3 minute read

Marcovaldo al supermarket

Next Article
L’aria buona

L’aria buona

Durante il giorno tutta la popolazione era presa dalla smania di produzione, poi, come scattasse un interruttore, smetteva di produrre e tutti giù a consumare. Alle sei della sera il fiume di consumatori, finito di lavorare, si riversava fuori e un’interminabile fila avanzava agitata ognuno mosso da altrui gomitata. Una di queste sere di consumo ad oltranza, Marcovaldo portò in giro moglie e figliolanza, ma, siccome non aveva un solo quattrino, non poteva comprare nemmeno un salamino. Però era lo stesso piacevole e divertente vedere fare spese tutta quella gente: decise quindi di portarli al supermercato, un luogo che lo aveva sempre affascinato. Ognuno lì spingeva contento il suo carrello, riempiendolo fino all’orlo di questo e quello: anche Marcovaldo volle provar l’ebrezza, e così prese un carrello con naturalezza. Pure Domitilla e i suoi quattro bambini si misero a spingere quei grandi cestini, e uno dietro l’altro, come in processione, se la spassavano in questo luogo di attrazione. Tra i banchi stipati di prodotti alimentari facevano percorsi lineari e circolari, indicando formaggi, biscotti e cioccolate, come riconoscessero persone tanto amate. Se hai il carrello vuoto e gli altri sono pieni, ti prende un’invidia che non ti trattieni; allora Marcovaldo, con gesto incontrollato, prese una scatola dopo essersi allontanato. Lontano dalla vista della sua famiglia, si lasciò andare e si unì a quel piglia piglia, per riempire anche lui il suo carrello e godere un po’ di quel momento bello. Il sugo, gli spaghetti e i ditali, poi avrebbe rimesso tutto negli scaffali: fingendo di essere come tutte quelle persone, avrebbe provato gratis quella sensazione. Guai se i bambini lo avessero scoperto! Perciò Marcovaldo avanzava circospetto; e, con il carrello colmo di mercanzia, arrivò a un tratto dove finiva la corsia.

Si ritrovò da solo col carrello straripante in una situazione a dir poco sconfortante: con tutti questi giri finì dritto alla cassa, così iniziò a correre a testa bassa.

Vide Domitilla proprio in quel momento che spingeva un carrello pieno da spavento e coi carrelli carichi come bastimenti, arrivarono a uno a uno pure i figli contenti. Gli altoparlanti intimavano ai consumatori di affrettarsi alla cassa e recarsi fuori: il supermercato era in chiusura e Marcovaldo stava morendo di paura. Era il momento di disfarsi di quel carico, seppure con tantissimo rammarico: riposero a casaccio la mercanzia, a volte pure nel carrello di chi andava via. Privarsi di tutto senza averlo assaporato era un dolore che non può esser sopportato: perciò lasciavano un barattolo di maionese e ne prendevano uno di pesto alla genovese. Così facendo i carrelli erano sempre pieni ed era un continuo, interminabile andirivieni, un salire e scendere per le scale rotanti: sembravano bestie in gabbia scalpitanti. Ad un tratto, oltrepassarono un’apertura e si trovarono su un’altissima impalcatura: sotto s’apriva la città di luci sfavillante e con quel peso la struttura era traballante. Dal buio avanzò un’ombra gigantesca con un’enorme bocca a dir poco animalesca che sporgeva da un lungo collo di metallo: era una gru, su un robusto piedistallo. Si calò su di loro e si fermò alla loro altezza e a Marcovaldo sembrò l’unica salvezza, rovesciare dentro quelle fauci di metallo tutta la merce che era dentro il suo carrello.

Fecero lo stesso Domitilla e i bambini e la gru ingoiò in un lampo i loro bottini; tirò indietro la testa e si girò dall’altra parte: sotto era tutto un gioco di luminose scritte. Insegne multicolori a intermittenza sono l’invito a comprare in abbondanza: ma a chi come Marcovaldo non ha denaro rendono lo stare al mondo ancor più amaro.

This article is from: