ateniesi hanno anche un loro regno, il gineceo» rispose Pericle.

«Una magra consolazione» ribatté senza timori la giornalista di punta della Gazzetta di Clio, sotto lo sguardo ammirato di Lorenzo, che aveva terminato il ritratto, e di Adriano, che stava seguendo incantato tutta l’intervista.

«Non stanno certo meglio le donne spartane!» esclamò l’uomo più potente di Atene. Il più abile politico della storia greca, il politico capace di primeggiare alle assemblee popolari, era stato messo in difficoltà da una ragazzina. «In quella città» continuò Pericle, «il loro valore è legato solo alla loro capacità di procreare figli adatti alla guerra. Se possono curare il loro corpo, se possono allenarsi e gareggiare è solo perché così pensano di dare alla loro città soldati sempre più forti».

«Lei che rapporto ha con le donne?» chiese Camilla, mostrando con questa domanda di essere una giornalista davvero di talento.

«Quello che ti posso dire è che cosa provo per la mia donna, Aspasia. Io la amo, la ammiro, la rispetto, le sono fedele, ascolto i suoi consigli. È una donna meravigliosa, ma la nostra storia è stata spesso criticata, perché lei non è di Atene,

ma di Mileto. E questa diffidenza verso di lei mi è sempre sembrata una grande ingiustizia» ammise con onestà il grande Pericle.

L’intervista era finita. Il silenzio che si era creato dopo quella ultima risposta così sincera lo testimoniava.

Per fortuna arrivò qualcosa a rompere quella specie di imbarazzo: un vassoio colmo di frittelle ancora calde, ripiene di noci e miele d’acacia.

«Sono le mie preferite, ragazzi. Avanti, fatemi compagnia!» e tutti e cinque, ridendo e scherzando, come fanno i veri amici, mangiarono insieme, sporcandosi golosamente le dita e le labbra, all’ombra del Partenone in costruzione.

Al termine della merenda erano rimaste tre o quattro frittelle che Lorenzo si affrettò a nascondere nelle tasche della sua tunica.

Nessuno ci fece caso, essendo tutti intenti a salutarsi.

«Buon viaggio ragazzi!» disse Pericle «Che Zeus vi protegga!»

«Siate prudenti!» aggiunse Sofocle.

E i due tornarono a discutere della grandezza di Atene.

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