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Alessandra Ponte

Appello per una gaia storia del presente immediato o: “Convivere con le difficoltà”. L’8 marzo avrei dovuto prendere un volo da Montréal (la città dove vivo e insegno) a New York per partecipare a una cena in onore delle donne docenti di architettura al Pratt Institute, dove ho insegnato dal 2003 al 2007. I notiziari riportavano i primi casi di Covid-19 nella regione di New York e circolavano voci su migliaia di persone già in quarantena. Molti abitanti del Québec stavano approfittando della pausa invernale della prima settimana di marzo per recarsi a sud verso climi più caldi: noti come snowbirds, sono tornati portando il contagio che ha fatto di Montréal l’epicentro canadese della pandemia. Ho annullato il mio volo per New York all’ultimo momento e ho inviato il seguente messaggio da leggere alla cena del Pratt in risposta alla richiesta di una previsione: “È tempo di fermarsi, pensare e fare un bilancio, rivalutare le priorità e assumersi responsabilità”.

Una settimana dopo, veniva imposto il lockdown sia in Canada che negli USA.

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Ero nel pieno della terza edizione di una ricerca del laboratorio del master in design su Architecture and Information 2.0, coordinata con un seminario intitolato “Architecture Confronted to the New Technologies or: ‘How I Learned to Stop Worrying and Love…’ Machines” [L’architettura di fronte alle nuove tecnologie o: Come ho imparato a smettere di preoccuparmi e ad amare… le macchine]. La ricerca era iniziata nel 2017 dopo che Montréal era stata ufficialmente proclamata piattaforma mondiale per l’Intelligenza Artificiale e, un anno dopo, era stata annunciata l’ambizione canadese di creare una Maple Valley come risposta e alternativa alla Silicon Valley. Così, l’edizione del 2018 del laboratorio di ricerca prevedeva un viaggio di studio a San Francisco e alla Silicon Valley con visite al mitico Internet Archive (la Mecca dei nerd e degli hacker), ai laboratori di Autodesk, all’Apple Campus di Cupertino, disegnato da Norman Foster a forma di “nave spaziale” e al gigantesco Googleplex, il complesso che ospita la sede centrale di Google e Alphabet Inc… Situato a nord di Mountain View, Googleplex conta 190.000 metri quadrati di spazi a uso ufficio e circa 20.000 dipendenti che ogni giorno viaggiano per raggiungere il

posto di lavoro. Arrivando all’ora di pranzo con i miei studenti abbiamo scoperto che era impossibile comprare anche solo un caffè senza un badge Google e divertiti abbiamo contemplato miriadi di dipendenti che si godevano gli spazi aperti, vestiti in modo informale: consumavano pasti multietnici usciti da mense e furgoncini, circolavano su biciclette dipinte con i colori vivaci di Google, giocavano a pallavolo e a pallacanestro. Il bisogno di forme radicalmente nuove di economia e filosofia politica era evidente.

La visita al Googleplex ha dato un nuovo significato all’elegante espressione di Michel Foucault “il marxismo sta nel pensiero del XIX secolo come un pesce sta nell’acqua; e cessa di respirare in qualsiasi altro luogo”. Detto brutalmente, il marxismo è l’economia politica della macchina a vapore, corrisponde alla tecnologia della prima rivoluzione industriale e all’organizzazione del lavoro definito dal modello della fabbrica e dalla corrispondente formazione di una “classe operaia”. Il punto su cui abbiamo miseramente fallito (e questo è diventato ancor più palese con la pandemia e l’emergere della figura del lavoratore “essenziale”) è nel pensare criticamente in termini politici, economici e perfino metafisici le interconnessioni tra esseri umani e non umani e la coproduzione di tecnologie dell’informazione in evoluzione esponen-

ziale. Innegabilmente, l’inadeguatezza del pensiero politico ed economico contemporaneo è fatalmente collegata all’incapacità di scendere a patti con la questione della tecnologia: abbracciando appassionatamente la tecnofobia o la tecnofilia i pensatori (e gli architetti) condannano la tecnologia come strumento di oppressione e controllo (partendo dagli iPhone e dalle app per finire con la recente denuncia dell’insegnamento online), o si dedicano a infiniti e inutili esercizi formali delegando le decisioni agli algoritmi (particolarmente scoraggianti sono i laboratori di varie scuole di architettura che compiono esperimenti con l’IA per generare forme prive di significato attraverso algoritmi di riconoscimento delle immagini).

Se non altro, l’attuale crisi conferma l’esigenza di evitare attentamente le previsioni di un futuro distopico o utopico e mantenere invece una consapevolezza attenta, uno stato di vigilanza lucida. Dinanzi a un presente immensamente turbolento, occorrono una qualche sorta di gaia disposizione nietzschiana e nuovi modi di pensare gli “eventi” perché, nelle parole della geniale eco-femminista Donna Haraway, oggi dobbiamo “convivere con le difficoltà”.

Alessandra Ponte, storica dell’architettura e del paesaggio, è professoressa ordinaria all’École d’Architecture de l’Université de Montréal.

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