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La cura delle vespe
L’inverno lascia guai e acciacchi a quegli stanchi e poveri vecchi che, con le ossa infreddolite, ora han dolori per l’artrite. Stava Marcovaldo sulla panchina a guardar nascere una fogliolina, mentre un vecchietto tutto indolenzito come ogni dì vicino a lui si era seduto. Voleva scaldarsi con quel primo sole per dare sollievo alla schiena che duole e Marcovaldo, per tirargli su il morale, gli disse di quanto sua moglie stesse male. Di Isolina, sua figlia maggiore, gli parlò pure e del suo fastidioso dolore: la poveretta, non certo anziana, sembrava crescesse per nulla sana. Svolgendo, poi, il foglio di giornale che conteneva il suo pasto frugale, lo passò al suo vicino sofferente che di leggerlo aspettava impaziente. Pure se era di due anni prima, lo leggeva come se fosse uscito la mattina, con interesse e gran curiosità: apprendeva notizie vecchie come fossero novità. Così quel giorno trovò tra le tante una notizia davvero interessante: in quell’articolo, infatti, si asseriva che il veleno delle api dai reumatismi guariva. Marcovaldo, sempre ottimista, pensò che l’anziano avesse avuto una svista e che fosse il miele, in verità, ad avere quelle prodigiose proprietà. Ma il vecchietto lo invitò a controllare: stava scritto che il veleno fa guarire, proprio quello del pungiglione, dei reumatismi, diceva, è soluzione. Marcovaldo, stupito e affascinato, reputò, quindi, di avere trovato il modo giusto per fare del bene e avere anche le tasche più piene. Così smanioso e tutto contento, voleva fare l’esperimento e da quel dì si mise a osservare tutte le vespe che vedeva volare.
Con questo studio attento e profondo scoprì un vespaio dentro ad un tronco, e con astuzia e grande bravura con un barattolo compì la cattura. Il povero vecchio era esitante, ma Marcovaldo proprio per niente, perciò con fare deciso ed esperto, gli poggiò ai lombi il barattolo aperto. Con una botta energica e lesta, diede la giusta spinta alla vespa che sfrecciò avanti e piantò il pungiglione dove c’era bisogno di medicazione. Gridò al miracolo Marcovaldo, quando il nonnetto scattò agile e baldo, urlava insulti e maledizioni, però compiendo acrobatiche evoluzioni.
La voce si sparse in un batter d’occhi tra i doloranti giovani e vecchi e Marcovaldo, davanti alla porta, ebbe una fila impaziente e contorta. Avevano pure provato la cura la figlia Isolina e la sua signora, perfino lui stesso, con automedicazione, si fece questa insolita iniezione. La cura ebbe un successo sorprendente e la scorta di vespe non era sufficiente: così i figli maschi, di barattoli armati, andarono a caccia di insetti isolati. Però Michelino, frettoloso e incosciente, per farne un bottino fu davvero imprudente: il barattolo finì nella bocca del vespaio e per ripescarlo combinò un grosso guaio. Uno sciame infuriato, come nuvola nera, avanzava e pareva fumo di ciminiera: il bambino, nel mezzo, saettava per le vie e i passanti pensarono a chissà quali diavolerie. Un bambino che scappa, scappa a casa sicuro, Michelino lo fece come fosse un siluro ed entrò come fulmine con lo sciame appresso, ci si può immaginare quel che dopo è successo. I pazienti in attesa si muovevano con agilità, scansavano le vespe saltando di qua e di là; arrivarono i pompieri e poi la Croce Rossa, il dolore per le punture superò quello alle ossa. Povero Marcovaldo gonfio e sfigurato, sulla branda in ospedale veniva insultato da tutta la clientela con lui ricoverata, ma in fondo anche questa se l’era meritata. È prodigiosa Madre Natura, assai generosa e può essere cura, ma se la inquieti, la disturbi, la sfrutti, sono problemi e dolori per tutti.