Theriaké
GALENICA /4 Preparazioni ad uso veterinario di Carlo Squillario
ICONOGRAFIA CRISTIANA: LA NATIVITÀ NELLA STORIA DELL’ARTE (I parte) di Rodolfo Papa
DIVINA AUREA LITURGIA SUL MONTE REALE di Ciro Lomonte
COS’È L’OPERA D’ARTE? Il linguaggio dell’arte oggi di Domenico Di Vincenzo
LA SCOPERTA DELLA VITAMINA B2 di Giusi Sanci
RIVISTA BIMESTRALE Anno V n. 41 Settembre - Ottobre 2022 Theriaké [online]: ISSN 2724-0509
Responsabile della redazione e del progetto gra1ico:
Ignazio Nocera Redazione:
Valeria Ciotta, Elisa Drago, Rossella Giordano, Christian Intorre, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Francesco Montaperto, Carmen Naccarato, Silvia Nocera, Giusi Sanci.
Contatti: theriake@email.it
Theriaké via Giovanni XXIII 90/92, 92100 Agrigento (AG).
In copertina:
Duomo di Monreale (PA), mosaici del catino absidale e del presbiterio. Foto di Domenico DiVincenzo.
Questo numero è stato chiuso in redazione il 20 – 10 – 2022
In questo numero:
Domenico Di Vincenzo, Ciro Lomonte, Rodolfo Papa, Giusi Sanci, Carlo Squillario.
Collaboratori:
Pasquale Alba, Giuseppina Amato, Carmelo Baio, Francisco J. Ballesta, Vincenzo Balzani, Francesca Baratta, Renzo Belli, Irina Bembel, Paolo Berretta, Mariano Bizzarri, Elisabetta Bolzan, Paolo Bongiorno, Samuela Boni, Giulia Bovassi, C. V. Giovanni Maria Bruno, Paola Brusa, Lorenzo Camarda, Fabio Caradonna, Carmen Carbone, Alberto Carrara LC, Letizia Cascio, Matteo Collura, Alex Cremonesi, Salvatore Crisafulli, Fausto D'Alessandro, Gabriella Daporto, Gero De Marco, Irene De Pellegrini, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù , Gaetano Di Lascio, Danila Di Majo, Claudio Distefano, Clelia Distefano, Vita Di Stefano, Domenico DiVincenzo, Carmela Fimognari, Luca Matteo Galliano, Fonso Genchi, Carla Gentile, Laura Gerli, Mario Giuffrida, Andrew Gould, Giulia Greco, Giuliano Guzzo, Ylenia Ingrasciotta, Maria Beatrice Iozzino, Valentina Isgrò , Pinella Laudani, Anastasia Valentina Liga, Vincenzo Lombino, Ciro Lomonte, Roberta Lupoli, Irene Luzio, Erika Mallarini, Diego Mammo Zagarella, Giuseppe Mannino, Massimo Martino, Carmelo Montagna, Giovanni Noto, Roberta Paci]ici, Roberta Palumbo, Rodolfo Papa, Marco Parente, Fabio Persano, Simona Pichini, Irene Pignata, Annalisa Pitino, Valentina Pitruzzella, Renzo Puccetti, Carlo Ranaudo, Lorenzo Ravetto Enri, Salvatore Sciacca, Luigi Sciangula, Alfredo Silvano, Carlo Squillario, Pierluigi Strippoli, Gianluca Tri]irò , Emidia Vagnoni, Elena Vecchioni, Fabio Venturella, Margherita Venturi, Fabrizio G. Verruso, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello.
6 Delle Arti ICONOGRAFIA CRISTIANA: LA NATIVITÀ NELLA STORIA DELL’ARTE (I parte) 30 Apotheca & Storia LA SCOPERTA DELLA VITAMINA B2 24 Cultura COS’È L’OPERA D’ARTE? Il linguaggio dell’arte oggi 16 Cultura DIVINA AUREA LITURGIA SUL MONTE REALE 4 Medicamentum fiat secundum artem GALENICA /4 Preparazioni ad uso veterinario Sommario Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 2022 3
Galenica /4
Preparazioni ad uso veterinario
Carlo Squillario*
Ciao a tutti e ben ritrovati a questo nuovo appunta mento. Oggi parliamo (e lo dice anche il titolo) di preparazioni ad uso veterinario. Si stanno diffonden do sempre di più anche perché non sempre l’indu stria riesce a soddisfare le richieste, ma soprattutto le casistiche particolari che ci sono sulla faccia della terra. Passiamo dai gatti di 1 kg a quelli di 10; da cani di 2-3 kg ai terranova da 80-90 kg. Per non parlare anche dei grandi animali. E noi possiamo aiutare enormemente i veterinari. Soprattutto negli animali di piccola taglia. Oppure cerchiamo soluzioni per aiutare a somministrare il farmaco più facilmente all’”amico peloso”. Ma veniamo a noi. Cosa in concre to possiamo fare in laboratorio? Sicuramente le cap sule ma anche paste appetibili, sospensioni, capsule apribili e gel transdermici.
Andiamo per gradi:
CAPSULE: sicuramente la forma farmaceutica più usata. Si allestiscono capsule di tilosina (un antibioti co della famiglia dei macrolidi), di sildenaXil a dosag gi che dipendono appunto dal peso dell’animale (5-815-30) ecc.
Ma le capsule possono aprirsi ed ecco che possono diventare delle crocchette appetibili con l’aggiunta di determinati componenti e aromi.
PASTE APPETIBILI: si crea appositamente in labora torio la pasta che può essere idroXila o lipoXila, si ag giunge l’aroma che più aggrada l’animale e inXine il principio attivo. Questa forma farmaceutica è tra le predilette dai felini in quanto sono veramente ostici.
SOSPENSIONI: si possono creare dal nulla le basi sospendenti con gomma xantano o carbossimetilcel lulosa, oppure si possono utilizzare le basi pronte che le ditte farmaceutiche formulano apposta con studi di stabilità dichiarati.
GEL TRANSDERMICI: ho accennato nella scorsa puntata al gel di poloxamer, un polimero che geliXica a temperatura ambiente mentre in ambiente freddo torna liquido. Ma se lo uniamo in una particolare emulsione con la lecitina di soia e l’isopropil palmita to, ecco che si crea quello che viene chiamato pluro
nic lecithin orga nogel o più sem plicemente PLO. Questa emulsio ne permette di veicolare attra verso il derma svariati principi attivi, primo tra tutti il metima zolo. Molti gatti non gradiscono la terapia orale ed ecco che hanno scoperto e testato questo medici nale che viene applicato sull’orecchio interno del gatto con un massaggio permettendone l’assorbi mento e la conseguente cura.
Ma purtroppo non sono tutte rose e Xiori. Infatti il veterinario, che potrebbe tranquillamente prescrive re il galenico che al 90% è più economico del farma co industriale, ha le mani legate dalla cosiddetta “ca scata prescrittiva”. Il veterinario cioè deve seguire questa classiXica per la prescrizione:
1) medicinale veterinario registrato per quella specie
2) medicinale veterinario registrato per altra specie
3) medicinale ad uso umano
4) preparazione galenica
Questi ultimi tre punti sono deXiniti prescrizioni in deroga. E se non la seguono rischiano sanzioni e ri chiami.
Ma c’è una cosa che possiamo fare noi farmacisti: informazione ai veterinari. Se noi ci presentiamo e presentiamo bene la galenica faremo una bella Xigura. Mi raccomando però : bisogna fare le cose bene. Vi chiedete sempre: questo farmaco che sto facendo lo prenderei io? E in questo caso: lo darei al mio amico a quattro zampe? Se la risposta è sı̀ allora procedete. Se la risposta è no, lasciate perdere. W la galenica!
Medicamentum fiat secundum artem
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*Farmacista. Facebook: https://www.facebook.com/preparazionigaleniche Instagram: https://www.instagram.com/farma cia_squillario/
Per info: accademiaurbanadellearti@gmail.com e su Whatsapp 348 7123383
Iconogra(ia cristiana: la Natività nella storia dell’arte (I parte)
Rodolfo Papa
Per un percorso iconogra?ico ed iconolo gico sul tema della Natività nella storia dell’arte, prenderò come punto di par tenza un’opera poco nota, ma molto interessante, ovvero la lunetta in stucco rappresentante una Natività, databile presumibilmente intorno alla metà del Quattrocento, opera di Bartolomeo Bellano [1], allievo diretto e collaboratore di Donatello, restaurata nei primi anni del nuovo secolo [2].
L’opera è presente a Cento, un comune della provin cia di Ferrara, a partire dalla metà circa del secondo decennio del Cinquecento, intorno al 1516-1517 [3]. La devozione fu subito tale da renderla immediata mente popolare [4] ?ino a giungere, un secolo più tardi, esattamente il 4 giugno 1606, alla sua incoro nazione da parte di monsignor Giulio Cesare Segni [5], in una celebrazione solenne al cospetto di tutto il clero, le confraternite, gli ordini religiosi e il popolo [6].
Gli scarni dati storici ci consentono di ricostruire questo percorso che da un ambito artistico e cultura le di primo piano, quale la bottega di Donatello [7], conduce direttamente a Cento.
L’opera riesce ancora a sorprendere, soprattutto per la cura estrema con la quale è realizzata e per la composizione equilibratissima che rappresenta. La grande cura per il dettaglio e la complessa composi zione dello spazio sorprendono ancor più se si con sidera che la lunetta è realizzata in un materiale di sponibile alla replica, adatto cioè per la produzione di copie uguali. Anche per queste sue caratteristiche l’opera, sicuramente pensata da Donatello e realizza ta da uno dei suoi migliori allievi, come lavoro di bot tega o come derivazione da un disegno o da un boz zetto perduto, è testimonianza di un nuovo prodotto artistico, capace d’incontrare il gusto colto e raf?inato del pubblico e di porsi in diretta concorrenza con le novità che intorno alla metà del Quattrocento veni vano introdotte dalla bottega dei Della Robbia [8].
La struttura compositiva cosı̀ interessante ha portato in passato molti studiosi a collocare l’esemplare più famoso, ovvero il rilievo in stucco policromo conser
vato al Museo Bardini, e di conseguenza tutta la serie oggi nota, nel catalogo delle opere di Donatello [9]. Nella lunetta del Bellano, Maria è collocata al centro della composizione, posta di tre quarti, ha le mani giunte e guarda verso la sua sinistra in basso, con il capo un poco reclino; subito sotto sta Gesù bambino che, adagiato su di una sporgenza rocciosa, con la mano sinistra regge una mela e con la destra afferra il manto della Vergine. Tra Maria e Gesù , sporgono le teste di un asino e di un bue, che si protende verso il bambino, con una ghirlanda sulla testa, tra le corna. Giuseppe, in basso alla destra di Maria, sporgente da dietro una roccia, con le mani che afferrano quest’ul tima, protende il volto e lo sguardo verso l’infante. La struttura piramidale, costruita dalle ?igure, è pre cisissima e delicata nel medesimo tempo; si possono evidenziare linee non immediatamente percepibili ma che, ad un occhio allenato, rivelano una geome tria compositiva complessa e ?inissima, che è ulterio re prova dell’ipotizzata in?luenza del maestro Dona tello sull’allievo. Infatti, risulta costruito un naturale punto di vista spostato rispetto all’asse centrale che
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Figura 1. Bartolomeo Bellano, Natività . Stucco policromo, 1450-1499, Museo Bardini, Firenze.
Delle Arti
Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e ?ilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assem blea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della Ponti?icia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittori che nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti.
docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Cultura ia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; Ponti?icia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo Ponti?icio Regina Apostolorum).
Tra i suoi scritti si contano circa venti monogra?ie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società ”; “Rogate Ergo”; “Theriaké ” ).
Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE.
Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kaza kistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Pan?ilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)
propone un immediato "sotto in su", determinando cosı̀ uno sviluppo tridimensionale che risulta accen tuato se l’osservatore è collocato in basso a sinistra. Questo ideale punto di vista, infatti, migliora la visio ne dell’opera e nel contempo ne ampli?ica le qualità prospettiche, risolvendo anche quel che a prima vista può sembrare un errore di proporzioni tra la testa di san Giuseppe e quella un poco più grande di Maria [10]. Dunque, questa piccola pala d’altare viene pen sata per essere vista dal basso, per essere cioè collo cata in luogo posto più in alto del riguardante. In questo modo viene facilitato l’adeguamento ottico alla costruzione prospettica cosicché , dal giusto pun to di vista, la visione consenta la realizzazione di una “rappresentazione interiore” [11] nell’anima del fe dele, ovvero ciascuno possa diventare realmente un astante e intimamente partecipare allo svolgi mento del sacro evento.
La complessit à della composizione veicola un contenuto solo apparen temente semplice. Non si tratta di una immagi ne univoca, tutta spiega ta dalla lettera del titolo, ma è un’opera d’arte capace di porre in essere una circolarità di senso e di signi?icato [12] molto profonda, dai molteplici ri mandi, che affondano in una cultura che sa essere enciclopedica, e cioè sa porre in circolo il sapere.
do ?isso sul bambino? Qual è il luogo nel quale la sce na si svolge? Maria ha le mani giunte e il suo capo è reclinato verso i due animali astanti: che cosa vuole dire quel gesto e cosa signi?ica il gruppo dei tre a ?ianco di Gesù bambino? Cosa rappresentano il bue e l’asinello? Perché il Bambino afferra con la mano de stra il manto della Vergine, mentre nella sinistra por ta una mela?
In questa piccola Natività , cosı̀ cara alla devozione popolare, vi sono innumerevoli rimandi tematici ed iconogra?ici che occorre almeno in parte rintracciare e analizzare per cercare di spiegare quello che la stessa devozione popolare probabilmente afferrava e comprendeva nel proprio cuore semplice. Occorre anche, per quanto è possibile, cercare di dipanare e insieme di ?issare alcune componenti che rimandano a quei segni che, sedi mentati, compongono la tradizione di quella stes sa iconogra?ia.
«Nel linguaggio artistico cristiano, e in modo speciale in quello occidentale e latino, esiste una tradizione artistica di vere e proprie immagini-acustiche, che non solo sono capaci di tradurre immagini letterarie, ma anche di proporre delle invenzioni tali da divenire esegesi figurative dei testi sacri»
L’opera rappresenta senz’altro una Natività, ma il tema iconogra?ico, già di per sé complesso, è svolto con originale profondità .
Lo stucco non è semplice come a un primo sguardo potrebbe apparire, anzi fa sorgere alcune domande che impongono una corretta lettura iconologica. Perché il bue ha una ghirlanda tra le corna? Perché
Giuseppe sta aggrappato ad una roccia con lo sguar
Ogni composizione e ogni suo segno si muovono contemporaneamente su più piani, abbracciando più signi?icati, utilizzando spesso la medesima solu zione, oppure proponen do soluzioni formalmente diverse ma di identica ?ina lità . Nel linguaggio artistico cristiano, e in modo spe ciale in quello occidentale e latino, esiste una tradi zione artistica di vere e proprie immagini-acustiche [13], che non solo sono capaci di tradurre immagini letterarie, ma anche di proporre delle invenzioni tali da divenire esegesi 2igurative [14] dei testi sacri. Nei Vangeli è narrato dell’arrivo della Sacra Famiglia a Betlemme e della dif?icoltà nel trovare un alloggio per la notte. Luca afferma che «non c’era posto per essi nell’albergo» [15]. Il termine greco “tò katàluma” indica l’albergo, che in realtà doveva essere un cara
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vanserraglio più o meno come l’odierno “khan” pale stinese, ovvero un luogo a cielo aperto, recinto da un muro piuttosto alto e fornito di una sola porta d’ac cesso. Eo evidente che in un simile luogo, “per essi”, nelle condizioni in cui si trovava Maria, non poteva esserci posto: ne occorreva uno più appartato. E su tale luogo il racconto evangelico dà alcuni indizi: «E avvenne che, mentre essi erano colà , si compirono i giorni per il parto di lei, e partorı̀ il suo primogenito, e lo fasciò e lo pose in una mangiatoia» [16]. L’e spressione “anéklinen autòn en fàtne”, cioè lo pose a giacere in una mangiatoia, rivela che la scena avviene in una stalla. La stalla esige, secondo le costumanze d’allora, una grotta, una piccola caverna, scavata sul ?ianco di qualche collinetta nei pressi del villaggio. Esiste però anche una tradizione che vuole interpre tare la stalla evangelica come una capanna di legno e paglia, come vediamo per esempio rappresentato da Giotto nella Natività e nell’Adorazione dei Magi nella cappella degli Scrovegni a Padova.
Molte delle notizie storiche sulla stalla della natività come grotta provengono dalla testimonianza di san Gerolamo. Egli, narrando il progetto di paganizzazio ne dei luoghi cristiani messo in atto a partire dall’im peratore Adriano, esprime il proprio dolore perché «nella grotta dove un tempo Cristo vagı̀ bambino era pianto l’amante di Venere». Nei pressi era stato infat ti, piantato un bosco dedicato al culto di AdoneTammuz, che rimarrà ?ino a quando Costantino nel 325 edi?icherà sulla grotta una grande basilica, ri sparmiata dall’invasione persiana del 614 e ancora oggi esistente.
La caverna, il bosco, il tempio, la chiesa sono elemen ti che descrivono il luogo della natività e che ricorro
no nelle rappresentazioni pittoriche proprio di San Gerolamo eremita. Pisanello e/o Bono da Ferrara nella tavola conservata alla National Gallery di Lon dra collocano San Gerolamo seduto presso delle roc ce, con lo sguardo che lambisce un boschetto, e una chiesa sullo sfondo; Piero della Francesca nella tavola di Berlino lo pone dentro un bosco solcato da un ?iume, e tra gli alberi sembra d’intravedere un edi?i cio antico; Andrea Mantegna lo rappresenta peniten te tra alberi e ruderi di edi?ici antichi (National Galle ry, Washington) oppure presso delle rocce accanto a
Delle Arti 8 Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 2022 Figura 2. Giotto. A sinistra: Natività. A destra: Adorazione dei Magi. 1303-1305 ca., Cappella degli Scrovegni, Padova.
Figura 3.
Pisanello e/o Bono da Ferrara, S. Girolamo, 1440 ca.,
National Gallery, Londra.
un bosco (San Paolo, Museo de Arte). Il tema del San Gerolamo penitente nel deserto risulta per noi inte ressante proprio per la connotazione geogra?ica (Be tlemme) e per la rappresentazione topogra?ica dei luoghi santi: l’edi?icio pagano, il boschetto dedicato al culto di Adone-Tammuz, le rocce-caverne, la chiesa edi?icata da Costantino, il corso d’acqua delle descri zioni mistiche dei Padri della Chiesa.
E proprio in questi termini è descritta dalla tradizio ne pittorica l’ambientazione della natività di Gesù Un bellissimo esempio è costituito dalla Natività di Cristo con due Angeli e i Santi Bernardo e Tommaso d’Aquino dipinta da Francesco di Giorgio Martini (Siena, Pinacoteca Nazionale): il presepe è ambienta to presso una struttura naturale-architettonica che sintetizza la grotta e la capanna, sovrastante il rudere di un tempio antico circolare, ovvero il tempio di Adone-Tammuz. Nella Madonna delle Cave del Man tegna (Firenze, Uf?izi) possiamo addirittura indivi duare il momento della costruzione del tempio, che fa piangere di amarezza Gerolamo. Impropriamente, infatti, si è parlato di “cave”, addirittura identi?icate con quelle di Carrara: sembra iconogra?icamente più corretto supporre che Mantegna abbia voluto rap presentare la natività nel suo proprio luogo, antici pando però già gli effetti della reazione pagana.
Del resto, ?in dai primi secoli la natività è rappresen tata nel luogo della grotta come è possibile vedere nel riquadro inferiore sinistro della Coperta del cofa netto [17] proveniente dal Sancta Sanctorum latera nense, realizzata intorno al VI secolo e conservata nei Musei Vaticani o ancora nel ciclo di affreschi di S. Maria foris portas a Castelseprio [18]. In seguito, invece, in un altro contesto culturale la scena della natività è rappresentata in luogo architet tonico de?inito e inserito in un ambiente urbano, come per esempio nella Tavoletta in avorio, rappre sentante la natività e la fuga in Egitto (1084-5 c.), conservata oggi nel Museo diocesano di Salerno [19]. Ma nel Quattrocento, in area ?iorentina, la scena della natività ha la prerogativa di essere inserita in un con testo non urbano, con la tendenza a riferirsi a una grotta o a un luogo naturale, oppure a un luogo di sintesi tra architettura e natura, come possiamo ve dere, per esempio, nella Natività di Cristo con adora zione dei pastori e venuta dei Magi realizzata da Ghir landaio per la Cappella Sassetti nella chiesa di Santa Trinita a Firenze nel 1485 e anche nell’affresco della Natività realizzato da Baldovinetti nel 1460-1462, nella Chiesa della Santissima Annunziata anch’essa a Firenze.
Delle Arti 9Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 2022
Figura 4. A sinistra: Piero della Francesca, S. Girolamo penitente, 1450, Gemä
ldegalerie, Berlino. A destra: Andrea Mantegna, S. Girolamo, 1475 ca., National Gallery of Art, Washington DC.
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Angeli e i Santi Bernardo e Tommaso d’Aquino, 1475, Pinacoteca Nazionale, Siena.
Figura 6. Andrea Mantegna, Madonna delle Cave, 1488-90, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Figura 9. “Avori salernitani”, tavoletta della Natività e della Fuga in Egitto, particolare della Natività. Museo Diocesano, Salerno.
Figura 7. Reliquiario in legno dipinto con scene della vita di Cristo. Siria o Palestina, VI sec., dal “Tesoro” della Cappella del Sancta Sanctorum in Laterano, Musei Vaticani, Città del Vaticano.
Figura 8. Maestro di Castelseprio, Natività, 850-890 ca., Affreschi del catino absidale della Chiesa di S. Maria Foris Portas, Castelseprio, (Varese).
Nell’opera di Ghirlandaio l’elemento architettonico antiquario ha il compito di ricostruire non solo il tempo storico in cui i fatti evangelici sono narrati [20], ma anche di alludere indirettamente a quello che in quel luogo accadde durante la persecuzione cristiana al tempo dell’imperatore Adriano, cosı̀ come ci è tramandato dalle fonti storiche; rappresen ta, infatti, una capanna che al posto di pali lignei ha due pilastri in ordine composito, evidente allusione alla Chiesa nascente [21].
Nell’affresco di Baldovinetti, invece, l’elemento archi tettonico è rappresentato da un rudere che, posto sopra un’altura in un contesto rupestre, diviene “casa” [22], allusa semplicemente con una tettoia
posticcia tra tre mura che non sorreggono più il tetto ormai crollato.
Ma è nella predella della pala d’altare in terra cotta invetriata dedicata all’Incoronazione della Vergine, eseguita da Andrea della Robbia per la basilica del l’Osservanza a Siena nel 1474 circa, in un ambiente, quale quello francescano [23], culturalmente e spiri tualmente impostato ad uno sviluppo “topogra?ico” [24] della pratica devozionale, che vediamo esplici tamente rappresentata la grotta come luogo nel qua le si svolge la scena della natività
. Questa imposta zione compositiva rimanda in modo evidente alla scelta che Donatello/Bellano operano nel descrivere l’ambientazione della natività . Notiamo infatti, la presenza di tutti gli elementi e tutti dotati del mede
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Figura 10. Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, 1485, Cappella Sassetti, Chiesa di Santa Trinita, Firenze.
simo signi?icato, con l’eccezione però del Bambino che non riposa nella mangiatoia; soprattutto diverso è il carattere meno narrativo e più icastico della composizione, che nella scelta di Donatello/Bellano appare sospesa, capace di evocare maggiormente l’elemento contemplativo, in quanto immagine isola ta e decontestualizzata da una descrizione analitica dell’intorno. Per queste caratteristiche la Natività di Cento ripropone quel tipo di opere che tendono più all’astrazione mistica che al dato narrativo, come nel caso eminente della Natività mistica del carmelitano fra Filippino Lippi realizzata nel 1445 circa per la famiglia Medici, oggi conservata alla Gemä ldegalerie di Berlino; quest’opera si propone come una medita zione sul tema dell’Incarnazione, ponendo al centro il gruppo di Maria e di Gesù bambino, in modo da indi care il rapporto diretto tra Maria e l’eucaristia, se condo l’importantissima tradizione mistica mutuata direttamente dalle Rivelazioni di santa Brigida di Svezia [25] e, parallelamente, dal misticismo ?ioren
tino dei domenicani beato Giovanni Dominici e san t’Antonino Pierozzi, i quali insegnavano che il cristia no devoto può e deve identi?icarsi con Maria Vergine, coltivando in se stesso un giardino dell’anima in cui Cristo nascerà [26].
Questo elemento “mistico” non rimane isolato, anzi circola abbondantemente nel patrimonio comune dell’iconogra?ia delle botteghe artistiche, e offre mol te opere che, se non correttamente inquadrate in questa spiritualità , rischiano di essere fraintese sem plicemente come “eccentriche”; questo è il caso, per esempio, della Natività mistica realizzata da Sandro Botticelli nel 1501, oggi conservata alla National Gal lery di Londra. Quest’opera ripropone la medesima iconogra?ia della Vergine inginocchiata che, con le mani giunte, adora il bambino, tema che lo stesso Botticelli aveva già affrontato in maniera più esplicita nella Madonna in adorazione del Bambino con san Giovannino oggi nel Museo Civico di Piacenza, ripro ponendo direttamente la visione mistica proposta da
Delle Arti Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 202212 Figura 11. Alesso Baldovinetti, Adorazione dei pastori, 1460, Chiostro dei Voti, Basilica della Santissima Annunziata, Firenze.
fra Filippo Lippi. Nella Natività mistica è lo stesso Botticelli, con una scritta in greco moderno posta direttamente sulla tela, a darci la chiave di lettura, facendo esplicito riferimento all’Apocalisse di san Giovanni, nella quale si narra di una tribolazione che terminerà con l’incatenazione e precipitazione del Demonio e la realizzazione di un tempo di pace [27]. Questo dipinto appartiene alla tipologia devozionale e nel medesimo tempo realizza la rappresentazione
di un ex voto, si presenta cioè come la proiezione di un af?idamento nell’attesa del tempo messianico. Tutto questo aiuta a comprendere come il fatto che nella Natività di Cento il luogo non sia totalmente rappresentato, ma solo alluso da un piccolo sperone di roccia al quale Giuseppe si aggrappa, non signi?ica che il contesto narrativo sia ridotto a puro elemento decorativo, ma signi?ica invece lo spostamento del luogo stesso su un altro piano, di ordine mistico. La
Delle Arti Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 2022 13 Figura 12. Filippo Lippi, Adorazione del Bambino di Palazzo Medici, 1458-1460, Gemä ldegalerie, Berlino.
Figura 13. Sandro Botticelli, Natività mistica, 1501, National Gallery, Londra.
composizione è concentrata sugli elementi essenziali per allestire un’immagine che non corre sul piano della narrazione, ma su quello della rappresentazio ne mistica (segue).
Bibliografia e note
1. Riguardo l’attribuzione: cfr. Sarchi A., Nativià, in AA.VV., Sculptores - Opere scelte della Collezione Fornaro Gaggio li. sec. XIV-XVII, Catalogo della mostra, Bologna 2005, pp. 26-29; Ead., Sculture antiche (e prodigiose) tra Pieve e Cento, in Sculture a Cento e a Pieve tra XV e XIX secolo, a cura di Lorenzini L., Cento 2005, pp. 33-38; Krann V., Studien zur Paduaner Plastik des Quattrocento (Beitrage zur Kunstwissenschaft), Mü nchen 1988; Donatello e i Suoi: scultura 2iorentina del primo rinascimento, Catalo go a cura di Phipps Darr A. e Bonsanti G., Milano - Firen ze 1986: cfr. la scheda n. 45 di Herzner V. sulla "Natività " del Museo Bardini, p. 158.
2. Cfr. Gentilini C. (a cura di), La Madonna del Presepe. Da Donatello a Guercino, Minerva edizioni, Bologna 2007.
3. «Si vuole che la famiglia Vigorosi di Pieve di Cento rega lasse alla Contarini [Domitilla Contarini, monaca agosti niana] attorno al 1516 un bassorilievo di stucco poli cromo, rappresentante la Madonna del Presepio… Que sta sacra immagine, il 24 aprile 1517, risultava già collo cata in un altare della chiesa di Santa Caterina» Luigi R., Il popolo e la chiesa dei santi Sebastiano e Rocco nella Cento di Borgo da Mattina, Cento 1987, p. 110.
4. «Che di lontano ancora vennero genti a venerare la detta Vergine del Presepio» Monteforti, Delle chiese e cose sacre della città di Cento e suo territorio…, s.d.
5. Fu richiesta in realtà la presenza dell’arcivescovo di Bologna, mons. Alfonso Paleotti (1531-1610) che es sendo molto anziano e malato inviò mons. Giulio Cesare
Segni. Eo interessante sottolineare che Alfonso Paleotti fu il redattore di un testo scienti?ico e nel contempo devo zionale sulla Sindone, che nel Cinquecento ebbe un’im mensa fortuna. Come il cugino Card. Gabriele Paleotti, anche Alfonso fu legato personalmente a san Filippo Neri, che ebbe come direttore spirituale e nel cui am biente pauperista crebbe. Paleotti A., Esplicitazione del lenzuolo ove fu involto il Signore… in Bologna, per gli eredi di Gio. Rossi _ con licenza dei Superiori _ 1599, ed. in anastatica, Torino 2001.
6. Cfr. Eubel K., Hierarchia sacra, II vol., Monasterii 1925 (seminario vescovile di Rieti).
7. Berti L., Cecchi A., Natali A., Donatello, Dossier n. 3, Giun ti, Firenze 1986; Paolucci A., Petrucci F., Donatello in san Lorenzo a Firenze, Bergamo 1995; AA.VV., Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattrocento e nel Cinquecento, Catalogo della mostra, Milano 2001; AA.VV., Opere scelte della collezione Fornaio Giaggioli, Catalogo della mostra, Bologna 2005.
8. Per questa interpretazione dell’oggetto artistico come “nuovo prodotto” immesso sul mercato dell’arte dalla bottega di Donatello, e quindi in seguito da Bellano, sono debitore delle illuminanti chiacchierate avute con Giancarlo Gentilini. Cfr. Gentilini G., I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, Firenze 1992; cfr. Collareta M., Un percorso coerente. Fortuna e sfortuna della scultura invetriata, in I Della Robbia e l’”arte della nuova” scultura invetriata, Firenze 1998, pp. 1-16.
9. Avery C., Donatello, Catalogo completo, Firenze 1991, p. 92. Vi sono poi pareri discordanti sull’attribuzione e datazione: cfr. J. Pope Hennessy, Some Donatello Pro blems, in Studies in the History of Art Dedicated to Wil liam E. Suida on His 80th Birthday, Londra 1959, pp. 4765; Rosenauer A., Donatello. L’opera completa, Milano 1993, cat. 70, p. 301.
10. Come del resto ha già notato Avery: «La composizione è destinata in particolare ad essere vista da destra e dal basso. Da tale punto di vista la testa e le mani di Giusep pe danno meno l’impressione di essere state applicate arti?iciosamente, e lo spazio immaginario del rilievo funziona meglio» Avery, op. cit., p. 92.
11. Per quanto riguarda il concetto di “rappresentazione interiore” come metodo di rappresentazione artistica connessa alla spiritualità , alla devozione e alla conce zione teologica delle opere d’arte nel Quattrocento, rimando ad alcuni miei scritti. Cfr. Papa R., Una rappre sentazione interiore. Il Cenacolo di Leonardo, “ArteDos sier”, n. 119, gennaio 1997, pp. 27-30; Id., Una epifania di pace. L’Adorazione dei Magi di Bramantino, “ArteDos sier”, n. 141, gennaio 1999; Id., Giuda, il disordine e la Grazia, in Leonardo Il Cenacolo, a cura di C. Pedretti, (Dossier n. 146), Giunti, Firenze 1999, pp. 32-43; Id., La prospettiva di Dio. Il Polittico di sant’Antonio di Piero della Francesca: l’Annunciazione, in “ArteDossier”, n.181, settembre 2002, pp. 36-41; Id., L’architettura del cielo. L’Incoronazione della Vergine di Francesco di Giorgio Martini, in “ArteDossier”, n. 196, gennaio 2004, pp. 30-36; Papa R., La città dipinta. La cappella Carafa di Filippino Lippi, in “Artedossier”, gennaio 2005 ; Id., I colori dello spirito. Capolavori dell’arte cristiana tra XIV e XVII secolo, Milano 2005.
12. Riguardo alla perdita, da parte della cultura contempo ranea, della immensa capacità immaginativa che la cri stianità aveva messo in campo nel corso dei secoli, Francesco Saracino cosı̀ si esprime: «Per alcuni decenni il cattolicesimo ha rischiato di diventare una religione del Libro. Prima della rivoluzione indotta al suo interno dall’informatica, il fattore di rinnovamento più rilevante nel mezzo secolo trascorso è stato l’improvvisa
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centralità assunta dalla Bibbia nell’esperienza dei cri stiani più consapevoli (quelli urbani e secolarizzati, per intenderci), dalle cui abitudini ha sloggiato gran parte degli investimenti di natura immaginativa e rituale che in precedenza vigoreggiavano senza contrasto». Saracino F., Il nome dipinto, Milano 2007, p. 9.
13. Riguardo questo concetto di immagine-acustica faccio riferimento al rapporto tra il testo di Jacopo Passivanti e la pittura di Andrea Bonaiuti cosı̀ mirabilmente esposto da E. Marino: cfr. Marino E., Santa Maria Novella e il suo spazio culturale, Pistia 1983, pp. 11-14.
14. Si fa qui riferimento ad una concezione dell’arte che è non solo debitrice del testo scritto ma che è essa stessa in grado di esporre una originale esegesi, capace cioè non solo di tradurre un testo ma di affermare, proprio in quanto immagine, qualcosa di nuovo su di esso. Faccio riferimento agli studi di F. Saracino che afferma «quasi mai si parla invece di esegesi ?igurativa della Bibbia, di artisti come esegeti» cfr. Saracino F., op. cit. p. 10. Relati vamente alla interpretazione dell’opera d’arte come testo teologico, faccio riferimento alla magistrale lettura in forma di meditazioni, che Giovanni Paolo II ha proposto della Cappella Sistina, indicando chiaramente e ?inalmen te la strada per una valutazione attenta dell’operato arti stico come ri?lessione profonda, e non semplicemente come valore estetico da fruire. Cfr. Giovanni Paolo II, Trittico romano, Città del Vaticano 2003. E per ultimo cfr. Papa R., Leonardo teologo, Milano 2006.
15. Lc 2, 7.
16. Lc 2, 6-7.
17. Questo manufatto artistico testimonia del complesso rapporto iconogra?ico che intercorre tra la ?igura di Maria e quella di Gesù . Infatti, Maria è inserita ben cinque volte nel percorso illustrato dalle sei scene della narrazione della vita Christi, e anche in luoghi dove la narrazione evangelica non parla della sua presenza, a riprova del fatto che l’assunto spirituale e devozionale di una imme desimazione tra la vita di Cristo e quella di Maria, rap presentata artisticamente dalla reazione emotiva della Madre a tutti gli eventi narrati dai Vangeli, non è il frutto tardivo della cultura devozionale rinascimentale e baroc ca, ma una acquisizione del pensiero cristiano, ?in dai primi secoli: il cofanetto è infatti del VI secolo.
18. Cfr. Romanini A.M., L’arte medioevale in Italia. Firenze 1988, Milano 2000, pp. 228-236.
19. Probabilmente la presenza del Ponte?ice a Salerno, in occasione della benedizione del Cattedrale ricostruita su stimolo del vescovo Alfano e con impegno economico di Roberto il Guiscardo, implica la dotazione di una cospi cua serie di tavolette in avorio con scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, fornendo cosı̀ una dimensione decorativa, carica di memorie paleocristiane e soprattut to romane, che doveva apparire assolutamente essenzia le, nel momento in cui l’edi?icio si trovava a svolgere funzioni equivalenti a quelle di cappella papale e di basi lica patriarcale. Si comprende in questo modo come il riferimento iconogra?ico rientri nel più complesso mondo delle “sacre rappresentazioni di tipo liturgico e semiliturgico”. Cfr. Cohen G., Le théâtre en France au Moyen Âge, Paris 1948; Cohen G., Anthologie du drama liturgique en France au Moyen Âge, Paris 1955; Leclercq J., Dévotion privée, piété populaire et liturgie au moyen âge, in Études de pastorale liturique, Paris 1944, pp. 149-183.
20.
La riscoperta dell’elemento antiquario non è prerogativa solo del Quattrocento, in quanto questa tensione alla romanità è peculiare di tutto lo sviluppo delle varie rina scenze culturali e politiche a partire almeno dal secolo VIII in Europa, ma ha uno sviluppo, che potremmo de?ini
re sistematico, entro il più complesso processo di riac quisizione del linguaggio artistico antico, dal XIII secolo in poi.
21. Sant’Agostino, parlando della Natività , pone un parallelo tra il corpo di Maria e la Chiesa: «Il beato Davide, parlan do di Cristo, dice nei Salmi: Pose la sua tenda per il sole e uscı̀ come uno sposo dalla stanza nuziale; esultò come un gigante (Sal. 18, 6). Oggi uscı̀ dal sacro talamo cioè dal nascosto e incorrotto interno delle beate viscere vergina li, si fece avanti il ?iglio della Vergine, sposo di vergine: ?iglio, dico, di Maria e sposo della Chiesa. A tutta la Chiesa infatti parlava l’Apostolo quando diceva: Vi ho promesso ad un unico sposo per presentarvi quale vergine casta a Cristo (2 Cor. 11, 2)» Agostino, Discorsi, vol. XXXIV, Roma 1989, D. 372-1.2, p. 495.
22. Il senso ed il signi?icato del luogo, cioè Betleem, è pro priamente quello di “casa del pane”, che nell’esegesi bi blica dei Padri della Chiesa diviene esplicito riferimento alla eucaristia cioè a Cristo stesso, che nasce dunque nel luogo il cui nome esplicita il senso dell’Incarnazione come la venuta del Salvatore.
23. Riguardo il particolare rapporto con l’ordine francescano, Giancarlo Gentilini afferma: «La religiosità affabile e la propensione narrativa e colloquiante presenti nei rilievi di Andrea, volte a ricercare un coinvolgimento emotivo e sentimentale che attraesse ed educasse il devoto spetta tore, appariva particolarmente adatta a illustrare gli orientamenti della spiritualità e dell’estetica francesca na» in Della Robbia, a cura di Gentilini G., Dossier n.134, Giunti, Firenze 1989, p. 24.
24. Si fa qui riferimento, entro la pratica devozionale delle sacre rappresentazioni, all’“invenzione” del “Presepe vivente” da parte di san Francesco, che ha in?luenzato la cultura europea a tal punto da stimolare la nascita di un’arte completamente rinnovata nei mezzi (nascita della prospettiva; teoria dei colori e delle ombre; teoria delle proporzioni ecc. ), al servizio di una proposta di spiritua lità per i laici, capace di coinvolgere totalmente il fedele in un percorso ?igurativo-spirituale. Riguardo questo tema, cfr. Papa R., I colori dello spirito, Milano 2005, pp. 313; Id., Il maestro di Isacco, in Dolz M., Papa R., Il volto del Padre, Milano 2004, pp. 76-89.
25. Santa Brigida, Sermo Angelicus, a cura di Ecklund S., (Samlingar utgiva av Svenska Fornskriftsaelskapet, Latin ska skrifter, VIII), Uppsala 1972. Santa Brigida ebbe la visione della Vergine Maria inginocchiata per terra ad adorare il Bambino che emanava una luce abbagliante.
26. Il domenicano Sant’Antonino (1389-1459) raccomanda addirittura di innalzare la propria anima alla condizione di “hortus conclusus”: “Sia resa l’anima come un ‘hortus conclusus’, nel quale non siano piantati faggi e querce, che producono frutti per gli animali, ma ?iori di rosa, gigli di vallata, viole e germogli profumati, come peschi e alberi che di tal maniera portano frutti soavi. Cosı̀ in un’anima siffatta siano rimeditati gli esempi dei martiri, dei confes sori, delle vergini, e come sono i ?iori, di tal maniera siano i germogli delle sante lezioni e parole, e i frutti delle ope re buone” Sant’Antonino, Summa Theologica, Verona, 1740 (ed. fotolitica a cura di Colosio I.), III, tit. XIV, cap. V, col. 657 a-b.
27. Botticelli scrive direttamente sul dipinto, in greco mo derno, una frase che tradotta recita: «Questo dipinto sulla ?ine dell’anno 1500 duranti i torbidi d’Italia io Alessandro dipinsi nel mezzo tempo dopo il tempo e al tempo del compimento dell’XI di San Giovanni, nel secondo del dolore dell’Apocalisse nella liberazione di tre anni e mezzo del diavolo; poi dovrà
essere incatenato e secondo il XII e noi lo vedremo precipitato come nel dipinto».
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Delle Arti
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Divina aurea liturgia sul Monte Reale
Ciro Lomonte
In soli vent’anni. Nella Chronica del notaio Riccardo di San Germano (XIII secolo), si indi ca il 1174 come anno di fondazione della cat tedrale di S. Maria la Nuova di Monreale e del l’annesso monastero benedettino. Nel 1176 l’abbazia doveva essere prossima al suo com pletamento, dato l’arrivo a Monreale il 20 marzo (al lora vigilia della festa di S. Benedetto) di ben cento monaci di Cava dei Tirreni.
Nello stesso 1176, il giorno dell’Assunzione di Maria, il re concede al monastero ulteriori privilegi, esen zioni e donazioni che per numero e importanza non hanno precedenti in Sicilia. ES a questo atto che po trebbero riferirsi sia il pannello musivo della dedica (con il re che offre a Maria un piccolo prototipo idea
lizzato dell’ediUicio) sia l’analoga scena scolpita su un capitello del chiostro (dove il modello ha tratti più aderenti al vero). In entrambe le rafUigurazioni il re, al pari di un alto dignitario ecclesiastico o di un im peratore d’Oriente, vi appare con abiti diaconali. Del resto i sovrani della Sicilia avevano ricevuto dai pon teUici la legazia apostolica, sin da Ruggero I, il Gran Conte. Il ripiano destinato al re nella cattedrale riservato alla sua sola persona, non alla famiglia è il luogo più alto e più degno del presbiterio. Dopo il 1176 viene ideato lo sterminato programma iconograUico musivo. Già nel 1182 il ponteUice Lucio III afferma che il tempio innalzato dal monarca sici liano è stato costruito «brevi tempore» e «dignum multa admiratione». Nel 1183 Lucio III con bolla Li
Cultura
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Figura 1. Vista riservata al sacerdote che levava lo sguardo verso l’alto dall’altare maggiore. Foto di Domenico DiVincenzo.
Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politi co, esperto in arte sacra.
Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano.
Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e soda lizio professionale.
Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice.
Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideUinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo.
Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Gri fone (attuale Arces) a Palermo.
Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma.
Nel 2017 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi. Si candida nuova mente nel 2022.
ES autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea.
Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).
cet Dominus crea la nuova arcidiocesi, a pochi passi da quella di Palermo ed eleva l’abate (per consuetu dine eletto dai propri confratelli) ad arcivescovo (ca rica assegnata per investitura papale).
Va rilevato che le attività del cantiere si collocano pressappoco fra il 1174 e il 1183, intervallo di tempo in cui vengono elargite la maggior parte delle dota zioni, donazioni e prerogative che assicurano al mo nastero numerosi introiti i quali, dopo la morte nel 1189 del benefattore e protettore Guglielmo, diven tano invece difUicili da riscuotere e gestire. ES lungo l’elenco di terre, feudi, casali, borghi e «castella» en trati in possesso dell’abate e arcivescovo di Monrea le, tra Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata.
IL SOGNO DI GUGLIELMO
Per comprendere appieno alcune decisioni di Gu glielmo II non si può prescindere dalla rivalità esisti ta tra i due più intimi consiglieri del re, l’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio e il cancelliere del regno Matteo d’Aiello. Quest’ultimo avrebbe difeso presso il re la causa di Monreale adoperandosi afUin ché il suo abate diventasse un vescovo metropolita e quindi un alleato al Uianco di Guglielmo. Le fonti coe ve documentano l’opposizione di Matteo alle nozze tra Costanza, zia di Guglielmo, e l’erede al trono im periale Enrico VI, palesemente sostenute a corte dal prelato palermitano.
Bisogna però cercare altrove le ragioni che spingono il monarca a costruire un complesso senza pari nel regno, costituito da una basilica lunga 102 metri cir
Figura 2. Soglio regale, sormontato dai mosaici con l’incoronazione divina di Guglielmo II in abiti diaconali. Foto di Domenico DiVincenzo.
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ca e larga quasi 40, rivestita quasi interamente di marmi e tessere musive a fondo oro (oltre 7.000 mq di mosaici), da un monastero notevole per dimensio ni ediUicato attorno ad un chiostro arricchito da 228 colonnine variamente intarsiate e scolpite, da mura e torri difensive e da altri ediUici di servizio tra cui un palazzo destinato ad ospitare la corte durante i suoi soggiorni a Monreale.
Tra i probabili obiettivi di Guglielmo: afUidare le se polture dinastiche alla cura dei religiosi che con i propri servizi liturgici avrebbero assicurato alla casa reale la protezione della Vergine, creare un opiUicio di cultura irradiatore di spiritualità cristiana in un terri torio a maggioranza musulmana con il duplice scopo di paciUicare la regione convertendo in maniera non violenta i non cristiani e di favorire in essa beneUiche ricadute economiche, aumentare il prestigio della corona in ambito internazionale.
In relazione alla particolare devozione del re verso la Vergine esiste una tradizione, testimoniata solo da fonti tardive, che narra del prodigioso ritrovamento del tesoro del proprio padre a seguito dell’apparizio ne in sogno della Madonna a Guglielmo II, appisolato, dopo una battuta di caccia, sotto un carrubo nel luo go destinato ad ospitare l’attuale cattedrale. Si tenga
conto che in Sicilia esistono migliaia di leggende le gate a tesori introvabili, le cosiddette truvature
L’ABATE E L’ARCIVESCOVO
La consacrazione della chiesa (con dedica alla Natività della Vergine) avvenne ad opera del cardina le Rodolfo Grosparmi, vescovo di Albano e legato del la Santa Sede, novant’anni dopo la costruzione, il 25 aprile 1267, anno scelto da alcuni studiosi come ter minus ante quem per datare gli ultimi lavori eseguiti nella chiesa, soprattutto quelli riguardanti i mosaici. Carlo d’Angiò era da poco subentrato a re Manfredi. L’evento va interpretato alla luce di uno spiacevole episodio di violenza intercorso tra benedettini e sa cerdoti secolari che aveva determinato in quell’anno la rinuncia al prestigioso titolo di arcivescovo di Monreale da parte di Gaufrido di Bellomonte e la scomunica di alcuni religiosi del monastero.
La cerimonia celebrata nel 1267, con dedica della chiesa alla Natività di Maria, assume i tratti di un rito espiatorio e non esclude che una precedente consa crazione possa essere avvenuta in cattedrale nel 1176, il giorno dell’Assunzione di Maria e alla pre senza del suo fondatore. Del resto se l’intitolazione con cui la chiesa viene quasi sempre citata nei docu menti (S. Maria la Nova) si armonizza con la festa
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Figura 3. Lunetta della Madonna Odigitria sovrastante l’ingresso. La scritta al di sotto è un’invocazione alla Beatissima Vergine Maria affinché interceda al cospetto di Dio in favore del re. Foto di Domenico DiVincenzo.
dell’8 settembre, una maggiore corrispondenza sim bolica sembra esserci con la solennità mariana del 15 agosto. La prima ci mostra la migliore creatura uscita dalle mani di Dio nel suo affacciarsi alla vita terrena. La seconda è relativa al momento in cui la Vergine rinasce alla vita eterna. Secondo una modalità diffusa sia in Oriente sia in Occidente nell’iconograUia me dievale del Transito di Maria la sua anima è rappre sentata con le sembianze di una neonata in fasce, in braccio al Cristo risorto. ES l’immagine di uno spirito che, liberatosi dalle spoglie mortali e rinato alla Vita, è pronto per la sua assunzione in cielo. Collocata al l’esterno, nel portico occidentale della cattedrale, la scena del Transitus Mariae (o Dormitio Virginis) face va parte a Monreale di un ciclo musivo dedicato ad episodi signiUicativi della vita della Vergine, destinato ad accogliere i fedeli, in connessione con i solenni riti d’ingresso, prima di varcare la grande porta bronzea realizzata da Bonanno Pisano nel 1185. Unitamente alla scritta che accompagna l’immagine dell’Odigitria posta sulla lunetta interna che sovrasta la porta, alla rafUigurazione della «Tutta Priva di Macchia» in trono collocata al centro dell’abside principale, all’intera successione dei volumi architettonici e all’orienta mento della chiesa che segue precise Uinalità biblico-
liturgiche, le considerazioni sopra esposte sono solo indizi importanti in direzione di una dedica all’As sunzione di Maria antecedente a quella della Natività della Vergine imposta nel 1267.
CAUTE RIFORME TRIDENTINE
A partire dalla seconda metà del Cinquecento, le ri costruzioni ex novo e le ristrutturazioni parziali ven gono giustiUicate dalla Riforma cattolica e dai relativi cambiamenti della liturgia che maturano all’interno delle sessioni del Concilio di Trento. Tuttavia gli in terventi attuati all’interno del Duomo di Monreale per tutto il Cinquecento sembrano improntati ad uno spirito più conservativo che innovatore.
AfUidato a partire dal 1561 da Alessandro Farnese al marmorario Baldassarre Massa, si situa in quegli anni il completo rifacimento della pavimentazione della navata maggiore, riprogettata e realizzata con lastre marmoree intarsiate, non secondo il gusto del l’epoca, ma ingrandendo opportunamente il motivo geometrico medievale del disegno pavimentale sito nel coro dell’ediUicio. Con le stesse intenzionalità progettuali Farnese si occupa del nuovo portico set tentrionale del duomo. Attraverso il reimpiego di colonne provenienti da un’altra struttura medievale
Cultura 19Theriaké [online]: ISSN 2724-0509 Anno V n. 41 – Settembre – Ottobre 2022
Figura 4. Il presbiterio e la navata centrale visti dall’altare maggiore. Foto di Domenico DiVincenzo.
del complesso, tale rifacimento (1547-1562) è desti nato a sostituire una precedente struttura ormai pe ricolante, chiamata nei documenti «pinnata» o atrio «ad latum dicti templi». I successori del card. Farnese, il quale in realtà aveva rinunciato soltanto alla giurisdizione spirituale di Monreale, non sono da meno. In un rapido elenco: sotto l’arcivescovo Ludovico I de Torres decisione di onorare il fondatore della cattedrale, Guglielmo II, ordinando la costruzione di un nuovo sepolcro da collocare alle spalle dell’altare nella tribuna maggiore, nei pressi di uno dei centri liturgici del l’ediUicio, e tentativo di recuperare ad un uso ap propriato la grande corte quadrangolare che pre cedeva il portico occidentale del duomo, detto del Paradiso, impiantandovi un giardino di agrumi secondo l’etimo del suo nome; durante il periodo retto da Ludovico II de Torres rivestimento marmoreo delle due navate laterali con a modello il pavimento farnesiano, eliminazio ne di altari ritenuti non appartenenti alla conUigu razione originaria dell’ediUico, restauro di pannelli musivi afUidato a Pietro Antonio Novelli (padre del più famoso Pietro), costruzione di una cappella dove conservare, sotto un ciborio, le reliquie di S. Castrenze (martire vissuto nel Medioevo), giunte a Monreale plausibilmente con l’arrivo dei Cavensi nel 1176, e inUine pubblicazione, sotto il nome del proprio segretario Gian Luigi Lello, di un’opera
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interamente dedicata alla descrizione e alla storia del duomo.
Destinata ad un ediUicio del XII secolo questa partico lare attenzione sorprende sia per la condivisa ostilità del periodo rivolta contro la maniera tedesca (gotica) e greca (bizantina), sia per i protagonisti coinvolti, alti prelati provenienti direttamente dalla curia ro mana. E ancora più insolito è il rispetto per la sua disposizione liturgica originaria scrupolosamente rilevata e inserita in una planimetria del complesso redatta nel 1590 circa, conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano. I dati restituiti dal raro documento ci permettono di ricostruire, con maggiore fedeltà , l’aspetto di quella complessa struttura (alte pareti marmoree, ambone, cappella del Battista, fonte bat tesimale, porta reale) che, sita tra l’aula e il presbite rio, viene mantenuta pressoché intatta per tutto il Cinquecento, una posizione che appare in contrasto con quanto stabilito dal Concilio di Trento.
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Figura 5.
Ritratto del Card. Ludovico de Torres. Foto di Domenico DiVincenzo.
Figura 6. Statua bronzea di S. Giovanni Battista, collocata su una colonna di porfido egiziano. Nel catino della nicchia, mosaico con il busto di S. Giovanni Battista. Foto di Domenico DiVincenzo.
Anche il Seicento registra trasformazioni rispettose, attuate al suo interno per volere dell’arcivescovo Los Cameros fra il 1656 e il 1668: lavaggio dei mosaici con il vino per metterne in risalto colori e lucentezza; riparazione dei tetti sostituendo nel presbiterio il rivestimento di piombo con tegole in terracotta smal tata e, poiché le navate soffrono per il «poco lume» a causa delle lamine di piombo traforate poste a prote zione delle Uinestre tra l’altro non «squarciate di den tro»; realizzazione degli sguinci e collocazione di la stre di vetro sorrette da telai di legno. Con il grande plauso dei contemporanei il chiarore dell’aula viene cosı̀ raddoppiato ma è probabile che il precedente Ulusso di luce fosse volutamente determinato con una intensità minore. Motivazioni di carattere cultuale determinano invece la decisione di Los Cameros di liberarsi degli arredi liturgici del XII secolo, ostacolo al corretto svolgersi delle funzioni religiose secondo le disposizioni tri dentine. Vengono cosı̀ smembrati l’ambone e la rela tiva scala, la sottostante cappella del Battista e tutti i setti murari rivestiti di marmo che, Uino ad una certa altezza, impedivano la continuità spaziale tra aula e presbiterio, continuità che viene invece sottolineata con la chiusura dei due archetti che lateralmente mettevano in comunicazione l’atrio del coro con le estremità delle due navatelle.
Colonne, capitelli, architravi, fregi, sculture, marmi, fonte battesimale, non vengono però dispersi o di strutti, perché reimpiegati in altre parti del duomo. Teoricamente la vecchia struttura avrebbe potuto essere ricomposta con facilità se molto del materiale elencato non fosse andato distrutto nell’incendio del 1811. Si sono salvati, perché collocati da Los Came ros nell’aula, in una nicchia ricavata nella parete me ridionale, soltanto il piccolo piedritto basamentale in porUido del fonte battesimale e il mosaico con il busto di San Giovanni Battista.
Episodi emblematici della sensibilità barocca, in grande sintonia con i criteri artistici del duomo nor manno (cinquecento anni dopo la sua fondazione), sono gli interventi dell’arcivescovo Giovanni Roano alla Uine del Seicento, in particolare la nuova Cappella del CrociUisso e la decorazione di protesis e diaconi con. Il numero sei, le citazioni bibliche, i simboli tra sformati in marmo coloratissimo e luminoso, rispon dono alla volontà catechetica di trasmettere la gioia della Rivelazione, la buona novella.
Quando verso il 1770 si ripresenta ancora una volta il problema del vecchio portico occidentale, si decide di abbatterlo completamente senza porsi problemi d’ordine liturgico o simbolico, sacriUicando al loro destino le vestigia dei mosaici medievali che ancora a quella data vi si trovano. Stretta fra due massicce torri la struttura si presentava ancora con i suoi tre
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Figura 7.
Mosaico di Cristo Pantocrator. Foto di Domenico DiVincenzo.
archi ad ogiva rialzati, poggianti su quattro colonne di dimensioni simili a quelle del portico settentriona le. Sopra era una zona che celava, rivolte verso l’in gresso, a destra e a sinistra dell’arco centrale, le Uigu re mosaicate degli arcangeli Gabriele e Michele e, in corrispondenza delle colonne poste alle estremità laterali, quelle di Balaam e di Isaia con le seguenti scritte: Orietur Stella ex Jacob la prima, Egredietur Virga de radice Jesse la seconda. Le immagini prepa ravano il fedele a quanto rappresentato sulle tre pa reti del portico: le scene relative alla vita di Maria e all’Infanzia del Cristo. Tale parte del duomo doveva costituire un efUicace preludio al racconto architetto nico e musivo del suo interno, narrazione complessa ed estesa quest’ultima, di cui le formelle bronzee della porta di Bonanno Pisano lı̀ collocata restitui scono una sintesi straordinaria.
La struttura attuale del portico, freddo esercizio di stile neorinascimentale è quella completamente ri fatta dopo il 1770 dalle fondamenta per volere del l’arcivescovo Testa.
DOPO L’INCENDIO I RESTAURI
Quando, nel 1811, il presbiterio del duomo viene devastato da un incendio, molti degli elementi origi nari del XII secolo sopravvivono ancora al suo inter no.
I marmi e i graniti provenienti dall’ambone, dalla cappella di S. Giovanni Battista e da altri arredi litur gici sono inglobati nelle strutture portanti dei lette rini degli organi o inseriti in altre parti dell’ediUicio, l’antico fonte battesimale serviva da acquasantiera per i monaci, le pavimentazioni, benché forse non tutte appartenenti al periodo di Guglielmo, sono co munque quelle realizzate nei secoli di vita del duo mo. Il soglio reale è intatto cosı̀ come il sepolcro di Guglielmo I voluto dal proprio Uiglio, protetto dal suo baldacchino sorretto da colonnine in porUido, e quasi integro è anche l’intero corpus di pannelli musivi con l’eccezione di limitate zone restaurate con tasselli ceramici tra Quattro e Cinquecento. Il fuoco distrug gerà quasi completamente i primi e causerà danni serissimi alle pavimentazioni, al soglio e ai sepolcri reali, ai registri musivi.
Si apre cosı̀ un cantiere di restauro che si protrae per tutto l’Ottocento e oltre, le cui vicende si intrecciano indissolubilmente con quelle degli studiosi che, so prattutto nella prima metà del secolo, giungono nu merosi nell’Isola attratti non soltanto dalle rovine antiche ma anche dai monumenti siculo normanni. In questo modo gli esiti del cantiere e le nuove teorie storiche, che contemporaneamente nascono in Euro pa intorno ai monumenti medievali, Uiniscono per alimentare un dibattito internazionale in cui gli ediUi
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Figura 8. Altare maggiore settecentesco in argento, opera di Louis Valadier (1726-1785). Foto di Domenico DiVincenzo.
ci dell’Isola acquistano un’importanza non se condaria. Tra gli anni Venti e Tren ta dell’Ottocento viene rifatta la carpenteria dei tetti completamente ri coperta poi da stesure di colore e dorature (18371838), ad imitazione di quelle precedentemente realizzate in stile nel presbiterio; si riaprono inoltre i due archetti dell’atrio del coro che erano stati chiusi a metà del XVII secolo; si ag giungono i rivestimenti a mosaico negli intradossi delle Uinestre (1837) e quello marmoreo in bas so (1839-1840), realiz zato su modello del lam bris presente nel presbi terio, laddove nessuna fonte storica ne testimo niava l’esistenza. Resa omogenea al presbiterio, l’aula non lo preannun cia in un rapporto gerar chico come alle origini. Il ripristino basato su ipo tesi storiograUiche sem bra cos ı̀ precedere di molti anni le teorizza zioni sul restauro di Eugè ne-Emmanuel Viol let-le-Duc. Nel 1846 viene ultimato il nuovo soglio vescovile interamente realizzato secondo il carattere me dievale dell’ediUicio. Non è questa la sua sede ori ginaria. Del resto l’attua le altare, sollevato su gradini, è settecentesco, mentre la mensa eucari stica originaria era in realtà una struttura sem plice posta ad un livello molto più basso, facendo sı̀ che il retrostante seggio vescovile fosse ben visibile dal coro dei monaci.
La ricostruzione in stile della cattedra vescovile non è che una delle tante operazioni di restauro portate avanti dalla Deputazione dei restauri nella seconda metà dell’Ottocento nella zona presbiteriale del
duomo. InUine si procede alle ultime deUinizioni del l’arredo liturgico: le balaustrate e il cancello bronzeo posti a chiusura del coro.
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Figura 9. La navata centrale vista dal presbiterio e le balaustre; in primo piano la nuova mensa. Foto di Domenico DiVincenzo.
Cos’è l’opera d’arte?
Il linguaggio dell’arte oggi
Domenico Di Vincenzo*
La complessità del mondo contemporaneo è sugge rita non solo dall’eviden za di un numero di que stioni irrisolte in ogni campo del sapere ma anche dai punti di vista talora diver genti (se non addirittura contrappo sti) intorno alle questioni fondamen tali sulle quali è davvero difHicile se non impossibile trovare accordo. Non è banale cercare di capire cosa sia l’arte, cosa intendiamo con espres sioni come bello o brutto, cos’è la rappresentazione artistica e cosa in tendiamo per stile. Sono domande che hanno ricevuto risposte HilosoHi che che se da una parte appaiono soddisfacenti dall’altra, per i presup posti teorici e le conseguenze prati che cui inevitabilmente portano, Hini scono per creare ulteriori domande o talora respingere gli interlocutori possibili nell’angolo. Questa difHicoltà genera emarginazione, alienazione, incomprensione e talora disinteresse o addirittura negazione a priori, sen za confronto e senza dialogo. In que sto lavoro proverò a ricapitolare e a sistematizzare le opinioni. I due pila stri fondamentali del ragionamento su arte ed idea estetica sono senza dubbio Kant ed Hegel, i quali però prendono spunto e sviluppano con cetti già presenti in diverso modo, sia in Platone che in Aristotele. Per Kant l’idea estetica è rappresentazione dell’immaginazione cioè prodotto dell’immaginazio ne sensibile, parte cioè dai sensi e dall’immaginazio ne, una facoltà dei sensi, ma va oltre e fa pensare. Quindi per Kant l’arte pur partendo dal sensibile, andando oltre, porta verso le dimensioni del sovra sensibile. Hegel, trent’anni dopo, contesta questo punto di vista e sottolinea che l’arte è qualcosa di
Figura 1. Raffaello Sanzio, La scuola di Atene. Particolare di Platone ed Aristotele. 1509-1511 ca., Musei Vaticani, Città del Vaticano.
connesso allo spirito assoluto che, deHinito solo in sé stesso, ha la forza di plasmare la storia, di plasmare la storicità dell’opera d’arte. Quindi con Hegel la sto ria entra in campo e l’arte è un prodotto storico dello spirito assoluto.
Il contesto nel quale operarono questi due HilosoHi è la Hine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Più di
* d.divincenzo@students.uninettunouniversity.net
Cultura
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Domenico Di Vincenzo (Palermo 1958), laureato in Medicina (1984), specia lista in Cardiologia (1988) e Geriatria (1992). Medico ospedaliero dal 1992 al 2020. Autore di diverse pubblicazioni, nonché relatore a convegni scientiHici e di divulgazione scientiHica. Dal 2020 iscritto al corso di laurea in Conservazio ne e valorizzazione dei Beni culturali della facoltà di Lettere, indirizzo opera tore ed esperto in Patrimoni culturali e memoria digitale. Coltiva con dedizione la passione per la storia e per l’arte; è stato consulente scientiHico del Museo Civico di Termini Imerese (PA) “Baldassarre Romano” dal 2004 al 2009. Promotore nel 2003 presso il teatro Branciforti di Bagheria dell’evento multidisciplinare (musica, poesia, fotograHia) Sole ed altre stelle di Sicilia sul cielo di Bagheria e dintorni. Relatore al convegno Arte, Fede e Spe ranza (2013) presso il Museo degli Angeli di Sant’Angelo di Brolo (ME). Ha partecipato a corsi di Pittura di Tiziana Viola Massa. Si è espresso con proprie opere in poesia in Un cocktail per il dispensario di Temento (2003) e nella raccolta Verrà il giorno ed avrà un tuo verso (2010). Ha partecipato alle produzioni audiovisi ve The coach di Giuseppe Paternò , al video Sulle orme del gattopardo di Donata Pirrone, alla clip autoprodot ta Palermo Wellcome. Attore nelle commedie teatrali dialettali Ora chistu è progressu (2013) e La suocera (2014), comparsa nel Hilm per la tv di Roberto Andò Solo per passione (2022). Socio fondatore dell’Associa zione culturale “Verso Paideia”. Socio dell’Unione Italiana Fotoamatori.
Reporter accreditato di grandi eventi: parata del 2 giugno a Roma (2014), corsa nazionale Millemiglia (2016), visita pastorale del Papa a Palermo (2010), beatiHicazione di Padre Pino Puglisi (2013). Collabora con il periodico della U.I.F. “Gazzettino fotograHico”. Ha all’attivo mostre personali e collettive. Ha collabora zioni in corso con la prof. Concetta Di Natale, ordinario di museologia e di storia del collezionismo, e con l’arch. Ciro Lomonte, docente di storia dell’architettura cristiana. Al suo attivo ha circa 700.000 scatti foto graHici.
duemila anni prima già Platone e successivamente Aristotele avevano trattato del rapporto dell’arte e della bellezza con lo sguardo rivolto al sovrasensibi le, al metaHisico, all’assoluto, il primo; alla materia, all’immanenza del reale, il secondo. L’imitazione della natura o mimesis è diversamente intesa da Platone e da Aristotele. Mentre per il primo l’arte imitativa non è altro che copia di copia e allon tana dalla verità , per il secondo l’arte ha un ruolo conoscitivo, teorico, HilosoHico. Impostazione che si traduce da una parte nell’arte come trascendenza, connessa alla spiritualità e dall’altra nell’arte come immanenza connessa al reale. Questa dicotomia è stata sempre presente nelle rappresentazioni artisti che sin dalla preistoria. La rappresentazione di scene di caccia sulle pareti delle caverne aveva probabil mente un valore propiziatorio e un signiHicato altro, oltre la semplice Higura disegnata. Durante l’età pa leocristiana e successivamente, all’inizio del Cristia nesimo e sino al Medioevo ed oltre, le rappresenta zioni sacre indicavano un mondo sovrasensibile cui l’arte si riferiva. Le icone e i simboli tendevano a riu niHicare sensibile ed ultrasensibile. Nel Rinascimento l’interesse verso la natura e verso l’uomo divengono crescenti e favoriscono una visione del mondo svin colata dal trascendente e sempre più orientata verso la natura. L’artista, secondo una visione che fu di Leonardo da Vinci ripresa da Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Brunelleschi pone in risalto
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Figura 2. Wassily Kandinsky. Conglomerato, 1943, Musé e National d’Art Moderne, Parigi.
l’immanenza dell’arte e dell’artista, Questo approccio naturalistico ritornerà prepotentemente in età ro mantica. Per Goethe l’artista deve interpretare la me tamorfosi della natura e lo deve fare tenendo conto della storia. La natura, tuttavia, non sempre è bene vola e, Friedrich, un altro pittore romantico, eviden zia della natura non l’aspetto materiale bensı̀ la spiri tualità , il senso di vitalità della natura e la sua storicità
Le radici del pensiero di Hegel sono proprio nel Ro manticismo ma poi se ne distacca per giungere ad altre conclusioni. Per Hegel l’arte è una forma dello Spirito assoluto, il primo gradino, seguito dalla reli gione e dalla HilosoHia, verso la verità . L’arte quindi, per Hegel, deve morire perché si manifestino equili bri nuovi, liberata dalle forme espressive che la vin colano alla materia per giungere ad una concezione non esclusivamente rappresentativa. Da questa posi
zione nascono le opere di Paul Klee e di Kandinskij, rispettivamente “equilibri incerti” e “conglomerato” che dichiarano nel loro titolo la stessa condizione dell’arte dopo la sua morte, alla ricerca di nuovi equi libri. Nascono cosı̀ le avanguardie (dadaismo, surrea lismo, espressionismo) allo scopo di percorrere stra de nuove per far andare l’arte verso il pensiero come diceva Hegel o per cogliere nel sensibile una dimen sione sovrasensibile come diceva Kant. Attraverso tutto ciò è nata l’arte moderna, non per evoluzione rispetto all’arte dell’Ottocento ma per rottura dei suoi valori. Comprendere questo percorso presup pone interrogarsi su che cosa l’arte debba oggi rap presentare, interrogarsi sulle categorie corrispon denti al bello ed al brutto, sulla valenza simbolica, riuniHicante immanente e trascendente, sul valore intrinseco ed estrinseco di ciascun’opera, tanto per l’artista che per chi ne fruisce, ricevendone gradevo
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Figura 3. Polidoro e Agesandro, Atenodoro di Rodi. Gruppo del Laocoonte, copia romana in marmo I sec. a.C. - I sec. d.C., Musei Vaticani, Città del Vaticano.
lezza, piacere, emozione, sentimento, talora anche disgusto o repulsione.
Nella Grecia classica la bellezza era considerata ar monia e proporzione delle forme e unità nella varie tà . Nel bello vi è una unione profonda fra dimensione oggettiva e dimensione soggettiva.
Da una parte l’oggetto espressione di armonia, dal l’altra la piacevolezza che il riconoscimento offre al fruitore. L’equilibrio formale ha rappresentato da allora ad oggi un riferimento ma già nell’età classica quest’idea del bello e della misura composta ha avuto delle espressioni apparentemente contraddittorie. Laocoonte che prova a difendere i suoi Higli dall’ag gressione del serpente marino urla e si contorce dal dolore. Quindi non solo armonioso equilibrio ma anche qualcosa che eccede e che è deHinito sublime. Nel 1746 il Hilosofo irlandese Burke scrive l’opera Inchiesta sulle nostre idee di bello e sublime. Gli fa eco Immanuel Kant che nella Critica del Giudizio parla del sublime proprio come eccedenza, dove l’elemento oggettivo va al di là del giudizio soggettivo. Questi due autori, con il concetto di sublime aprono allo smisurato che la bellezza classica non riesce a conte nere. Tuttavia anche il non bello comincia ad essere rappresentato, sotto forma di brutto ma anche di caricatura. Nel 1853 un esponente della sinistra he geliana, Rosenkranz, scrive un’opera che rappresenta una pietra miliare, L’estetica del brutto, con la quale afferma che il brutto non è un valore di per sé ma ci permette di cogliere il senso delle cose. Il bello divie ne una categoria aperta, multiforme. Cosı̀ a pieno titolo è possibile accostare L’urlo di Munch al Lao coonte. Se riHlettiamo un attimo, tuttavia, la rappre sentazione del non bello era già presente preceden temente. Nelle rappresentazioni sacre il volto marto riato di Cristo nella crociHissione era ben lontano dal l’aspetto composto e bello dell’ideale apollineo.
Nel Seicento Caravaggio nelle sue opere rappresenta i suoi soggetti naturalisticamente.
Nella Madonna dei Pellegrini i piedi degli stessi sono sporchi, e come avrebbero potuto non esserlo dopo un percorso a piedi nudi. In molte altre opere ven gono rappresentati personaggi che al di là della sa cralità o meno appaiono molto terreni, con caratteri esteriori umani.
Viene, dunque, già con Caravaggio, rappresentata la vecchiaia, la morte, la bruttezza, l’orripilazione, ecc. Con il Romanticismo la bellezza diviene un concetto aporetico che ha, cioè , in sé contraddizioni.
Nel confronto con il contrario da sé
la bellezza accre sce la sua potenzialità espressiva. Baudelaire intro duce un ulteriore elemento di riHlessione, sostenendo che la bellezza deve seguire i parametri sociali che sono mutevoli. Questo non signiHica che la bellezza non abbia connotazioni eterne, ma ad essa si afHianca la transitorietà che le proviene dalle contraddizioni
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Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio. Giuditta decapita Oloferne, particolare, 1600-1602 ca., Gallerie nazionali d’arte antica, Palazzo Barberini, Roma.
Figura 5. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei pellegrini, 1604-1606, Basilica di S. Agostino in Campo Marzio, Roma.
Figura 6. Edvard Munch. L’urlo, 1893-1910, Galleria Nazionale, Oslo.
della storia, con tutti gli elementi non belli nella so cietà , nella cultura, nella civiltà odierna. Per Baude laire, dunque, la bellezza è un valore soggetto a cam biamento, a degenerazione, legata ai gusti soggettivi, al gusto sociale. Più recentemente il fenomeno kitsch ha preso campo. La bellezza diventa banale e ripetiti va, perde i suoi connotati che comunicavano, nel pas sato ma anche nella storia, il senso di una ricerca ontologica, la ricerca anche di se stessi, per divenire volgarità , tout court. Esemplare in questa deriva ver so il kitsch l’orinatoio di Duchamps esposto in un museo, sotto le mentite spoglie di R. Mutt; e le serie ripetute e ossessive di Andy Warhol, dove allo stesso modo sono icone Marilyn Monroe e i barattoli di fa gioli. Se è possibile che qualcosa ancora volessero esprimere queste opere, viene oggettivamente difHici le porre sullo stesso piano opere più recenti di vero cattivo gusto, cosı̀ come certe esibizioni televisive sullo sfondo solo e soltanto della provocazione me diatica. Dunque, a conclusione, l’interrogativo cosa sia l’opera d’arte e quale sia il linguaggio dell’arte oggi resta non soddisfatto. Con uno sguardo disin cantato è possibile affermare che l’arte ha avuto, ha ed avrà qualcosa da dire sia all’autore che al fruitore, sia nella relazione dell’uomo con il divino che del l’uomo con l’uomo. Non sarà facile conciliare questi due punti di vista perché i punti di partenza sono diametralmente opposti. Tuttavia, trovare un accor do sulla bellezza come strumento relazionale positi
Figura 7. Marcel Duchamp. Fontana, 1917, opera perduta, copia conservata al Centre Pompidou, Parigi.
vo è possibile e la rappresentazione del brutto e del sublime può concorrere a questo Hine. Sulla base di questo discrimine potremo ragionevolmente inclu dere molti Hiloni di ricerca artistica contemporanei e discriminarne altri. L’indistinta accettazione di tutto e di tutti è la prima cosa che come autore, come frui tore, come semplice uomo di cultura bisogna assolu tamente evitare. Il dibattito su cosa sia l’arte e la bel lezza deve continuare e necessariamente coinvolge re più Higure al Hine di creare i presupposti di un lin guaggio comune che, lungi dall’omologazione, è fon damentale in una comunicazione che non sia univo ca. «La bellezza salverà il mondo» è divenuto uno slogan popolare ma non si può non constatare che della bel lezza oggi si avverta ancor più forte la mancanza.
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1.
La scoperta della vitamina B2
Giusi Sanci*
La vitamina B2 o ribo<lavina fa parte delle cosiddette vitamine idrosolubili che de vono essere assunte regolarmente con l'alimentazione. Questa vitamina svolge un ruolo fondamentale nella sintesi di tutti i processi energetici e quindi per lo svolgimento delle regolari attività quotidiane. Le forme metabolicamente attive sono il <lavinmononu cleotide (FMN) e il <lavinadenindinucleotide (FAD), coenzimi fondamentali nella catena di trasporto degli elettroni dove vengono ossidati e ridotti di continuo. La ribo<lavina è essenziale per il metabolismo dei carboidrati (per produrre energia) e degli amminoa cidi (i costituenti delle proteine). Inoltre, contribui sce a mantenere sane le mucose (come quelle che rivestono la bocca). Questa sostanza non risulta tos sica, pertanto il consumo di quantità eccessive di ribo<lavina non è preoccupante. La vitamina B2 è presente sia nel mondo vegetale che in quello anima le, le principali fonti sono: il lievito di birra, il latte, il fegato, le uova e i vegetali a foglie verdi. Nei vegetali, la parte fogliare e le parti ad attiva crescita conten gono molta ribo<lavina, ma quando la crescita cessa il contenuto diminuisce. Il latte, che è una buona fonte di ribo<lavina, è un alimento soggetto a tipiche varia zioni stagionali (in estate tale contenuto aumenta), in rapporto diretto al tipo di foraggio utilizzato nell’a limentazione del bestiame. L'assorbimento della vi tamina nell'uomo avviene probabilmente con un meccanismo di trasporto mediato che richiede la presenza di un carrier speci<ico sulla membrana, a livello della mucosa dell'intestino tenue. Una volta assorbita, la ribo<lavina si lega alle proteine plasma tiche (soprattutto albumina) e giunge al fegato e ad altri tessuti. La carenza di vitamina B2 provoca nei bambini un arresto della crescita e in generale un rallentamento dei processi di assimilazione degli alimenti, specie di quelli lipidici. I sintomi di una ca renza di vitamina B2 sono uno stato generale di inap petenza, anemia, debolezza muscolare, tachicardia, problemi oculari. La carenza di ribo<lavina di solito si veri<ica in concomitanza alla carenza di altre vitami ne del gruppo B e la causa è dovuta ad una dieta po vera di vitamine o a un disturbo dell'assorbimento. I soggetti in questo caso manifestano fessurazioni do lorose agli angoli della bocca e sulle labbra, chiazze squamose sul capo, nonché bocca e lingua di color
rosso magenta. Questi sintomi sa rebbero causati da un accumulo di pe rossidi lipidici che favoriscono lo stress ossidativo. Tali sostanze svol gerebbero la loro azione nociva gra zie alla ridotta atti vità del glutatione, un enzima con pro prietà antiossidanti, strettamente corre lato alla vitamina B2. Il de<icit di ribo smo del ferro, con possibile anemia per ridotta eri tropoiesi. La diagnosi si basa sui sintomi, sugli esami delle urine e sulla risposta agli integratori di ribo<la vina. Gli integratori di ribo<lavina a dosi elevate, di solito assunti per via orale, consentono di correggere la carenza. La carenza di ribo<lavina in genere è cau sata dal consumo insuf<iciente di carne, cereali arric chiti e latticini, ma può anche derivare da alcune condizioni che aumentano il rischio di una sua ca renza come ad esempio: 1) Malattie croniche (diar rea ricorrente, patologie epatiche e alcolismo croni co); 2) alterato assorbimento degli alimenti (malattie da malassorbimento); 3) Uso prolungato di barbitu rici. La sintomatologia carenziale di ribo<lavina con siste essenzialmente in un arresto della crescita e in alterazioni della cute (dermatite seborroica), della mucosa ai margini delle labbra (stomatite angolare) e dell’occhio (vascolarizzazione della cornea, con giuntivite e opacità delle lenti). Questi sintomi sono attribuibili ad un rallentamento dei processi anaboli ci oltre che ad una alterazione dell'assorbimento dei nutrienti, specie di quelli lipidici. La de<icienza in ribo<lavina può provocare una de<icienza secondaria in ferro. Di contro non sono stati rilevati casi di tossi cità da ribo<lavina, poiché
la quota non legata ad en zimi viene rapidamente escreta con le urine. La vitamina B2 fu inizialmente confusa con altre vi tamine del gruppo B e venne successivamente identi<icata grazie a parecchi lavori intrapresi nel settore della sperimentazione animale. Poiché
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non *Farmacista
Figura 1. Paul Gyö rgy, Nagyvá rad 1893-1976.
esiste una malattia nutrizionale classi ca attribuibile alla carenza di ribo<la vina, sono state le proprietà di stimo lazione della cre scita degli estratti alimentari sommi nistrati ai ratti gio vani che hanno permesso di identi < icare la ribo < lavina come una vera e propria vitamina, a cui fu dato il nome di vitamina B2. Nel 1920 A. D. Emmet nota che, dopo la distruzione del fattore antireumatico (vitamina B1) da parte del calore, persiste negli estratti di lievito un fattore di crescita, termostabile, di cui si dimostra più tardi l'identità con un pigmento giallo isolato dal lat te da A. W. Blyth sin dal 1879. La prima osservazione infatti di un pigmento nel latte con <luorescenza gial lo-verde può essere fatta risalire appunto a questo chimico inglese nel 1872, anche se fu solo all'inizio degli anni '30 del 1900 che la sostanza fu caratteriz zata come ribo<lavina. La ribo<lavina venne isolata per la prima volta nel 1927 ad opera di Paul Gyö rgy. Successivamente si vide anche che il latte presenta elevate concentrazioni di tale sostanza e per tale mo tivo all'inizio venne denominata latto<lavina. Il chia rimento della sua struttura chimica e quindi la pre senza di una molecola di ribitolo fece sı̀ che il nome della molecola fosse cambiato in quello di ribo<lavi na. Tra il 1933 e il 1935, diversi ricercatori riescono ad isolare questo fattore di crescita e la sintesi della ribo<lavina è realizzata separatamente nel 1937 nei laboratori di R. Kuhn e P. Karrer. La ribo<lavina è un composto organico il cui costituente principale è il gruppo triciclico isoaloxazina e dall'addizione da gruppi metilenici in posizione 7 e 8 e di una molecola di ribitolo in posizione 10 deriva la ribo<lavina. Si presenta come cristalli aghiformi di colore gialloarancio, con <luorescenza verde, solubile in acqua, stabile al calore e altresı̀ stabile all'azione dell'ossi geno atmosferico, ma viene facilmente disattivata dalla luce. Con l'ebollizione la perdita della vitamina è piuttosto contenuta, mentre il processo di sconge lamento ne determina la perdita in una percentuale piuttosto elevata. Nel 1938, O. H. Warburg e Christian isolano e caratterizzano il <lavin-adenin-dinucleotide (FAD) e dimostrano che esso svolge un ruolo di coen zima. Nel 1941, W. H. Sebrell e V. P. Sydenstricker riferiscono le prime osservazioni di aribo<laminosi
Figura 2. Riboflavina
nell'uomo. Essendo tuttavia i sintomi carenziali non speci<ici, non di vitamina B nutrizionali consigliati vengono pubblicate negli Stati Uniti e sono stabilite in funzione dell'apporto protei co (1958), mentre le successive vengono stabilite in funzione dell'apporto energetico (1964). A partire dal 1982, vengono in ereditarie del metabolismo ribo La vitamina B nali essenziali dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
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