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La città tutta per lui

Tutti i mesi dell’anno, tranne uno, la città era perfetta per ognuno: offriva tutto quanto si può desiderare, c’era di tutto per potersela spassare. Ma per Marcovaldo non era lo stesso, saper cosa ne pensasse era però complesso, primo perché non era affatto comunicativo, poi, il suo parere non era per niente decisivo. A un certo punto, quando iniziava agosto, il sentimento generale era opposto: la città non piaceva più a nessuno e il desiderio di lasciarla prendeva ognuno. Al quindici del mese la città era deserta e Marcovaldo, solo, ne andava alla scoperta. Uscì a camminare per il centro di mattina e tutto era diverso da come era prima. Finalmente il suo sogno divenne realtà: vivere a suo modo tutta quanta la città. Si sentiva di essa il padrone e vedeva tutto da un’altra angolazione. Le vie come fiumi in secca o brughiere, le case come montagne o pareti di scogliere: era una città diversa e se guardavi oltre, vedevi un altro mondo sotto la sua coltre.

Era in balia di insoliti abitatori che tutto a un tratto sbucavano fuori: rimasti nascosti per quel gran movimento, ora prendevano il sopravvento. Marcovaldo seguì una fila di formiche come se fossero delle care amiche, poi fu distratto da uno scarabeo volante e ancora da un lombrico zigzagante. Sull’insegna del negozio di tessuti c’era un gruppo di insetti assai minuti: farfalline di tarme lì schierate riposavano tranquille e indisturbate. Ma ad invadere piazze, strade e viali non erano soltanto gli animali: tutto quanto il mondo vegetale si espandeva in maniera inusuale.

La città era finita chissà dove, sembrava proprio di essere altrove. Così della segnaletica incurante, andava in giro godendosi ogni istante. Camminare sulla strada proprio in mezzo era per lui una gioia senza prezzo, ma, mentre sfarfallava a destra e a manca, un’auto, lanciata a cento all’ora, gli sfiorò l’anca. Marcovaldo balzò su e ricadde come un sacco, si rialzò con fatica e qualche acciacco e dall’auto pirata saltò fuori una compagnia di giovanotti presi da euforia. Il povero e sfortunato manovale credette che volessero fargli del male e che pensassero di dargli una lezione per quel suo camminar senza attenzione. I giovanotti erano armati di strani arnesi ed urlavano da entusiasmo presi; dicevano che finalmente avevano trovato l’uomo giusto per giorni cercato. Marcovaldo si sentiva spaesato, mentre da un tipo veniva intervistato: gli chiedeva come ci si sentisse in quel posto così deserto il giorno di ferragosto. Gli puntarono contro un riflettore che emetteva un accecante bagliore: pareva d’essere in un rovente forno con quelle luci puntate tutte intorno. Insomma, gli fecero un’intervista e venne preso, poi, alla sprovvista, quando gli chiesero se fosse propenso a dar loro una mano, con giusto compenso. La piazza era piena di grandi furgoni, macchine da presa e baracconi e squadre di uomini affaccendati a ciondolar di qua e di là tutti sudati. All’improvviso arrivò un macchinone da dove scese una star della televisione ed il regista diede subito le direttive per realizzare le riprese televisive. A Marcovaldo fu data l’incombenza di spostare un riflettore all’occorrenza. La città di sempre, con quel caos tremendo, aveva dissolto un sogno in un momento. A volte è solo un grande desiderio che fa vedere ciò che non è del tutto vero e può donare, ad intermittenza, una più lieve e gradevole esistenza.

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