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Mauro Baracco

Mauro Baracco e Louise Wright

Caro Pierluigi,

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Che piacere ricevere la tua lettera. Un caro saluto a Nina. Noi tutto bene, ci sembra. Il piccolo Frank è tornato a scuola. Ogni mattina quando ci svegliamo, Louise si ferma un attimo e si concentra sulla gola. Fa male?… no. Questo è ciò che dicono, devi avere mal di gola. È l’unica cosa che ci è chiara.

Ti stiamo scrivendo subito dopo aver ritirato il tosaerba che avevamo portato a riparare. In realtà non c’è più molta erba alla Garden House, sostituita a sua volta con specie più endemiche che probabilmente erano lì una sessantina di anni fa. Ultimamente ci passiamo molto tempo. Abbiamo anche dovuto comprare una lavatrice.

Pensando al “tempo di prima”, in cui tutti i vari eventi, incontri, viaggi, ristoranti… erano parte integrante di una rete che ci faceva ondeggiare qua e là, ci viene da dire che l’interruzione della vita frenetica cui eravamo abituati, beh, ci sembra più che altro un approdo. Piedi per terra, tutto fermo, via le scarpe! Reale.

È forse troppo ovvio dire che il nostro rapporto con la natura al di là di noi stessi è stato messo in discussione? Per una volta abbiamo smesso di calpestare il giardino con i nostri pesanti stivali e il resto della natura è riemerso da dove si nascondeva. Ci auguriamo che lo spazio creato dalla crisi pandemica in corso possa indurre cambiamenti, resi possibili dal decentramento dell’uomo, al fine di ripensare la rigenerazione del mondo naturale alle sue stesse condizioni.

Anche l’architettura, dal nostro punto di vista, dovrebbe rimanere un po’ più ferma. Sedersi, per un momento; stare tranquilla; lasciare spazio agli altri e all’alterità; mantenere le distanze. Un’architettura più silenziosa si farebbe da parte e sarebbe in grado di stare lontana da luoghi in cui non dovrebbe esserci. Sarebbe soddisfatta di fare la sua parte stratificando la città. Sarebbe più agile e propensa alla condivisione, tesa a trasformare e rigenerare se stessa piuttosto che a voler apparire “nuova” ogni volta.

Qui a Melbourne e in tutta l’Australia, così come in tutto il mondo, molti spazi potrebbero trarre vantaggio dall’essere trattati con maggiore attenzione e cura – potrebbero essere trasformati, convertiti, riadattati a varie e flessibili forme di prestazioni, così da essere in grado di offrire livelli ulteriori e diversificati di utilizzo, prendendo le distanze da quei grandi anonimi conte-

nitori dalle facciate pretenziose che avrebbero dovuto rappresentare il futuro, o almeno così si diceva fino a pochi mesi fa.

Insieme, noi e l’architettura, possiamo partecipare al mondo dal nostro luogo, allo stesso tempo rivolgendo il nostro sguardo e la nostra attenzione alla terra intorno a noi, al suolo sotto i nostri piedi. La nozione di Terrestre di Bruno Latour, intesa come un richiamo al senso locale basato sulla cura dei nostri luoghi (piuttosto che sulla protezione e la separazione dallo “straniero”) eppure aperto al mondo, sembra particolarmente rilevante: “Il fatto è che il Terrestre dipende dalla terra e dal suolo ma è anche mondiale, nel senso che non si inquadra in alcuna frontiera, che va al di là di ogni identità.” (Bruno Latour, Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, 2018).

Un caro saluto, Louise e Mauro

Mauro Baracco e Louise Wright sono fondatori dello studio di architettura, ricerca e curatela Baracco+Wright Architects, con sede a Melbourne.

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