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Marco Biraghi

Quattro effetti della seclusione. Tali e tanti sono gli effetti nefasti prodotti dalla pandemia (in campo sanitario, economico, sociale) da rendere perfettamente pleonastica, in questa circostanza, una loro mera elencazione e impossibile qualsiasi loro valutazione analitica. Da qualunque punto di vista li si voglia osservare, si tratta di effetti che lasceranno dietro di sé segni durevoli, di portata e gravità difficilmente calcolabili. Ma accanto a questi effetti ce ne sono altri, legati all’esperienza individuale che ciascuno di noi ha compiuto in questo periodo, che meritano qualche attenzione. Anche in questo campo, numerosi sono gli effetti negativi provocati dalla seclusione forzata. Ma tra questi, alcuni sono di segno diverso, quantomeno per il carico esperienziale e conoscitivo di cui sono portatori.

Un primo effetto riguarda la considerazione dello spazio pubblico. Dopo anni di polemiche e lagnanze sulla presunta “sparizione” dello spazio pubblico dalle nostre città, la condizione di seclusione ha rivelato con

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grande evidenza che lo spazio pubblico è tutto quel che sta fuori dal nostro dominio strettamente privato. Sperimentando la segregazione all’interno del nostro spazio domestico, abbiamo (o dovremmo avere) capito che marciapiedi, strade, piazze, parchi, giardini, stazioni, mercati e in generale tutti i luoghi che offrono occasioni di socialità (anche con finalità commerciali), costituiscono lo spazio pubblico di cui lamentiamo quotidianamente l’assenza.

Un secondo effetto riguarda la considerazione dello spazio domestico. Per molti la seclusione ha coinciso con una riscoperta (positiva o negativa, a seconda dei casi) degli spazi abitativi. Vivendoli con un’assiduità e un’intensità altrimenti sconosciuta in precedenza, gli spazi della casa hanno (o dovrebbero avere) rivelato ai rispettivi abitanti aspetti che erano rimasti loro ignoti, facendo emergere il possibile utilizzo di spazi fino a quel momento trascurati oppure – all’opposto – manifestando la mancanza di spazi rimasta fino a quel momento nascosta.

Un terzo effetto riguarda la coscienza dello spazio domestico. Nel corso dei mesi di seclusione molte persone sono state costrette a venire a contatto con funzioni primarie ma al tempo stesso prima di allora completamente trascurate della vita domestica: funzioni svolte spesso in via esclusiva dalla componente femmi-

nile (quando presente), o in alternativa da personale di servizio: cucinare, fare le pulizie, riordinare la casa. In diretta conseguenza di ciò molti hanno (o dovrebbero avere) appreso non soltanto capacità relative a mansioni specifiche ma più in generale il valore e l’onerosità dell’economia domestica.

Un quarto effetto riguarda la coscienza dello spazio pubblico. Forzati dalle necessità imposte dalle norme di sicurezza sanitaria e dal distanziamento sociale, siamo tornati ad osservare lo spazio (ma l’avevamo mai fatto prima d’ora?), valutandolo non tanto esteticamente quanto piuttosto dimensionalmente, arrivando addirittura, in certi casi, a misurarlo materialmente (nei negozi, nei locali pubblici, nei luoghi d’intrattenimento). In tal modo abbiamo (o dovremmo avere) imparato ad avere più consapevolezza dello spazio fisico che ci circonda, dopo averlo a lungo “dimenticato”, assorbiti perlopiù dalla dimensione virtuale.

Quattro effetti positivi della seclusione che dovremmo avere la capacità di riconoscere e che – anche una volta cessata – dovremmo cercare di non dimenticare.

Marco Biraghi è professore ordinario di Storia dell’architettura contemporanea al Politecnico di Milano.

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