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di Stefano Renzoni
from EXL - Magazine sulle eccellenze toscane della Tecnologia, Innovazione, Ricerca e Impresa. n°1-2/2020
by eXL_magazine
ar te e cul tu ra
PIAZZA DEL DUOMO
LE di Stefano Renzoni “FABBRICHE” DEI MIRACOLI Piazza del Duomo Fabbrica of miracles
A proposito della piazza del Duomo di Pisa, forse non sempre si è riflettuto su un fatto straordinario. L’aspetto stilisticamente armonico dei quattro edifici principali della piazza non fu il frutto di un progetto unitario, concepito da una sola persona, e realizzato in un arco di tempo relativamente serrato. Al contrario i quattro edifici furono realizzati in quattro secoli almeno (sostanzialmente dall’XI al XIV secolo) e da un numero apprezzabile di artisti. Se infatti Buscheto iniziò i lavori realizzando la Cattedrale nella sua configurazione originaria a partire dal 1064, già nel secolo successivo un secondo protagonista, Rainaldo, rimise mano al tempio allungando le navate e progettando per intero la straordinaria facciata. Poco dopo, nel 1152, l’architetto Diotisalvi iniziò la costruzione del Battistero, poi terminato due secoli dopo da altri protagonisti, tra i quali Nicola Pisano. Nel 1173 Bonanno Pisano, come sembra finalmente provato, iniziò la costruzione della torre campanaria, sebbene si trovasse costretto ad interromperne presto i lavori a causa del cedimento del terreno. Nel 1275 toccò allora a Giovanni di Simone portarli alla conclusione, sebbene la cella campanaria sia stata realizzata ancora dopo, forse da Tommaso Pisano. Quanto al Camposanto, l’autografia è ancora dibattuta ma probabilmente fu progettato dallo stesso Giovanni di Simone nel 1278, e tuttavia i lavori terminarono solo nel XV secolo. Se lo scandito succedersi degli architetti, e delle variate maestranze ad essi in qualche
modo legati, non mutò nella sostanza la fisionomia stilistica della piazza, articolata in una costellazione di archi aperti e ciechi, di losanghe e di fasce bicrome, questa non fu il risultato di una sorta di predestinazione, ma semmai di una volontà totalmente umana, la consapevolezza che il modulo compositivo architettato da Buscheto e da Rainaldo era così perfetto e in sé concluso, da costituirsi come una sorta di coercizione estetica. In un’epoca, quella lunga e discontinua come il Medioevo, specie al momento in cui il cosiddetto Romanico fu prossimo a cedere all’aguzzo e nervoso Gotico, se in quell’epoca lunga e piena di accenti e di soluzioni variate, gli artisti che si succedettero nella costruzione degli edifici ripresero lo schema iniziale trasformandolo in un vero e proprio canone compositivo, questo significò avervi letto una misura in qualche modo aurea, la stigma della cultura sviluppatasi nel momento in cui l’opzione estetica diventava la scelta di un profilo culturale altissimo e quasi antropologico. L’euritmia delle scelte architettoniche, quella concinnitas che sarà cara a Leon Battista Alberti, mossa da marmi candidi come le crustae lapidee degli edifici imperiali romani, che diventava contrassegno di una civiltà che, come la Repubblica Pisana, riteneva di rivivere in sé i tratti di quella smisurata cultura che fu quella antico romana. La facciata ad archi e corridoi sovrapposti come una sorta di Colosseo o di Settizonio, o di reinterpretazione di una grande basilica romana, come sottolineato anche dalla provenienza di molti di quegli stessi marmi, originariamente parti di edifici imperiali romani, e provenienti da Roma e da Ostia. E poi, in tutto questo, la capacità, alta e perfino laica, intellettualmente coraggiosa, di non temere la contaminazione con culture prossime e talvolta perfino ostili. Ecco allora la lenta germinazione di influenze arabe e bizantine, di quelle terre insomma raggiunte dalle navi e dai mercanti pisani, a documentare come una civiltà consapevole del proprio destino bene si affidasse al confronto e al pungolo della competizione, vivendo come un arricchimento le diverse suggestioni culturali. In tutto questo contesto, un altro elemento fu poi degno di nota. Nel rapido elenco che abbiamo fatto poche righe sopra, abbiamo fatto i nomi degli architetti delle fabbriche della piazza. Se lo abbiamo fatto è perché li conosciamo, se li conosciamo è perché sono documentati. Quasi tutti gli architetti della piazza lasciarono infatti il loro nome in una iscrizione, e addirittura il primo, Buscheto, affidò il proprio ricordo alla sepoltura, alla tomba ornata da motivi strigilati, posta esattamente sulla facciata, perché tutti, nei secoli, sapessero chi ringraziare di tutta quella grande bellezza. Nel Medioevo la firma dell’artista, messa poi così in evidenza, non era affatto scon-

tata, perché diversa era la considerazione che si aveva del ruolo dell’artista e della sua dimensione culturale. Ancora nel XV secolo, ad esempio, sulla facciata di Santa Maria Novella a Firenze sarà impresso a grandi lettere il nome del committente, non dell’artista che quella facciata eseguì. A Pisa non fu così. I nomi degli artisti vennero scolpiti sui muri e sovente sulle sculture, indizio strepitoso di una consapevolezza culturale del ruolo che faceva dell’architetto un artista in senso pieno. Un homo faber. Lasciare memoria degli architetti sulle mura degli edifici, significava ritenerli degni di una sorta d’immortalità, significava attribuirne la sopravvivenza nel ricordo degli uomini, dunque ribadire la storicità del manufatto e il suo ruolo anfibio: costruito per la maggior gloria di Dio, e per quella degli uomini. Il risultato di questa sovrapposizione d’ingegni e di opere fu in qualche modo straordinario. La bellezza della piazza, la sua misura, è talmente perfetta, che sembra superare l’usura non solo del tempo, ma dell’attenzione degli uomini; non già l’eternità terrena dell’Uomo, ma quella più modestamente biografica del cittadino. Vogliamo insomma dire che il cittadino di Pisa, che abbia dieci come ottant’anni, mai si abituerà al fascino della sua piazza, mai riuscirà a passarci davanti per volgere la faccia altrove, ma sempre ne subirà, come subisce, la seduzione. È
una sorpresa che si rinnova costantemente, come di una orditura architettonica, col bianco degli edifici che si bilancia al verde del prato, che non cede all’abitudine, alla visione distratta e automatica. Se un artista come Christo ripristinava il senso di attenzione verso edifici banali o stra-visti impacchettandoli, dunque cancellandoli, perché solo la loro scomparsa ne ricostruiva l’aura artistica e dunque l’attenzione del pubblico, gli edifici della piazza del Duomo
FIRME ETERNE DI GRANDI ARTISTI
sembrano sfuggire a questo destino: ogni volta che vengono visti è come se fosse la prima volta, e il senso di sorpresa raggiunge talvolta quello di un vero e proprio sgomento, di una malinconia profonda e immodificabile. Come l’uomo posto di fronte ad una grandezza smisurata che ne segna i confini e i limiti. Tuttavia questa straordinaria antologia di capolavori necessita di cure continue, come se insomma dai cieli della poesia dovessimo scendere su quelli più tormentati e quotidiani della prosa. Sono monumenti che necessitano di incessanti attenzioni, di restauri praticamente eterni. In questo caso le moderne tecnologie, e una ricerca scientifica inesausta e che nel cam-


NUOVE TECNOLOGIE PER I RESTAURI

po dei restauri artistici vede l’Italia ai primi posti nel mondo (con Pisa a recitare un ruolo cospicuo), riescono a riconsegnarci quegli edifici, e le opere che contengono, in una piena e migliore leggibilità. L’OPERA DEL DUOMO, l’istituzione che sovrintende alla salvaguardia delle fabbriche del Duomo, è infatti da sempre impegnata in una difficile ma appassionante impresa volta a scongiurare lo sconcio del tempo, il greve effetto del passare degli anni su quelle pietre. Chiunque si avventuri sulla piazza proprio mentre leggerà queste pagine, si accorgerà che l’ala nord della Cattedrale è infatti soggetta ad un completo restauro della superficie lapidea, che segue quanto è stato già fatto nella zona absidale. Il Camposanto poi è stato sottoposto al restauro integrale nelle interminabili pareti affrescate, con risultati strepitosi e che saranno oggetto prossimamente di specifici servizi su queste colonne, che hanno ridato nuova vita ad un patrimonio pittorico gravemente compromesso, a testimoniare come la scienza, la ricerca e le nuove tecnologie possono raggiungere risultati felicissimi. La Torre pendente non è stata certo da meno, e i restauri che si sono succeduti negli ultimi anni, sorvegliati da un comitato scientifico internazionale, hanno permesso di scongiurare i rischi di un crollo del celeberrimo manufatto architettonico, riassegnandogli una rassicurante stabilità con tecniche d’intervento raffinatissime e innovative. La successiva pulitura dell’apparato lapideo non è stata un lavoro di cosmesi, di narcisistico e scenografico intervento di puro abbellimento, ma la conclusione di un lavoro di salvaguardia che ha riassegnato alla Torre una piena leggibilità. Infine, ed è storia recentissima, il nuovo MUSEO DELL’OPERA DEL DUOMO. Lo scorso anno il Museo che contiene i manufatti artistici provenienti dalle fabbriche del Duomo (che per motivi liturgici o di conservazione necessitavano di una musealizzazione), è stato infatti riaperto dopo una completa riprogettazione un restauro che ha finito col ridisegnarne completamente i percorsi, gli arredi, e perfino la filosofia espositiva, questa volta centrata soprattutto sulla scultura medievale. È stato un intervento radicale e profondo, sebbene rispettoso dell’edificio, con risultati che hanno assegnato alle opere una inedita visibilità. In questa prospettiva la Piazza del Duomo si rivela per quella che in fondo è: straordinario complesso di monumenti artistici e religiosi che sfidano la fede e l’attenzione degli uomini, e che ne misurano la capacità di prendersi cura della fede e della storia, perché mai come qui la sollecitudine e la premura verso la prima, si riflette con assoluta precisione sulla seconda.
Piazza del Duomo. Fabbrica of miracles Perhaps a little known detail about Piazza del Duomo, is that the stylistically harmonious appearance of the four main buildings of the Piazza was not the result of a unitary project, conceived by one person, and built in a relatively short period of time. On the contrary, the four buildings were built over three centuries (mainly from the 11th to the 14th century) and by an high number of artists. However, this extraordinary collection of masterpieces needs continuous care: in this case, modern technologies, and an inexhaustible scientific research are invaluable. L’OPERA DEL DUOMO, the institution that oversees the protection of the Duomo, is committed in a difficult but exciting enterprise aimed at averting the damages provoked by time. Those visiting the Piazza in these weeks will notice that the north wing of the Cathedral is in fact undergoing a complete restoration of the stone surface, which follows a similar work already completed in the apse area. The Camposanto underwent an integral restoration of the frescoed walls, with amazing results, giving new life to a seriously compromised pictorial heritage, thus witnessing how science, research and new technologies can achieve very important results. The Leaning Tower also underwent many restorations in recent years, overseen by an international scientific committee, aiming at averting the risks of a collapse, reassigning stability with highly refined and innovative techniques. Finally, the opening, last year, of the new MUSEUM OF THE OPERA DEL DUOMO which contains artifacts from the Duomo. It was reopened after a restoration that ended up in a complete redesigning of the paths, the furnishings, and even the exhibition philosophy, now focusing on Medieval sculpture. It was a radical and profound intervention, although respectful of the building, resulting in an extraordinary visibility of the artworks.