Costituzione e cittadinanza, dizionario ragionato per lemmi e questioni

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Cittadinanza

DIZIONARIO Città/cittadino/cittadinanza I termini “cittadino” e “cittadinanza” hanno, in italiano, due diverse sfumature di significato, proprio come ce le ha la parola “città” da cui derivano. In frasi come “La metropolitana attraversa tutta la città” e “Allo stadio era radunata l’intera città”, il termine “città” esprime due concetti differenti: nel primo caso indica un luogo fisico, fatto di abitazioni ed edifici; nel secondo si riferisce a coloro che vi abitano. Tale ambiguità mancava nella lingua latina, che usava due termini diversi: urbs per intendere la città come luogo fisico e civitas per indicare la città come comunità di individui. Il vocabolo urbs sopravvive nella lingua in termini di uso tecnico (urbano, inurbamento, urbanistica ecc.). Da civitas derivano invece le parole “città”, “cittadino” e “cittadinanza”. Esse presentano due livelli di significati: a. la città come luogo fisico, cittadini come coloro che vi abitano e cittadinanza come insieme dei cittadini; b. la città come comunità di persone, per cui “cittadinanza” indica l’appartenenza a tale comunità, mentre “cittadini” sono coloro che ne fanno parte.

Cittadinanza europea Il Trattato di Maastricht nel 1992 ha istituito la cittadinanza europea, sotto la forma di una “cittadinanza duale” o duplice: è considerato cittadino dell’Unione «chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro» (art. 17 del Trattato). In questo modo la condizione di cittadino nazionale viene collegata inscindibilmente a quella di cittadino europeo. Apparentemente non vi è una vera innovazione: il punto di partenza rimane quello delle singole cittadinanze nazionali. Ma alcuni elementi della nuova cittadinanza europea superano la visione tradizionale della cittadinanza. In particolare il Trattato consente ai cittadini europei, resi-

denti in uno Stato diverso da quello di cui abbiano la cittadinanza nazionale, di votare alle elezioni comunali locali e alle elezioni europee nello Stato in cui risiedono.

Cittadinanza italiana Per la legge n. 91 del 1992 (che sostituisce la legge n. 555 del 1912) la cittadinanza italiana si acquisisce automaticamente: a. per filiazione (ius sanguinis o “diritto di sangue”, in virtù del quale il figlio nato da padre italiano o madre italiana è cittadino italiano, ovunque sia nato); b. per nascita sul territorio italiano (ius soli o “diritto di suolo”, se i genitori sono ignoti o apolidi, cioè privi di cittadinanza, oppure se i genitori stranieri non trasmettono la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di appartenenza o se il minore è stato rinvenuto in una condizione di abbandono sul territorio italiano); c. per adozione durante la minore età della persona. Secondo la medesima legge, la cittadinanza italiana si può acquisire su domanda: a. per beneficio di legge, se si è nati nel territorio italiano da genitori stranieri e qui si risiede legalmente e ininterrottamente fino alla maggiore età, oppure se si è maggiorenni, nati in un altro Stato e riconosciuti da genitori italiani; b. per matrimonio con cittadino/a italiano/a, in presenza di tutti i seguenti requisiti: residenza legale in Italia per un periodo di almeno 2 anni dopo il matrimonio; iscrizione/ trascrizione del matrimonio in Italia sui registri di stato civile; assenza di condanne penali nei casi indicati dalla legge; assenza di impedimenti connessi alla sicurezza nazionale.

Nazione La parola designa un gruppo umano unito da comuni origini, che abita un comune territorio e ha un’iden-

tità culturale comune in cui si riconosce. L’idea di nazione nacque già nel Settecento, ma gli illuministi non la enfatizzarono, diversamente dai romantici ottocenteschi. Mentre gli illuministi avevano infatti valorizzato ciò che unisce gli uomini (per loro l’uomo è un “cittadino del mondo”, secondo l’ideale del cosmopolitismo), i romantici sottolinearono le diversità che sussistono tra gli individui, tra i gruppi umani e quindi tra le singole nazioni. Per loro la nazione è un’unità di etnia, lingua, usanze e religione; è una sorta di organismo vivente, che comprende la totalità di un popolo animato dal proprio peculiare “spirito” e che abita in una zona delimitata da precisi confini. Teorico di questa idea di nazione fu il filosofo tedesco J.G. Fichte (1762-1814) nei suoi Discorsi alla nazione tedesca (1807-08). Di conseguenza, nell’Ottocento nacque il nazionalismo, una visione che sosteneva il diritto delle nazioni di organizzarsi liberamente in Stati nazionali. Ogni popolo doveva avere il proprio Stato. Scaturirono da questa idea le varie lotte di liberazione, i “risorgimenti” nazionali: quello italiano portò la penisola a unirsi politicamente e a conquistare la libertà dai dominatori austriaci. Successivamente, il nazionalismo si unì all’idea di aggressione ed espansione a danno di altre nazioni. L’idea di nazione fu allora sottoposta a critica: lo storico francese Ernest Renan (Che cos’è una nazione?, 1882) sottolineò che il concetto romantico di nazione era in gran parte un’astrazione, visto che in realtà in ogni nazione sussistono elementi, spesso forti, di diversità locale ed etnica. In sostanza, furono gli Stati europei dell’Ottocento, per giustificare se stessi, a “creare” in qualche modo la nazione, secondo il motto attribuito a Massimo D’Azeglio all’indomani dell’unità italiana (1861): «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani».

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