S&H Magazine n. 283 • Giugno 2020

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possa avere un’idea già in par­ tenza della disponibilità di un posto per sé. Sul luogo, invece, verranno effettuati dei controlli, per assicurare il mantenimento delle distanze. La movida. La situazione Co­ ronavirus vede la curva dei con­ tagi al minimo, ma questo non deve far abbassare la guardia. La fase 2 è stata superata egre­ giamente, ma giugno sarà un mese molto delicato, in cui ve­ dremo se saremo in grado di gestire nello stesso modo po­ sitivo la stagione turistica. Visti i numerosi gruppi di per­ sone e di giovani, Cagliari ha già deciso di imporre delle li­ mitazioni alla vita notturna. Dalle 22 alle 6, infatti, nel ca­ poluogo della Sardegna vigerà il divieto di vendita di alcolici Veduta aerea della bellissima spiaggia La Pelosa di Stintino da asporto. Inoltre, è stato vie­ tato anche il divieto di consumo di bevande nei quartieri di Stampace, Castello, Marina e Villanova, per cui non sarà possibile neanche por­ tarsi le bevande da casa. All’interno dei locali sarà compito dei gestori far ri­ spettare le disposizioni di sicurezza. Sassari, al contrario, si è dimostrata più Quali misure applicare per la gestione del turismo in sicurezza? attenta e rispettosa delle regole, situa­ zione simile anche ad Olbia. Alghero e Porto Torres, invece, sono stato luogo di SIMONA COLOMBU alcuni Comuni hanno deciso di contin­ di qualche irregolarità. Nel complesso, gentare gli accessi. Altre spiagge segui­ il Nord Sardegna sembra più preparato aggio è stato un mese incerto ranno questo esempio, che permetterà ad affrontare l’arrivo della stagione tu­ per quanto riguarda la gestione di far rispettare più facilmente il divieto ristica, soprattutto se i cittadini conti­ del turismo in Sardegna. Dopo agli assembramenti. Nel Sud Sardegna, nueranno a mostrarsi ligi alle regole. il dibattito tra passaporto sanitario ed invece, le misure applicate saranno di­ I trasporti. Le compagnie aeree e di na­ autocertificazione per l’accesso all’Isola, verse: come precedentemente annun­ vigazione si sono mosse per far viaggiare ciato dal Sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, cosa sappiamo oggi sull’imminente sta­ l’accesso al Poetto rimarrà libero e gra­ i loro clienti in sicurezza. Il controllo gione estiva? tuito. Ci si affida, quindi, al buon senso della temperatura corporea verrà fatta Le spiagge. Ci apprestiamo ad affrontare dei cittadini cagliaritani, ricordando però prima della partenza, mentre a bordo è la prima estate di convivenza con il virus. che bisognerà rispettare i 10 metri quadri stato deciso di ridurre la capacità, per Una delle questioni più spinose riguarda di superficie disponibili per ogni om­ poter mantenere la distanza interperso­ la gestione delle spiagge. Il loro ingresso brellone. Il Comune si impegnerà a fornire nale di almeno un metro. Tutti gli spazi dovrà facilitare il rispetto delle norme e informazioni aggiornate sul riempimento condivisi saranno sanificati, secondo la del distanziamento sociale, ecco perché della spiaggia ai cittadini, in modo che si legge, e vigerà l’obbligo di mascherina.

LA SARDEGNA, L’ESTATE E IL CORONAVIRUS

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S&H MAGAZINE Anno XXV - N. 283 / Giugno 2020 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: LUIGI CANU, SIMONA COLOMBU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO, DANIELA PIRAS

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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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14 03 Sardegna, estate e Coronavirus 05 Identità sarda La zuppa gallurese

06 Marco Cubeddu Un cuore vagabondo, tra ansie, passioni, scrittura e vita

08 I Magnifici 3 Viaggio nel passato: Tre villaggi medioevali italiani

10 Jacopo Cullin L’ironia può arrivare dappertutto

12 Anna Gardu La bellezza ha il gusto di una mandorla

14 Villasimius Un paradiso da cartolina

18 Sadzylla Scritto, disegnato e sofferto da me

20 20 Bagella 1932

Dal sogno americano all’artigianato

22 Tutto il mondo è paese?

In Oriente, le necropoli e i circoli megalitici assomigliano a quelli sardi

telegram.me/sehmagazine issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2020. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

24 Raimond Sassari

Non si gioca, ma la società sassarese piazza già un doppio colpo di mercato

25 Dinamo Sassari

Campionato chiuso, ora si torna lentamente alla normalità

26 HITWEETS 28 Racconti di cucina

Il libro di Nello Rubattu pubblicato dalla casa editrice sassarese Lúdo Edizioni

29 Il dentista risponde

Come evitare il dolore del weekend

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

JACOPO CULLIN Foto di Francesca Ardau


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IDENTITÀ SARDA

la zuppa gallurese di MANUELA PIERRO

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’identità del popolo sar­ do è fatta di profumi, aneddoti, credenze po­ polari, invasioni, esperienze, tradizioni e cucina. E proprio quest’ultima detta leggi a li­ vello nazionale e si fa ricordare grazie alla sua sferzante ori­ ginalità. Perché la cucina sar­ da, anche se con qualche si­ gnificativa miscela con la tra­ dizione dei popoli che l’hanno invasa, si può tranquillamente annoverare tra le più ecletti­ che e uniche d’Italia. Uno dei piatti che con il tempo si è imposto nel panorama culinario è la zuppa gallurese, o suppa cuata (zuppa nasco­ sta), che con la presenza del brodo di pecora e dei formaggi tanto amati dal popolo sardo è un po’ come la reginetta

dei grandi eventi. La sua ori­ gine è praticamente avvolta nel mistero: molti storici e studiosi di gastronomia hanno provato a darle una colloca­ zione storica ma non si hanno certezze, così l’arcano e la magia incrementano ancora di più il suo fascino. Probabilmente la sua origine va cercata nel nome, suppa o zuppa, che già nel Medioevo era il termine utilizzato per i piatti italo aragonesi (gli spa­ gnoli hanno di fatto dominato l’isola nel XV secolo) che pre­ vedevano come elemento prin­ cipale il pane raffermo intriso in un qualsiasi liquido, ad esempio latte, acqua aroma­ tizzata o brodo. In effetti que­ sta teoria sembra confermata anche dai termini e dalle pre­ parazioni simili trovati in alcuni ricettari del XV e XVI secolo.

Nonostante la semplicità degli ingredienti e la loro facile re­ peribilità, la zuppa gallurese era un piatto estremamente raffinato, servito alle feste nuziali e preparato da cuoche esperte chiamate apposta per l’occasione. Certo non poteva essere preparata da chiunque, visto che la buona sorte e la felice unione tra gli sposi di­ pendevano soprattutto dalla bontà del piatto! La tradizione riconosce la sontuosità di que­ sto piatto tutt’oggi, tanto che in molti dei menù dei matri­ moni galluresi e in numerose feste di una certa importanza, è presente tra i primi piatti. Ma come si prepara una ve­ race zuppa gallurese? L’ele­ mento essenziale è il pane raffermo, in alcuni casi anche la spianata o il pane carasau,

che va intriso di fumante bro­ do di carni miste (general­ mente ovina e bovina) e ar­ ricchito con spezie come erbe aromatiche, noce moscata o cannella e cosparso con grandi quantità di formaggio vaccino o pecorino. In alcune versioni va aggiunto anche il sugo di pomodoro o un trito di po­ modori secchi. Si procede a stratificare gli ingredienti, fa­ cendo attenzione a dosare sapientemente tutti i sapori, e si ultima la preparazione con la cottura in forno. Anche per questo piatto, le versioni sono numerose e va­ riano di zona in zona, ma qualsiasi sia l’interpretazione della ricetta, il risultato è il tripudio di profumi e sapori a cui i sardi amano abituare i palati dei buongustai di tutto il mondo.


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di DANIELE DETTORI

MARCO CUBEDDU V Foto Giulia Ferrando

UN CUORE VAGABONDO, TRA ANSIE, PASSIONI, SCRITTURA E VITA

i dicono niente i romanzi Con una bomba a mano sul cuore, Pornokiller, Un uomo in fiam­ me? Se sì, avete già avuto modo di apprezzare Marco Cubeddu e la sua profondità di analisi dell’esistenza; in caso contrario, queste pagine rappresentano l’occasione giusta per conoscere da vicino lo scrittore genovese (ma sardo per parte di padre) che è stato biografo di Costantino della Gherardesca, attore per Lory Del Santo, allievo della Scuola Holden di Torino, viaggiatore con Pechino Express, e molto altro ancora. «Il viaggio con Pechino si è tenuto in un momento molto ribollente della mia vita personale», ci racconta. «Mia mam­ ma non stava bene e io ero ossessionato dall’idea di dovermi, in qualche modo, sistemare economicamente. La televi­ sione sembrava la migliore opportunità per farlo; quindi ho vissuto quell’espe­ rienza come un qualcosa che non sono riuscito a godermi fino in fondo perché avevo troppe aspettative, sia professionali che economiche. Diciamo pure che la precarietà del fare lo scrittore, così come la mia estrazione da figlio di impiegati statali con stipendio fisso, sono qualcosa che porto sempre con me: ecco perché anche oggi mi sento in parte un irre­ sponsabile, uno che vive come un vaga­ bondo, un homeless a Tenerife che scam­ bia un posto dove piantare la tenda con del volontariato in un rifugio di cani ab­ bandonati». Sì, perché Marco risponde alla nostra telefonata proprio da Tenerife, l’isola spagnola per eccellenza, la più grande e popolosa dell’arcipelago delle Canarie. Un simbolo turistico vissuto però da Marco in chiave tutt’altro che vip. Quan­ do gli chiediamo per quanto tempo voglia trattenersi in viaggio, risponde sorridendo. «Non ne ho la più pallida idea. Per me è come una parodia di tutto quello che


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dicevo di non voler essere; invece ho scoperto che mi affascina molto di più. Con la mia ragazza siamo stati nei cam­ peggi, in qualche stanza in affitto, e adesso abbiamo la tenda piantata nel terreno di un inglese che è venuto qua con tutta la sua famiglia. Lui è costruttore, lei fotografa: stanno mettendo su casa in questa terra gigantesca, con un lago artificiale, una foresta che vogliono pian­ tare per rendere verde anche una parte di deserto; insomma sono una famiglia grandiosa e lui fa volontariato in un rifugio di cani messo su da una signora belga, scampata due volte al cancro, la quale ha deciso di dedicare la sua vita agli animali abbandonati. Quindi, fon­ damentalmente, andremo a stare nel terreno di questo londinese e a fare an­ che noi volontariato. È un’avventura». Un’avventura. Proprio come quando, con indosso la divisa da pompiere, Marco si è trovato davanti alle situazioni più diverse. «La maggior parte di queste quando lavoravo a Torino. Dal garage, alle balle di fieno, alle macchine in fiam­ me, agli ascensori, passando per le per­ sone che si vogliono buttare di sotto e per le quali c’è da gonfiare il telo. L’ho sempre vissuto come un mestiere che racchiude lo spirito migliore dell’umanità,

sia perché si aiuta chi ha bisogno sia perché si può alleggerirne i pesi. Penso alla bottiglia di vino sui luoghi del terre­ moto. È un lavoro che ho sempre vissuto anche come un privilegio. Mi piace quel rapporto quotidiano con una forma di eroismo che non è sbruffoneria, un an­ dare a cercarsela, ma che anzi insegna profondamente quanto le cose contino meno delle persone. Ricordo molto bene anche la notte della ThyssenKrupp, nel 2007, quando da corso Regina Margherita si vedeva il fuoco. Quella volta sono stato testimone indiretto perché ero di servizio all’autoscala che doveva restare in caserma. Sono situazioni come quelle, tuttavia, a far emergere anche la parte di me che fa lo scrittore, che vuole nar­ rare e descrivere ciò che prova in quel contesto. Penso che nell’essere artisti si sia anche un po’ voyeur». La domanda sulla morte – e su quale sia il rapporto di Marco con questa in­ cognita – arriva di conseguenza. «Ne sono totalmente ossessionato, così come sono affascinato dalle catastrofi collettive. Potrei definirmi un ateo irre­ quieto, che in realtà sarebbe felicissimo di salutare l’esistenza di qualunque essere che si elevi dalla materia di cui è

fatto l’Universo. Qualsiasi brandello di senso possa effettivamente manifestarsi lo saluterei come una bellissima notizia, però non credo che esista. Mi piacerebbe se ci fosse un Dio che dicesse: “Non hai sprecato tutta la tua esistenza, ha avuto un senso”. Insomma, è complicato». Lo spazio ancora disponibile ci consente di indagare, brevemente, sui nuovi pro­ getti editoriali. «Ho ripreso a scrivere un diario dopo dieci anni che non ne tenevo perché, dopo averne perso troppi o essere stati letti da ex fidanzate, avevo smesso di farlo. Adesso, però, sono in una fase in cui ho bisogno di scrivere solo per me stesso, di buttare via pagine su pagine che non siano neanche battute al computer, dove poi è fondamentale editare o vedere se c’è una virgola fuori posto. Ho bisogno che sia un flusso. Ho bisogno di fare cose diverse come scatta­ re fotografie, conoscere persone, ascol­ tare le loro storie. Penso sia questo il progetto dei progetti. Da questo magma vengono fuori idee per romanzi, racconti, progetti, cantieri». Qualche consiglio di lettura? «Nabokov con il suo Lolita. Ma anche Philip Roth, Saul Bellow e, tra gli italiani, Alessandro Piperno e Michele Mari».


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Da sinistra: La Porta Picena di San Ginesio, le Campane di Agnone e il Parco dei Mostri di Bomarzo

I Magnifici 3 Viaggio nel passato: Tre villaggi medioevali italiani di DANIELE DETTORI

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i sono luoghi che, seppure non assurti come altri al rango di icona mondiale, rappresentano il cuore del nostro Paese. Ecco perché vogliamo accompagnarvi, almeno ideal­ mente, attraverso un itinerario dal sa­ pore storico che siamo certi vorrete vivere di persona magari già durante le prossime vacanze estive. Stiamo per partire alla volta di tre villaggi piccoli, caratteristici e molto suggestivi, che af­ fondano nel medioevo le proprie radici. Siete pronti a tornare indietro nel tempo? Iniziamo con San Ginesio, paesello delle Marche adagiato su un colle che gli re­ gala una posizione di privilegio affacciata sui Monti Sibillini. Con i suoi poco più di 3000 abitanti, vede il primissimo agglo­ merato nascere in epoca romana per poi svilupparsi, nei secoli medioevali, attorno al castello dal quale prende il nome ed

entro le mura che oggi rimangono come narratrici di una storia secolare. Noto anche come “paese delle 100 chiese”, San Ginesio ha visto una larga parte del suo patrimonio architettonico lesionata dai terremoti susseguitisi tra il 2016 e il 2017, e tuttora in fase di ricostruzione. Ciò non impedisce di passeggiare tra le stradine del centro giungendo nella zona dell’antico ghetto ebraico, ammirando il bellissimo loggiato dell’Ospedale dei Pel­ legrini e visitando il più recente Parco della Rimembranza. Spostandoci in Molise, ci dirigiamo poi verso Agnone, in provincia di Isernia. Si tratta di un centro medioevale (Anglone era il nome dell’antico castello) che si dice sorto sulle rovine di una preesi­ stente città sannita. Passato attraverso varie fasi storiche come quella angioina, quella aragonese e quella borbonica, Agnone è sede della più antica fonderia per la realizzazione di campane sulle quali sia dato apporre lo stemma ponti­ ficio. La sua cinta muraria vantava sette porte di ingresso che però, in seguito alle modifiche urbanistiche intervenute nel corso del 1800, oggi non esistono più. Anche qui, naturalmente, gli edifici religiosi sono uno dei capisaldi del pa­ trimonio locale insieme con alcune tra­

dizioni folkloriche come la ‘ndocciata – tradizionale sfilata di fiaccole che av­ viene due volte l’anno – e gastronomi­ che come il confetto riccio, particolare per la sua superficie increspata. Infine approdiamo nel Lazio, a Bomarzo. Paesello dalla storia turbolenta, vo­ gliamo visitarlo per il celebre Parco dei Mostri. Questo giardino nasce nel 1547 (una cinquantina d’anni, in realtà, dopo la fine del medioevo) per volere del prin­ cipe Pierfrancesco II Orsini, detto Vicino. La particolarità del Parco sta nel suo con­ tenuto: si tratta, infatti di un luogo che racchiude statue bizzarre, opere mitolo­ giche ed edifici cosiddetti “impossibili” come la casa pendente. Il visitatore, nel passeggiare tra i viali, si trova immerso in un contesto di simboli ora spaventosi ora rassicuranti come la scultura le cui sembianze vengono attribuite a Proteo o a Glauco dei rispettivi miti greci, Ve­ nere sulla conchiglia e tante altre che, con i loro rimandi allegorici, rappresen­ tano l’itinerario di un percorso di trasfor­ mazione personale. La più nota tra tutte è probabilmente l’Orco, spesso usata come icona simbolo del Parco: una pic­ cola caverna artificiale la cui facciata è intagliata in modo da raffigurare il volto di un mostro dalla bocca spalancata.


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JACOPO CULLIN L’ironia può arrivare Foto Francesca Ardau

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di ALBA MARINI

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omico, attore, regista. Jacopo Cullin, classe 1984, è nato a Ca­ gliari ed è un artista poliedrico. Nel 2004 si fa conoscere dal pubblico sardo grazie alla trasmissione in onda su Videolina Come il calcio sui macche­ roni, alla quale partecipano altri comici diventati famosissimi, come Massimiliano Medda e gli altri membri de Lapola. Tra teatro, cinema e tv, Jacopo Cullin ha occasione di lavorare con alcuni tra i più importanti attori italiani come Sergio Castellitto, Sergio Rubini e Rocco Papa­ leo. Il regista Paolo Zucca lo dirige nel 2008 nel film L’Arbitro, dove Jacopo in­ terpreta il calciatore Matzutzi, al fianco di Stefano Accorsi. Il suo ultimo progetto? Uno spettacolo dal titolo È inutile a dire, dove i suoi personaggi storici, Signor To­ nino, Salvatore Pilloni e Angioletto Biddi

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in onda su Video­ lina. Che ricordo hai di questa espe­ rienza? Sembrava di stare a casa. Mi ricordo l’emozione dietro le quinte prima di entrare. Sentivo le risate delle persone e sapevo di dover andare in diretta. Avevo solo 22 anni quindi mi tremava­ no un po’ le gambe all’inizio. Ora mi fa tenerezza ripensare a quell’esperienza. Ne ho un bellissimo ricordo. Descrivici i tuoi personaggi storici Signor Tonino, Sal­ vatore Pilloni e Angioletto Biddi ‘e Proc­ cu. A quale sei più affezionato? Salvatore Pilloni si ispira a un mio vecchio compagno di scuola. È quello che a Cagliari chiamiamo il “gaggio”, ma è fondamen­ talmente un buono. Continua a vestirsi come si vestivano i gaggi 20 anni fa, con questo giubbotto Dainese, smanicato, che (ahimé) oggi non si usa più: ormai i gaggi si mimetizzano, siamo tutti uguali! Poi c’è Signor Tonino che è il padre del mio amico Roberto. All’inizio il vero To­ nino non l’ha presa benissimo, ma poi gli è passata. Angioletto Biddi ‘e Proccu è forse quello a cui sono più affezionato perché si ispira a mio nonno. Sei un attore, un comico, ma anche un regista. Qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio? Tutti e tre. Sicuramente c’è un ruolo dove hai meno responsabilità, che è quello dell’attore. Mentre invece il regista è quello ha tutto il carico sulle sue spalle. Quando sono io il regista voglio che la troupe stia bene, non mi interessa solo il risultato finale. Mi rende felice che tutti passino dei bei momenti. Come è stato lavorare con grandi attori Foto Giulia Camba

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‘e Proccu, affrontano i problemi legati alla società moderna, tra social network e infinite possibilità, tutto condito dalla giusta dose di ironia. Chi è Jacopo Cullin? Jacopo è un ragazzo di 38 anni (compiuti da poco per la verità!) che ha studiato recitazione per 20 anni. Come è strano parlare di me in terza persona… Passiamo alla prima persona allora. Qual è il tuo rapporto con la notorietà? Non mi piace risultare troppo distaccato agli occhi delle persone. Quando si av­ vicinano o mi chiedono una foto cerco di metterle a proprio agio… Voglio go­ dermele ancora. D’altronde è proprio dalla gente “normale” che traggo l’ispi­ razione per i miei personaggi. Certo, prima era più facile entrare in un bar da sconosciuto, ascoltare e prendere spunti. Ti ricordi il tuo esordio in tv? Si, certo. È stato nella trasmissione Cento su Videolina. Era una sorta di Amici di Maria de Filippi però in salsa sarda. C’erano cantanti, attori e ballerini... Io ero tra gli attori che si esibivano. Sono arrivato secondo! Sei diventato popolare grazie alla tra­ smissione Come il calcio sui maccheroni,

come Castellitto, Papaleo e Accorsi? Bello. Sei abituato a vederli al cinema, quindi quando li incontri per la prima volta dal vivo ci sono quei 5/10 minuti di imbarazzo. Poi tutto fila liscio. Sono dei professionisti, sono molto generosi ed è più semplice lavorare con loro. Sanno che una scena si porta avanti in due, non è una gara a chi recita meglio. Dicci qualcosa sul tuo ultimo spettacolo È inutile a dire È un’analisi di questi tempi. Social net­ work, relazioni liquide, un mare di infinite opportunità in cui, a volte, ci si perde un po’… Ho pensato: ok, vediamo cosa ne pensano Signor Tonino, Angioletto e Salvatore Pilloni. Lascio a loro il compito di raccontare in chiave comica l’epoca in cui tutti noi stiamo vivendo. Ovvia­ mente c’è un messaggio che voglio tra­ smettere (anche se non ve lo posso dire) e penso che il miglior modo di far arrivare un messaggio sia far ridere. L’ironia, d’altronde, può arrivare dap­ pertutto. Siamo in un periodo critico a causa del­ l’emergenza Coronavirus… Come hai vis­ suto e sfruttato la quarantena e quali sono i progetti che vorresti riprendere quando si tornerà alla normalità? Sono abituato alle quarantene. A volte mi ci metto da solo perché sento la ne­ cessità di staccarmi da tutto e da tutti. Inizialmente mi ha fatto piacere, perché solo rallentando riesco a trovare una vera connessione con la natura. Ho ri­ scoperto il piacere di cucinare, ho creato un piccolo orto sul terrazzino per avere qualcosa di vivo intorno a me… I miei progetti sono solo stati posticipati. Spero di riuscire a riprendere presto i miei spettacoli, magari nelle arene estive. Nel frattempo sto continuando a lavorare al format Il Passeggero che andrà in onda sul mio sito in 6 puntate, ognuna con un ospite diverso. Molte cose, ov­ viamente, sono rimaste in stand­by, come la serie tv che avrei dovuto iniziare a girare poco prima del lockdown. Non vedo l’ora di poter ripartire con una nuova normalità!


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Anna Gardu LA BELLEZZA HA IL GUSTO DI UNA MANDORLA di HELEL FIORI

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a pasticceria è un’arte che in sé racchiude decorazione, poesia, tradizione, chimica. Chi riesce ad eccellere in questo campo è da sempre visto come un artigiano graziato dagli dèi, avvolto da quell’aura luminosa di chi serba in sé poteri speciali. Discorrere con un’artista del livello di Anna Gardu è doppiamente piacevole quando si scopre che in lei il genio si in­ carna in una donna sensibile, precisa, regale e dai modi delicati. Una donna che dalla sua Oliena è arrivata fino in Giappone per portare alto l’onore italiano ma soprattutto quello sardo esportando opere dolciarie figlie di un know how di quattro generazioni e arricchite dal suo spirito innovativo. Tutto parte da suo bisnonno Nicola Colli che sfida il giudizio dell’epoca coltivando, invece che terreni, la sua passione pasticcera, e formando in seguito tutte le donne della famiglia tra cui la nonna di Anna, che le conse­ gnerà la ricetta per la pasta di mandorle che ad oggi risulta ancora invariata. La meraviglia di questa pasta sta nella gran­ de duttilità, ed Anna presto si rende conto di poterla manipolare a piacimento ispirandosi ai mondi della ceramica e della gioielleria artigianale. Utilizzando rigorosamente mandorle au­ toctone e lavorando essa stessa su ogni componente comprese glassa e ghiaccia reale (due composti simili ma diversi per ingredienti e utilizzo) Anna porta la pasticceria tradizionale a un livello di ricerca superiore, finché nel 2010 decide che è tempo di mostrare le sue creazioni al paese rischiando ­ proprio come fece il bisnonno ­ di offendere la consuetu­ dine. Ma la sua opera come fu per lui viene accolta e apprezzata, volando su­ bito dalla prima Cortes Apertas verso il MAN di Nuoro per la prima mostra e collezionando nei successivi dieci anni importanti premi ed inviti internazionali

fino al già citato Giappone, dove nel 2017 è stata insignita del titolo di “Tesoro Nazionale Vivente”, in quanto detentrice di quella sapienza manuale che i giap­ ponesi stimano e rispettano assimilando gli artigiani a un bene nazionale perché ambasciatori della propria cultura tra­ dizionale nel mondo. Chi considera l’opera di Anna Gardu stret­ tamente come un encomiabile esercizio estetico però è fuori strada: con la mostra “Cinque Sensi + Uno” per esempio ri­ sveglia i ricordi di una realtà contadina,

accompagnandoci attraverso espe­ rienze sensoriali quotidiane ma pregne di significato: la rottura del guscio della mandorla ci fa porre l’attenzione sull’udito mentre con la pelatura del seme ci con­ centriamo sul tatto; l’olfatto è inebriato da limoni grattugiati e vaniglia, e la vista gioisce davanti alle decorazioni sontuose; il gusto infine racchiude l’esperienza nel­ l’assaggio ultimo e la consegna a ciò che Anna definisce come “il sesto senso”, ovvero le emozioni che questo percorso


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è in grado di suscitare. Degno di nota il contributo di un piccolo partecipante del lab per bambini organizzato contestual­ mente, che prese un fiore e lo appoggiò sul campo delle emozioni come rappre­ sentazione del proprio sentire o forse, chissà, come dono per l’esperienza vissuta. Tradizione, bellezza e significato dunque sono le linee guida. Le uniche, forse, dato che Anna decora senza schemi pre­ definiti: tutto il suo creare è in divenire.

Per questo infatti rifugge le commesse a meno che non abbia completa carta bianca, e consegna ad ogni sua mostra un messaggio talmente forte ed autentico da risvegliare il canale emotivo dei visi­ tatori. Emozioni che ritroviamo nel nome del suo marchio Hóro (dalla pronuncia olianese di su coro) nato dieci anni fa e che è garanzia di contenuti (e sentimenti) profondi. Questa verità affiancata alla grande tec­ nica le ha fatto guadagnare spazi ono­ revoli, come la presenza nella mostra “Tesori d’Italia” all’Expo Milano 2015 curata da Vittorio Sgarbi, dove ha in­ terpretato il tema dell’Albero della Vita con dieci simboli sardi (coralli, pavoncella, galletto, filigrane, etc.) abbracciati dal Cohone ‘e Vrores di Fonni come emblema della rinascita, che le ha fruttato la de­ finizione di “unica artista vivente” pre­ sente in quella sala, giacché circondata da opere dal Trecento al Novecento tutte di artisti scomparsi; o come l’essere invitata dal Presidente Pigliaru a prepa­ rare un dolce per la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 2018, omaggiandolo con una bandiera delle Quattro More sarde (4moreS) ispi­ rata alla tradizione matriarcale della no­ stra isola. Pur difendendo il valore dell’identità sarda Anna Gardu opera guidata da un sentimento di unione indiscriminato, espresso per esempio nella mostra sulla migrazione o in quella sulle cinque mag­ giori religioni. Stesso sentimento di unio­ ne che l’ha portata a dedicarsi attual­ mente a due progetti: il primo, in dive­ nire, che partendo dalla filiera della mandorla autoctona vorrebbe arrivare a creare una scuola del dolce tradizio­ nale, una pasticceria in consorzio, e so­ prattutto un museo del dolce. Progetto ambizioso che per essere realizzato avrà bisogno di supporto: Anna sta allora la­ vorando “al contrario”, consegnando alle sue mostre itineranti il compito di attrarre l’attenzione per un’eventuale partnership. Evento già verificatosi nel secondo progetto nato a gennaio 2019: la collaborazione con l’azienda cilentana Santomiele produttrice di fichi, che ha dato vita a delle opere d’arte deliziose da tenere in una mano. Chiunque volesse approcciarsi alla sua meravigliosa pasticceria può consultare la pagina Facebook Hóro e il suo profilo personale, di cui afferma: “Condivido e offro attimi di spensieratezza, riportando qualcosa di leggero, dando il gusto alla bellezza, per far trascorrere attimi di serenità alle persone che mi seguono”.


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di MANUELA PIERRO

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abbia bianca e mare cristallino compongono il binomio che carat­ terizza Villasimius, gioiello turistico della costa sud orientale della Sardegna. Nonostante la località conti poche mi­ gliaia di abitanti durante la maggior parte dell’anno, nei mesi più caldi si popola di decine di migliaia di turisti, allettati dal­ l’ecletticità delle sue attrattive. Tutta la costa è formata da splendide spiagge, scogliere, baie e insenature con pennellate di macchia mediterranea dalla bellezza mozzafiato, dove sabbia e rocce si alternano come i colori straor­ dinari dei fondali marini, di tutte le to­ nalità dell’azzurro e del verde.

Ricordiamo innanzitutto le spiagge di Porto Sa Ruxi, di Campus e di Campu­ longu, caratterizzate da dune di fine sabbia bianchissima, circondate da mare cristallino e rocce cariche di piante profumatissime. Di diverso tipo la par­ ticolare Spiaggia del Riso, denominata così per i suoi granelli di sabbia plasmati dalle forze della natura fino a somigliare a chicchi di riso. Per i più romantici, che vogliono godersi un tramonto distesi sulla sabbia o im­ mersi in splendido mare azzurro, la tappa perfetta è la baia di Cala Caterina che si trova a sud del promontorio di Capo Carbonara. Due sono le insena­ ture più particolari. La prima, abba­ stanza estesa e dal fondale sabbioso e

carico di svariate tipologie di pesci, è esposta al maestrale che ha eroso il gra­ nito delle rocce fino a renderlo sabbia luccicante e rosata. Per i più curiosi e audaci, con la giusta attrezzatura, sarà possibile allontanarsi nella zona più roc­ ciosa a qualche metro dalla riva, che è ideale per lo snorkeling e per farsi com­ pletamente conquistare dalla bellezza dei fondali. La seconda spiaggia è pic­ cola e raccolta, poco frequentata e ripa­ rata dai venti, contornata da massi granitici che sembrano proteggere la sua bellezza dalla potenza della natura ed è il posto ideale per godersi la solitu­ dine a contatto con il mare, i suoi colori e i suoi profumi. Risalendo verso nord, obbligatorie le tappe alle spiagge di Simius e di Is Tra­ ias dove colline erbose vanno assotti­ gliandosi fino a diventare sabbia e a incontrarsi con il mare trasparente. Pro­ seguendo troveremo altri due gioielli di bellezza spettacolare: le spiagge di Riu Trottu e di Manunzas, che fanno da contorno alla spiaggia di Punta Molen­ tis, una delle mete più apprezzate da locali e turisti. Azzurro, verde, turchese e trasparenza del mare, bianco, rosa e avorio delle lingue di sabbia, verde e


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La Spiaggia e la Torre di Porto Giunco

tutti i colori caldi della macchia medi­ terranea che si fondono per creare una visione da cartolina, se non da paradiso terrestre. Tutto questo è Punta Molen­ tis, dal paesaggio inconfondibile dove la natura sembra trovare il massimo della sua espressione, dove fauna e flora trovano il giusto compromesso e si fondono in tutta la loro maestosità. E in questo paradiso di colori, profumi e fusioni, c’è spazio anche per l’uomo perché tutto il fascino del passato (su una collina alle spalle si trovano i resti di un nuraghe) si integra con l’evolu­ zione del presente (è possibile trovare numerosi servizi tra cui noleggio di bar­

che, punti di ristoro e vendita di attrez­ zature balneari). Come non citare Capo Boi, l’isola di Ser­ pentera e l’isola dei Cavoli e tutte le varie secche limitrofe, in cui sorge l’affa­ scinante “cimitero” di relitti di imbarca­ zioni naufragate in varie epoche. Il vero fiore all’occhiello di Villasimius è Capo Carbonara, con la sua vasta e spettacolare area marina protetta. Le rocce granitiche sui fondali offrono degli scenari simili a città antiche, con ba­ stioni e avvallamenti di fortissimo im­ patto visivo. Queste città sommerse sono rese ancora più uniche dai colori


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Punta Molentis e la spiaggia di Porto Sa Ruxi (sopra)

delle margherite di mare e delle gorgo­ nie, che spruzzano di giallo e rosso gli scogli di granito. E, quasi fossero citta­ dini immersi nella vita quotidiana, bran­ chi di pesci di varie specie perlustrano i fondali con vortici di colori e guizzi alla ricerca di cibo. Oltre alle bellezze natu­ rali, Capo Carbonara offre servizi turi­ stici di ogni tipo: è possibile fare escursioni, immersioni con autorespira­ tore, pesca turismo, noleggiare mezzi nautici e fare visite guidate. Numerose sono anche le strutture turi­ stiche dedicate al divertimento, allo shopping e al ristoro per cui sarà possi­ bile coadiuvare splendide esperienze nella natura incontaminata con rilas­ santi passeggiate tra i negozi o degusta­ zione culinaria di piatti tipici della zona a base di pesce. Proprio all’interno della zona protetta e nel cuore di una baia sorvegliata da una bellissima torre aragonese, sorge il Pullman Timi Ama Sardegna immerso in undici ettari di parco naturale, oasi di fauna e flora selvatiche. Qui sarà possi­ bile unire la passione per il mare a quella per l’avventura o il relax, e fare il pieno di energia nel centro di talassote­ rapia Thalassa che offre trattamenti ri­ generanti e rilassanti a base di acqua marina. A pochi passi si trova lo stagno di Notteri dove, in particolari periodi dell’anno, è possibile ammirare orde di fenicotteri rosa e altre rare specie di uc­ celli che formano nuvole multicolori. E per gli amanti della storia e della cul­ tura? Villasimius ha ricevuto anche que­ sto dono dai popoli vissuti e che hanno prosperato nel passato. Sarà possibile visitare i resti di civiltà nuragiche, le ne­ cropoli di Accu is Traias in cui sono state scoperte più di trenta tombe perfetta­ mente intatte e di Cruccuris in cui sono custoditi corredi funerari e brocche per unguenti. Oltre alle testimonianze fe­ nice, puniche e romane, da non perdere è il Museo Archeologico, cantastorie di tesori sommersi.


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di ALBA MARINI

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iulia Corona ha solo 22 anni ma il suo profilo Instagram, Sadzyl­ la, ha già più di 100mila follo­ wer. Non si tratta di un profilo normale. Non ci sono foto, ma disegni. Disegni digitali, non quelli fatti a matita. E tante parole. Parole attraverso le quali dei semplici contorni prendono vita rac­ contando amori, amicizie, pensieri che sembrano subito così familiari. Sadzylla nasce nel 2018 come una sor­ ta di finsta, ossia un “fake Instagram”, in cui Giulia postava testi conservati nelle note del suo cellulare e disegni fatti con il MacBook. Pian piano dise­ gni e parole si sono intrecciati dando vita a quello che è il suo marchio di fabbrica: un tratto spontaneo, sempli­ ce, accompagnato da dialoghi, poesie e descrizioni in cui tutti, potenzialmen­ te, possiamo riuscire a riconoscerci. Ciao Giulia, raccontaci qualcosa su Sadzylla. Perché questo nome? La scelta del nome è stata casuale e istintiva. I miei amici mi chiamano Zuli e quando ho aperto la pagina, volevo chiamarla Sadzuli. Il nome però era già stato preso. Quindi mi è venuta l’idea di Sadzylla. Una sorta di gigante, come Godzilla, ma triste. Il profilo Instagram di Sadzylla ha più di 100mila follower. Cosa provi ogni volta che qualcuno condivide una tua “creazione”? Inizialmente per me è stato quasi scioccante. In positivo, chiaramente. Ora mi sono quasi abituata, ma non do niente per scontato. Ancora mi emo­ ziona vedere che alcuni post, più di al­ tri, arrivano al cuore della gente. Uno degli scopi dei social è dare alle persone l’opportunità di condividere una parte di sé: uno scatto, un’imma­ gine, un pensiero. Qual è il tuo rap­ porto con i social network e in parti­ colare con Instagram (che è il tuo ca­ nale prediletto di comunicazione)? In passato ho avuto un cattivo rappor­

to con i social. Molti utenti li usano per mostrare stili di vita non accessibili per la maggior parte di noi, canoni estetici irrealistici e una felicità quasi imperati­ va. Ho eliminato tempo fa tutto ciò che mi faceva stare male. Il problema non è la piattaforma, ma chi noi scegliamo di seguire. Ora ho un ottimo rapporto con i social. Mi piace scrivere delle ri­ flessioni semplici e quotidiane e poter

avere un riscontro dagli altri. I tuoi disegni e le tue poesie racconta­ no la nostra generazione, divisa tra paure, insicurezze, amori impossibili e amicizie salvifiche in cui è impossibile non immedesimarsi. Sadzylla sei tu? Quanto c’è di autobiografico in quello che descrivi? Sadzylla sono io, davvero! Ogni singolo post muove da un’esperienza vissuta ­


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realistica o iperbolica ­ sulla mia pelle. Il personaggio ricorrente è sempre Giulia, con i suoi (miei) capelli gonfi, gli orecchini a cerchio e il neo sulla guan­ cia. Persino i personaggi che le ruotano attorno ricordano nelle fattezze le per­ sone che effettivamente fanno parte della mia vita reale. Come le mie mi­ gliori amiche e mia nonna. Unico ele­ mento statico è il modo in cui rappre­ sento gli uomini (che in questi due anni sono cambiati, assicuro): sempre con i capelli ricci e gli orecchini. Un po’ per pigrizia. Un po’ perché è l’unico modo che ho per sentirmi pienamente libera di scrivere ciò che penso senza paura che questo influisca troppo nella mia vita quotidiana. Come reagiscono i tuoi amici e cono­ scenti quando si accorgono di essere i protagonisti dei tuoi disegni? Le mie amiche sono felicissime di esse­ re disegnate come mie compagne di disavventure. I ragazzi invece penso si spaventino un po’. Io nel dubbio mini­ mizzo sempre con un credibilissimo: “Ma va! Quel disegno? Mica stavo pensando a te!”. Di solito funziona. Moltissimi tuoi post parlano di donne. A volte abbatti gli stereotipi sull’uni­ verso femminile, altre volte li confer­ mi, ironizzandoci. Cosa significa per te essere donna nel 2020? Sono una donna e sono una femmini­ sta. A volte però mi rendo conto di es­ sere uno stereotipo vivente. Quando ero più piccola tentavo disperatamen­ te di limare i miei lati eccessivamente femminili. Oggi invece ho imparato ad accettarli e so che non mi rende meno

femminista essere emotiva, odiare gli sport o avere fantasie da Lolita. Essere donna oggi è più che altro una lotta continua nel dimostrare di essere vali­ de quanto i nostri colleghi maschi. Quello che davvero non tollero è que­ sta tendenza a dividere le donne tra angeli­geni e stupide­svergognate. Io vorrei rivendicassimo il diritto di essere persone sfumate, come è concesso agli uomini. Da ciò che scrivi emerge un rapporto ambivalente con la solitudine, vista come salvezza e maledizione. Appro­ fondisci questo aspetto. La solitudine è stata in alcuni momenti della mia vita una compagna sgradita ed obbligata. Per questo motivo oggi abbiamo un rapporto conflittuale. Quando sono sola viene fuori umana­ mente il peggio di me ma artisticamen­ te il meglio. Solo quando posso veder­ mi senza interferenze riesco a scavare a fondo in me stessa per tirare fuori qualcosa di rilevante. La solitudine mi serve, ma solo quando ha una funzio­ ne di ricarica dalla vita con gli altri. In caso contrario soffoca più lei che le voci di mille persone intorno. Sadzylla coniuga disegno e poesia. Pensi che il tuo progetto possa acco­ gliere in futuro anche altre arti? Se sì, quali? Mi sono già cimentata nella scrittura di alcuni brani musicali. Due sono già presenti su Spotify. Il mio sogno sareb­ be quello di sfociare nell’animazione. Il cinema è una mia grande passione.


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Bagella 1932

Dal sogno americano all’artigianato

di FRANCA FALCHI foto GIANMICHELE MANCA

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nizialmente era il classico emporio, dove si trovava un po’ di tutto. Quan­ do nel 1932 iniziò l’avventura di Nino e Mario Bagella nel commercio, c’erano pochissimi negozi al dettaglio e avevano diverse tipologie di merci. La bottega dei F.lli Bagella esponeva lane accanto a saponi o articoli di merceria per poter soddisfare le più disparate esigenze dei consumatori. Il Corso Vittorio Emanuele era un im­ portante crocevia per gli scambi culturali

e commerciali, tagliava in due la città ed era la diretta prosecuzione di Porta Sant’Antonio, uno degli accessi principali di Sassari. Fu così naturale sceglierlo come sede per trasformare il loro com­ mercio itinerante di stoffe in un vero e proprio emporio. Fu una scelta coraggiosa ripagata fin da subito dal successo. L’abbigliamento al­ lora era esclusivamente sartoriale e i Bagella non sono mai stati sarti né stilisti. Le prime camicie, gli accessori e le con­ fezioni di alta qualità, arrivarono nel dopo guerra seguendo l’avvento dell’alta moda pronta e del prêt­á­porter, un’in­

tuizione che gli permise di aprire fino a quattro punti vendita e di affermarsi come una tra le più rinomate aziende nel commercio cittadino. Sono trascorsi 87 anni da quella apertura e Rinaldo, Michelina con la figlia Fran­ cesca, terza generazione di conduzione familiare, sono ancora dietro al bancone tra le mura storiche e gli arredi originari di quello che più che un negozio è un riferimento in tutta la Sardegna. A sotto­ linearlo è anche l’onorificenza ricevuta nel 2013 dalla Regione in qualità di Ne­ gozio Storico.


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La bottega, come ancora adesso ama definirla Rinaldo, si è evoluta e adattata ai cambiamenti del tempo, specializzan­ dosi in qualcosa di straordinario che la rende unica nel suo genere: la promo­ zione e la rivalutazione delle tradizioni. I costumi sardi hanno ispirato capi d’ab­ bigliamento, antichi amuleti ed ex voto sono diventati gioielli, disegni degli scialli hanno ornato foulard e sciarpine in seta, le taschedde moderni zainetti, e così anche scarponcini, cinture o complementi di arredo si sono evoluti e modernizzati. L’ispirazione è nata a metà degli anni 80 quando Rinaldo e Michelina fanno rientro a Sassari, dopo tre anni negli Stati Uniti, con l’idea di realizzare un marchio innovativo nel rispetto delle tradizioni sarde rimodernando l’attività di famiglia. L’obbiettivo era quello di creare qualcosa che esulasse dagli ste­ reotipi del folklore ma che rispettasse i modelli tradizionali aggiornandoli come concezione stilistica e concettuale. Nasce così il primo Sardinian Concept Store. Elementi fondamentali sono la collaborazione con artigiani qualificati per la realizzazione di capi sartoriali ori­ ginali, lo studio della tradizione per la valorizzazione dei materiali e delle tec­ niche che permettano di ridisegnare l’abbigliamento sardo sia nelle forme che nei colori. La gonna a pieghe, l’abito di velluto, il gabbano di orbace escono così dall’ambito museale e si adeguano a una vestibilità contemporanea.

Il tipo di abbigliamento prodotto rimane fortemente legato a quello tradizionale e dunque all’ambiente agro pastorale, modello che non sempre è stato ac­ cettato dalle altre classi sociali. L’intui­ zione di Rinaldo e Michelina è stata pro­ prio quella di cogliere il momento di ri­ valutazione e riscoperta delle nostre ra­ dici che ha riavvicinato l’intera comunità sarda verso questo tipo di stile conqui­ stando giovani, imprenditori e classi di élite. I capi, nati come elementi da lavoro, ne­ cessitavano da tradizione di stoffe robuste e durature ed è per questo che è stata rivolta una particolare attenzione proprio ai materiali utilizzati. Lino, cotone, tessuti a mano al telaio, velluti pregiati e orbace. Questo tessuto, ottenuto selezionando i peli più lunghi della lana nella cardatura, viene infeltrito attraverso la follatura in modo da ottenere un panno robusto, compatto e impermeabile che gli confe­ risce una particolare rusticità che pur­ troppo non sempre viene apprezzata. Gran parte delle colorazioni sono rea­ lizzate grazie alle erbe tintorie con tec­ niche che venivano utilizzate anticamente per la decorazione di tappeti e costumi. È una procedura complicata e costosa ma che conferisce delle sfumature che difficilmente si otterrebbero con le tin­ ture sintetiche. Le stoffe tradizionali, le colorazioni na­ turali, le tecniche di lavorazione sono tutte finalizzate al rispetto dell’ambiente

e alla valorizzazione della mano d’opera locale. L’innovazione della famiglia Bagella è proprio quella della costante ricerca di eccellenze locali e della loro divulga­ zione. Gli arredi originali degli anni Trenta fanno spesso da scenografia a eventi finalizzati a promuovere i vari aspetti culturali e etnografici della tra­ dizione isolana. È così che nei giorni dedicati a particolari manifestazioni, è possibile assistere a rappresentazioni teatrali di racconti sul passato della bottega e apprezzare l’evo­ luzione del costume da bagno o ascoltare la fantastica storia del premio ricevuto nel 1950 dalla Metro Goldwyn Mayer per la miglior vetrina di tutta Italia. Ma non solo eventi storici, le vetrine spesso ospitano gli stessi artigiani al la­ voro sulle loro creazioni, le sale interne diventano luoghi di cultura con concerti, conferenze e mostre sulle nostre tradi­ zioni, vengono esposti pani finemente lavorati, gioielli ispirati a amuleti o ex voto o vengono presentati i risultati di collaborazioni artistiche come per la re­ cente collezione di foulard ispirata al 900 sardo grazie alle opere di Tavolara, Biasi e Melis. Ogni evento è un connubio tra artisti, cultori e gastronomia, e diventa sempre occasione per conoscere e apprezzare piccoli pezzetti del mosaico che com­ pongono la nostra storia. Non un semplice negozio ma anche un luogo da visitare.


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Da sinistra: il Kofun Ishibutai e due dolmen a Hwasun e a Gochang in Corea

Siti archeologici: tutto il mondo è paese? In Oriente, le necropoli e i circoli megalitici assomigliano a quelli sardi di ALBA MARINI

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olmen, menhir, cromlech. Sono solo alcuni dei monumenti prei­ storici costruiti dall’uomo ge­ neralmente nel periodo Neolitico e che rientrano nell’ampio gruppo dei monu­ menti megalitici. I megaliti sono costru­ zioni imponenti, realizzate con pietre sbozzate e non legate da alcun “collante”, come la calce o il cemento. I megaliti sono presenti in tutto il mondo, dal­ l’Europa all’America latina fino all’Oriente, in Cina, Giappone e Corea. Si ipotizza che la loro funzione fosse religiosa, fu­ neraria o commemorativa. Il più famoso megalito al mondo è sicuramente il sito di Stonehenge in Inghilterra, il più celebre cromlech costituito da grandi strutture in pietra poste in posizione circolare. Il viaggio in cui vogliamo portarvi è quello

che collega due mondi molto distanti, la Sardegna e l’Oriente, e non riguarda solo i megaliti, ma anche altre strutture protostoriche, i tumuli o altre sepolture come le Domus de Janas. In particolare vogliamo concentrarci sulla Corea e sul Giappone. Se l’ipotesi di una “cultura megalitica universale” è stata scartata dagli studiosi grazie ad approfondimenti, analisi e datazioni è innegabile come, in tutto il mondo, strutture come i dolmen e i menhir si assomiglino. L’isola sarda è ricca di monumenti megalitici, come le Tombe dei Giganti e persino i nuraghi, considerati però dalla maggior parte della comunità scientifica come evoluzioni più complesse delle costruzioni megali­ tiche originarie. Nel 2009 sono stati do­ cumentati in Sardegna 215 dolmen. I dolmen sono strutture costituite da due o più pietre verticali che sorreggono un lastrone orizzontale. Alcuni studiosi pen­

sano che alcuni dolmen fossero in origine ricoperti, protetti e sostenuti da un tu­ mulo. I tumuli sono monticelli di terra o pietre disposti sopra le tombe per formare una sorta di piccola collina. In Giappone, queste strutture preistoriche si chiamano Kofun e hanno ispirato un periodo storico successivo chiamato appunto “periodo Kofun”, il quale andò dal 250 al 538 d.C. e a cui risale il più grande – anche se de­ cisamente più recente – megalito giap­ ponese: il Kofun Ishibutai. Altro tumulo giapponese molto famoso è il tumulo di Tatetsuki, a Kurashiki (prefettura di Oka­ yama), che si trova sulla cima di una bassa collina orientata verso la piana al­ luvionale di Yabe. Se ci spostiamo dal Giappone alla Corea, troveremo delle strutture megalitiche che assomigliano incredibilmente a quelle sarde. Un esempio celebre, sono i siti dolmenici di Gochang, Hwasun e Gan­ ghwa, risalenti al I millennio a.C. Nel 2000 i siti vennero inclusi nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Si dice che la Corea contenga oltre il 40% di tutti i dolmen sparsi per il mondo, la maggior parte dei quali si trova proprio in questi 3 siti, all’interno dei confini della Corea del Sud. A Gochang si trovano dolmen grandi e variegati, noti come


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“dolmen Jungnim­ri”, caratterizzati dal­ l’avere un orientamento da est a ovest e dall’essere posti tutti ai piedi di piccole colline. In questa area sono stati inven­ tariati 442 dolmen, probabilmente da­ tabili al VII secolo a.C. I dolmen del sito di Hwasun seguono il corso del fiume Jiseokgang, mentre quelli che si trovano sull’isola di Ganghwa sono probabilmente i più antichi, nonché quelli posti più in alto, in quanto si tro­ vano sulle pendici dei monti.

I dolmen coreani sono simili ai dolmen presenti in Sardegna, come quello di Sa Coveccada a Mores, una sorta di gigante di trachite, visibile da lontano e dalla struttura “a casetta” perfettamente intatta. Si stima che in Corea ci siano oltre 30mila siti dolmenici. I dolmen, infatti, sono la struttura megalitica più diffusa in tutta la regione dell’Estremo Oriente. La mag­ gior parte dei megaliti coreani sono datati all’Età del Bronzo e, sostanzial­ mente, si dividono in tre tipologie: dolmen a forma di tavolo; dolmen con una base e dolmen senza alcuna pietra di sostegno. Delle strutture “a tavolo” molto particolari e affascinanti si trovano anche nel so­ praccitato Giappone, nel sito di Kuboizumi Maruyama, un complesso che ospita ben 118 dolmen. Qui, le strutture me­ galitiche ­ se viste dall’alto ­ ricordano delle mastodontiche tartarughe. Anche le Domus de Janas hanno i loro cugini orientali. Le Domus de Janas sono strutture sepolcrali che sono state capaci di ispirare innumerevoli leggende. Si tratta di splendidi esempi di sepoltura sotterranea della civiltà prenuragica, costituite da piccole celle scavate nella roccia. Una delle più famose necropoli

di questo tipo si trova nel sito archeolo­ gico di Anghelu Ruju, nei pressi di Al­ ghero. Davvero impressionante, in questo caso, la somiglianza tra le Domus de Janas con il sito funerario giapponese di Ishinuki­Nagino, a Tamana, nella pre­ fettura di Kumamoto, dove le celle sono scavate nella roccia sul fianco della mon­ tagna con forme squadrate. Di periodi diversi, con funzioni diverse, dall’altro capo del mondo: la cultura megalitica si è evoluta dall’alba dell’uo­ mo, prendendo varie forme nel corso della storia e nelle varie regioni del mondo. Tutto il mondo è paese almeno per quanto riguarda la preistoria umana? Da certi punti di vista la risposta è asso­ lutamente no. Non c’è alcuna prova del fatto che paesi tanto lontani possano essersi in qualche modo influenzati tra loro. Però, le somiglianze alimentano le domande e infittiscono le trame dei mi­ steri del mondo. Perché in tutto il globo sono stati ritrovati i megaliti? Perché le sepolture avevano forme ricorrenti? Sono domande a cui ancora, in parte, non è stata data una risposta. La bellezza della nostra storia, d’altronde, sta anche negli anelli mancanti.

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LA GRINTA DELLA RAIMOND NELLE DIFFICOLTÀ PORTATE DAL CORONAVIRUS Non si gioca, ma la società sassarese piazza già un doppio colpo di mercato di ERIKA GALLIZZI foto CLAUDIO ATZORI

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oronavirus? No, grazie. Sembra dire così la Raimond Handball Sassari. È vero che anche la Serie A1 di pallamano, come tutti i campionati, è stata prima sospesa e poi bloccata definitivamente, ma la società presieduta da Luana Morreale, archiviato un pizzico di dispiacere per come la splendida prima annata nella massima serie si è forzatamente conclusa, si è buttata sul mercato e ha già concluso qualche affare. Ma procediamo con ordine. L’ultima partita e vittoria della Raimond risale al 7 marzo, a porte chiuse, nel big match di giornata al PalaEstra di Siena, in un’at­ mosfera surreale, condita anche da tanta paura per quello che stava accadendo in Italia e che aveva “accompagnato” la trasferta dei sassaresi. Poi lo stop. Per il primo campionato di pallamano si era inizialmente ipotizzato di giocare una Final Four (a cui la Raimond di coach

Luigi Passino avrebbe partecipato in virtù del quarto posto acchiappato pro­ prio con la vittoria in terra toscana) ai primi di giugno in campo neutro, ipotesi però poi definitivamente tramontata. Chiusura anticipata del campionato de­ cretata dalla FIGH il 30 aprile, in osser­ vanza delle prescrizioni emanate dal Governo in relazione all’emergenza sa­ nitaria Covid­19 e delle successive indi­ cazioni emerse dal CONI in materia di pratica degli sport di squadra. Titoli as­ soluti non assegnati, ma la classifica è rimasta valida per i posti nella coppa europea EHF Cup maschile, spettanti alle tre squadre sul “podio” (Conversano, Bolzano e Cassano Magnago). Bloccate anche le retrocessioni, mentre sono state proclamate le promozioni in Serie A1 di Molteno, Cingoli e Albatro che portano l’organico del prossimo cam­ pionato a 17 squadre. Decisione naturalmente inevitabile, a cui la Raimond ha risposto con il suo

primo colpo di mercato, che porta il nome di Federico Vieyra, che ha firmato con la società sassarese un contratto biennale. Terzino sinistro di origini ar­ gentine e passaporto italiano, “El Niño” è un vero e proprio top player a livello continentale. Arriva dall’Ademar Leon, vicecapolista della Liga Asobal spagnola nell’ultimo campionato, con cui ha di­ sputato la Velux Champions League e la EHF Cup. Per l’atleta un desiderio che si realizza, dal momento che era sua intenzione, prima o poi, sbarcare in Italia per una nuova, entusiasmante esperienza sportiva e per lo staff socie­ tario sassarese, con in testa il Direttore Sportivo Andrea Giordo, una grande soddisfazione essere riuscito a portarlo proprio a Sassari. È stato ufficializzata anche la firma del nuovo portiere, il polacco classe ’87 Pawel Kiepulski, plu­ ripremiato come miglior portiere nella sua Polonia, atleta esperto e di assoluta affidabilità. Le due new­entries si ag­ giungono alle conferme di Allan Pereira, in possesso di un altro anno di contratto, insieme a Riccardo Stabellini, Giovanni Nardin, Esteban Taurian, Felipe Braz e Bruno Brzic, tutti autori di una stagione appena passata di alto livello, che hanno già rinnovato il contratto. E la società ha un’altra trattativa ormai in dirittura di arrivo con un altro “volto nuovo”. In­ somma, la Raimond vuole continuare a correre e, per farlo, progetta al meglio la prossima stagione.


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Dyshawn Pierre

LA DINAMO SASSARI RIPRENDE I LAVORI… DIETRO LA SCRIVANIA CAMPIONATO CHIUSO SENZA ASSEGNAZIONE DELLO SCUDETTO E SENZA RETROCESSIONI E ORA SI TORNA LENTAMENTE ALLA NORMALITÀ di ERIKA GALLIZZI foto LUIGI CANU

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l Covid­19 ha giocato un brutto scher­ zo proprio a tutti, anche allo sport. Lo stop del campionato di Serie A di basket è arrivato il 9 marzo e la Dinamo Banco di Sardegna Sassari ha finito qualche giorno dopo, con la partita di Fiba Basketball Champions League a Burgos, la propria stagione. L’ufficialità dell’impossibilità di riprendere il cam­ pionato è arrivata il 7 aprile, senza as­ segnazione dello Scudetto e senza re­ trocessioni. In casa Dinamo atleti e staff hanno accettato una riduzione degli sti­ pendi, in una situazione di emergenza e difficoltà che nessuno mai si sarebbe potuto immaginare. Il secondo posto finale, in una folle corsa “alle costole” della Virtus Bologna, acuisce il dispiacere di aver dovuto stoppare anticipatamente un’annata che sembrava poter dare alla Dinamo belle soddisfa­ zioni. L’interruzione è arrivata in un mo­ mento il cui il Banco non stava fornendo le sue migliori prestazioni, ma non c’erano dubbi sul fatto che il rush finale del campionato, insieme ai playoff, avrebbero assicurato intense emozioni. E così si è anche dovuto salutare, in un modo “freddo”, che peraltro mal si addice al popolo biancoblù, e brusco diversi giocatori che, molto difficilmente, vestiranno ancora la maglia sassarese. Uno su tutti, Dyshawn Pierre, di cui la Sassari dei canestri ha ammirato una crescita esponenziale nel corso della sua esperienza sull’Isola e che, salvo

brutte sorprese per lui dovute a ciò che lo stop per il Coronavirus ha creato (anche dal punto di vista economico alle società, che saranno costrette a “ri­ vedere” i propri budgets viste le perdite degli introiti riconducibili all’ultima parte dei campionati), è ormai destinato a palcoscenici più importanti. Al momento le conferme sono quelle dei giocatori che hanno già il contratto anche per la prossima stagione: Marco Spissu, capitan Jack Devecchi, Stefano Gentile e Miro Bilan. Gli altri sono tutti “liberi”, ad eccezione di Dwayne Evans che, dopo un momento di “stand­by” dovuto ad un costo troppo elevato, sem­ bra aver trovato l’accordo con la società sassarese. Altre voci, invece, riferiscono di un nuovo tentativo di portare a Sassari l’azzurro Alessandro Gentile, a far coppia col fratello minore di Stefano. Il lockdown è appena terminato, in tutti i campi si stanno raccogliendo i cocci che questo “terremoto” ha sparso e la ripresa sarà graduale e non immediata. E sarà un’esta­ te calda, in attesa di sapere anche se il nuovo campionato, al via il 27 settembre (con 18 squadre e Torino che dovrebbe essere “promossa” d’ufficio), inizierà con la disputa delle gare a porte chiuse. Dovrebbe, infine, cambiare la formula della Supercoppa: partecipazione di tutte le squadre, inizio il 29 agosto con sei gironi da tre squadre ciascuno. Le prime sei classificate e le due migliori seconde si qualificheranno ai quarti di finale in programma il 12 e 13 settembre mentre la Final Four si disputerà il 19 e 20 settembre in una sede da definire.


#cinguettii tecnologici a cura di Marco Cau

DJI Mavic Air 2 Quando è chiuso misura poco di più di una lattina di birra da mezzo litro (180 × 97 × 84 mm) e pesa 570 grammi. Ha un sensore da 48 megapixel a 1/2” che scatta jpeg da 8000×6000 pixel, supporta il formato raw e permette di catturare video a risolu­ zione 4K, 60 FPS con HDR (120 mbps). L’autonomia dichiarata è di 34 minuti, quando la batteria scende sotto un certo livello il drone atterra da solo in sicurezza. Nono­ stante le sue dimensioni contenute, in modalità sport, è anche in grado di schizzare a quasi 70 km/h di velocità.

Cheerble Board Game Si prende cura del vostro gatto intratte­ nendolo durante tutta la giornata. La palla, quando viene sfiorata o spinta, ro­ tola da sola e può evitare ostacoli e vi­ coli ciechi per non rimanere bloccata. Ha un diametro di 4 cm e pesa 55 grammi, è coperta da fibra sintetica morbida e resistente ed è il­ luminata da una banda in led che catturerà subito l’atten­ zione del vostro micio!

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XrSpace Mova Questo visore di cross reality sarà in grado di offrire non solo la realtà virtuale ma anche l’interazione con spazi digitali, senza necessitare di essere connesso via cavo a uno smartphone o un computer. Si comanderà attraverso gestures, ossia i movimenti delle mani, e avrà la connetti­ vità 5G per collegarsi ad altissima velo­ cità e bassa latenza al web.

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Fiido D2 Oyo Nova Gym È un attrezzo all­in­one per l’allenamento a casa. Si basa sulla tecnologia “SpiraFlex” utilizzata dagli astronauti del programma Mission Critical della Nasa per combat­ tere la perdita muscolare e ossea durante i sei mesi trascorsi nello spazio. I dischi da 4,5 kg ciascuno, a ogni flessione dello strumento, compiono un movimento di rotazione che genera una resistenza equivalente all’allenamento con i pesi.

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Seeing AI Ideata per persone con disturbi visivi, trasforma l’ambiente circostante in un’espe­ rienza completamente uditiva. Attra­ verso la fotocamera dello smartphone e l’Intelligenza Artificiale fornisce in­ formazioni descrivendo con messaggi audio ciò che le persone non riescono a vedere. Identifica ad esempio un cartello stradale, descrive ciò che ci circonda indicando la distanza tra gli elementi inquadrati, distingue i colori.

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Bici elettrica pieghevole con un motore da 250W che può raggiungere i 25 km/h. Telaio in lega di alluminio e ruote da 16 pollici, ha una batteria al Litio da 7,8 Ah che si ricarica in 5 ore e assicura un’auto­ nomia di 30 km in modalità elettrica e 60 km in modalità ibrida. Pesa 19 kg e regge fino a 120 kg.

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Polaroid Now Fotocamera istantanea dal design retrò, è dotata di un obiettivo che passa auto­ maticamente dal formato panorama a quello del ritratto e di un flash in grado di modulare da solo la potenza. Le nuove pellicole i­Type Color Wave sono caratterizzate da una serie di sfumature che vanno dai blu lunari ai toni caldi dell’arancione e del rosso. Edizione limi­ tata in 5 colori: rosso, aran­ cione, giallo, verde e blu, oltre ai tradizio­ nali bianco e nero.

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Skullcandy Push Ultra Questi auricolari wireless, grazie alla tecnologia Tile, in caso di smarrimento possono essere localizzati sulla mappa con una discreta precisione attraverso l’app pro­ prietaria, sempre si trovino nelle vostre vicinanze. In caso contrario si può atti­ vare la modalità collaborativa “Lost” per rintracciarli tramite altri tracker Tile in prossimità degli earbuds smarriti.

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28 S&H MAGAZINE

I “RACCONTI DI CUCINA” DI NELLO RUBATTU di DANIELA PIRAS

U

na serie di racconti che ci offrono l’occa­ sione di raccontare Sassari non soltanto dal punto di vista della cultura culinaria. Un autore che rie­ sce a dipingere la realtà del centro storico in maniera poetica ed ironica allo stesso tempo. Servirsi dell’arte culinaria per descrivere una comu­ nità. È un espediente narra­ tivo, quello scelto da Nello Rubattu nel suo ultimo libro “Racconti di cucina – dicias­ sette piatti che non hanno mai visto un editor”, pubbli­ cato per la casa editrice sas­ sarese Lúdo Edizioni. Parlare di cibo con lo scopo di dipingere la realtà più au­ tentica e caratteristica di Sassari, costruendo aned­ doti incentrati sui protagoni­ sti, alcuni in odor di leggenda, di una città che appare sospesa nel tempo. È una formula attraverso la quale si potrebbe raccon­ tare ogni parte del mondo. “Stare insieme a tavola è l’occasione di parlare, in un momento in cui comunicare con l’altro è sempre più diffi­

cile – dice Rubattu –, ecco allora che lo stare insieme attorno a un piatto acquisi­ sce un’importanza fonda­ mentale, dato che quando si mangia si è in una posizione di ascolto privilegiata. In cu­ cina le persone si cono­ scono”. Il rito della preparazione di pietanze appartenenti alla tradizione, specie quella più povera, è impor­ tante oggi come ieri. “Pensate a cosa volesse dire, anni fa, organizzare un pranzo per un bat­ tesimo o per un ma­ trimonio – continua l’autore –. Settanta donne impegnate tra padelle e for­ nelli. O cosa signi­ fica, ancora oggi, organizzare il clas­ sico spuntino nelle campagnette, dove gruppi di uomini si riuniscono per pre­ parare la brace, ar­ rostire e annaffiare il tutto con un buon vino rosso. È un momento di comu­ nicazione fonda­ mentale”.

Ciò che Rubattu vuole evi­ denziare è il fatto che cuci­ nare insieme sia un mezzo per permettere alle persone di entrare in contatto diretto tra loro, senza filtri tecnologici, schermi di pc o smartphone. Tutti i racconti sono strut­ turati in modo d’avere al centro una ricetta: melan­

zane, fainè, minestra e pa­ tate, piedini d’agnello, zuc­ chine ripiene, cavoli suffugati. Il contesto popo­ lare scelto come sfondo si dipinge di sfumature pre­ gne di significati. E così che lo “zimino” di­ venta il pretesto per raccon­ tare un certo tipo di industria della carne e per mettere in luce le contraddi­ zioni dei nostri tempi, dove emergono da un lato “nobi­ lotti inglesi” e dall’altro “bri­ gatisti della spuntinata”; i “granelli” serviti su un piatto da portata ben deco­ rato si ricoprono di un mes­ saggio inconfondibile diretto al marito fedifrago. È un mondo pittoresco, malinco­ nico e che trasuda nostal­ gia, quello che emerge dai racconti di Rubattu. Nell’epoca del fast food, dove il tempo de­ dicato a un pranzo si adegua ai ritmi frene­ tici della modernità, questo libro offre uno spaccato della quoti­ dianità di un tempo lontano ma non lonta­ nissimo, in cui ognuno di noi può ancora ritro­ varsi. Diciassette rac­ conti per diciassette piatti: piatti che poi, una volta ultimata la lettura, viene voglia di preparare, seguendo le ricette che Rubattu, fa­ cendo quasi attenzione a non disturbare, insi­ nua tra le storie.

"Il benessere del tuo corpo inizia dalla cura dei tuoi denti"

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Il dentista risponde

Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferi­ mento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on­line argomenti clinici ed extra­clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

Come evitare il dolore del weekend

U

na delle situazioni più comuni che capitano nella vita del dentista è il paziente che chiama il sa­ bato (o peggio ancora la do­ menica) perché lamenta un forte dolore al dente. Oppure quando accade durante i gior­ ni di ferie. Qual è la dinamica che si svi­ luppa in questi casi? Semplice. Di regola la persona ha un problema in evoluzione, ma­ gari anche segnalato dal den­ tista in una precedente visita, ma lui ha deciso di aspettare. Potrebbe essere la paura del­ l’intervento, oppure l’idea di

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Curiosità sul mondo odontoiatrico

posporre una spesa extra, o ancora la semplice mancanza di volontà di ritagliarsi un mo­ mento tra il lavoro e la quoti­ dianità per effettuare la visita con la terapia prescritta. La situazione, come mi è stato poi raccontato dal paziente in poltrona dozzine e dozzine di volte, si sviluppa con un copione quasi da manuale. Il fastidio inizia già dal giovedì, con un “certo” fastidio al den­ te. Il nostro cervello, preso da mille cose, minimizza: “Por­ ta pazienza, passerà da solo”, ti dice. Il venerdì, invece, quel disagio diventa un dolore co­

stante, seppur ancora non in­ sopportabile. A quel punto, però, si punta a tirare avanti, nell’ottica di arrivare al relax del fine settimana, per poi – magari, vedremo – fissare una visita dal dentista in quella successiva, di lunedì. Nel frattempo, l’infezione ha modo di svilupparsi indistur­ bata. Il sabato, al momento di fare una bella colazione, il dolore arriva in tutta la sua potenza, magari accompagna­ to da gonfiore, cattivo sapore in bocca e tutto il corollario collegato alla situazione. E qui, scoppia il panico. Cellulare alla mano, si cerca il numero fisso del proprio dentista che fortunatamente è aperto! Bene meno male che sempre più studi offrono questa pos­ sibilità, altrimenti può succe­ dere che… sia chiuso!!! Se si è fortunati, a cercare bene quest’ultimo ha lasciato un numero di cellulare per le urgenze, oppure si può rivol­ gersi a Messenger di Facebo­ ok, e da là si può contattare per ricevere i primi consigli. Alcuni pazienti quando non sanno che fare, rispolverano gli antichi rimedi della nonna, come il passare sulla lesione o mettere dentro il dente bucato del cotone impregnato di ac­ quavite. Queste soluzioni, però, sono delle dighe molto instabili e limitate. Il meglio è riuscire a farsi ricevere in urgenza dal proprio dentista, che interverrà

incidendo l’ascesso o aprendo il dente, per far drenare l’infe­ zione e dare così il tempo al paziente per fissare un vero e proprio appuntamento per ri­ solvere il tutto la settimana successiva. Per questo motivo è impor­ tante, specialmente quando si sono sostenute delle cure importanti, seguire scrupolo­ samente le indicazioni del proprio dentista, nell’ottica di evitare lo sviluppo di spiace­ voli situazioni. Ancora, sarebbe bene supe­ rare quel preconcetto che vede il dentista come un “in più”, in quanto la bocca non viene considerata come un problema medico di primaria importanza da salvaguardare. Questa, invece, svolge un ruo­ lo essenziale nell’equilibrio di tutto l’organismo, e questo “peso” le va riconosciuto. Ritornando alle urgenze da weekend, sarebbe bene chie­ dere sempre al proprio denti­ sta come poterlo contattare durante il fine settimana o giorni di ferie, oppure se offre un servizio di apertura anche il sabato o perfino la domenica, che molti studi dentistici in tutta Italia stanno implemen­ tando in questi ultimi anni. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. In­ viate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

I

Impronta digitale in 3D Interventi in sedazione cosciente Implantologia avanzata a carico immediato Cura precoce della malocclusione nel bambino Ortodonzia invisibile con mascherine trasparenti Sassari | Via Alghero 22 Nuoro | Via Corsica, 15 079 273825 | 339 7209756 Informazione sanitaria a carattere informativo non promozionale e non suggestivo secondo il comma 282 della legge 248 del 04/08/2006 - Direttore Sanitario Andrea Massaiu Odontoiatra, Iscr. Albo Odontoiatri di Sassari n° 623


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Dillo a foto tue La Sardegna in #hashtag

C’è un nuovo modo di fare turismo e di essere turista, a chilometro e costo zero, – anzi 2.0! – che non conoscerĂ mai crisi! Instagram è ormai diventata la vetrina piĂš eďŹƒcace e forse adatta alla valorizzazione della Sardegna, e i like parlano chiaro! Raccontaci la Sardegna in tutte le sue sfaccettature: ➥Segui @sehmagazine; ➥Taggaci nella foto; ➥Inserisci l'hashtag #shmag all’interno della didascalia con una breve descrizione. ✔Ogni mese pubblicheremo le 4 foto piĂš belle. @luky.sanna $Castiadas

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