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Questioni legali
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DAL SEMPLICE SOLLECITO FINO AL RICORSO AL GIUDICE E ALLA POLIZZA ASSICURATIVA. UNA SOLUZIONE SI TROVA SEMPRE, MEGLIO SE CONSIGLIATI DA UN AVVOCATO CHE SAPPIA COME SUGGERIRCI LE AZIONI PIÙ CORRETTE ED EFFICACI CASO PER CASO
IL RECUPERO CREDITI
ANDREA FERRARIO Chiunque eserciti un’attività, un commercio o una professione si è presto o tardi ritrovato nella scomoda situazione di dover recuperare un credito rimasto insoluto. Non succede purtroppo solo in tempi di pandemia. La morosità e i mancati pagamenti sono infatti un fenomeno vecchio come il mondo e che colpisce in modo ricorrente e trasversale dalle grandi multinazionali fino ai più piccoli operatori economici.
Avvocato civilista del foro di Milano, esperto in materia di diritto del lavoro e di responsabilità professionale andrea.ferrario@studiolegaleferrario.com
Ci sono debitori e debitori…
Nella maggior parte dei casi chi ritarda o omette di pagare un debito lo fa proprio malgrado, indotto da genuine difficoltà. Non manca però anche chi, confidando in un malcostume diffuso, si culla nell’idea che a pagare ci sia sempre tempo. In fondo per debiti in galera non ci si finisce più! Che fare in questi casi? In realtà non esiste un’unica ricetta. I percorsi da intraprendere possono infatti differenziarsi alquanto anche in vista delle diverse ragioni che stanno alla base di un omesso pagamento. Infatti, mentre, come vedremo, per coloro che se la prendono semplicemente comoda può bastare un’ordinaria procedura di pro-
memoria o di sollecito (telefonico, mail, per lettera raccomandata), le cose si complicano un po’ di più allorché il ritardo nel pagamento deriva da cause più profonde.
Cosa fare con il debitore “pigro”
Nel primo caso, vale a dire quello di chi si è “dimenticato” di estinguere il proprio debito, possiamo di norma confidare che - una volta ricevuto il sollecito - il cliente ritardatario correrà abbastanza velocemente ai ripari per evitare guai peggiori. Può essere di molto aiuto in queste situazioni aver previsto espressamente come disincentivo (nel contratto, nell’ordine, nella fattura) una penale per il ritardo protratto oltre un certo termine. Cosicché, a fronte dell’inutile decorso di un lasso di tempo - in genere tra i dieci o quindici giorni - vuoi dalla scadenza originaria del termine di pagamento, vuoi dalla data del sollecito, il cliente moroso che dovesse persistere nella propria negligenza, vedrà aggiungersi al proprio debito originario un’ulteriore somma. Questa potrà essere preventivamente stabilita in misura forfettaria o anche aumentare progressivamente con l’estendersi del ritardo. L’importante è che l’ammontare della penale sia comunque ragionevole, anche in rapporto al valore della transazione sottostante. Se infatti la penalità fosse stabilita in una misura eccessiva, il debitore potrebbe in astratto opporsi al pagamento e - in casi estremi - chiedere a un giudice la riduzione dell’importo. In definitiva, salvo ipotesi particolari, per i debitori recalcitranti appartenenti a questa prima categoria, l’approccio “soft” funziona e l’incidente si risolve senza un eccessivo dispendio di energie e denaro. In linea di massima questa procedura può essere gestita direttamente all’interno dell’organizzazione dello stesso creditore. Niente impedisce peraltro di rivolgersi anche a strutture esterne, quali società di recupero del credito o studi legali. I vantaggi di quest’ultima soluzione sono abbastanza evidenti: un maggiore effetto di deterrenza e una gestione professionale del dossier, utile come vedremo soprattutto se l’incaglio dovesse rivelarsi più ostico del previsto. I potenziali svantaggi derivano invece dai costi aggiuntivi che talora non vengono recuperati integralmente: i tiratardi più incalliti tenderanno infatti sempre a pagare il solo importo richiesto in conto capitale, confidando che gli accessori e le spese di esazione resteranno nella maggior parte dei casi a carico del creditore.
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E con i debitori più ostinati?
Fin qui abbiamo parlato dei debitori negligenti o furbetti. Le cose però, abbiamo visto, possono diventare più complicate se il cliente moroso resta inerte anche dopo il sollecito “light” stragiudiziale (quello cioè fatto in autonomia dallo stesso creditore o da terzi, ma comunque senza ricorrere a un giudice). In questo caso è molto probabile che il protrarsi dell’insolvenza nasca da una difficoltà economica o gestionale più grave e che la cosa non si possa dunque risolvere a stretto giro. Molti imprenditori o privati cittadini che si trovano in una condizione di tensione finanziaria sono costretti loro malgrado a barcamenarsi e a ritardare il più possibile la sistemazione dei propri sospesi, pagando i conti solo se messi davvero con le spalle al muro. Qui servono purtroppo strumenti più incisivi e, sovente, anche l’intervento di una società esterna di recupero del credito o di uno studio legale. Nel primo caso, gli operatori dell’impresa di riscossione avvieranno un piano, gradualmente più incisivo, di solleciti scritti e telefonici e magari di visite domiciliari, cercando di ottenere dal debitore moroso un piano di rientro o, talora, concordando un pagamento “a stralcio”. Nella seconda eventualità, ovvero quando la società di recupero non abbia fatto centro oppure si preferisca direttamente incaricare un avvocato, questi tenterà intanto a propria volta di ottenere il pagamento, o almeno un rientro concordato, mediante una previa diffida scritta. Nei casi più ostinati e per i sospesi di maggiore entità economica, il legale dovrà invece avviare una vera e propria azione giudiziaria. Prima di dare il via alle ostilità, almeno in alcuni casi (vi guiderà pure in questo il vostro avvocato di fiducia), sarà opportuno munirsi anche di qualche informazione sulle condizioni economiche e patrimoniali del nostro debitore. Sul mercato operano diverse imprese che possono occuparsi professionalmente della questione e che - a mezzo di opportune ricerche - sono in grado di dirci se i costi che andremo a sostenere per la parcella dell’avvocato ci porteranno ragionevolmente a qualche risultato effettivo. Svolte tutte le indagini del caso e ottenuto un responso sufficientemente rassicurante circa l’esistenza di beni o crediti del debitore eventualmente aggredibili, si può dunque dare il via libera alla causa vera e propria.
La fase giudiziale
La forma più tipica di procedimento giudiziale utilizzata nel recupero dei crediti è quella del ricorso per ingiunzione di pagamento, noto anche come ricorso per decreto ingiuntivo. Questo modello presenta notevoli vantaggi rispetto alla causa ordinaria (che peraltro è sempre possibile esperire in alternativa), soprattutto grazie ai costi relativamente moderati e ai tempi di risposta in genere molto rapidi. Il relativo svantaggio di questa procedura sommaria consiste nella necessità che il credito scaduto sia liquido (cioè di ammontare
determinato o comunque determinabile con una semplice operazione) e che del medesimo si fornisca tassativamente prova scritta. A tale riguardo i Tribunali (o gli Uffici del Giudice di Pace per le somme inferiori a cinquemila euro) sono infatti piuttosto rigorosi. Non basteranno dunque la sola fattura e la conferma d’ordine, ma sarà anche necessario provare, con documenti di trasporto, fatture accompagnatorie etc., che il bene sia stato effettivamente consegnato o che il servizio sia stato reso. Nell’ipotesi, per la verità piuttosto frequente, che manchi una prova scritta e certa del credito sarà comunque possibile ovviare anche con la produzione di un estratto notarile della contabilità. Allo stesso modo, e in via alternativa, la mancanza di una prova scritta che il bene sia stato consegnato o il servizio reso può essere superata anche con la messa a disposizione di un documento (lettera, mail, fax etc.) - proveniente dal debitore - in cui venga riconosciuto espressamente il sospeso o venga altrimenti confermata l’effettuazione della prestazione fatturata e rimasta impagata. Se il giudice esaminati i documenti prodotti - riterrà sufficientemente provato il credito, emetterà un provvedimento ufficiale di condanna del debitore al pagamento: il c.d. decreto ingiuntivo. Con tale atto, che dovrà essere reso noto al cliente moroso mediante una notifica formale, l’ufficio giudiziario ingiungerà di pagare il sospeso, maggiorato di interessi e spese di procedura. Il destinatario del provvedimento avrà a questo punto un termine di quaranta giorni dal suo ricevimento, per adempiere. In mancanza di pagamento, il decreto ingiuntivo diventerà definitivo e il creditore - protraendosi l’insolvenza potrà utilizzarlo per compiere atti esecutivi sul patrimonio mobiliare o immobiliare del debitore, cercando di ottenere coattivamente il soddisfacimento del proprio diritto. Fin qui pare tutto relativamente semplice. Può però capitare, e in effetti capita abbastanza spesso, che il cliente insolvente, nello stesso termine di quaranta giorni prima accennato, si rivolga a propria volta a un avvocato per opporsi alla condanna al pagamento, avviando una vera e propria causa definita di “opposizione”. I motivi possono essere i più diversi. Presenza di vizi o difetti nel bene o
LA VIA ASSICURATIVA
Non bisogna comunque farsi molte illusioni. Non è infatti raro che l’esito di tutte queste attività sia in concreto piuttosto insoddisfacente, se non addirittura nullo. Debitori spariti nel nulla, falliti, privi di beni. Purtroppo succede. Per evitare questo genere di amari epiloghi, molti imprenditori si avvalgono di apposite coperture assicurative sul rischio di credito. In sostanza, anche a fronte di un’insolvenza definitiva, il credito lo rimborsa in tutto o in parte l’assicurazione. I costi non sono - in genere - particolarmente moderati. Questo strumento può però, tutto considerato, rivelarsi anche molto utile, soprattutto con clienti non collaudati o di incerta solvibilità, ma ovviamente non solo.
nella prestazione, incoerenza delle fatture rispetto alle condizioni contrattuali, presenza di pagamenti parziali o di controcrediti etc. È però tutt’altro che raro che la causa di opposizione venga avviata anche soltanto per motivi meramente dilatori. La pendenza del giudizio impedisce infatti, almeno in via temporanea, che il decreto possa diventare definitivo e che quindi il creditore possa aggredire i beni del soggetto insolvente. Questo strumento, utile per guadagnare qualche mese, ha però - come si suol dire - le gambe corte. La legge prevede infatti che in occasione della prima udienza utile il giudice, ove verifichi anche in via sommaria che l’opposizione è strumentale o che in ogni caso richiederà tempi lunghi, può intanto dichiarare la c.d. provvisoria esecutorietà del decreto “opposto”. In soldoni, mentre il giudizio andrà avanti, con l’audizione di testimoni, con consulenze tecniche e simili, il creditore munito di un decreto “provvisoriamente” esecutivo potrà comunque andare avanti e aggredire il patrimonio del debitore (pignorando i beni mobili, pignorando i beni immobili, lo stipendio o altri crediti etc.), tentando così di recuperare in tutto o in parte il proprio credito. ●
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