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L’aria buona
Ibambini hanno bisogno di aria pura, di spaziare in mezzo alla natura, e la salute tanto ci guadagna se si respira aria buona in montagna. Questo del dottore fu il consiglio, per la buona salute di ogni figlio, a Marcovaldo che, poverino, non possedeva neanche un quattrino. Magari l’aiuola della piazza o di un grattacielo la terrazza, chiese se fosse la soluzione per una sana e robusta costituzione. Ma il dottore rispose chiaro e tondo che l’unico posto di aria buona al mondo è la natura, i monti, i prati, il mare e i bimbi lì si devono portare. Un sabato di una magnifica giornata, Marcovaldo pensò di fare una passeggiata, prese i suoi tre ometti e la bambina e li condusse su una verde collina.
Il tragitto era lungo e complicato; presero, allora, un tram affollato e i bambini non vedevano niente, solo le gambe di tutta quella gente. Giunti alla fermata tanto attesa, ebbero davvero una gran sorpresa: sembrava quasi che un astronauta li avesse portati su un altro pianeta. Era appena giunta la primavera e intorno c’era tutta un’altra atmosfera: gli alberi in fiore, un tiepido sole, i bimbi rimasero senza parole. Poi continuarono le sorprese: che strano posto era quel paese! Le vie fatte a scale e i muri senza tetto che recintavano un giardino o un boschetto. “Sono case per gli alberi?” chiese Teresina, era stralunata la povera bambina; Michelino, anche lui poco convinto, era intento a sbirciare oltre il recinto.
Marcovaldo ebbe la bella sensazione di perdere quel suo pesante alone fatto di muffa, di polvere e di tosse e le gote dei bimbi gli parvero più rosse. Incitava i bambini a respirare, quell’aria buona non era da sprecare, ma era per loro una cosa sconosciuta, perciò pensarono andasse masticata.
“Non sa di niente!” gridarono in coro, e, come non avessero fatto altro in vita loro, rotolarono sull’erba morbida e vellutata, piena di fiori e molto profumata. La sera arrivò tutto d’un tratto, ma di ritirarsi non avevano voglia affatto; a tutti prese la malinconia, perché non volevano più andare via. Michelino espresse il desiderio di stare lì per sempre per davvero, ma Marcovaldo spiegò che era inopportuno perché in quel posto non ci stava nessuno. A quel punto venne contraddetto dall’avanzata di uno strano gruppetto: erano uomini più o meno anziani che parevano vestiti coi pigiami. Uno di loro gli chiese con curiosità come andasse la vita giù in città, perché da mesi stava lì in altura per seguire del medico la cura. Eran finiti lì per rimediare ai danni che la città aveva fatto loro in tanti anni; pareva un luogo idilliaco e celestiale, ma era, invece, un tristissimo ospedale. Marcovaldo perse di vista i suoi bambini che credeva gli fossero vicini, ma quel malato l’aveva distratto e non li trovò più tutto d’un tratto. Scrutando intorno vide un ciliegio e intorno gli uomini con il pigiama grigio: coi loro lunghi e ricurvi bastoni, coglievano coi bambini i frutti buoni. Di colpo a Marcovaldo venne fretta: “Andiamo via! La mamma ci aspetta!”, ma i bambini, di foglie incoronati, gustavano i frutti dalle mani dei ricoverati. Preoccupato, con voce più severa, ribadì che era ormai calata la sera: Marcovaldo disse ai bambini di ringraziare perché era giunta l’ora di tornare. Per i bimbi la giornata in quel luogo era stato il più piacevole svago, ma quei signori fragili e malati, a stare lì, invece, erano obbligati. Triste e noioso diventa ogni posto se sei costretto a starci ad ogni costo: la libertà di muoversi e spaziare è un bisogno vitale ed essenziale.