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Mario Botta

L’introduzione del cosiddetto “lavoro remoto”, interpretato attraverso la comunicazione elettronica come un cambiamento solo strumentale, di fatto comporta uno stravolgimento totale della creatività, che ne risente profondamente. Il lavoro tradizionale lento, dallo schizzo iniziale al disegno, ai modelli e ai piani definitivi, portava con sé i tempi di riflessione, di critica e di continue modifiche. In altre parole offriva la possibilità di crescita per una qualità del progetto. Il lavoro a distanza purtroppo serve solo a chi progetta per catalogo, dove le soluzioni sono precostituite, schematiche e dozzinali. L’America e la Cina ne sono i massimi esempi.

Non credo nelle nuove ere ma nella continuità data da generazione in generazione. Penso che la città trovi la propria forza nell’essere la storia dei popoli estinti.

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La città, ancora oggi, è la forma di aggregazione più bella, più performante, più funzionale, più flessibile, più intelligente che l’umanità, dal Neolitico fino ai

nostri giorni, ha saputo realizzare.

I nostri tessuti urbani custodiscono l’espressione più evoluta del lavoro dell’uomo, delle fatiche, del sapere, dei desideri e delle speranze collettive.

La forza della città non è data dalle funzioni o dai servizi alle quali risponde ma soprattutto dal “territorio della memoria” di cui l’uomo ha immensamente bisogno. Non è possibile vivere senza passato. Le contingenze con le loro emergenze passano, le città restano. Storicamente le città, dopo epidemie e catastrofi, hanno sempre saputo ottenere benefici per la vita comunitaria.

Dopo la peste, ad esempio, ci sono stati miglioramenti delle infrastrutture sanitarie, canalizzazioni, fognature che si sono consolidate come conquiste quando hanno interpretato i bisogni collettivi.

La città, come tutti i manufatti dell’uomo, dovrà continuamente correggersi lungo la propria storia. Come lo farà dipenderà ancora una volta dagli uomini. Io credo che il vivere collettivo resterà il grande desiderio, al di là delle contingenze e delle emergenze. La città è la forma di vita sociale più evoluta. Per questo è necessario vigilare. La maggiore densità non è un bene in se stessa così come non lo è il culto di una libertà economica senza limiti, della quale stiamo percependo sempre più un inquietante senso di insi-

curezza, di timore, forse anche di paura.

Il coronavirus passerà… la città, i borghi, le periferie e le case resteranno in attesa che altri uomini le trasformino come hanno sempre fatto nella storia. Le abitazioni dei nostri paesi nei secoli si sono sempre adattate allo spirito dei tempi. Molte strutture agricole sono diventate prime o seconde case, l’intero villaggio di Corippo sarà un albergo diffuso, la casa del Vescovo ospiterà addirittura un’altra istituzione. Questa continua stratificazione è la vera ricchezza della nostra bella vecchia Europa, della quale Karl Kraus ricordava ai nostalgici che un tempo fu nuova.

Quel che è certo è che prossimamente, soprattutto per ragioni economiche, dovremo parlare e ragionare sempre più in termini di “riuso”, cioè dare una nuova funzione alle strutture obsolete. Un modo per far rivivere il passato cambiandone le destinazioni d’uso, senza usare nuovo terreno, senza altre infrastrutture, senza ulteriori urbanizzazioni.

Il testo è tratto dall’intervista a cura di Andrea Stern La città trova la propria forza nella storia, in “Il Caffè”, 10 maggio 2020.

Mario Botta, titolare dello studio di progettazione Mario Botta Architetti, fondato a Lugano e con sede a Mendrisio, è tra i fondatori dell’Accademia di Architettura di Mendrisio.

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