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Juan Herreros

3.000 caratteri su presente e futuro per Lotus. La profusione di sforzi per intendere il presente come un tempo di transizione degli esseri umani sulla terra e per predire un futuro incerto si basa sul sospetto che non abbiamo reagito a tempo di fronte a una minaccia latente e sulla preoccupazione di non conoscere tutte le equazioni del futuro più immediato. Per principio voglio rinunciare al gioco perverso delle profezie divinatorie con le quali placare l’ansia generata da questa incertezza, per cui mi limiterò a quello che mi preoccupa davvero.

Primo: il mondo ha confidato troppo nella crescita continua come unica forma di progresso. Città, musei o studi di architettura non hanno conosciuto altra forma di successo che quella dell’espansione. Sappiamo tuttavia da cinquant’anni che questa corsa ha una fine, una brutta fine, che abbiamo sempre immaginato lontana; ora però scopriamo che la stiamo già

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vivendo e che noi umani siamo parte del problema.

Secondo: come architetto, la domanda che mi pongo è che cosa si aspetta o si dovrebbe aspettare da noi il mondo di fronte a questa situazione? In questo scenario ciò che sembra più difficile è che l’architettura abbia l’opportunità e la libertà per essere propositiva dinanzi alle novità che si profilano. Mancanza di libertà che va di pari passo con la complicità fra i settori più commerciali della professione e l’economia neoliberale – la parte più grave del problema – e il suo consolidato sistema ricattatorio.

Terzo: forse il sistema dell’architettura così com’è strutturato oggi, intorno a una serie di grandi studi professionali che incrociano a malapena nel loro percorso una quantità di studi di piccola e media dimensione – cui è demandato il grosso del lavoro e che davvero hanno un impatto sulla vita quotidiana delle persone – è in crisi. Mentre i primi sono stati protagonisti di un’implacabile colonizzazione del mondo in via di sviluppo, l’importanza dei secondi su questioni fondamentali come la storia locale, il recupero di un vero dialogo con la natura o la costruzione di una felicità quotidiana, lontana dal consumo come unica forma di omologazione globale, non è stata abbastanza valorizzata.

Quarto: mai come adesso è stata necessaria una pratica professionale basata sulla teoria, la ricerca e la costruzione di un pensiero critico. La solidarietà, l’impegno e l’accettazione dell’altro fanno parte del codice deontologico della nostra professione. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di committenti, di programmi pubblici avanzati e sperimentali e di forme collettive e trasversali di lavoro professionale che ancora non esistono. Mantenere la struttura attuale è comprensibile soltanto in un’ottica di paura o di nostalgia.

Quinto: è cruciale lasciare alle nuove generazioni uno spazio in cui l’architettura abbia un ruolo determinante di fronte alle sfide di inclusione sociale, emergenza ambientale e rinnovamento tecnologico. In caso contrario l’architettura diventerà una disciplina superficiale e i suoi protagonisti diventeranno esponenti della “vecchia normalità”.

Madrid, 17 maggio 2020

Juan Herreros è professore di Professional Practice al GSAPP della Columbia University e titolare dello studio di architettura Estudio Herreros.

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