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cap.2 • Adriano e il sidecar magico
Capitolo 2
Adriano e il sidecar magico
«Hai sentito che cosa ha detto la maestra Martina?» domandò Lorenzo all’uscita della riunione.
«Certamente! Il nostro articolo sarà il pezzo forte del giornale. Non sei contento?» rispose Camilla.
«Sì, ma quanta responsabilità! Se non dovessimo vincere il premio, tutti se la prenderanno con noi» osservò il ragazzo preoccupato.
«Tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene. Però…»
«Però?»
«Sarebbe bello intervistarlo veramente quel Pericle. Allora sì che sbalordiremmo tutti» disse
Camilla.
«Ah ah ah ah! Questa è bella. Dimmi tu come fai a intervistare una persona vissuta 2500 anni fa?» domandò divertito Lorenzo pensando che l’amica scherzasse.
Ma Camilla non scherzava affatto. «Mi è venuta un’idea geniale!» esclamò.
«Quale?»
«Te lo dirò domani. Ora devo scappare. Sono già in ritardo per la lezione di danza moderna».
«Come domani? Dimmelo ora, ti prego. Mi dai ai nervi quando fai così…» la supplicò inutilmente Lorenzo. «Così intelligente, così graziosa, ma così imprevedibile…» sospirò, mentre l’amica scompariva imboccando via Dei Ciclamini, una traversa di viale Delle Rose.
Quello era il quartiere più bello della città. Non il più ricco, ma sicuramente il più bello. Innanzitutto per i nomi delle strade, tutti ispirati ai fiori: orchidee, papaveri, viole, girasoli, narcisi e così via. Poi perché, forse proprio a causa di questo, gli abitanti avevano il pollice verde: insomma, con le piante ci sapevano proprio fare.
I balconi, le terrazze, i giardini, le aiuole pubbliche e private, erano talmente ben curati, rigogliosi, splendenti di mille colori in tutte le stagio-
ni, che il quartiere dava l’impressione di un posto davvero speciale. E probabilmente lo era, perché quella bellezza e quei profumi inebrianti infondevano nelle persone una serenità e una gioia che davano loro la forza di affrontare le dure prove della vita con coraggio ed entusiasmo.
Di questo godevano anche i più piccoli, i quali sembravano avere una marcia in più rispetto al resto dei loro coetanei che vivevano in centro.
Nei loro occhi, nei loro sguardi, c’erano un guizzo, una luce e un’intelligenza particolari. Ecco perché, negli anni, la scuola primaria di viale Delle Rose, anche per merito di maestre originali e preparate come Martina, era diventata famosa in tutta la provincia. Così, ogni volta che si svolgeva una competizione tra scuole, come per esempio un torneo di ping-pong, una gara teatrale o una competizione di cucina tra ragazzi, era sempre quella da battere.
Camilla lo sapeva molto bene e non aveva nessuna voglia di smentire la fama del suo istituto. Per questo diceva sul serio quando aveva prospettato a Lorenzo un’intervista a Pericle in carne e ossa. Infatti, quel pomeriggio, invece di andare alla lezione di danza moderna, si diresse decisa verso l’abitazione di chi avrebbe potuto aiutarla
a realizzare quell’incredibile progetto.
Adriano abitava in via Delle Azalee, una strada che si perdeva quasi nella campagna. Proprio dove la via asfaltata lasciava il posto a un sentiero di terra e pietre, si trovava una villetta molto carina, circondata da un muro di cinta in mattoni rossi.
Lì Adriano, orfano dall’età di tre anni, abitava con i nonni: Giacinto, uno strambo ingegnere in pensione, e Margherita, una casalinga con la passione per la musica e per i dolci. Per questo, chiunque si avvicinasse a quella casa, era accolto sempre dal profumo di crostate, biscotti, meringhe e dall’armonia di una pianola.
Così fu pure quel pomeriggio e a Camilla piacque tanto quell’atmosfera.
Adriano, un ragazzo di dodici anni alto, magro, con un ciuffo di capelli castani che gli tormentava sempre il naso, perennemente vestito con tuta e scarpe da ginnastica, era considerato da tutti una specie di genio, un piccolo scienziato che di certo aveva ereditato la passione per le invenzioni dal nonno Giacinto. Appena rientrava da scuola si precipitava, a volte inseguito dalla nonna che con una coscia di pollo in mano lo scongiurava di mangiare qualcosa, nel garage di casa, uno
spazio che era diventato il suo laboratorio, la sua officina.
Fu lì che Camilla lo trovò intento ad armeggiare intorno a un fiammante sidecar rosso. La ragazza la riconobbe. Era proprio quella la moto di cui aveva sentito parlare in giro, capace addirittura di viaggiare nel tempo. Nessuno credeva che Adriano fosse riuscito in una simile impresa. Camilla, invece, non aveva dubbi sui poteri di quella motocicletta. Un po’ perché era convinta della straordinaria intelligenza di Adriano, un po’ perché, a essere sincera, quel ragazzo così solitario, geniale
e a volte burbero e scontroso, le piaceva. Così si fece coraggio.
«Ciao Adriano! Posso entrare?» chiese la ragazza, non prima di essersi aggiustata i capelli. Adriano voltò distrattamente lo sguardo verso Camilla mostrando di non gradire quella visita.
«Ah, sei tu? Non ti aspettavo. Scusa, ma ho molto da fare…» disse il ragazzo, senza smettere di mettere a punto il carburatore di quella strana moto.
Un comportamento così poco galante non era dovuto a una particolare antipatia nei confronti di Camilla, bensì al fatto che Adriano non sopportava che estranei ficcassero il naso nel suo laboratorio; e per estranei intendeva tutti tranne il nonno. Quello era il suo mondo, il luogo dove prendevano vita le sue creature delle quali era gelosissimo. Come di quel sidecar che, almeno nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto portarlo a spasso nel tempo.
Questo Camilla lo sapeva bene. Quindi entrò in punta di piedi, usando la massima delicatezza e mostrando grande ammirazione e rispetto per quel regno dell’invenzione e per il suo re.
«Ti chiedo scusa se ti disturbo mentre lavori. So che non ti piace. Non l’avrei mai fatto se non si fosse trattato di un caso davvero eccezionale. È in gioco il nome della scuola primaria di viale
Delle Rose, della maestra Martina, di tutti noi…»
Solo a quel punto Adriano interruppe il suo lavoro, appoggiò sul sellino del sidecar pinza e chiave inglese e, dopo aver scostato il ciuffo dal naso con un soffio secco e preciso, sussurrò: «Di che si tratta?»
Camilla spiegò velocemente, ma per bene, come stavano le cose: la gara tra giornalini scolastici, l’antica Grecia e l’opportunità di intervistare di persona Pericle.
Adriano ascoltò per nulla stupito la richiesta della ragazza. Ci pensò su per un paio di minuti, poi disse deciso: «No!»
Camilla rimase zitta per qualche istante, poi sbottò: «Perché no? Me lo spieghi per favore? Vai dicendo in giro che la scuola di viale Delle Rose è stata la tua famiglia, che la maestra Martina è per te come una seconda mamma e poi, quando ti si chiede di fare qualcosa per noi ti rifiuti senza dare spiegazioni».
La sfuriata di Camilla irritò molto Adriano, il quale non aveva di certo intenzione di starsene zitto. Tuttavia non ebbe il tempo di reagire perché la ragazza si rese conto di aver esagerato e tornò alla dolcezza precedente. «Scusa scusa scusa… Ho sbagliato, perdonami, non volevo dire le
cose che ho detto, ma spiegami almeno perché non vuoi aiutarci».
«Intanto smettila di parlare a nome degli altri. La scuola di viale Delle Rose, la maestra Martina… questa cosa interessa solo te. Sono convinto che nessuno ti abbia suggerito di venire a chiedere il mio aiuto. È stata sicuramente una tua iniziativa. Inoltre non sono certo che la mia invenzione funzioni» continuò guardando con ammirazione e affetto il suo sidecar rosso, «potrebbe essere troppo pericoloso. Potremmo non partire o peggio ancora raggiungere qualche epoca remota e non riuscire a tornare».
«Io invece sono convinta che funzionerà benissimo! È vero che è stata una mia iniziativa, ma alla fine, se dovessimo vincere, vinceremmo tutti!» esclamò solennemente Camilla.
Colpito dall’interesse della ragazza, Adriano cambiò espressione. Dalla luce che emanavano i suoi occhi si capiva che qualcosa gli frullava nella mente. Qualcosa che gli stava molto a cuore. Esitò un attimo e infine le chiese: «E io che cosa ci guadagno?»
Camilla, che a dire il vero si era stufata di pregarlo, anche perché non era proprio abituata a supplicare, tagliò corto.
«Sputa il rospo. Che cosa vuoi in cambio?» disse con le mani sui fianchi in segno di sfida.
«Kitty. In cambio mi presenterai Kitty, quella della V B!»
Camilla sapeva benissimo chi fosse quella Kitty. Non c’era certo bisogno di specificare la classe che frequentava. Al solo sentire pronunciare quel nome a Camilla, per il nervosismo, le si drizzavano tutti i capelli in testa. Non aveva mai sopportato quella ragazza così bella, gentile, educata, perfino brava a scuola e soprattutto tanto corteggiata da tutti, in particolare dai ragazzi che piacevano anche a lei. Camilla passava le notti a cercare di trovarle dei difetti, ma niente. Sembrava davvero una creatura perfetta.
No, non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non avrebbe mai presentato Kitty ad Adriano. Che poi, quale Kitty? Il suo vero nome era Caterina che, non si sa per quale motivo, era stato trasformato in un suono così cinematografico e chic.
«Mai!»
E senza aggiungere altro, se non uno sguardo di fuoco lanciato verso Adriano, uscì dal garage.
Poi, di colpo, immaginò una scena agghiacciante: Kitty sorride compiaciuta alla notizia
dell’assegnazione del premio di giornalismo alla scuola rivale di via De Amicis e sussurra alle sue amiche: «Se l’intervista a Pericle l’avessi scritta io di sicuro avremmo vinto. Purtroppo non ho tempo per il giornale. La danza classica mi impegna troppo. L’ho detto anche alla maestra Martina, che si è così dispiaciuta…»
Fu come se una forza misteriosa la trattenesse impedendole di muovere i piedi e quindi di uscire da quel giardinetto. Allora capì che non avrebbe potuto fare altrimenti. Si voltò, respirò profondamente, contò fino a dieci e tornò da Adriano.
«Accetto! Ma solo per il buon nome della nostra scuola e per l’affetto che mi lega alla maestra Martina».
«Certo, certo…» annuì sorridendo il ragazzo.
E la mano sporca di grasso di Adriano strinse quella bianca e profumata di Camilla, proprio mentre nonna Margherita arrivava con un piatto pieno di fette di crostata ai frutti di bosco.