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Giancarlo Mazzanti

Condividere il mondo. Oggi viviamo la sensazione che le nostre vite siano prese in prestito, quasi fossimo spettatori di una realtà che è in attesa di qualcosa. Viviamo in uno spazio-tempo eterotopico, come descritto da Foucault; una condizione spazio-temporale che si contrappone agli spazi normali in cui siamo stati abituati a vivere durante la nostra intera esistenza. Questa condizione ci ha portato fuori dal tempo normale e quotidiano, cancellando, neutralizzando il tempo e, per nostra fortuna, ci ha messo in crisi e ci ha fatto pensare.

Sentiamo dire ogni giorno che tutto cambierà. Non sappiamo come e in che modo, ma sicuramente ci saranno due possibili scenari di questo cambiamento. Il tempo lo dirà.

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Il primo, terrificante e molto vicino al mondo nichilista e globalizzato, è quello basato su misure adottate in funzione della paura, con la chiara intenzione di controllare la popolazione con la scusa della pande

mia. Questo porterebbe a una società fondata sulla crescita e sulla produttività dell’economia come obiettivo principale e unico, al servizio di pochi e a scapito di tutti gli altri, e produrrebbe un’architettura simile a quella attuale ma esacerbata, basata sul controllo e sulla sorveglianza, sulla speculazione economica e sull’individualismo come fattori principali.

Il secondo, pieno di speranza, è quello basato sulle idee di Fiducia e Prossimità, in particolare con la natura che ci circonda; il che porterebbe a una costruzione materiale di cui ogni attore animato o inanimato che compone il mondo fa parte senza gerarchie prestabilite, in cui l’idea di comunità e di bene comune siano i pilastri di una disciplina estesa a tutti. A un’architettura in cui il valore non stia solo in se stessa, ma anche in ciò che può essere in grado di promuovere in termini di interazioni sociali, nuovi tipi di rapporti e comportamenti, nella quale l’umano non prevalga sulla totalità degli attori che abitano e occupano il mondo. In cui l’enfasi sia posta sulla condizione performativa dell’architettura stessa e non soltanto sulla sua condizione materiale.

“Cosa può salvarci?” si chiedeva Heidegger. “Non soltanto un dio; non soltanto la creazione artistica; non soltanto l’oratoria politica; ma anche la prossimità”.

La crisi che stiamo vivendo è un laboratorio per

creare in futuro nuove forme di rapporti sociali e, di conseguenza, per la costruzione materiale di uno spazio più in linea con le esigenze di tutti gli attori – umani e non umani – che compongono il mondo, affinché ognuno abbia voce in capitolo. Cambierà sicuramente il nostro modo di costruire la vita sociale, cambierà certamente la nozione di spazio tradizionale: quello spazio moderno, asettico e neutro, basato soltanto sull’efficienza e la produttività come sistemi organizzativi. Tutto questo comporterà un ripensamento profondo del senso dello spazio.

Potremmo affermare che la nozione di spazio cesserà di indicare un luogo astratto e vuoto per riferirsi piuttosto a un luogo di mediazione e accordo tra i diversi agenti, viventi e inerti, che compongono il pianeta; ciò include la comprensione delle molteplici e complesse connessioni tra persone, materiali, animali, tecniche, specie, ecosistemi, associazioni, interessi economici, ecc. Non possiamo continuare a pensare lo spazio soltanto come risultato dell’efficienza funzionale e produttiva degli esseri umani.

La questione centrale dovrebbe essere come pensare architetture basate su nuove forme di relazione tra i diversi agenti che compongono lo spazio, come ad esempio gli habitat degli animali, i legami comunitari, gli ecosistemi, le eterotopie, il mondo vegetale,

la meteorologia; tra i molteplici modi di definire uno spazio condiviso e prossimo tra tutti gli esseri. Questo approccio produrrebbe architetture basate su altre nature, come ad esempio facciate per nidificare in grado di mantenere la temperatura interna, coperture solari che consentano anche la vita animale, vuoti che connettano le attività e favoriscano la crescita di piante commestibili, spazi anomali che aiutino a scoprire nuove relazioni sociali e animali, ecc.

L’obiettivo dovrà essere sempre più quello di produrre accordi tra abitanti umani e non, che aiutino a condividere il mondo, permettendo la costruzione di un’architettura aperta, multipla e plurivoca; dove non solo i bisogni umani costruiscano lo spazio e dove l’architettura si faccia promotrice di nuovi strumenti che consentano ai diversi attori di rispondere alle nuove sfide sociali e ambientali.

“Se non scopriamo come il mondo possa venire condiviso, non ci sarà più mondo da condividere” (Bruno Latour).

Giancarlo Mazzanti è fondatore di El Equipo Mazzanti, studio di architettura e ricerca con sede a Bogotà.

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